Penale
La Cassazione chiarisce quali sono i casi in cui la pena patteggiata può essere annullata e corretta
La Cassazione chiarisce quali sono i casi in cui la pena patteggiata può essere annullata e corretta.
Cassazione – Sezione quinta penale (cc) – sentenza 9 giugno-9 settembre 2003, n. 35348
Presidente Marrone – relatore Perrone
Ricorrente Pg in proc. Bergamaschi
Motivi della decisione
La Procura generale ricorre avverso la sentenza emessa ex articolo 444 Cpp, con la quale veniva applicata la reclusione di giorni tredici, convertita nella multa, per il delitto previsto dall’articolo 483 Cp e deduce l’illegalità della pena concordata.
Il ricorso è fondato.
A norma degli articoli 23 e 132 Cp, pena illegale è anche quella irrogata per un delitto in misura inferiore al limite minimo di giorni quindici di reclusione, che è invalicabile ai fini del computo della sanzione da infliggere in concreto e del calcolo intermedio (Sezioni unite 9 maggio 1964, Boschi), nonostante la concessione della diminuente processuale, non valutabile a tale fine.
In tema di patteggiamento, l’errore, di norma, non può essere corretto direttamente dal giudice che non può applicare una pena diversa da quella concordata senza violare il principio dispositivo e il divieto della reformatio in peius. Tuttavia, la Corte di legittimità, nella sua funzione istituzionale, anche con riferimento alla sentenza emessa con il rito speciale, può direttamente ricondurre nei limiti legali la sanzione inflitta in misura illegale qualora venga in considerazione un mero errore materiale o di calcolo, al fine di assicurare la prevalenza della volontà sostanziale delle parti su quella formale. Siffatta statuizione è aderente al principio dispositivo che prevale, quoad poenam, sul potere discrezionale del giudice, e alle regole che disciplinano il rapporto negoziale che costituisce il presupposto del giudizio speciale e che deve essere interpretato secondo i principi che privilegiano la conservazione e non la caducazione dell’atto – articoli 1366, 1367, 1375 Cc – sempre che la sanzione possa essere rettificata nella misura legale senza sostanziali involuzioni in bonam o in malam partem.
L’errore, in sostanza, si risolve, in siffatta ipotesi, in una anomalia del procedimento di calcolo, la quale può essere eliminata a norma dell’articolo 619 Cpp, non con l’annullamento ma con la rettificazione della sentenza, rideterminando la pena nella misura minima consentita di giorni quindici di reclusione (Cassazione, sezione seconda, 17 ottobre 1993, imp. Barbon; 16 luglio 1992, Pm Armenia; sezione terza, mass. 098632; conf. 190085, 189009, 187945).
Non può obiettarsi che in questa ipotesi sarebbe violato il divieto della reformatio che non investe, infatti, il potere di rettifica della dichiarazione difforme.
Ciò posto, si osserva che nella fattispecie, tenuto conto della procedura seguita e della intenzione sviluppata dalle parti e ratificata dal giudice, è stato commesso un semplice errore materiale nel procedimento di calcolo, cioè nel progressivo computo delle attenuanti e della diminuente. Consegue che l’errore può essere direttamente rettificato dal giudice di legittimità e che la sanzione può essere rideterminata nella misura minima normativa di giorni quindici di reclusione, convertita nella multa di 581 euro (pb mesi 2 di reclusione – 62 n. 4 diminuente = giorni 15 = 581 euro di multa).
PQM
Rettifica l’errore materiale di calcolo della pena che corregge in giorni quindici di reclusione, convertita nella multa di euro 581