Lavoro e Previdenza

Thursday 03 July 2003

La Cassazione interviene in tema di licenziamento di lavoratrice in gravidanza per ribadire che il provvedimento non è illegittimo se vi è colpa grave della lavoratrice. Corte di cassazione – Sezione lavoro – Sentenza 11 giugno 2003, n. 9405

La Cassazione interviene in tema di licenziamento di lavoratrice in gravidanza per ribadire che il provvedimento non è illegittimo se vi è colpa grave della lavoratrice

Corte di cassazione

Sezione lavoro

Sentenza 11 giugno 2003, n. 9405

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con la sentenza ora denunciata, il Tribunale di Avezzano confermava la sentenza del Pretore della stessa sede in data 18 giugno/22 luglio 1998 investita da appello principale, proposto da Luigi Di Fabio contro la propria dipendente S.S., nonché da appello incidentale di quest’ultima nella parte in cui qualificava di formazione e lavoro il dedotto rapporto tra le parti, in base al rilievo che risultava provato l’adempimento dell’obbligo formativo, da parte del datore di lavoro, mentre sprovviste di prova erano, invece, asserite circostanze ostative, quali: il possesso di professionalità adeguata, da parte della lavoratrice, all’atto della stipula del contratto di formazione e lavoro; stipula del contratto medesimo, in costanza di rapporto di lavoro a tempo indeterminato tra le stesse parti, non essendone prova sufficiente né i meri “contatti” tra le parti precedenti la data di stipulazione del contratto, ammessi dal Di Fabio, né la presenza della Serafini nello studio dello Di Fabio, in quanto riferita da alcuni testi, senza tuttavia precisare le mansioni svolte dalla medesima, né le relative circostanze temporali.

Contestualmente, il Tribunale – in parziale riforma della stessa sentenza pretorile – negava l’illegittimità del licenziamento per giusta causa della lavoratrice, in quanto giustificato da gravi inadempimenti (assenze ingiustificate ed inaffidabilità) della medesima, integranti “colpa grave”- e, come tali, legittimanti il licenziamento, (anche) in costanza di gravidanza ed in prossimità del matrimonio (gravidanza e matrimonio, dei quali “non è emerso con chiarezza dall’istruttoria che il datore di lavoro fosse a conoscenza”) – ed, inoltre, confermava, bensì, il diritto della lavoratrice alla retribuzione prevista per la qualifica pretesa (quarto livello super) – corrispondente alle mansioni effettivamente esercitate (di infermiera e di “contatto con la clientela”, ancorché avrebbe conseguito il diritto a detta qualifica solo all’esito del contratto di formazione e lavoro (che era cessato, tuttavia, nell’imminenza della conclusione, “per motivi non attinenti le capacità operative e l’inettitudine” della lavoratrice stessa) – ma “rideterminava” (in lire 2.092.726, oltre accessori), tuttavia, le differenze retributive, conseguentemente dovute, in dipendenza del pagamento di un acconto (di lire 2.090.400), che era stato invece pretermesso nel calcolo delle spettanze, posto a base della sentenza di primo grado.

Avverso la sentenza d’appello, S.S. propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi.

L’intimato Luigi Di Fabio resiste con controricorso e propone, contestualmente, ricorso incidentale, affidato ad un motivo ed illustrato da memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente va disposta la riunione dei ricorsi, in quanto proposti separatamente contro la medesima sentenza (articolo 335 c.p.c.).

2.1. Con il primo motivo del ricorso principale – denunciando violazione e falsa applicazione di norme di diritto (articolo 3 legge 726/84, 1326 c.c., 36 Cost.), nonché vizio di motivazione (articolo 360, n. 3 e 5, c.p.c.) – S.S. censura la sentenza impugnata per avere qualificato di formazione e lavoro il dedotto rapporto tra le parti, sebbene il contratto di formazione e lavoro, fosse nullo, in quanto stipulato in costanza di rapporto di lavoro già costituito a tempo indeterminato, siccome risulta dalla ricerca di “assistente alla poltrona con assistenza” (nell’annuncio fatto pubblicare da controparte), dai successivi “contatti” fra le parti (parimenti ammessi da controparte), nonché dalle proprie prestazioni lavorative (riferite da testi), tutti precedenti alla stipulazione dello stesso contratto.

Il primo motivo del ricorso principale non è fondato.

2.2. È ben vero, infatti, che il contratto di formazione e lavoro (previsto dall’articolo 3 del decreto legge 726/84, convertito con legge 863/84), se stipulato nel corso di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato tra le stesse parti, è affetto da nullità per illiceità della causa secondo la giurisprudenza di questa Corte (in tal senso vedi, per tutte, Cassazione 11561/95; 6981/93; 9024/91; 3030/91) – in quanto, nel caso di lavoratori che siano già occupati a tempo indeterminato, ne risulterebbe frustrata la funzione propria dello stesso contratto – di favorire e promuovere l’inserimento nel mercato produttivo e l’occupazione stabile dei giovani, anche mediante la previsione di benefici in favore dei datori di lavoro – e legittimerebbe, peraltro, la non consentita apposizione di un termine al rapporto di lavoro a tempo indeterminato.

Tuttavia l’accertamento, nel caso concreto, della prospettata stipulazione del contratto di formazione e lavoro, nel corso di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato tra le stesse parti, si risolve in un accertamento di fatto riservato al giudice di merito e, come tale, non sindacabile, in sede di legittimità, se sorretto da motivazione congrua ed immune da vizi.

Alla luce dei principi di diritto enunciati, la sentenza impugnata non merita le censure, che le vengono mosse con il motivo di ricorso in esame, neanche sotto il profilo del vizio di motivazione (articolo 360, n. 5, c.p.c.).

2.3. Invero la denuncia di un vizio di motivazione, nella sentenza impugnata con ricorso per cassazione (ai sensi dell’articolo 360, n. 5, c.p.c.), non conferisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare autonomamente il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì soltanto quello di controllare, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico formale, le argomentazioni – svolte dal giudice del merito, al quale spetta in via esclusiva l’accertamento dei fatti, all’esito della insindacabile selezione e valutazione delle fonti del proprio convincimento – con la conseguenza che il vizio di motivazione deve emergere – secondo l’orientamento (ora) consolidato della giurisprudenza di questa Corte (vedine, per tutte, le sentenze 13045/97 delle Sezioni unite e 3161/02, 4667/01, 14858, 9716, 4916/00, 8383/99 delle sezioni semplici) – dall’esame del ragionamento svolto dal giudice di merito, quale risulta dalla sentenza impugnata, e può ritenersi sussistente solo quando, in quel ragionamento, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione, mentre non rileva la mera divergenza tra valore e significato, attribuiti dallo stesso giudice di merito agli elementi da lui vagliati, ed il valore e significato diversi che, agli stessi elementi, siano attribuiti dal ricorrente ed, in genere, dalle parti.

In altri termini, il controllo di logicità del giudizio di fatto – consentito al giudice di legittimità (dall’articolo 360 n. 5 c.p.c.) – non equivale alla revisione del “ragionamento decisorio”, ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata: invero una revisione siffatta si risolverebbe, sostanzialmente, in una nuova formulazione del giudizio di fatto, riservato al giudice del merito, e risulterebbe affatto estranea alla funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità.

Oltre ad essere rispettosa dei principi di diritto enunciati, la sentenza impugnata, tuttavia, è sorretta da motivazione in fatto che risulta esente dai vizi ora prospettati (di cui all’articolo 360, n. 5, c.p.c.).

2.4. Infatti la sentenza impugnata nega che il dedotto contratto di formazione e lavoro sia stato stipulato, nel corso di rapporto di lavoro a tempo indeterminato tra le stesse parti, in quanto – come è stato ricordato in narrativa non ne sono prova sufficiente né i meri “contatti” tra le parti precedenti la data di stipulazione del contratto, ammessi dal Di Fabio, né la presenza della Serafini nello studio dello stesso Di Fabio, in quanto riferita da alcuni testi, senza tuttavia precisare le mansioni svolte dalla medesima, né le relative circostanze temporali.

Lungi dal prospettare lacune od incoerenze logico-formali – nella ricordata motivazione in fatto della sentenza impugnata – il motivo di ricorso in esame prospetta, inammissibilmente, una diversa valutazione delle medesime fonti di prova (ammissione di controparte, circa i “contatti” fra le parti, e deposizioni di testi, circa la presenza della lavoratrice nello studio del datore di lavoro), nonché la mancata considerazione di altro elemento (quale la ricerca di “assistente alla poltrona con assistenza”, nell’annuncio fatto pubblicare dal datore di lavoro), sebbene il Tribunale abbia insindacabilmente escluso l’elemento medesimo, dalle fonti del proprio convincimento, e comunque non risulta neanche prospettare che ne sia risultato il mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia.

3.1. Con il secondo motivo dello stesso ricorso principale – denunciando (ai sensi dell’articolo 360, n. 3, c.p.c.) violazione e falsa applicazione di norme di diritto (articolo 2 legge 1204/71, 1 legge 7/1963, 1 regio decreto legge 1334/37) – S.S. censura la sentenza impugnata per avere negato la nullità del proprio licenziamento, sebbene intimato, in costanza della gravidanza ed in prossimità delle nozze (note a controparte, che è stata invitata alla cerimonia nuziale), e motivato da “inesistenti mancanze”.

Anche il secondo motivo del ricorso principale è infondato.

3.2. È ben vero, infatti, che il divieto di licenziamento della lavoratrice madre (sancito dall’articolo 2, commi 1 e 2, della legge 1204/71) è reso inoperante (ai sensi del comma 3, lettera a), dello stesso articolo 2) solo quando ricorra “colpa grave da parte della lavoratrice”, che non può ritenersi integrata, tuttavia, dall’accertata sussistenza di una giusta causa oppure di un giustificato motivo soggettivo di licenziamento – secondo la giurisprudenza di questa Corte (vedine, per tutte, le sentenze 610, 12503/00) – ma è invece necessario, anche alla luce di quanto stabilito dalla Corte costituzionale (nella sentenza 61/1991), verificate se sussista quella colpa specificamente prevista – connotata, appunto, dalla gravità – e, proprio per questo, diversa dalla colpa (in senso lato) che deve connotare qualsiasi inadempimento del lavoratore, per essere sanzionato con il licenziamento.

Alla stessa conclusione deve pervenirsi, altresì, nell’ipotesi di licenziamento della lavoratrice, intimato nel periodo compreso fra la richiesta delle pubblicazioni e l’anno successivo alla celebrazione delle nozze, per il quale opera la presunzione legale (stabilita dall’articolo 1, comma 3, legge 70/1963) – che esso sia stato disposto a causa di matrimonio e sia, perciò, affetto da nullità – presunzione che resta-superata, -tuttavia, qualora il datore di lavoro, su cui grava il relativo onere, fornisca la prova della sussistenza di una delle cause di licenziamento tassativamente elencate (nell’ultimo comma dello stesso articolo 1, che rinvia alle ipotesi previste dalle lettera a), b) e c) dell’articolo 3 legge 860/50, sostituito dall’articolo 2 legge 1204/71, cit.), fra le quali rientra, appunto, il caso di colpa grave costituente giusta causa di risoluzione del rapporto (sul punto, vedi, per tutte, Cassazione 11448/95).

Tuttavia l’accertamento e la valutazione, nel caso concreto, della prospettata colpa grave – legittimante il licenziamento (anche) della lavoratrice madre ed a causa di matrimonio – si risolve in un accertamento di fatto riservato al giudice di merito e, come tale, non sindacabile, in sede di legittimità, se sorretto da motivazione congrua ed immune da vizi.

Oltre a risultare rispettosa dei principi di diritto enunciati, la sentenza impugnata non merita le censure, che le vengono mosse con il motivo di ricorso in esame, neanche sotto il profilo – che, nella specie, non pare specificamente prospettato – del vizio di motivazione (articolo 360, n. 5, c.p.c.).

3.3. Infatti la sentenza impugnata nega l’illegittimità del licenziamento per giusta causa della lavoratrice, in quanto – come è stato ricordato in narrativa risulta giustificato da gravi inadempimenti (assenze ingiustificate ed inaffidabilità) della medesima, integranti “colpa grave””- e, come tali, legittimanti il licenziamento, (anche) in costanza di gravidanza ed in prossimità del matrimonio (gravidanza e matrimonio, dei quali “non è emerso con chiarezza dall’istruttoria che il datore di lavoro fosse a conoscenza”).

Ne risulta integrata la fattispecie legittimante, per quanto si è detto, il licenziamento, del quale si discute.

Lungi dal denunciare specificamente vizi di motivazione (articolo 360, n. 5, c.p.c.) e, comunque, dal prospettare lacune od incoerenze logico-formali nella ricordata motivazione in fatto della sentenza impugnata – il motivo di ricorso in esame prospetta, inammissibilmente, un diverso accertamento dei fatti – circa la conoscenza dello stato di gravidanza e dell’imminente matrimonio della lavoratrice, da parte del datore di lavoro, peraltro irrilevante (operando il divieto di licenziamento “in connessione con lo stato oggettivo di gravidanza e puerperio” e non risultandone, peraltro, superata la presunzione legale di intimazione a causa di matrimonio: arg. ex articolo 2, comma 2, legge 1204/71 e, rispettivamente, 1, comma 3 ed ultimo, legge 70/1963 citata) – nonché una verifica ed una valutazione, parimenti diverse, circa l’esistenza e la gravità della colpa della stessa lavoratrice, apoditticamente assumendo la ricorrente che il licenziamento sarebbe motivato da “inesistenti mancanze”.

4. Con l’unico motivo del ricorso – incidentale – denunciando vizio di motivazione (articolo 360, n. 5, c.p.c.) – Luigi Di Fabio censura la sentenza impugnata per avere riconosciuto alla lavoratrice il diritto alla retribuzione, corrispondente alla “qualifica superiore” (quarto livello super), sebbene questa possa essere “riconosciuta ed accordate solo dal datore di lavoro al termine del rapporto di formazione, come previsto dal Ccnl cosa -che nella specie non è avvenuto a causa del comportamento della Serafini che ha comportato la risoluzione del contratto prima della sua naturale scadenza”, con la conseguenza che il Tribunale ha “erroneamente ritenuto, che le mansioni svolte dalla Serafini si inquadrassero nella qualifica di quarto livello super” senza considerare, peraltro che “il contratto di formazione, per la sua qualificazione giuridica che lo pone in rapporto di specialità per le finalità cui è preordinato, si mostra ontologicamente diverso dall’attribuzione delle cosiddette “mansioni superiori” previste dal c.c. all’articolo 2103, attribuzione che ne caso de quo non avrebbe mai potuto verificarsi, proprio perché il lavoratore era in fase di formazione”.

Anche il ricorso incidentale è infondato.

4.1. Invero, nella determinazione della giusta retribuzione (ai sensi dell’articolo 36 Costituzione) del lavoratore assunto con contratto di formazione e lavoro (di cui all’articolo 3 del decreto legge 726/84, come sostituito dalla legge di conversione 863/84), non può escludersi, in assenza di contraria disposizione (legislativa o contrattuale), la legittimità del ricorso ai normali parametri retributivi previsti per i lavoratori subordinati di pari livello secondo la giurisprudenza di questa Corte (vedine la sentenza 10371/95) essendo espressamente prevista (dal comma 5 dello stesso articolo 3) l’applicazione, a tale contratto, delle norme sul rapporto di lavoro subordinato.

La sentenza impugnata si uniforma al principio di diritto enunciato – in quanto determina la giusta retribuzione (ai sensi dell’articolo 36 Costituzione) della lavoratrice, assunta con contratto di formazione e lavoro, mediante ricorso al parametro retributivo previsto per il lavoratore subordinato esercente le medesime mansioni (a prescindere dall’inquadramento nella qualifica corrispondente) – e non merita, quindi, le censure che le vengono mosse dal ricorrente incidentale, che invoca contraria disciplina contrattuale, senza precisarne, tuttavia, il contenuto.

5. Pertanto, previa riunione, entrambi i ricorsi vanno rigettati.

Sussistono giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese di questo giudizio di cassazione (articolo 92 c.p.c.).

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta entrambi; compensa integralmente tra le parti le spese di questo giudizio di cassazione.