Lavoro e Previdenza

Monday 03 November 2003

La Cassazione interviene in tema di giustificatezza del licenziamento del dirigente. Cassazione – Sezione lavoro – sentenza 2 dicembre 2002-27 agosto 2003, n. 12562

La Cassazione interviene in tema di giustificatezza del licenziamento del dirigente

Cassazione Sezione lavoro sentenza 2 dicembre 2002-27 agosto 2003, n. 12562

Presidente DellAnno relatore Curcuruto

Pm Sorrentino parzialmente conforme ricorrente Milano Assicurazioni Spa

Svolgimento del processo

La Corte dappello di Milano, decidendo sullappello della Milano Assicurazioni spa nei confronti di Carlo Migliore e sullappello incidentale di questultimo, ha, per quel che ancora rileva, sostanzialmente confermato la sentenza con cui il Pretore della stessa sede, accogliendo il ricorso del Migliore, dirigente della società convenuta, ha accertato lingiustificatezza del licenziamento in tronco intimato al ricorrente in data 16 settembre 1997, ed ha condannato la Milano Assicurazioni a pagare al Migliore lindennità supplementare nella misura di 23 mensilità di retribuzione, nonché lindennità di mancato preavviso, e lindennità sostitutiva delle ferie, rigettando la domanda riconvenzionale di risarcimento del danno proposta dalla società, e lappello incidentale mirante ad una più elevata determinazione dellindennità supplementare. Il giudice dappello ha premesso che con il gravame la sentenza era stata impugnata: per avere erroneamente affermato che il licenziamento era illegittimo per mancata specificazione dei motivi, mentre secondo lappellante lobbligo contrattuale di tale specificazione è assolto dalla indicazione della natura oggettiva o soggettiva della causale del recesso, senza onere di indicazione dei fatti, in ogni caso puntualizzati nella lettera di recesso; per non avere considerato che il Migliore non poteva aver diritto allindennità supplementare per essere sul piano sostanziale e operativo il secondo dirigente della società; per avere rigettato la domanda riconvenzionale di risarcimento senza dare ingresso alle prove, pur avendo riconosciuto lesistenza dei presupposti di fatto della pretesa, quali i dati di bilancio e i saldi tecnico negativi, il mancato recupero delle rivalse e lomesso controllo sugli ispettori da parte del Migliore; per avere accordato sulle somme riconosciute anche il danno da svalutazione in contrasto con la norma preclusiva di cui allarticolo 22 comma 36 della legge 724/94.

Ciò premesso, il giudice dappello ha osservato quanto segue.

La clausola contenuta nellarticolo 30 del Ccnl dei dirigenti del settore assicurativo stabilisce che nel caso di recesso dellimpresa la relativa comunicazione deve contestualmente contenere la specificazione dei motivi di recesso. Il termine motivi alla forma plurale impedisce di accogliere la tesi interpretativa della società appellante secondo cui, ai fini dellosservanza di detta norma sarebbe sufficiente la mera specificazione della causale soggettiva o oggettiva del recesso.

Inoltre i motivi, devono essere specificati il che implica che per dare un senso alla clausola si deve concludere che essa tende a rendere immutabile la causale del licenziamento e a renderlo altrimenti ingiustificato, consentendo anche una meditata contestazione della causale stessa. Quindi, secondo il giudice dappello occorre lallegazione di fatti con un quantomeno minimo tasso di specificità, condizione alla quale non soddisfaceva la lettera di licenziamento contenente, secondo la Corte dappello valutazioni o al più fatti di nessuna specificità, dei quali erano incomprensibili il senso e la portata.

Lunica ragione di licenziamento puntualmente indicata era costituita dallinvio da parte del Migliore, tramite un legale, di una lettera nella quale il dirigente lamentava una pesante e grave dequalificazione con grave danno allimmagine e invitava la società a reintegrarlo nelle mansioni e funzioni precedenti nel termine di cinque giorni pena il ricorso allautorità giudiziaria. Tale iniziativa, tuttavia, essendo il solo mezzo per reagire civilmente e in modo costituzionalmente garantito alla pretesa lesione di un proprio diritto, non poteva negativamente incidere sul rapporto di fiducia, se non in una visione poco pensosa delle prerogative delle parti nel rapporto di lavoro, e del loro diritto, rilevante a livello costituzionale, di far risolvere gli eventuali conflitti dalla competente istituzione dello Stato, visione come tale non ragionevole e non meritevole di tutela.

Per contro, secondo la Corte dappello, la nozione contrattuale collettiva di licenziamento giustificato nel settore dei dirigenti assicurativi come in altri, è data proprio da una causa ragionevole e meritevole di tutela, nozione idonea a dare maggiori garanzia di stabilità al posto di lavoro, pur nel riconoscimento delle esigenze del datore, e a soddisfare quindi in modo equilibrato gli interessi contrapposti.

Circa la domanda riconvenzionale di risarcimento il giudice del merito ha, in sostanza, negato, quanto ai danni correlati al periodo di preposizione alla direzione auto e sinistri, che essi fossero riconducibili alla condotta del Migliore, osservando che questi era divenuto responsabile della direzione auto e sinistri solo dal novembre 1996 e laveva retta fino al giugno successivo, e che comunque si era attivato proprio per eliminare i gravi inconvenienti che affliggevano tale settore. Quanto al peggioramento del saldo tecnico, esso era addebitabile allaumento molto considerevole delle riserve desercizio a fine 1996, Quanto al recupero delle rivalse il giudice dappello, ribadita la brevità del periodo di preposizione del dirigente alla direzione auto e sinistri, ha comunque rilevato che era stato proprio il Migliore a predisporre le procedure per la rivalsa.

Con riferimento, poi, alle doglianze del Migliore circa la misura dellindennità supplementare la Corte milanese ha ritenuto che la quantificazione fattane dal primo giudice fosse giustificata dal fatto che il Migliore era dirigente solo da poco tempo e avesse comunque trovato subito una nuova occupazione.

Quanto infine, alla svalutazione sulle somme dovute la Corte ha fatto applicazione dellarticolo 22 comma 6 della legge 724/94.

Contro questa sentenza la Milano assicurazione spa ricorre per cassazione sulla base di quattro motivi. Il Migliore resiste con controricorso contenente ricorso incidentale articolato su due motivi. Entrambe le parti hanno depositato memorie.

Motivi della decisione

Preliminarmente occorre riunire i ricorsi, proposti contro la stessa sentenza (articolo 335 Cpc). Con il primo motivo di ricorso è denunziata falsa applicazione dellarticolo 2 della legge 604/66 e violazione degli articoli 2118 e 2119 Cc nonché dellarticolo 30 del contratto collettivo nazionale dei dirigenti delle imprese assicuratrici; omessa o comunque insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia.

La ricorrente addebita in sostanza al giudice di merito di aver errato nel ritenere generica la comunicazione del recesso intimato al Migliore, muovendo da uninterpretazione del tutto erronea della normativa sul licenziamento dei dirigenti. In particolare la Corte milanese avrebbe applicato falsamente larticolo 2 della legge 604/66, che impone la motivazione del recesso solo con riferimento ai dipendenti non dirigenti, ed avrebbe violato le uniche norme che regolano sotto laspetto formale il licenziamento del dirigente ovvero gli articoli 2118 e 2119, nonché larticolo 30 del contratto collettivo. La tesi fondamentale del motivo in esame è che, diversamente da quel che deve avvenire per gli impiegati, nel licenziamento del dirigente non sarebbe richiesta la specificazione dettagliata degli addebiti e dei fatti,ma sarebbe sufficiente che fossero esposti i motivi che individuano la natura licenziamento, ossia se si tratti di licenziamento per motivi oggettivi o per motivi soggettivi, salvo leventuale successivo controllo in sede giudiziale.

I passaggi attraverso i quali questa tesi è argomentata possono riassumersi come segue.

Il licenziamento del dirigente può avvenire ad nutum. Quindi non è necessario garantire al dirigente il contraddittorio in sede di licenziamento, ossia nella fase precedente alleventuale giudizio. Il contraddittorio, daltra parte, serve per replicare agli addebiti fornendo le proprie giustificazioni. Ma se il contraddittorio non è necessario allora non è necessaria nemmeno una specificazione dettagliata degli addebiti. Lindicazione dei motivi è richiesta quindi al solo fine di consentire il contraddittorio in sede giudiziale, ed, in particolare, al fine di stabilire se il licenziamento sia determinato da motivi di natura oggettiva o soggettiva. Questo è il corretto significato dellarticolo 30 del Contratto collettivo di lavoro dei dirigenti delle compagnie di assicurazione, il quale stabilisce che «nel caso di recesso dellimpresa, la relativa comunicazione deve contestualmente contenere la specificazione dei motivi del recesso stesso». Ulteriore argomento a sostegno di tale conclusione si ricava dalla formulazione testuale della norma, la quale parla di motivi del licenziamento e non dei fatti posti a fondamento stesso, mentre la circostanza che sia stato usato il termine motivi al plurale, diversamente da quel che ha ritenuto la Corte dappello, dipende esclusivamente dal fatto che le parti collettive hanno voluto evidenziare come il licenziamento del dirigente possa avvenire non solo alternativamente per motivi soggettivi o per motivi oggettivi, ma anche, congiuntamente, per entrambi i motivi, e non,come ha invece ritenuto la Corte dappello, dalla volontà delle parti di rendere immutabile alla causa del licenziamento per un verso, e, per altro verso, di consentire una meditata contestazione da parte del lavoratore della causale medesima. Questultima ragione del resto, secondo il ricorrente, implicherebbe il diritto di vedersi contestare, prima della comunicazione del recesso i fatti che dovrebbero giustificarlo, diritto come noto, non riconosciuto.

In ogni caso, diversamente da quel che hanno ritenuto i giudici del merito, con motivazione insufficiente o mancata, la lettera di licenziamento non solo specificava che esso era dovuto sia a motivi soggettivi che a motivi oggettivi, ma individuava almeno in parte i fatti i posti a suo fondamento.

Il motivo è infondato in ciascuno dei suoi profili.

Va preliminarmente messo in rilievo che la Corte milanese ai fini del decidere ha fatto applicazione dellarticolo 30 del contratto collettivo nazionale di lavoro dei dirigenti e settore assicurativo, del quale si è già riprodotto il testo. Lenunciato contrattuale è stato indagato dal giudice di merito sotto il profilo testuale, ponendosi in luce che luso del plurale motivi non era compatibile con la specificazione della causale soggettiva od oggettiva del recesso, che consisterebbe solo nellindicare a quale categoria le ragioni del recesso dovrebbero esser ricondotte. La Corte milanese ha, ancora sul piano testuale, ma in una prospettiva di interpretazione complessiva della clausola, valorizzato lesigenza che le parti contrattuali avevano inteso soddisfare attraverso luso del sostantivo specificazione individuando tale esigenza nella immutabilità della causale del licenziamento e nella possibilità di contestazione da parte del lavoratore della causale stessa. Su tali premesse la Corte ha, quindi, stabilito che in base alla clausola in esame sarebbe stato necessario allegare fatti con un tasso di specificità quantomeno minimo. Come dovrebbe risultare evidente si tratta di una argomentazione logicamente ben strutturata, rispettosa dei criteri di ermeneutica contrattuale (la cui violazione peraltro non è neppure denunziata ) e tale dunque da non risultare per nulla scalfita dagli argomenti spesi nel motivo, mediante i quali in sostanza la Milano Assicurazioni vorrebbe accreditare una propria diversa interpretazione della clausola contrattuale. Vi è solo da aggiungere in proposito che i due argomenti congiuntamente utilizzati dalla Corte dappello(immutabilità della causa del licenziamento e possibilità di meditata contestazione) rendono la conclusione raggiunta dalla stessa Corte immune dalla censura di contradditorietà, correlata allassenza di un diritto al contraddittorio nella fase anteriore al giudizio, essendo evidente che la possibilità, garantita al dirigente dal contratto, se interpretato nel senso anzidette, di comprendere nella loro concretezza, e non nella loro astratta riferibilità ad una categoria, le ragioni del recesso, mira a tutelare interessi che vanno ben al di là di quelli soddisfatti attraverso il procedimento dellarticolo 7 Stat. Lav.. Del resto, come recentemente affermato da questa Corte, poiché anche al rapporto di lavoro dirigenziale si applica il principio relativo alla necessaria tempestività del licenziamento, ai fini della giustificatezza di esso è necessaria una formulazione specifica dei motivi (oltre che una sufficiente contiguità temporale tra i fatti i posti alla base del licenziamento e questultimo, anche i fini della configurabilità di un effettivo nesso causale tra i detti fatti ed il recesso) (Cassazione 10113/02), il che dimostra appunto limproprietà del collegamento esclusivo tra specificità dei motivi e garanzia del contraddittorio in sede extragiudiziario. E non è neppure da trascurare il ruolo di regolatore della conflittualità da riconoscere alla interpretazione accolta dalla Corte milanese, e da questa, sia pur per implicito, messo in rilievo, essendo quanto mai chiaro che solo una indicazione non generica delle ragioni dello scioglimento del rapporto può consentire di valutare il rischio di reagire ad esso sul piano giudiziario.

Quanto alla seconda parte del motivo, si tratta, palesemente della censura contro un apprezzamento di fatto, che non può trovare ingresso in questa sede.

Con il secondo motivo di ricorso è denunziata violazione degli articoli 2119 e 29 lettera c) del contratto collettivo nazionale di lavoro dei dirigenti delle imprese assicuratrici, ovvero in subordine degli articoli 2118 Cc e 29 lettera b) e 38 del contratto collettivo nazionale di lavoro; insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia, con riferimento alla pretesa irrilevanza disciplinare della lettera in data 5 settembre 1997 del Migliore.

In sintesi la ricorrente addebita alla sentenza impugnata di aver erroneamente ritenuto irrilevante sotto il profilo disciplinare la lettera inviatale il 5 settembre 1997 dal Migliore, non considerando da un lato linfondatezza delle doglianze ivi espresse, dallaltro, che ad ogni modo il contenuto della lettera esprimeva una radicale contrapposizione nei confronti delle scelte aziendali, con irrimediabile crisi dellessenziale rapporto fiduciario con il dirigente. Secondo la ricorrente, il giudice del merito, in contrasto con le disposizioni codicistiche e contrattuali sopra richiamate, avrebbe affermato il principio, per cui non costituirebbe giusta causa di licenziamento e non integrerebbe gli estremi della giustificatezza del recesso, ma solo esercizio del diritto di difesa, linvio al proprio datore di lavoro, da parte di un dirigente apicale, di una lettera contenente accuse, infondate e, comunque, in parte generiche, di pesante e grave dequalificazione, e di condotta illegittima anche ai sensi dellarticolo 2043 del Cc, pregiudizievole per la propria figura professionale e morale, con richiesta di rapidissima reintegrazione nelle precedenti mansioni.

Il motivo è infondato.

Questa Corte ha più volte messo in rilievo che dato il particolare modo di configurarsi del rapporto di lavoro dirigenziale e la esclusione nel suo ambito di un licenziamento qualificabile come disciplinare, ai fini della giustificatezza del licenziamento stesso, può rilevare qualsiasi motivo purché giustificato, ossia costituente base di una decisione coerente e sorretta da motivi apprezzabili sul piano del diritto, i quali non richiedono lanalitica verifica di specifiche condizioni ma una globale valutazione che escluda larbitrarietà del licenziamento (Cassazione 3527/98; 11765/98; 5709/99). Ciò posto, va messo in rilievo che, come emerge dalla parte narrativa di questa sentenza, la Corte milanese ha ritenuto insussistente il requisito della giustificatezza, avendo considerato che liniziativa del Migliore di ventilare la eventuale tutela dei propri diritti nella sede appropriata, non poteva costituire elemento oggettivamente idoneo a ledere il particolare rapporto che deve intercorrere con un dirigente. Per contro, la Milano Assicurazioni (vedi, in particolare, pag. 24 del ricorso ) sembra esser dellavviso che la formulazione da parte di un dirigente di addebiti alla compagine aziendale, relativi al trattamento ricevuto, implicherebbe una manifestazione di volontà di non prestare più la leale e convinta collaborazione priva di riserve senza la quale non sarebbe nemmeno ipotizzabile lesistenza o la prosecuzione di un rapporto di lavoro dirigenziale. E ciò anche qualora, il che è negato dalla ricorrente, si dovesse ritenere fondata la doglianza dirigente del dirigente, in particolare, nella specie, quella relativa al demansionamento. Ma è agevole osservare in proposito che un siffatto principio non trova spazio nel nostro ordinamento, perché esso comporterebbe, per una specifica categoria di lavoratori una sostanziale riduzione di tutele ad essi, come ad ogni altro soggetto, accordate anche a livello costituzionale, senza che, in contrario, valga il rilievo che si tratterebbe di restrizioni in via di fatto, dato che il principio di tendenziale effettività delle garanzie di quel livello impone di non assegnare ad un testo normativo, di qualsiasi natura, un senso tale che esse ne risultino anche indirettamente pregiudicate in modo rilevante.

Nello stesso ordine di idee della sentenza impugnata, può pertanto affermarsi che qualora essa non sia rivolta ad ottenere vantaggi indebiti, la condotta del dirigente, che ritenendo pregiudicati i suoi diritti, anche in base ad una sua valutazione soggettiva purché non manifestamente arbitraria e pretestuosa, ne chieda al datore di lavoro il ripristino, con urgenza proporzionale alla natura del diritto leso, prospettando in alternativa il ricorso al giudice a tutela specifica del diritto stesso, non è idonea a far venir meno il particolare rapporto fiduciario che lega il dirigente al datore di lavoro,

Con il terzo motivo di ricorso è denunziata omessa o comunque insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia, con riferimento al rigetto delle domande riconvenzionali della Milano.

La ricorrente addebita alla sentenza impugnata, per quel che riguarda la domanda riconvenzionale avente ad oggetto i danni conseguenti agli illegittimi comportamenti posti in essere del Migliore quale responsabile del settore sinistri, di essersi limitata a rilevare che il Migliore avrebbe disposto alcuni accertamenti su taluni (pochi) ispettorati, proposto alcuni procedimenti disciplinari, che poi in realtà non avevano avuto corso, costituito un nucleo antifrode per larea napoletana, ampliato lintroduzione di nuove procedure per il contenzioso. Tali osservazioni sarebbero tutto irrilevanti perché dimostrerebbero solo che il Migliore aveva svolto una parte dei compiti affidatigli. Di contro, era stato rilevato dalla Milano che il Migliore si era reso responsabile del mancato controllo di alcuni specifici ispettorati, diversi da quelli indirettamente menzionati nella sentenza impugnata, della mancata assunzione delle necessarie iniziative per eliminare situazioni di cui era a conoscenza e per sanzionare o far sanzionare gli autori di illegittimi comportamenti. In particolare, era stata evidenziata la gravissima situazione del centro liquidazione sinistri di Napoli, per la cui regolarizzazione il Migliore non era mai intervenuto, né aveva mai assunto provvedimenti nei confronti dei due dipendenti addetti al centro, poi rinviati a giudizio per associazione a delinquere e truffa. Tali rilievi erano stati fatti propri persino dal Pm nel provvedimento di rinvio a giudizio dei due dipendenti, dovera stata sottolineata (testualmente) «lassenza e comunque linsufficienza dei controlli interni disciplinari, specie in settore così delicato come quello assicurativo». La Corte dappello non aveva in alcun modo presi in considerazione tali rilievi, occupandosi daltro.

Quanto al danno derivante alla Milano dal gravissimo peggioramento per fatto e colpa del Migliore del saldo tecnico, il giudice dappello, nonostante la formulazione di molteplici rilievi da parte della Milano, e le precise deduzioni di numerosi capitoli di prova, non ammessi senza alcuna motivazione, aveva liquidato la questione sostenendo che il peggioramento sarebbe stato addebitabile ad un aumento delle riserve desercizio per effetto di innovazione legislativa.

Quanto infine alla domanda riconvenzionale relativa al mancato recupero delle rivalse, la Corte milanese aveva affermato che il Migliore avrebbe disposto nuove procedure per tale recupero, mentre dalla documentazione in atti si evincerebbe che le nuove procedure erano state introdotte non dal servizio sinistri, di cui egli era responsabile, ma dalle strutture del personale e dellorganizzazione. Inoltre la domanda riconvenzionale non era fondata sul presupposto della mancata predisposizione da parte del Migliore di nuove procedure per il recupero delle rivalse ma sul ben diverso presupposto del mancato, ingiustificato, recupero di rivalse per complessivi tre miliardi di lire.

Il motivo va rigettato perché in sostanza, come emerge dalla sintesi che se ne è fatta, sollecita la Corte ad una rilettura del materiale istruttorio, senza peraltro specifica indicazione e riproduzione della documentazione non esaminata e delle prove testimoniali che non sarebbero state ammesse.

Con il quarto motivo di ricorso è denunziata violazione dellarticolo 2109 Cc, con riferimento allaccoglimento della domanda del Migliore di pagamento dellindennità sostitutiva delle fede non godute.

La ricorrente addebita alla sentenza impugnata di aver erroneamente condannato la Milano Assicurazioni a pagare lindennità sostitutiva delle ferie non godute nel periodo di preavviso, durante il quale Migliore e di aver quindi in sostanza affermato lindennizzabilità delle ferie nonostante il mancato svolgimento delle prestazioni lavoro, in violazione dellarticolo 2109 Cc.

Il motivo non è fondato.

Il giudice di merito ha fatto applicazione della norma contrattuale in materia (articolo 31 Ccnl) e linterpretazione che ne ha data non viene censurata sotto il profilo della violazione delle norme in materia di interpretazione del contratto.

Con il primo motivo del ricorso incidentale è denunziata violazione degli articoli 115 e 116 del Cpc, in relazione allarticolo 37 del contratto collettivo nazionale per i dirigenti delle imprese assicuratrici, nonché omessa o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia.

Si addebita alla sentenza impugnata di aver quantificato lindennità supplementare solo in 23 mensilità di retribuzione, ossia in una misura di poco superiore al minimo, di 19, e molto lontana dal massimo di 32 mensilità, e ci si duole che alla base della decisione il giudice dappello abbia posto la considerazione che il Migliore era dirigente da poco tempo e si era rioccupato subito dopo il licenziamento. In tal modo, infatti, la sentenza non avrebbe considerato taluni documenti, in base ai quali lanzianità operativa del Migliore sarebbe risalita al 1990, e non avrebbe tenuto conto del fatto che la nuova occupazione era stata reperita in una posizione di minore prestigio e con una retribuzione inferiore, oltre che in altra sede, con conseguenti rilevanti spese e disagi.

Il motivo è infondato.

Con esso si richiede infatti alla Corte di effettuare quella valutazione di tutti gli elementi che caratterizzano il caso in esame, in base alla quale larticolo 37 del contratto collettivo di settore dispone che venga determinato la misura dellindennità supplementare. Tale valutazione è stata compiuta dal giudice di merito con motivazione congrua e non censurabile in questa sede.

Con il secondo motivo del ricorso incidentale è denunziata violazione dellarticolo 429, ultimo comma, codice procedura civile, nonché dellarticolo 36 della Costituzione, falsa applicazione dellarticolo 22, comma 36, della legge 724/94 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica).

U motivo è fondato, stante la illegittimità costituzionalità della norma appena menzionata, limitatamente alle parole e privati, dichiarata dalla Corte costituzionale con sentenza 459/00.

In accoglimento di esso, non risultando necessari ulteriori accertamenti, deve decidersi nel merito, con condanna della Milano Assicurazioni a corrispondere sulle somme dovute al Migliore anche il danno da svalutazione.

PQM

Riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso principale ed il primo motivo di quello incidentale, e, decidendo nel merito e condanna la società Milano Assicurazioni a corrispondere anche il danno da svalutazione sulle somme dovute al Migliore; conferma in punto spese le statuizioni dei giudici di merito; condanna il ricorrente alle spese del giudizio di cassazione che liquida in euro 60,50 oltre ad euro 2000 per onorari.