Penale

Tuesday 30 March 2004

L’ offerta di uno spinello come provocazione non costituisce reato. Cassazione – Sezione terza penale (up) – sentenza 2-26 marzo 2004, n. 14808

L’offerta di uno spinello come provocazione non costituisce reato.

Cassazione – Sezione terza penale (up) – sentenza 2-26 marzo 2004, n. 14808

Presidente Raimondi – Relatore Teresi

Pg Ciampoli – ricorrente DC ed altri

Osserva

Con sentenza in data 4 giugno 2002 la Corte di appello di Roma assolveva BF perché il fatto non costituisce reato dall’imputazione di cui all’articolo 56 Cp, 80 lettera a), 73 Dpr 309/90 (per avere tentato di indurre il proprio figlio minore D a fumare, insieme con lui e con le cugine, uno spinello di hashish) e confermava la sentenza di primo grado, appellata dal Pm, in ordine all’assoluzione del predetto per il reato di cui agli articoli 609bis, 609ter Cp per avere compiuto atti sessuali sulla figlia minore S inducendola a toccargli il pene ed introducendole un dito nella vagina, abusando della condizione di inferiorità fisica e psichica della bambina.

Riteneva la Corte che sulla credibilità complessiva di SB incideva negativamente l’esito delle accuse rivolte dalla minore alla convivente del padre CL, accuse svilite da insanabili contraddizioni, dall’accentuata aggressività della minore, dall’assenza di riscontri, dalle smentite del fratello D (secondo cui le due avevano confrontato le loro parti intime senza alcun accenno di violenza per opera della donna), dal tenore della denuncia 31 luglio 1998 della madre di S e dalla testimonianza di Alessandra B, la quale aveva escluso che la C avesse assunto iniziative di carattere sessuale in danno della bambina.

L’inattendibilità della minore investiva anche le altre accuse, prive di riscontro, rivolte al padre di averla indotta a toccargli il pene e, in diversa occasione, di averle messo un dito nella vagina mentre la lavava nel bidet.

Il toccamento del pene, imposto con violenza dal padre, era stato introdotto per la prima volta nel corso dell’esame protetto, mentre il padre non aveva escluso, nell’ottica di una visione liberale e disinibita della sfera sessuale, che la figlia potesse averlo visto nudo e che abbia potuto toccarlo per gioco, per caso o per curiosità.

La Corte aveva ritenuto, alla stregua della genericità della denuncia sul punto, plausibile la giustificazione dell’imputato secondo cui l’introduzione del dito in vagina, avvenuta nel corso del bagno alla piccola, potesse ascriversi all’accidentale scivolamento del dito sulla crema che era stata in precedenza applicata ed inoltre che fosse puramente provocatoria la proposta fatta al figlio D di provare uno spinello di fronte all’atteggiamento recisamente contrario del minore, palesemente irritato per l’atteggiamento trasgressivo del padre che consumava lo spinello in compagnia delle cugine S.

Proponevano ricorso per cassazione le parti civili, ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 573 Cpp, denunciando mancanza e manifesta illogicità della motivazione:

– in merito alla dichiarata inammissibilità dell’istanza di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale per l’acquisizione di fotografie (rinvenute dopo il giudizio di primo grado) assolutamente necessaria ai fini della decisione trattandosi di documentazione costituente valido elemento di riscontro delle dichiarazioni rese da entrambi i figli, donde l’incongruità del giudizio dei giudici di appello secondo cui i documenti riguardavano esclusivamente l’imputazione relativa agli abusi sessuali in danno del figlio D sulla quale era intervenuta sentenza definitiva;

– in ordine alla valutazione di inattendibilità delle dichiarazioni rese da S nei confronti del padre sia perché quanto rilevato in ordine ad accuse rivolte ad altra persona per fatti diversi non depone necessariamente per l’inattendibilità delle accuse rivolte al padre sia perché la sentenza aveva omesso di valutare elementi probatori di fondamentale importanza per accertare la credibilità della bambina. Non era vero, infatti, che solo nel corso dell’esame protetto del 12 gennaio 2001 S avrebbe effettuato le dichiarazioni accusatorie giacché essa fin dal 23 settembre 1998, all’età di 6 anni, aveva affermato che il padre più volte le aveva afferrato la mano facendole toccare il “pisello” nonostante essa cercasse di levarla e che il predetto le aveva fatto male quando nel lavarla aveva introdotto un dito nella vagina. Inoltre una perizia aveva accertato che entrambi i minori erano idonei a rendere testimonianza e attendibili nelle accuse. Quanto all’episodio del bidet, confermato da diversi testi, era illogica la versione dell’imputato, ritenuta plausibile dai giudici dell’appello, poiché l’imputato, che è un chirurgo plastico, è dotato di sensibilità e manualità superiore alla media, donde l’assurdità che il movimento del dito possa esser sfuggito al suo controllo. La Corte, poi, aveva ignorato elementi probatori negativi per l’imputato, quali le trascrizioni dei colloqui telefonici tra F e S B contenenti espliciti riferimenti di carattere sessuale; le testimonianze dei coniugi N, amici di famiglia, i quali avevano ascoltato una telefonata in viva voce nella quale il padre si rivolgeva alla figlia in modo suadente e lascivo provocando l’ira del figlio D, presente, che l’aveva redarguito ed avevano notato atteggiamenti masturbatori che S era solita adottare dopo gli incontri col padre; le dichiarazioni delle nipoti dell’imputato le quali avevano testimoniato di essere state oggetto di attenzioni sessuali da parte dello zio in diverse occasioni;

– in ordine all’assoluzione dell’imputato dal tentativo di induzione del figlio a fumare hashish poiché l’invito a fumare è sufficiente a configurare il reato, essendo irrilevanti le ragioni a sostengo dell’offerta ed apodittica l’asserzione che l’agente era consapevole che la stessa non sarebbe stata accettata.

Chiedevano l’annullamento della sentenza.

In data 10 febbraio 2004 l’imputato produceva note difensive con cui eccepiva l’inammissibilità del ricorso della parte civile sia in ordine alla sentenza assolutoria per il reato di abusi sessuali in danno di S B, poiché la stessa parte civile, non avendo appellato la sentenza di primo grado, essendosi giovata dell’appello del Pm, non aveva devoluto alcuna doglianza introduttiva del secondo giudizio, sicché non le era consentito proporre autonomo ed unico ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello che aveva confermato l’assoluzione, appellata solo dal Pm, sia relativamente all’imputazione di tentativo di cessione di hashish poiché il difensore, alla data di presentazione del ricorso, non poteva più agire su mandato e in rappresentanza dell’esercente la patria potestà il suo patrocinato aveva raggiunto la maggiore età senza rilasciargli alcuna procura.

L’eccepita inammissibilità del ricorso non sussiste.

Ha affermato questa Corte che, «in tema di impugnazione, per il principio d’immanenza della costituzione di parte civile, la stessa, una volta ammessa, ha diritto a partecipare alle fasi successive alla prima e di vedersi riconosciuto (senza che ciò rappresenti violazione del principio del divieto della reformatio in peius) il diritto al risarcimento del danno, anche se essa non ha impugnato la sentenza di proscioglimento in primo grado, appellata dal solo Pm.

Invero l’autonoma facoltà d’impugnazione, concessa alla parte civile dall’attuale ordinamento, è prevista in aggiunta a quella del Pm ed a tutela degli interessi civili, anche quando il rapporto processuale penale si sia esaurito per la mancata impugnazione della sentenza da parte dell’organo dell’accusa o dell’impianto (v. Corte costituzionale, sentenza 1/1970 e 29/1972)» (Cassazione, Sezione quinta, 12018/99, Maellare, rv 215559).

Non ha quindi alcuna rilevanza il fatto che la parte civile non abbia appellato la sentenza di assoluzione per il capo a) dell’imputazione poiché l’impugnazione del Pm ha esteso oggettivamente i suoi effetti devolutivi in suo favore.

Peranto, la stessa, per tali effetti, avrebbe potuto conseguire – in caso di pronuncia di condanna – il ristoro dei danni (cfr. Su 30327/02, Guadalupi, rv 222001) con l’ulteriore conseguenza, permanendo l’interesse al conseguimento del risarcimento, della riviviscenza dell’autonoma facoltà d’impugnazione della sentenza assolutoria d’appello.

Anche l’atra eccezione è infondata.

Premesso che il minore, al raggiungimento della maggiore età, acquista la capacità processuale per costituirsi parte civile, sicché, se ciò avvenga nella more tra il giudizio di appello e quello di cassazione, viene meno la rappresentanza da parte del genitore costituitosi in sua vece, nella specie non può ritenersi che sia sopravvenuta l’invalidità della costituzione di parte civile poiché la madre del minore si era costituita, non solo quale esercente la patria potestà, ma anche in proprio, donde la legittimazione alla proposizione dell’impugnazione.

Il ricorso non è puntuale poggiando le censure sulla valutazione dei fatti riduttiva e diversa da quella dei giudici dei precedenti gradi del giudizio.

Per costante giurisprudenza di questa Corte «l’indagine di legittimità sul discorso giustificatorio della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativi sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali.

L’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento» (Cassazione Su 24/1999, Spina, rv 214794).

Fissato il sopraindicato limite, è vietato a questa Corte di procedere alla ricostruzione del fatto diversamente da quanto abbia fatto il giudice di merito in presenza di concreti elementi, nonché di prendere in considerazione censure, sia pure specifiche, inidonee a dimostrare in modo incontrovertibile la difformità tra i risultati obiettivamente derivanti dalla prova assunta e le conseguenze che il giudice di merito ne abbia tratto (come nel caso in cui un fatto considerato come esistente sia invece pacificamente inesistente).

Non hanno, quindi, rilevanza in questa sede valutazioni del fatto diverse da quella adottata dai giudici dell’appello, non potendo il controllo di legittimità investire l’intrinseca adeguatezza della valutazione dei risultati probatori, riservata al giudizio di merito, né la loro rispondenza alle effettive acquisizioni processuali.

Premesso che l’idoneità a rendere testimonianza dei minori può essere accertata mediante perizia e che la questione dell’attendibilità della prova rientra nei compiti esclusivi del giudice, va osservato che nel caso in esame la Corte d’appello, richiamando espressamente le argomentazioni logiche e fattuali stringenti del tribunale, ha assolto l’obbligo della motivazione spiegando congruamente come le affermazioni di accusa di S non siano credibili, non solo perché è stata negativamente verificata la narrazione, relativa alla Camporiondo convivente del padre, di altro abuso sessuale, ma soprattutto perché la parte lesa, manifestando avversione, solo in sede di esame protetto ha rivelato particolari volti ad aggravare la posizione del padre in merito all’episodio del toccamento dei genitali.

Invero dalla trascrizione delle dichiarazioni della bambina, riportate integralmente nella sentenza del Tribunale, risulta che la piccola non ha mantenuto sul punto una posizione precisa e coerente, dato che nelle dichiarazioni al perito del Gip la stessa ha affermato di aver visto per caso il “pisello” e di averlo toccato senza alcuna costrizione paterna, mentre nell’incidente probatorio ha rivelato, con una versione simile a quella inizialmente resa alla Pg, di essere stata forzata aggiungendo, però, nuovi compromettenti particolari sulla differenza tra i “piselli” duri e morbidi.

Non coglie, qundi, nel segno il rilievo difensivo secondo cui «solo nel caso dell’esame protetto del 12 gennaio 2001 Sara avrebbe effettuato dichiarazioni accusatorie nei confronti del padre» poiché la novità rilevata dalla Corte d’appello attiene specificamente «ai toccamenti e alla spiegazione datale dal padre sulla differenza tra “piselli duri e piselli morbidi”», donde la correttezza del rilievo secondo cui il tardivo aggravamento dell’accusa, unitamente alla mancanza di riscontri obiettivi ed all’inattendibilità della piccola in merito ad altro abuso sessuale impostole da persona molto vicina al padre, ne incrina irreparabilmente l’attendibilità, sicché appare plausibile la versione difensiva secondo cui, praticando il B atteggiamenti liberi e disinibiti in materia sessuale (si mostrava nudo ai figli in bagno e in casa), sia potuto accadere che il contatto, non scoraggiato dall’imputato, sia dipeso e sia avvenuto per curiosità, per gioco oppure per caso.

La doglianza relativa all’episodio del bidet è inammissibile perché si basa sulla ricostruzione del fatto diversa da quella effettuata dal Tribunale che non è manifestamente illogica dato che è ben possibile che l’imputato, lavando la bambina, possa averle fatto male per avere, una volta soltanto, introdotto un dito nella vagina.

Né tale ricostruzione è indebolita dal fatto che l’imputato sia un chirurgo plastico, capace di calibrare più di altri i movimenti del dito, poiché, nella specie, la ritenuta accidentalità del fatto è agganciata alla presenza di crema applicata dalla nonna sulle parti intime della bambina.

Non può essere censurata neppure l’assoluzione dell’imputato dal tentativo di induzione del figlio D al consumo di hashish, avendo la Corte d’appello correttamente ritenuto che l’invito ad aspirare la canna è stata la reazione dell’imputato al rimprovero del figlio ed alla sua esortazione a desistere dal fumare (il B lo faceva sulla spiaggia di Latina insieme con le nipoti S e con altri amici al punto da suscitare l’irritazione e la riprovazione di D), sicché non può che essersi trattato di una squallida provocazione attuata da persona adusa ad uno spregiudicato, trasgressivo ed anticonformista modo di vita con la sicura consapevolezza che l’offerta, stante la perentorietà del giudizio critico espresso da persona recisamente contraria all’uso della droga, sarebbe stata rifiutata.

Il giudizio correttamente espresso dai giudici dell’appello non può essere in alcun modo sminuito dagli elementi segnalati in ricorso circa la personalità dell’imputato, molto libera e permissiva nella sfera sessuale, sui quali, in assenza di elementi probatori che depongano inequivocabilmente per la sussistenza di fatti penalmente rilevanti, non può essere basato un giudizio di responsabilità.

Ciò esclude che possa qualificarsi decisiva la prova documentale offerta nel giudizio d’appello e diretta a focalizzare la personalità dell’imputato.

Il rigetto del ricorso comporta la condanna in solido dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna in solido i ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento.