Assicurazione ed Infortunistica

Thursday 18 November 2004

La caduta del cittadino in un edificio comunale può portare alla condanna del Comune per danni. Suprema Corte di Cassazione, Sezione Terza civile, sentenza n.19653/2004

La caduta del cittadino in un edificio comunale può portare alla condanna
del Comune per danni.

Suprema Corte di Cassazione, Sezione
Terza civile, sentenza n.19653/2004

Svolgimento del processo

1. Con atto di citazione notificato
il 15 febbraio 1995, (…) conveniva in giudizio avanti al Tribunale di Napoli,
il Comune di Napoli, per sentirlo condannare al risarcimento dei danni subiti
il 17 dicembre 1994, alle 21,
in conseguenza di una caduta, determinata dal
sollevamento della copertura antiscivolo di una rampa del Palazzetto
dello Sport, che presentava una notevole sporgenza di materiale in plastica, non segnalata né protetta.

Il Comune convenuto si costituiva
contestando l’avversa domanda e, previa autorizzazione, chiamava in causa, a
garanzia e per l’eventuale rivalsa, la (…), che restava contumace.

L’adito Tribunale rigettava la
domanda e compensava le spese, ritenendo che dalla prova per testi non fosse
emersa l’esistenza dei presupposti della c. d. insidia
o trabocchetto, cioè sul piano oggettivo la non visibilità e su quello
soggettivo la imprevedibilità, essendo risultato che la sporgenza della
copertura antiscivolo era "notevole", onde non costituiva pericolo
occulto ed era evitabile con l’uso della normale diligenza.

Contro la sentenza proponeva appello
la (…), argomentando a sostegno: che la copertura antiscivolo, ancorché
notevole ed ingombrante, non si poteva ritenere visibile, stante l’ora
notturna, tanto che due testi escussi avevano
dichiarato di non averla vista prima della caduta della (…); che il primo
giudice non aveva considerato che non vi erano segnalazioni o protezioni; e che
sul Comune gravava la presunzione di responsabilità ex art. 2051 cod. civ. [1], nella qualità di custode dell’immobile, il che rendeva
sufficiente per l’attrice la sola prova dell’evento dannoso e del nesso
causale. In subordine l’appellante chiedeva di essere ammessa a provare per
testi la scarsa illuminazione del Palazzetto dello
Sport all’atto dell’evento, il colore nero della copertura antiscivolo e,
dunque, la sua non visibilità nell’oscurità, nonché la
presenza, sul posto, di una calca di persone in uscita, che limitava
ulteriormente la visibilità.

Entrambi gli appellati resistevano
all’appello.

2. Con sentenza del 23 marzo 2001 la Corte d’Appello di Napoli
rigettava l’appello (con compensazione delle spese)
sulla base delle seguenti ragioni:

a) non era configurabile una
responsabilità extracontrattuale della P.A., in quanto tenuta a curare la manutenzione del Palazzetto dello Sport, giacché occorreva all’uopo la
dimostrazione del nesso causale tra l’evento ed una situazione di pericolo
occulto, non percepibile dall’utente con l’uso della normale diligenza, la c.
d. insidia, "figura sintomatica di colpa
elaborata dalla giurisprudenza per distribuire fra le parti l’onere
probatorio", atteso che dalla destinazione all’uso pubblico discendeva
l’obbligo dell’ente di assicurare lo svolgimento del medesimo in condizioni di
regolarità e senza pericolo per gli utenti, in osservanza del generale
principio del neminem laedere
e, dunque, di evitare la verificazione di elementi insidiosi;

b) le testimonianze escusse in primo
grado avevano evidenziato il carattere notevole della sporgenza del tappetino di gomma antiscivolo presente sul percorso in uscita del
pubblico dalla manifestazione appena svoltasi, in cui era inciampata la (…),
quindi, di un’anomalia non segnalata né transennata, ma di grosse dimensioni
"e pertanto tale da venire presumibilmente, in condizioni ordinarie, notata
ed evitata";

c) la richiesta di prova per testi
formulata in grado d’appello per dimostrare la non visibilità della situazione
pericolosa descritta nelle peculiari caratteristiche di tempo e di luogo
dell’evento, era diretta ad ovviare al fatto che i testi in primo grado non
erano stati escussi sulla mancanza nella zona di illuminazione,
né su altre circostanze idonee ad evidenziare la non visibilità oggettiva e
soggettiva dell’insidia;

d) peraltro, il sinistro, occorso ad
una donna di cinquantatré anni era avvenuto non
all’esterno, in condizioni in cui difettava la luce naturale, ma in un luogo
pubblico, "da ritenersi illuminato, come si verifica
di norma";

e) apparivano rilevanti le circostanze ulteriori che l’appellante intendeva dimostrare,
ma la prova richiesta non era ammissibile, "in quanto formulata in
violazione del principio di infrazionabilità dei
mezzi di prova, ricavabile dall’art. 244 coma 2 C.P.C., secondo il quale la novità, in sede di gravame, di
una prova testimoniale, rispetto a quella espletata in primo grado, può
configurarsi solo allorquando essa attenga a circostanze del tutto diverse e
distinte da quelle già oggetto della prova assunta, senza tendere ad inficiarne
le risultanze, mediante la surrettizia prospettazione
di modalità nuove in ordine allo svolgimento delle vicende accertate…, mentre
nel caso di specie l’esame dei testi è previsto su circostanze strettamente
connesse ai fatti provati in primo grado, destinate a connotarli diversamente e
a consentire la formazione di un convincimento opposto a quello espresso dal
primo giudice, ovviando al difetto di prova che ha comportato il rigetto della
domanda risarcitoria";

f) sulla base delle risultanze processuali formatesi nel primo grado restava,
pertanto, indimostrata la responsabilità ex art. 2043
cod. civ. ed andava "condiviso il giudizio di infondatezza della domanda espresso dal primo
giudice sotto il profilo evidenziato";

g) restava, del resto, esclusa la configurabilità di una responsabilità da custodia ex art.
2051 cod. civ., sia perché
"buona parte della giurisprudenza ritiene necessario che anche in tal caso
si renda configurabile una situazione di pericolo occulto, connotato dalla non
visibilità e dalla non prevedibilità", che era esclusa in base ai rilievi
già svolti a proposito dell’invocazione dell’art. 2043 cod. civ.,
sia perché doveva considerarsi che nei confronti degli enti pubblici e riguardo
ai beni demaniali o patrimoniali, la notevole estensione e le generalizzate
modalità di uso del bene, non rendevano possibile un continuo ed efficace
controllo, idoneo ad impedire l’insorgenza di cause di pericolo per gli utenti,
onde solo in difetto di uso diretto della collettività si poteva ricollegare
alla P.A. l’obbligo di un’adeguata vigilanza.

3. Avverso tale
sentenza ha proposto ricorso per cassazione in data 29 maggio 2001 la
(…), sia contro il Comune di Napoli, sia contro la (…), chiedendone la
cassazione sulla base di quattro motivi.

Ha resistito con controricorso
soltanto il Comune di Napoli.

Motivi della decisione

l. Con il primo motivo si deduce
violazione e falsa applicazione del combinato disposto di cui agli artt. 2051 e 2697 cod. civ. in
relazione al n. 3 dell’art. 360 e si propone connessa censura di illogicità,
contraddittorietà ed insufficiente motivazione.Nell’illustrazione
del motivo si premette che sull’accertamento del nesso causale tra il
sollevamento della copertura antiscivolo e la caduta della (…) (con la
conseguenza del verificarsi per la stessa della frattura del terzo medio della
mano destra) non vi era stata contestazione e/o impugnazione da parte del
Comune e, quindi, sul punto si doveva ritenersi formato giudicato.

L’impugnata sentenza avrebbe errato
nell’applicare l’art. 2051 in relazione all’art.
2697 cod. civ., là dove ha ritenuto che incombeva ad
essa ricorrente attrice di dare la prova che l’evento dannoso era riconducibile
ad una situazione di pericolo occulto (insidia o trabocchetto). Viceversa, il
custode, anche quando si tratti di P.A. (per cui
l’art. 2051 opererebbe, in quanto essa non ha solo l’obbligo di manutenzione ex
art. 5 del r.d. n. 2056 del 1923, ma anche quello di custodia), per liberarsi
dalla presunzione di responsabilità per il danno cagionato dalla cosa, deve
provare che esso si è verificato per caso fortuito, non ravvisabile come
conseguenza della mancanza di prova, da parte del danneggiato, dell’esistenza
dell’insidia, che questi, invece, non deve provare – così come non ha l’onere
di provare la condotta commissiva od omissiva del
custode – essendo sufficiente che provi l’evento dannoso ed il nesso di
causalità con la cosa [vengono citate Cass. n. 4070
del 1998 e Cass. n. 12500 del 1995]. D’altro canto, la prova del caso fortuito
risiederebbe nella dimostrazione di un fatto avente i caratteri
dell’imprevedibilità ed inevitabilità, che non ricorrerebbero nell’evento che
può essere prevenuto dal custode attraverso l’esercizio dei normali poteri di
vigilanza che gli competono.

L’impugnata sentenza avrebbe, in
realtà, interpretato il contenuto dell’art. 2051 assumendo come ratio decidendi il generale
principio del neminem laedere,
di cui all’art. 2043 cod. civ.

Con il secondo motivo
si lamenta violazione o falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 2051 e 2697 cod. civ. e
omessa motivazione su un punto decisivo della controversia ex n. 5 del 360.

Erroneamente la Corte d’Appello avrebbe
ritenuto inapplicabile l’art. 2051, sulla base del principio per
cui nei confronti degli enti pubblici l’applicazione di tale norma
dovrebbe fare i conti, relativamente a beni demaniali o patrimoniali, col fatto
che la notevole estensione e generalizzazione delle modalità di uso non
renderebbero possibile un continuo ed efficace controllo, idoneo ad impedire
l’insorgenza di cause di pericolo, onde solo in difetto di uso diretto della
collettività, sarebbe ricollegabile alla P.A. l’obbligo di adeguata vigilanza.
In particolare, la corte napoletana non avrebbe motivato sulle ragioni per le
quali il Palazzotto dello Sport di Napoli sarebbe ricompreso
tra i beni aventi i requisiti della "notevole estensione e delle
generalizzate modalità d’uso". Viceversa, tale manufatto, costituito da
struttura in cemento armato e travi di ferro, sarebbe di dimensioni limitate
(20.000 mq.) e soggetto alla ordinaria manutenzione
degli operai comunali e, quindi, non riconducibile ai luoghi (ad es. scavi,
grotte, arenili, vulcani) che la giurisprudenza della C.S. avrebbe ritenuto
sfuggire ad un controllo continuo della P.A., che
invece sarebbe configurabile per i luoghi di dimensione ristretta, che restano
sottoposti al suo controllo (strade, edifici, complessi immobiliari).

Inoltre, incombeva al Comune l’onere
della prova che il Palazzetto avesse
le caratteristiche indicate.

Con il terzo motivo si deduce
l’omessa motivazione sulla scarsa illuminazione del luogo in cui è avvenuto
l’incidente: l’affermazione della Corte d’appello che il luogo era illuminato (comunque di per sé non esaustiva, giacché l’illuminazione
avrebbe dovuto essere sufficiente) non troverebbe riscontro negli atti e
sarebbe stata fatta in modo assolutamente apodittico.

Con il quarto motivo si deduce
violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c. p.c. per
erronea valutazione di novità delle prove e connessa contraddittorietà di
motivazione sotto il profilo che l’imputata sentenza, pur essendosi posta il
problema delle condizioni di visibilità riconducibili all’illuminazione,
avrebbe contraddittoriamente escluso che le circostanze su cui era stata
richiesta la prova in appello fossero nuove, ancorché vertessero sulla scarsa
visibilità.

D’altro canto, la novità della prova
sussisterebbe in appello sia quando si tratti di mezzo
di prova diverso da quello assunto in prime cure, sia quando si tratti dello
stesso mezzo di prova, ma esso verta su fatti diversi [vengono citate Cass. n.
3808 del 1995 e n. 1719 del 2001]. La sentenza impugnata avrebbe trascurato
tali principi ed omesso di motivare sulla loro applicazione.

2. Preliminarmente, vanno esaminate
le doglianze articolate dal controricorrente sia in
tema di interpretazione dei primi due motivi di
ricorso, sia in riferimento all’asserita verificazione di cosa giudicata sul
punto del nesso causale fra la caduta della ricorrente e l’anomalia della
copertura antiscivolo, sia, infine, in ordine alla ritualità dell’invocazione
in appello dell’applicabilità dell’art. 2051 cod. civ.

2.1. Quanto al primo profilo, si
rileva che secondo il resistente la ricorrente si sarebbe
doluta con i primi due motivi che la Corte d’Appello abbia, nel rigettare il gravame,
ritenuto applicabile l’art. 2043 cod. civ. invece che
l’art. 2051. La lettura del ricorso smentisce tale interpretazione. In realtà,
come si preciserà ulteriormente in prosieguo, esaminandoli nel merito, i primi
due motivi di ricorso riguardano solo l’erronea applicazione da parte della
sentenza impugnata dell’art. 2051 cod. civ. La ricorrente non censura con essi l’applicazione dell’art. 2043 invece che del 2051, ma
deduce che è stato erroneamente applicato il secondo in base ai principi che
regolano l’applicazione del primo. Con i due motivi in questione non viene svolta alcuna critica alla sentenza nella parte in cui
ha escluso la responsabilità alla stregua dell’art. 2043. La sentenza viene criticata solo nella parte nella quale ha
disconosciuto la configurabilità di una
responsabilità ai sensi dell’art. 2051. Inesatta è dunque l’affermazione del
resistente che con i primi due motivi si lamenterebbe l’applicazione della
norma dell’art. 2043 in
luogo di quella dell’art. 2051.

Va semmai rilevato che gli altri due
motivi – afferendo a doglianze che pertengono a
questioni le quali, in base al tessuto motivazionale
della sentenza di appello, sembrerebbero concernere sia la negazione della
responsabilità ex art. 2043, sia di quella ex art. 2051 – appaiono
astrattamente riferibili alla decisione impugnata, tanto sotto l’uno quanto
sotto l’altro profilo. Tuttavia, in assenza di precisi indici rivelatori
dell’effettiva volontà della ricorrente di porre in discussione la sentenza
impugnata rispetto al profilo concernente la negazione della responsabilità ex
art. 2043 cod. civ., detti
motivi, in coerenza con la riferibilità dei primi due
motivi esclusivamente all’erronea applicazione dell’art. 2051 cod. civ., vanno considerati strumentali soltanto rispetto alla
motivazione della sentenza impugnata in punto di negazione della responsabilità
alla stregua di tale norma.

2.2. Secondo il resistente sarebbe
erronea la tesi che la sentenza di primo grado avrebbe
accertato il nesso di causalità tra la copertura antiscivolo e la caduta
e che, in difetto di impugnazione della statuizione sul punto, tale
accertamento sia passato in giudicato.

L’assunto è smentito dall’affermazione contenuta nella pagina numero sei della
sentenza impugnata. Ivi, infatti, si legge che "nel caso concreto, le risultanze processuali hanno dato conto dello stato dei
luoghi, così come descritto in citazione, avendo i testi confermato le
circostanze di cui ai capi 1, 2 e 3 dell’atto indicato, e pertanto il carattere
notevole della sporgenza del tappetino di gomma antiscivolo nella quale è inciampata
l’infortunata […]". Anche
senza considerare i capitoli di prova cui il passo della decisione fa riferimento (cosa che questa Corte potrebbe fare,
trattandosi di delibare la verificazione di un giudicato interno), fu di tutta
evidenza che l’espresso riferimento all’essere l’infortunata
inciampata nella sporgenza del tappetino di gomma, palesa una chiara
affermazione da parte della sentenza impugnata del nesso di causalità fra
l’evento della caduta e l’anomalia presente nel tappetino. Onde, correttamente
la ricorrente deduce che su tale punto, non essendovi stata impugnazione da
parte del resistente, si è formata cosa giudicata.

2.3. Priva di pregio è l’ulteriore eccezione preliminare articolata dal resistente
con la deduzione che, essendo l’invocazione dell’art. 2051 avvenuta soltanto in
grado d’appello, sarebbe inammissibile in questa sede la discussione sul punto.

Infatti, dall’esame degli atti dei
fascicoli di parte (che e, naturalmente, possibile, vertendosi
in tema di eccezione processuale relativa allo
svolgimento del giudizio di cassazione), emerge:

a) che parte ricorrente invocò, con
ampi richiami di giurisprudenza della Corte e di merito, l’art. 2051 cod. civ., già nell’atto di appello; b)
che la parte qui resistente nella comparsa di risposta in appello non eccepì in
alcun modo la novità della prospettazione invocativa dell’art. 2051 (che, del resto, non sarebbe
stata considerabile come domanda nuova in appello, trattandosi di nuova
qualificazione giuridica della domanda); c) che la parte qui ricorrente svolse
ampiamente le proprie considerazioni nella conclusionale in appello proprio
sull’invocazione del 2051 cod. civ.; d) che la
sentenza d’appello non contiene alcun riferimento ad eccezioni di novità della prospettazione successiva.

È appena il caso, infine, di rilevare
che non è pertinente alla specie quell’orientamento
di questa Corte che nega l’invocabilità dell’art.
2051 per la prima volta in Cassazione, in ragione delle peculiarità proprie del
giudizio di cassazione (vedi Cass. sez. un. n. 10893 del 2001; Cass. sez. III, n. 7938 del 2001).

3. Venendo all’esame dei primi due
motivi – ricordato che si è già detto che con essi si
lamentano violazione ed erronea applicazione in relazione alla fattispecie
dell’art. 2051 cod. civ. e si svolgono connesse
censure ai sensi del n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ. – si deve rilevare che l’esame del secondo appare
logicamente preliminare, per la ragione che esso attiene alla stessa
applicabilità alla fattispecie oggetto di giudizio dell’art. 2051 cod. civ., mentre il primo pertiene ad
una violazione ed erronea applicazione della stessa norma (e propone connessa
censura sulla motivazione), una volta che di essa si sia accertata la concreta
idoneità a disciplinare la fattispecie stessa.

3.1. Ciò premesso, il secondo motivo,
per il profilo concernente il n. 3 dell’art. 360 è
articolato lamentandosi che erroneamente il giudice del gravame avrebbe
ritenuto inapplicabile l’art. 2051 cod. civ. nel caso
di specie, osservando "che nei confronti degli enti pubblici, con
riferimento a beni demaniali o patrimoniali la notevole estensione e le
generalizzate modalità di uso non rendono possibile un continuo ed efficace
controllo, idoneo ad impedire l’insorgenza di cause di pericolo per gli utenti
per cui solo in difetto di uso diretto della collettività, potrebbe
ricollegarsi alla P.A. l’obbligo di una adeguata attività di vigilanza".
La sentenza impugnata avrebbe errato nel considerare
applicabile tale principio ad un bene come il Palazzetto
dello Sport di Napoli, che, consistendo in un edificio, non potrebbe
considerarsi di notevole estensione.

Al motivo così prospettato si
accompagna la deduzione di una censura ai sensi del n. 5 del 360 cod. proc. civ. per non avere la
sentenza impugnata spiegato in alcun modo perché detto edificio dovrebbe
considerarsi bene di notevole estensione.

Il primo profilo del motivo è fondato
ed il suo accoglimento determina l’assorbimento del secondo profilo.

Nelle sopra riportate affermazioni
della sentenza impugnata si coglie l’eco del principio al quale la
giurisprudenza di questa Corte si è per lungo tempo ispirata, nell’applicazione
dell’art. 2051 cod. civ. alle ipotesi di
responsabilità civile extracontrattuale originatesi da beni pubblici demaniali
o patrimoniali, là dove l’esistenza di un uso generale e diretto del bene da
parte di un rilevante numero di utenti congiunta alla notevole estensione del
bene stesso veniva automaticamente ritenuta idonea ad escludere l’applicabilità
della norma.

Il principio, però, nella più recente
giurisprudenza di questa Corte, risulta
sostanzialmente abbandonato proprio quanto a tale automatismo, pervenendosi
alla conclusione – certamente più rispettosa dell’assenza nell’art. 2051 cod. civ., di indici rivelatori di una peculiarità del trattamento
da riservarsi alla P.A., allorquando rivesta la
qualità di custode di una cosa – che la demanialità o patrimonialità
del bene, l’essere esso adibito ad uso generale e diretto (sia pure mediato da
provvedimento ammissivo della P.A. o da stipulazione
di un vero e proprio rapporto contrattuale con essa) e la sua notevole
estensione non comportano di per sé l’esclusione dell’applicabilità della norma
dell’art. 2051, ma implicano soltanto che, nell’applicazione di tale norma e,
quindi, nell’individuazione delle condizioni alle quali la P.A. può ritenersi esente da
responsabilità in base ad essa, quelle caratteristiche debbano indurre una
particolare valutazione delle condizioni normativamente
previste per tale applicazione, in modo che venga considerata la possibilità
che la situazione pericolosa originatasi dal bene può determinarsi in vari
modi, i quali non si rapportano tutti alla stessa maniera con le implicazioni
che comporta il dovere di custodia della P.A. in relazione al bene di cui
trattasi e particolarmente quello di vigilare affinché dalla cosa o sulla cosa
non si origini quella situazione.

Si è così sottolineato
(in riferimento alle autostrade, ma con rilievi che possono ritenersi
generalizzabili allorché ricorrano le succitate caratteristiche del bene e
delle modalità di godimento da parte dei cives) che
al riguardo deve farsi un diverso apprezzamento delle situazioni di pericolo immanentemente connesse alla struttura o alle pertinenze
del bene demaniale o patrimoniale di cui trattasi ed di quelle che invece
possano originarsi da comportamenti riferibili agli utenti ovvero ad una
repentina od imprevedibile alterazione dello stato della cosa. Mentre con
riguardo alle situazioni del primo tipo "l’uso generalizzato e
l’estensione della res costituiscono dati in via generale irrilevanti in ordine al concreto atteggiarsi della responsabilità del
custode, per quelle del secondo tipo dovrà configurarsi il fortuito tutte le
volte che l’evento dannoso presenti i caratteri della imprevedibilità e della
inevitabilità; come accade quando esso si sia verificato prima che l’ente
proprietario o gestore, nonostante l’attività di controllo e la diligenza
impiegata al fine di garantire un intervento tempestivo, potesse rimuovere o
adeguatamente segnalare la straordinaria situazione di pericolo determinata,
per difetto del tempo strettamente necessario a provvedere" (in questo
senso, in motivazione, Cass. n. 298 del 2003; e in senso pressoché analogo la
coeva Cass. n. 488 del 2003; nella stessa logica si pone, altresì, sostanzialmente
sempre in motivazione anche Cass. n. 11446 del 2003).

In sostanza, come emerge
dalle decisioni appena richiamate, il più recente orientamento di questa Corte
non considera la combinazione delle tre caratteristiche della demanialità o patrimonialità del bene, dell’uso diretto da parte della
collettività e della sua estensione automaticamente idonee ad escludere
l’astratta applicabilità dell’art. 2051 cod. civ.,
bensì come circostanze, le quali, in ragione delle implicazioni che determinano
sull’espletamento della vigilanza connessa alla indubbia ricorrenza della
relazione di custodia del bene, possono svolgere rilievo ai fini
dell’individuazione del caso fortuito e, quindi, dell’onere che la P.A.,
una volta configurata applicabile la norma e ritenuta l’esistenza del nesso
causale, deve assolvere per sottrarsi alla responsabilità.

Ancorché le citate pronunce non lo abbiano
affermato expressis verbis,
quelle caratteristiche finiscono, in sostanza, per giocare soltanto un rilievo
ai fini dell’operare della prova liberatoria.

Questa, in
relazione a situazioni pericolose del primo tipo, cioè immanentemente connesse alla struttura o alle pertinenze
del bene dovrà spingersi alla dimostrazione dell’espletamento da parte
dell’ente di tutta la normale attività di vigilanza e manutenzione, esigibile
in relazione alla specificità della cosa, di modo che tale dimostrazione possa
anche in via indiretta, cioè per presunzione, giustificare la conclusione che
la situazione pericolosa si sia originata in modo assolutamente imprevedibile
ed inevitabile attraverso il corretto e compiuto assolvimento della custodia e,
dunque, per un caso fortuito, ancorché lo specifico evento ricollegabile a tale
nozione risulti non identificato.

In relazione alle situazioni del secondo tipo,
l’essere stata la situazione pericolosa determinata dagli utenti o da
un’alterazione della cosa assolutamente repentina ed imprevedibile, comporta
che l’assolvimento della prova liberatoria attraverso la dimostrazione del caso
fortuito si sposti tutto sul versante della verifica della esigibilità o della
inesigibilità di un intervento dell’ente, nell’espletamento della custodia,
volto a rimuovere la situazione pericolosa o a segnalarla agli utenti, nel
lasso di tempo fra il verificarsi della situazione pericolosa e l’evento
dannoso, sì che possa concludersi che quest’ultimo è
dipeso da caso fortuito, nel senso che il bene sia stato solo occasione e non
concausa dell’evento, perché esso ha contribuito a determinarlo senza assumere
rilievo, in dipendenza dell’indicato fattore temporale, in quanto bene soggetto
a relazione di custodia.

A tali principi, come si è detto
emergenti dalla più recente giurisprudenza di questa
Corte (ma a ben vedere sostanzialmente presenti anche in meno recenti decisioni,
come non mancano di ricordare le citate sentt. nn. 298 e 488 del 2003: Cass. n. 526 del
1987; n. 58 del 1982; n. 1314 del 1995), la corte napoletana non si è attenuta,
avendo escluso l’applicabilità dell’art. 2051 cod. civ. del tutto automaticamente sulla base della pretesa
ricorrenza delle caratteristiche innanzi indicate e senza ad esse attribuire
invece rilievo solo nei sensi sopra chiariti, naturalmente previa opportuna
verifica in relazione al caso di specie.

Inoltre, come esattamente ha dedotto
la ricorrente, la sentenza impugnata ha errato nell’applicazione dell’art. 2051
cod. civ., anche là dove, ai
fini della verifica della sussumibilità della
fattispecie concreta sotto quella norma ha considerato riferibile la
caratteristica della notevole estensione del bene ad un edificio, quale il Palazzetto dello Sport di Napoli, che, invece: a) in linea
generale proprio per essere "edificio" non può logicamente
considerarsi di notevole estensione agli effetti per i quali a tale nozione si
è fatto inesatto riferimento per escludere l’operare dell’art. 2051 cod. civ., poiché un edificio, per quanto grande che sia non può
mai considerarsi di estensione tale da impedire l’espletamento costante della
custodia; b) in particolare, per essere un bene soggetto all’uso diretto della
collettività non permanentemente, bensì in relazione a specifici eventi, il che
esige come normale implicazione della custodia che l’ente proceda allo
svolgimento di una specifica attività di vigilanza e controllo dell’inesistenza
di situazioni pericolose sulla cosa specie in prossimità di detti eventi.

Va anzi rilevato che la non
ricorrenza nel caso di specie della caratteristica della notevole estensione
del bene sarebbe stata di per sé sufficiente ad escludere qualsiasi ostacolo
all’applicazione dell’art. 2051, giacché anche nell’ambito del meno recente
orientamento che attribuiva alla ricorrenza congiunta delle tre caratteristiche
indicate automaticamente il rilievo di escluderla si sottolineava
che il difetto di una di esse impediva quella esclusione, onde, anche nella
logica di tale orientamento, l’impugnata sentenza avrebbe dovuto essere
comunque cassata sotto il profilo ora considerato.

Ne consegue che, in accoglimento del
duplice profilo del secondo motivo di ricorso la sentenza impugnata dev’essere cassata ed il giudice del rinvio, in
ottemperanza alle ragioni della cassazione si atterrà al seguente principio di
diritto:"L’applicabilità dell’art. 2051 cod.civ. (nei confronti della P.A
(o del gestore) non è automaticamente esclusa allorquando il bene demaniale o
patrimoniale da cui si sia originato l’evento dannoso, risulti adibito all’uso
diretto da parte della collettività (anche per il tramite di pagamento di una
tassa o di un corrispettivo) e si presenti di notevole estensione, ipotesi quest’ultima comunque non ravvisabile ove si tratti di
edificio. Queste caratteristiche del bene, infatti, quando ricorrano
congiuntamente, rilevano soltanto come circostanze le quali – in ragione
dell’incidenza che abbiano potuto avere sull’espletamento della vigilanza
connessa alla relazione di custodia del bene ed avuto riguardo alle peculiarità
dell’evento – possono assumere rilievo sulla base di una specifica e adeguata
1valutazione del caso concreto, ai fini dell’individuazione del caso fortuito e,
quindi, dell’onere che la P.A. (o il gestore) deve assolvere per sottrarsi alla
responsabilità, una volta che sia dimostrata l’esistenza del nesso
causale".

3.2. Anche il primo motivo di
ricorso, al di là della riconosciuta applicabilità
dell’art. 2051 cod. civ. merita accoglimento.

L’impugnata sentenza, infatti, ha
errato: aa) nel considerare che, ai fini
dell’applicabilità della fattispecie di cui all’art. 2051, sarebbe necessaria
la ricorrenza di una situazione di pericolo occulto, connotato dalla non
visibilità e dalla non prevedibilità; bb) nel farne
discendere che la qui ricorrente era onerata della prova della ricorrenza di
una simile situazione; cc) e, conseguentemente, nel
rilevare, valutando le risultanze probatorie, che
doveva escludersi che quella situazione fosse sussistita.

Invero, la dimostrazione della presenza
della c. d. insidia o trabocchetto è richiesta
nell’ambito di quell’orientamento, di cui si è detto,
il quale, esclusa automaticamente la configurabilità
della responsabilità ex art. 2051
a carico della P.A. (o del gestore) allorquando si
tratti di bene demaniale (o patrimoniale), di notevole estensione e soggetto ad
uso diretto, ritiene configurabile solo la responsabilità ex art. 2043,
considerando che, in adempimento del generale dovere del neminem
laedere, la
P.A. (o il gestore) sia tenuta ad evitare che il bene
presenti per l’utente una situazione di pericolo occulto, cioè non visibile e
non prevedibile, appunto integrante quelle figure (e, fra l’altro, come di
recente questa Corte ha convincentemente sottolineato, la mancata dimostrazione
di una simile situazione, non ha valore di per sé solo escludente la configurabilità della responsabilità ai sensi della norma
generale dell’art. 2043 cod. civ., dovendosi
apprezzare in relazione al caso concreto come integrante il concorso di colpa
del danneggiato: si veda Cass. n. 17152 del 2002).

La prova di una simile situazione non
rientra, invece, tra gli oneri probatori che deve dimostrare chi invochi
l’applicazione dell’art. 2051 cod. civ., per cui, ritenuta l’applicabilità di questa norma nei
sensi indicati anche nell’ipotesi ora descritta, appare palese l’errore in cui
è incorsa l’impugnata sentenza nell’affermare il contrario (ed anche, ma è
profilo qui non dedotto, nel non considerare, in sede di applicazione della
responsabilità ex art. 2043, l’eventuale configurabilità
della mancanza dell’insidia o del trabocchetto solo come circostanze
comportanti il concorso di colpa della ricorrente).

In accoglimento del primo motivo, la
sentenza deve, dunque, cassarsi, con l’enunciazione del seguente principio di
diritto, al quale il giudice di rinvio dovrà conformarsi: "Allorquando
invochi la responsabilità di cui all’art. 2051 cod. civ. contro
una P.A. (o il gestore) in relazione a danno originatosi da bene damaniale o patrimoniale soggetto ad uso generale, il
danneggiato non è onerato della dimostrazione della verificazione del danno in
conseguenza dell’esistenza di una situazione qualificabile come insidia o
trabocchetto, bensì esclusivamente – come di regola per l’invocazione dalla
suddetta norma – dell’evento dannoso e del nesso causale fra la cosa e la sua
verificazione".

4. Circa il terzo motivo, che appare
validamente dedotto in relazione al n. 5 del 360
atteso che la circostanza della illuminazione, nel tessuto motivazionale con il
quale il giudice del gravame ha ritenuto che il sollevamento dello scivolo
fosse pienamente visibile, assume rilievo decisivo, deve farsi luogo ad un
accoglimento, atteso che non risponde ad alcuna massima di esperienza il
ragionamento con il quale quel giudice ha ritenuto configurabile una
presunzione per cui un luogo pubblico sarebbe di norma illuminato.

5. Il quarto motivo
dev’essere rigettato, per la ragione che si verte su
tema di prova già esperita in primo grado, come questa Corte rileva procedendo
al confronto fra i capitoli di prova articolati nella citazione in primo grado
e quelli dedotti in appello: quest’ultimo articolato
di prova propone domande che bene avrebbero potuto porsi ai testi quali domande
a chiarimento o dal giudice di primo grado, d’ufficio o su sollecitazione delle
parti (art. 253, primo comma, cod. proc. civ.) e che, anzi, bene avrebbero potuto essere oggetto
dell’articolazione probatoria in primo grado, afferendo
a mere specificazioni dei fatti oggetto della stessa.

In proposito rileva la Corte che la prova
testimoniale in primo grado era stata dedotta
nell’atto di citazione, per quanto qui interessa, sulle seguenti circostanze:
"Vero che il giorno 17/12/1994, alle ore 21.00 circa in Napoli, nel Palazzetto dello Sport (… allorché l’istante si accingeva
ad uscire, a seguito della manifestazione ricreativa organizzata dal Cral/Der della Regione Campania,
stante il sollevamento della copertura antiscivolo di una rampa, con la
presenza di una notevole sporgenza di materiale in plastica, priva di qualsiasi
segnalazione e/o protezione cadeva violentemente sul corridoio, riportando una
frattura scomposta al terzo medio della mano destra".

Nell’atto di appello
la (…) ebbe a chiedere di provare: che il giorno 17/12/94 alle ore 21.00
circa il Palazzetto dello Sport era scarsamente
illuminato; che la copertura antiscivolo della rampa sulla quale era caduta era
di colore nero e non era visibile nell’oscurità; e che al momento del sinistro
vi era una calca in quanto centinaia di persone percorrevano la zona per
guadagnare l’uscita, anche per la presenza di musica assordante per cui la
visibilità era limitata anche dalla presenza di molte persone avanti ad essa
appellante.

È di tutta evidenza che tutte le
circostanze ex novo capitolate in appello non propongono
un tema di prova nuovo, ma tendono soltanto a proporre nell’ambito di quello
già individuato in appello domande ai testi intese a specificare le allegazioni
oggetto di prova nella citazione.

Correttamente e con valutazione ineccepibile la Corte d’Appello ha escluso la novità della
prova, che, allorquando si solleciti lo stesso mezzo probatorio già esperito in
primo grado, deve afferire a fatti diversi.

P.Q.M.

La Corte accoglie i primi tre motivi
del ricorso, rigetta il quarto e cassa la sentenza impugnata con rinvio ad
altra Sezione della Corte d’Appello di Napoli anche per la regolazione delle
spese.

Depositata in Cancelleria il 1
ottobre 2004.