Penale
L’ utilizzo delle intercettazioni acquisite in altri procedimenti.Cassazione – Sezioni unite penali (cc) – sentenza 17-23 novembre 2004,n.45189
L’utilizzo delle intercettazioni acquisite in altri procedimenti.
Cassazione – Sezioni unite penali (cc) – sentenza 17-23 novembre 2004,n.45189
Presidente Marvulli
– relatore Nappi
Pm in proc. pen. Esposito
Motivi della decisione
1.Con l’ordinanza impugnata il Tribunale di Napoli ha annullato in sede di
riesame la misura cautelare della custodia in carcere applicata a Luigi
Esposito e Giovanni Castaldo, persone sottoposte a indagini per ricettazione di
autovetture rubate ed estorsione ai danni dei proprietari dei veicoli. Hanno
rilevato i giudici del merito come le misure cautelari siano fondate
esclusivamente su intercettazioni telefoniche acquisite da altro procedimento
che vanno però dichiarate inutilizzabili, in quanto il
decreto che le autorizzò, pure allegato agli atti, è motivato solo per relationem una nota di polizia giudiziaria non trasmessa
dal procedimento a quo. Sicché l’ordinanza applicativa risulta
priva di giustificazione sul presupposto probatorio delle misure, perché l’impossibilità
di vagliarne la legittimità rende appunto inutilizzabili le intercettazioni
acquisite.
Ricorre per cassazione il pubblico
ministero e deduce violazione dell’articolo. 270 Cpp., rilevando come ai fini dell’utilizzabilità delle
intercettazioni eseguite in altro procedimento la norma imponga di depositare
nel procedimento ad quem solo i verbali e le
registrazioni, mentre una diversa interpretazione finirebbe per attribuire al
giudice ad quem un abnorme sindacato sulla
legittimità degli atti del procedimento a quo.
2. La seconda Sezione penale di
questa Corte, cui il ricorso era stato assegnato, ne ha rimesso la decisione alle Su, avendo rilevato un contrasto di giurisprudenza
circa la necessità di acquisire anche il decreto autorizzativo,
perché siano utilizzabili le intercettazioni disposte in altro procedimento.
Secondo una parte della
giurisprudenza, invero, «in caso di utilizzazione di
intercettazioni telefoniche in procedimento diverso da quello nel quale sono
state disposte, gli atti che devono essere depositati presso l’autorità
competente per il diverso procedimento sono esclusivamente quelli indicati
nell’articolo. 270, comma 2, vale a dire i verbali e
le registrazioni. Dette intercettazioni, quindi, sono utilizzabili nel
procedimento diverso, stante il principio di tassatività
delle inutilizzabilità, anche se non siano stati
depositati, presso la cancelleria del giudice del procedimento diverso da
quello per il quale sono state disposte le intercettazioni, i decreti
autorizzativi delle intercettazioni» (Cassazione, sezione. sesta,
16 maggio 2000, Bossert, m. 217563; conf.: Cassazione, sezione. F, 31 luglio
2003, Abbinante, m. 226166, Cassazione, sezione 1, 3 luglioi2003, De Felice, m.
225121, Cassazione, sezione. quinta, 2 maggio
2003, Luciani, m. 225946, Cassazione, sezione. 1, 25
marzo 2003, Goga, m. 225046, Cassazione, sezione. prima, 11 marzo 2003, Esposito, m. 225266, Cassazione,
sezione. quinta, 7 marzo 2003, Oshafi,
m. 224199, Cassazione, sezione. 1, 15 novembre 2002, Alecci, m. 224697, Cassazione, sezione 111, 22 marzo 2001, Zhezha, m. 219367, Cassazione, sezione prima, 17 dicembre
1999, Santoro, m. 215108).
Secondo una diversa giurisprudenza,
invece, «il principio secondo il quale al giudice che adotta una misura
cautelare e, successivamente, al giudice del riesame
debbono essere trasmessi gli atti autorizzativi delle intercettazioni trova
applicazione anche nel caso in cui si tratti di intercettazioni eseguite in
altri procedimenti ai sensi dell’articolo. 270 Cpp., stante la generale valenza del disposto dell’articolo.
271 Cpp e non essendovi ragione di ritenere
inoperanti, nel procedimento in cui l’esito delle intercettazioni è riversato,
le garanzie normalmente spettanti all’indagato nel procedimento da cui le
stesse provengono nè potendosi ritenere le operazioni
di captazione disposte in una dato procedimento assistite, in quello diverso,
da presunzione di legittimità e sottratte alla doverosa verifica giudiziale dei
presupposti di utilizzabilità» (Cassazione, sezione
prima, 17 febbraio 2003, Gullo, m. 224669,
Cassazione, sezione prima, 22 dicembre 2000, Caramazza,
m. 218190, Cassazione, sezione quarta, 24 novembre 2000, Sadra,
m. 218292). Si rileva in particolare che «pure se l’articolo 270 Cpp, il quale ribadisce i termini
di utilizzabilità nel procedimento "diverso", delle intercettazioni
disposte in altra procedura, non prevede l’obbligo del deposito, nel secondo,
dei decreti con i quali, in quello di origine, furono autorizzate le
intercettazioni, deve escludersi anche alla stregua della sentenza
costituzionale 232/87 (riferita all’analoga disposizione dell’articolo. 226 “quater” Cpp 1930), che il
legislatore abbia voluto impedire alla difesa l’esercizio di un significativo controllo su tali provvedimenti, la cui irritualità, illegittimità o inadeguatezza comporterebbe la
nullità delle intercettazioni e l’inutilizzabilità dei risultati dalle stesse
conseguiti. Al di là del dato testuale deve perciò
ritenersi che, unitamente ai verbali di intercettazione ed al del dato testuale
deve perciò ritenersi che, unitamente ai verbali di intercettazione ed al
materiale magnetofonico, cui fa riferimento l’articolo 268,commi 6 7 8,
richiamati dall’articolo 270, comma 2 Cpp, nel
procedimento “diverso” vanno depositati anche _ ovviamente, in copia _i decreti
di autorizzazione adottati dal Gip nel procedimento
di origine. Il momento ultimo in cui tale deposito deve essere effettuato coincide con la richiesta di rinvio a giudizio ex
articolo 416 Cpp» (Cassazione sezione sesta 1
settembre 1992, Bruzzese, m.191896).Come
riferito nell’ordinanza di rimessione, v’è poi un
terzo orientamento giurisprudenziale, che sembrerebbe proporsi come
intermedio,per il quale, benché non sia previsto il deposito dei decreti
autorizzativi delle intercettazioni disposte in altro procedimento, tuttavia la
parte interessata può ottenerne copia, «a norma dell’articolo 116 Cpp, ove ritenga di verificarne la regolarítà»
(Cassazione, sezione sesta 14 aprile 2003, Femia, m. 226705), perché, «pur
senza introdurre una sorta di presunzione di legittimità dei decreti
autorizzativi, la necessità di un nuovo controllo sul punto è giustificata solo
in presenza di specifica eccezione di inutilizzabilità dell’atto acquisito»
(Cassazione, sezione. 1, 10 febbraio 2003, Torcasio,
m. 224667, Cassazione, sezione. sesta, 4 novembre
2003, Alushaj, m. 226932).
3. Il contrasto di giurisprudenza
denunciato dalla Seconda sezione penale di questa Corte attiene certamente
all’interpretazione dell’articolo. 270 Cpp,
che è specificamente destinato a disciplinare l’acquisizione delle
intercettazioni disposte in altro procedimento; ma presuppone per la sua
risoluzione una più generale ricostruzione dei due distinti procedimenti
rispettivamente previsti per l’ammissione, prima, delle intercettazioni e per la
selezione, poi, delle prove cosi ottenute.
3.1‑ Le intercettazioni di conversazioni
sono in realtà un mezzo di ricerca della prova che determina una grave
limitazione del diritto alla libertà e alla segretezza di ogni
forma di comunicazione, garantito come inviolabile dall’articolo. 15 Costituzione; e sono ammissibili solo «per atto motivato
dell’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge». Per questa
ragione l’articolo. 266 Cpp. richiede
che si proceda per determinate categorie di reati. E l’articolo267 Cpp stabilisce che le intercettazioni debbano
essere previamente autorizzate con decreto motivato del giudice: solo in casi
di eccezionale urgenza possono essere disposte con decreto motivato del
pubblico ministero, soggetto peraltro a motivata convalida da parte del giudice
entro il termine di quarantotto ore.
L’evidente intento del legislatore,
quindi, è di imporre un preventivo accertamento di serietà delle esigenze
investigative che legittimano l’intrusione
dell’autorità giudiziaria nella sfera dei diritti inviolabili di un cittadino
che può essere anche del tutto estraneo al reato per il quale si procede. Tra i
presupposti del provvedimento autorizzativo,
l’articolo 267 comma primo Cpp esige, infatti, che
sussistano «gravi indizi» dell’esistenza di un reato, non della colpevolezza di
una persona e tantomeno della persona che viene sottoposta a intercettazione.
Tuttavia è questo uno
dei rari casi in cui l’inutilizzabilità della prova illegittimamente acquisita
è prevista come conseguenza non solo della violazione di una regola di esclusione
della prova (articolo 266 Cpp), secondo la
disposizione generale dell’articolo191 Cpp, bensì
come conseguenza anche della violazione delle regole relative alle modalità di
acquisizione della prova (articolo267 e 268).
L’articolo271 Cpp
prevede infatti che sono inutilizzabili i risultati
delle intercettazioni sia quando queste siano state eseguite fuori dei casi
consentiti dalla legge, in violazione dell’articolo 266 Cpp,
sia quando siano rimaste inosservate le disposizioni previste dagli articolo
267 e 268 commi 1 e 3 Cpp, circa le modalità di
ammissione e di esecuzione delle intercettazioni.
Quello sull’ammissibilità delle
intercettazioni rimane peraltro un giudizio inteso a verificare soprattutto
l’effettiva e specifica esigenza dì un’interferenza nella libertà di
comunicazione dei cittadini; non è un giudizio cui possano
applicarsi le norme generali sull’ammissione e sull’assunzione della prova, che
trovano invece applicazione per la selezione dei risultati delle
intercettazioni.
Il procedimento di ammissione
della prova si apre, in realtà, solo quando le operazioni di intercettazione si
sono esaurite.
I verbali redatti e le registrazioni
eseguite nel corso delle intercettazioni, immediatamente trasmessi al pubblico
ministero, vanno depositati in segreteria, insieme ai provvedimenti (di autorizzazione ed eventualmente di proroga) concernenti
l’intercettazione, entro cinque giorni dalla conclusione delle operazioni,
salvo che il giudice autorizzi il ritardo del deposito non oltre la chiusura
delle indagini preliminari, quando potrebbe derivarne grave pregiudizio per le
investigazioni (articolo 268 commi 4 e 5 Cpp).
Ai difensori delle parti è dato poi
avviso che, entro un termine fissato dal pubblico ministero ed eventualmente
prorogato dal giudice, hanno facoltà di esaminare gli atti e ascoltare le
registrazioni ovvero di prendere cognizione dei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche (268 commi 6 e 8 Cpp)
Scaduto tale termine, il giudice provvede a separare in tre parti i verbali e le
registrazioni provenienti dall’intercettazione.
Dispone, infatti, l’acquisizione come
prova di tutte le conversazioni indicate dalle parti, salvo che appaiano
manifestamente irrilevanti; e, anche d’ufficio, ma nel contraddittorio delle
parti, dispone lo stralcio delle registrazioni e dei verbali di cui è vietata
l’utilizzazione; mentre le registrazioni e i verbali che non sono stati neppure
acquisiti come prova, sono di regola conservati fino a
la pronuncia di sentenza non più soggetta a impugnazione.
Sicché, mentre per l’ammissione
dell’intercettazione si applicano i criteri di ammissibilità
previsti dall’articolo267 Cpp, per la selezione dei
suoi risultati sono invece applicabili i criteri di ammissibilità previsti
dall’articolo190 comma primo Cpp
Benché si tratti di procedimenti pur
sempre funzionalmente collegati, non potrebbe risultare
più netta, allora, la distinzione strutturale tra il procedimento di ammissione
dell’intercettazione, affidato alla garanzia del giudice per la libertà
tutelata dall’articolo15 Costituzione, e il procedimento di ammissione della
prova ottenuta con l’intercettazione, affidato alle prevalenti opzioni delle
parti.
3.2‑ Di regola i risultati delle
intercettazioni sono utilizzabili come prova soltanto nell’ambito del
procedimento in cui vengono disposte. E, come ha ben
chiarito la Corte costituzionale, il limite all’utilizzazione delle
intercettazioni in procedimenti diversi è necessario al fine di evitare la
trasformazione dell’intervento del giudice in un’ autorizzazione
in bianco, incompatibile con l’articolo15 Costituzione. (Corte
costituzionale. 63/1994). Secondo quanto prevede l’articolo270 Cpp, tuttavia, quando risultino
indispensabili per l’accertamento di delitti per i quali è obbligatorio
l’arresto in flagranza, i risultati delle intercettazioni possono essere
utilizzati come prova anche in procedimenti distinti.
Sicché, sebbene non si richieda un’ulteriore interferenza nella sfera di libertà altrui, il
limite di ammissibilità della prova risulta ristretto rispetto a quanto
l’articolo 266 Cpp prevede circa i reati che
consentono l’intercettazione. Atteso però che la rilevanza della prova dipende
dalle ipotesi di accusa che sono in discussione in
ciascun procedimento, si prevede che vadano rinnovati sia il deposito dei
verbali e delle registrazioni sia le operazioni di selezione delle
conversazioni rilevanti. Si può pertanto concludere
che, dei due procedimenti di cui consiste questo mezzo di ricerca della prova,
l’articolo 270 Cpp disciplina solo il secondo, quello
di selezione dei verbali e delle registrazioni rilevanti. Il procedimento di ammissione dell’intercettazione rimane del tutto estraneo
alla disciplina dell’utilizzazione dei suoi risultati in un diverso giudizio.
Ma questo non può significare affatto che nel giudizio
ad quem sia indifferente la legalità del procedimento
di autorizzazione ed esecuzione delle intercettazioni.
Se la violazione della garanzia di
libertà e segretezza delle comunicazioni può rendere inutilizzabile la prova
nel giudizio a quo, a maggior ragione deve poter rendere inutilizzabile la
prova nel giudizio ad quem,
nel quale ha più ristretti limiti di ammissibilità. E
del resto è evidente a quali abusi si presterebbe altrimenti la circolazione di
una prova privata della memoria della sua genesi. Si renderebbero possibili
proprio quelle autorizzazioni in bianco che si è inteso evitare.
Non sembra discutibile perciò che
l’illegalità del procedimento di ammissione
dell’intercettazione renda inutilizzabile anche in altri giudizi la prova che
se ne può desumere, come già affermato dalla Corte costituzionale, sia pure con
implicazioni procedimentali riferibili solo al codice
abrogato (Corte costituzionale, 223/87), e come argomentabile anche dalla
giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, opportunamente citata
dal Procuratore generale (C. eur. d. u., 24 aprile
1990 affare Huvig contro Francia, C. eur. d. u., 24 aprile 1990 affare Kruslin
contro Francia).
Tuttavia l’inutilizzabilità della
prova dipende appunto dall’illegalità del procedimento di ammissione
dell’ intercettazione, non certo dalla mancata trasmissione del documento
rappresentativo dell’intervenuta autorizzazione o della proroga delle
operazioni. Come risulta chiaro dall’articolo 271
comma primo Cpp, anche nel procedimento a quo 1
’inutilizzabilità deriva dalla violazione degli articolo 267 e 268 commi 1 e 3 Cpp, che disciplinano appunto l’ammissione e l’esecuzione della
intercettazione; non determina invece inutilizzabilità la violazione
dell’articolo268 comma 4 Cpp, che prevede il
deposito, oltre che dei verbali e delle registrazioni, anche dei decreti di
autorizzazione e di proroga delle intercettazioni.
Certo nel procedimento a quo il
decreto di autorizzazione va considerato come elemento
necessario di documentazione della prova desumibile dalle intercettazioni,
perché serve a individuare la vicenda criminosa per il cui accertamento
l’autorizzazione fu rilasciata. E per questa ragione nella giurisprudenza di
legittimità si riconosce che il pubblico ministero ha l’onere di allegare il
decreto di autorizzazione anche quando nella fase
delle indagini preliminari chieda l’adozione di un provvedimento cautelare
sulla base di una documentazione solo sommaria (cosiddetti brogliacci) dei
risultati delle intercettazioni, prima che sia intervenuto il deposito previsto
dall’articolo 268 comma 4 Cpp (Cassazione, Su , 20
novembre 1996, Glicora, m. 206954, Cassazione, Su.,
27 marzo 1996, Monteleone, m. 204811). Ma con
riferimento alle intercettazioni disposte in altro procedimento non si può
prescindere dalla chiara disposizione dell’articolo 270 comma 2 Cpp, che richiede il deposito solo dei verbali e delle
registrazioni, ritenendoli documentazione sufficiente della prova desumibile da
intercettazioni autorizzate per l’accertamento di una vicenda criminale
certamente diversa da quella oggetto del procedimento
ad quem. Sicché i decreti autorizzativi costituiscono
atti del procedimento a quo (articolo 238 Cpp), che
vanno prodotti da chi vi abbia interesse, perché il
controllo sulla legalità del procedimento di ammissione dell’intercettazione è
demandato all’iniziativa delle parti, come del resto è ragionevole avvenga in
un processo ispirato al principio dispositivo.
Il giudice è indiscutibilmente tenuto
a rilevare d’ufficio 1 ’inutilizzabilità che risulti
ex actis; ma non è tenuto a ricercarne d’ufficio la
prova. E infatti lo stesso articolo 270 Cpp comma 3 che «il pubblico ministero e i difensori delle
parti hanno altresì facoltà di esaminare i verbali e le registrazioni in
precedenza depositati nel procedimento in cui le intercettazioni furono
autorizzate»; mentre per i decreti autorizzativi, che debbono essere
disponibili anche nel caso in cui neppure i verbali e le registrazioni siano
stati ancora depositati nel procedimento a quo, soccorre evidentemente
l’articolo116 Cpp, laddove riconosce a chiunque vi
abbia interesse il diritto a ottenere il rilascio a proprie spese di copie. estratti o certificati di singoli atti.
L’esigenza di un coordinamento
interpretativo tra gli articolo116 e 238 Cpp si pone
in realtà in una prospettiva che trascende lo stesso articolo 270 Cpp, perché l’esercizio del diritto alla prova presuppone
che, salvo il segreto investigativo, l’accesso agli atti di altri
procedimenti, ad esempio per le contestazioni a norma dell’articolo500 Cpp, sia riconosciuto a tutte le parti, indipendentemente
dall’eventualità che il giudice ad quem abbia la
possibilità, giuridica e di fatto, di disporne l’acquisizione. E questa esigenza vale anche per il pubblico ministero, che
solo ai fini delle indagini, non quindi per l’esercizio del diritto alla prova
in dibattimento, può giovarsi degli strumenti privilegiati offertigli dagli
articolo 117 e 371 comma 1 Cpp per consentirgli di
ottenere copie di atti da altra autorità giudiziaria.
È certamente auspicabile comunque che i decreti autorizzativi siano prodotti
direttamente dalla parte che intenda avvalersi dei verbali e delle registrazioni
dell’ intercettazione disposta in altro procedimento; ovvero che in mancanza
provveda all’acquisizione il giudice, quando i tempi del procedimento lo
consentano. Ma deve tuttavia ribadirsi che l’onere di
provare l’illegalità del procedimento di ammissione dell’intercettazione
incombe su chi formuli l’eccezione di inutilizzabilità della prova che se ne
vuol desumere, perché per i fatti processuali, a differenza di quanto avviene
per i fatti penali, ciascuna parte ha l’onere di provare quelli che adduce, quando essi non risultino documentati nel fascicolo
degli atti di cui il giudice dispone (Cassazione, sezione sesta, 4 febbraio
1998, Ripa, m. 210378, Cassazione, sezione sesta, 16 ottobre 1995, Pulvirenti, m. 203740).
Come ha ben chiarito la più recente e
autorevole giurisprudenza civile, anche rispetto alle questioni rilevabili
d’ufficio il potere officioso del giudice attiene solo al riconoscimento degli
effetti giuridici dei fatti, che tuttavia debbono
essere pur sempre allegati dalle parti (Cassazione, sezione unite, 3 febbraio
1998, n. 1099, m.
515986, Cass., sez. unite 23
gennaio 2002, n. 761, m.
551789).
Con le allegazioni invero le parti
individuano i fatti rilevanti, prospettandone un’ipotesi ricostruttiva
ritenuta funzionale alla pretesa fatta valere in giudizio; con le domande o con
le eccezioni postulano gli effetti giuridici che assumono siano previsti dalla
legge per i fatti allegati; con le richieste e le deduzioni probatorie tendono
a verificare le ipotesi ricostruttive formulate con le
allegazioni, adoperandosi per dimostrare l’attendibilità, vale a dire la
veridicità, delle proprie affermazioni in ordine ai
fatti allegati. E il potere di allegazione rimane
riservato esclusivamente alla parte anche rispetto ai fatti costitutivi di eccezioni
rilevabili d’ufficio, perché il giudice può surrogare la parte nella postulazione degli effetti giuridici dei fatti allegati, ma
non può surrogarla nell’onere di allegazione, in particolare con riferimento a
questioni che non risultino altrimenti controverse. Questa ricostruzione dei
poteri del giudice e degli oneri delle parti va
applicata anche al rapporto tra disponibilità dei decreti autorizzativi e
utilizzabilità della prova che si può desumere dalle intercettazioni.
Nel procedimento a quo i decreti
autorizzativi sono, come s’è detto, elemento necessario di documentazione della
prova. Ma anche in tale procedimento, ove non risulti
prodotto un decreto autorizzativo e il rito non
conceda tempi idonei alla sua acquisizione (come avviene ad esempio nel
giudizio di riesame),, il giudice non può per ciò solo rilevare d’ufficio la
inutilizzabilità della prova, se nessuna parte abbia allegato che la mancanza
del decreto rende impossibile il controllo di legalità, perché la legalità
dell’intercettazione potrebbe non essere affatto controversa, essendo stata già
verificata ad esempio,in precedenti incidenti procedimentali.
Il giudice può senz’altro rilevare d’ufficio solo l’inutilizzabilità già
desumibile dagli atti, come quando, ad esempio, essendo stato prodotto il
decreto autorizzativo, risulti
che l’intercettazione è stata autorizzata per un reato non incluso tra quelli
per i quali è ammessa o con un provvedimento del tutto carente di motivazione.
Infatti, è bene ribadirlo, l’inutilizzabilità della
prova desumibile dall’intercettazione dipende dalla mancanza o dall’
illegittimità dell’ autorizzazione, non dalla indisponibilità della relativa
documentazione.
Nel procedimento ad
quem, invece, la parte, ove eccepisca la mancanza o
l’illegittimità dell’ autorizzazione, deve non solo allegare ma anche provare
il fatto dal quale dipenda l’inutilizzabilità eccepita, perché, come s’è detto,
in questo procedimento i decreti autorizzativi non sono elemento necessario di
documentazione della prova desumibile dall’intercettazione.
Se nel procedimento a quo dunque la
parte ha un onere di mera allegazione, nel procedimento ad
quem la parte ha un onere sia di allegazione sia di
prova, perché, come s’è già detto, rispetto ai fatti processuali, l’onere della
prova non incombe solo sul pubblico ministero, bensì su ciascuna parte in
relazione ai fatti che deduce.
Si deve pertanto concludere
con l’enunciazione del seguente principio di diritto:
Nel caso di acquisizione
dei risultati di intercettazioni disposte in altro procedimento, l’eventuale
inutilizzabilità della prova a norma dell’articolo 271 Cpp
può dipendere dall’illegalità del procedimento di ammissione
dell’intercettazione, ma non dalla mancata trasmissione del documento
rappresentativo dell’intervenuta autorizzazione o della proroga delle
operazioni; e, trattandosi di un fatto processuale, il fatto dal quale dipende
tale illegalità va provato dalla parte che la eccepisce.
4. Ciò posto, rimane da chiarire quali siano l’ambito e i limiti del controllo
che, sulla base degli atti prodotti, il giudice del procedimento ad quem può compiere sulla legalità dell’ammissione e
dell’esecuzione dell’ intercettazione disposta nel procedimento a quo.Va subito rilevato come non pare possa discutersi che le
valutazioni del giudice ad quem
siano meramente incidentali e, quindi, non spieghino efficacia alcuna nel
procedimento a quo. Sicché risulta infondato il rilievo del pubblico ministero
ricorrente, che paventa un abnorme sindacato esterno sulla legittimità degli
atti del procedimento a quo. Ma occorre verificare se, oltre a questo ovvio limite di efficacia, le valutazioni del giudice
ad quem abbiano anche limiti di estensione quanto al
loro oggetto.
Come s’è detto, infatti, nel caso in
esame il decreto di autorizzazione delle intercettazioni
era stato in realtà trasmesso al giudice ad quem, ma
non era stata trasmessa la nota di polizia giudiziaria cui faceva riferimento
la motivazione per relationem del provvedimento. In
proposito occorre premettere che, benché l’articolo 267 comma 1 Cpp esiga, tra i presupposti del provvedimento autorizzativo, che sussistano «gravi indizi di reato», sarebbe improprio definire come probatorio questo
presupposto, perché non si richiede una prova, neppure indiziaria, di
colpevolezza. Sicché deve ritenersi che il legislatore intendendo escludere un
ricorso indiscriminato a uno strumento insidioso di
ricerca della prova, esiga solo un vaglio di particolare serietà e specificità
delle esigenze investigative, non una valutazione circa il fondamento di un’accusa
che potrebbe anche non essere stata ancora formulata. E questa conclusione non
può non tradursi in una drastica riduzione dell’ambito
del controllo sulla motivazione del decreto, che, non dovendo esprimere una
valutazione di fondatezza dell’accusa, ma appunto solo un vaglio di effettiva
serietà del progetto investigativo, si sottrae a una rigorosa verifica a
posteriori, in particolare quando le indagini abbiano avuto uno sviluppo che
manifesti la rilevanza dei risultati delle intercettazioni ai fini dell’accertamento
della vicenda cui si riferiva l’autorizzazione. Ne risulta
anzi evidente come la principale funzione di garanzia della motivazione
del decreto stia proprio nell’individuazione della specifica vicenda criminosa
cui l’autorizzazione si riferisce, in modo da prevenire il già ricordato
rischio di autorizzazione in bianco.
In realtà questa Corte si è già espressa più
volte nel senso che solo la mancanza, e non anche l’inadeguatezza, della
motivazione del decreto autorizzativo, può dar luogo a inutilizzabilità dei risultati probatori
dell’intercettazione (Cassazione,su., 25 marzo 1998, Manno, m. 210610,
Cassazione,sezioni. un., 21 giugno 2000, Primavera, m.
216665), perché, per aversi inutilizzabilità, deve risultare una carenza della
motivazione che riveli l’inesistenza di quel vaglio preventivo del giudice cui
la legge affida la tutela del diritto garantito dall’articolo15 Costituzione.
Ne consegue che, essendo sufficiente
anche una motivazione per relationem del decreto autorizzativo (Cassazione.,
sezioni un., 21 giugno 2000, Primavera, cit.), quando i risultati di un’
intercettazione siano acquisiti in altro procedimento, nel quale si eccepisca
che la relatio si è tradotta in una mera apparenza di
motivazione, deve essere la parte che propone l’eccezione a produrre il
documento di riferimento dal quale risulti in definitiva la mancanza di un
effettivo vaglio preventivo del giudice.
Nel caso in esame, pertanto, il
giudice non avrebbe dovuto considerare inutilizzabili i risultati delle
intercettazioni in mancanza della prova della dedotta
illegittimità del procedimento autorizzativo delle
intercettazioni. E quindi l’ordinanza impugnata va
annullata con rinvio al Tribunale del riesame di Napoli, perché valuti il
presupposto probatorio delle misure controverse tenendo conto anche delle
intercettazioni di cui non è stata provata l’inutilizzabilità.
PQM
La
Corte
annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale dì Napolì
per nuovo esame. Roma, 17 novembre 2004.