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L’ Italia deve riconoscere i titoli di studio rilasciati all’ estero. E’ il parere della Corte di Giustizia UE. SENTENZA DELLA CORTE (Quinta Sezione) 13 novembre 2003
LItalia deve riconoscere i titoli di studio rilasciati allestero. E il parere della Corte di Giustizia UE
SENTENZA DELLA CORTE (Quinta Sezione) 13 novembre 2003
«Libertà di stabilimento – Riconoscimento dei diplomi – Diploma rilasciato da un’università avente sede in uno Stato membro – Istruzione propedeutica al diploma impartita in un altro Stato membro e da un altro istituto di istruzione»
Nel procedimento C-153/02,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, a norma dell’art. 234 CE, dal Giudice di pace di Genova nella causa dinanzi ad esso pendente tra
Valentina Neri
e
European School of Economics (ESE Insight World Education System Ltd),
domanda vertente sull’interpretazione degli artt. 39 CE, 43 CE e 49 CE, della decisione del Consiglio 2 aprile 1963, 63/266/CEE, relativa alla determinazione dei principi generali per l’attuazione di una politica comune di formazione professionale (GU 1963, n. 63, pag. 1338), nonché della direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/48/CEE, relativa ad un sistema generale di riconoscimento dei diplomi di istruzione superiore che sanzionano formazioni professionali di una durata minima di tre anni (GU 1989, L 19, pag. 16),
LA CORTE (Quinta Sezione),
composta dal sig. D.A.O. Edward, facente funzione di presidente di sezione, dai sigg. A. La Pergola e S. von Bahr (relatore), giudici,
avvocato generale: sig. F.G. Jacobs
cancelliere: sig.ra L. Hewlett, amministratore principale
viste le osservazioni scritte presentate:
– per la sig.ra Neri, dall’avv. A. Rocca;
– per la European School of Economics, dagli avv.ti G. Conte ed E. Minozzi;
– per il governo italiano, dal sig. I.M. Braguglia, in qualità di agente, assistito dal sig. M. Massella Ducci Teri, avvocato dello Stato;
– per la Commissione delle Comunità europee, dal sig. E. Traversa e dalla sig.ra M. Patakia, in qualità di agenti,
vista la relazione d’udienza,
sentite le osservazioni orali della European School of Economics, rappresentata dagli avv.ti G. Conte, G. Giacomini e C.G. Izzo, del governo italiano, rappresentato dal sig. A. Cingolo, avvocato dello Stato, e della Commissione, rappresentata dal sig. E. Traversa, all’udienza del 13 febbraio 2003,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 10 aprile 2003,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1.
Con ordinanza 18 aprile 2002, giunta in cancelleria il 26 aprile seguente, il Giudice di pace di Genova ha sottoposto alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, tre questioni pregiudiziali vertenti sull’interpretazione degli artt. 39 CE, 43 CE e 49 CE, della decisione del Consiglio 2 aprile 1963, 63/266/CEE, relativa alla determinazione dei principi generali per l’attuazione di una politica comune di formazione professionale (GU 1963, n. 63, pag. 1338), nonché della direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/48/CEE, relativa ad un sistema generale di riconoscimento dei diplomi di istruzione superiore che sanzionano formazioni professionali di una durata minima di tre anni (GU 1989, L 19, pag. 16).
Ambito normativo
La disciplina comunitaria
2.
L’art. 43 CE dispone:
«Nel quadro delle disposizioni che seguono, le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro vengono vietate. Tale divieto si estende altresì alle restrizioni relative all’apertura di agenzie, succursali o filiali, da parte dei cittadini di uno Stato membro stabiliti sul territorio di un altro Stato membro.
La libertà di stabilimento importa l’accesso alle attività non salariate e al loro esercizio, nonché la costituzione e la gestione di imprese e in particolare di società ai sensi dell’art. 48, secondo comma, alle condizioni definite dalla legislazione del paese di stabilimento nei confronti dei propri cittadini, fatte salve le disposizioni del capo relativo ai capitali».
3.
La direttiva 89/48 mira ad agevolare l’esercizio da parte dei cittadini europei di tutte le attività professionali che sono subordinate, in uno Stato membro ospitante, al possesso di una formazione post-secondaria, sempreché essi siano in possesso di diplomi tali che li preparino a dette attività, sanzionino un ciclo di studi di almeno tre anni e siano stati rilasciati in un altro Stato membro.
4.
L’art. 1, lett. a), della direttiva 89/48 dispone:
«Ai sensi della presente direttiva si intende:
a) per diploma, qualsiasi diploma, certificato o altro titolo o qualsiasi insieme di diplomi, certificati o altri titoli;
– che sia stato rilasciato da un’autorità competente in uno Stato membro, designata in conformità delle sue disposizioni legislative, regolamentari o amministrative,
– da cui risulti che il titolare ha seguito con successo un ciclo di studi post-secondari di durata minima di tre anni oppure di durata equivalente a tempo parziale, in un’università o un istituto di istruzione superiore o in un altro istituto dello stesso livello di formazione e, se del caso, che ha seguito con successo la formazione professionale richiesta oltre al ciclo di studi post-secondari e
– dal quale risulti che il titolare possiede le qualifiche professionali richieste per accedere ad una professione regolamentata in detto Stato membro o esercitarla, quando la formazione sancita dal diploma, certificato o altro titolo, è stata acquisita in misura preponderante nella Comunità o quando il titolare ha un’esperienza professionale di tre anni, certificata dallo Stato membro che ha riconosciuto il diploma, certificato o altro titolo rilasciato in un paese terzo.
E’ assimilato a un diploma ai sensi del primo comma qualsiasi diploma, certificato o altro titolo, o qualsiasi insieme di diplomi, certificati o altri titoli, che sia stato rilasciato da un’autorità competente in uno Stato membro qualora sancisca una formazione acquisita nella Comunità e riconosciuta da un’autorità competente in tale Stato membro come formazione di livello equivalente e qualora esso conferisca gli stessi diritti d’accesso e d’esercizio di una professione regolamentata».
5.
A norma del suo art. 2, primo comma, la direttiva 89/48 si applica a qualunque cittadino di uno Stato membro che intenda esercitare, come lavoratore autonomo o subordinato, una professione regolamentata in uno Stato membro ospitante.
6.
Ai sensi del secondo principio, lett. e), della decisione 63/266, la politica comune di formazione professionale deve tendere ad evitare ogni pregiudizievole interruzione sia tra l’insegnamento generale e l’inizio della formazione professionale, sia nel corso di quest’ultima.
La normativa italiana
7.
Nella sua ordinanza di rinvio, il Giudice di pace di Genova ha esposto la normativa italiana nel modo seguente.
8.
Ai sensi dell’art. 170 del regio decreto 31 agosto 1933, n. 1592, recante approvazione del testo unico delle leggi sull’istruzione superiore (GURI n. 283 del 7 dicembre 1933; in prosieguo: il «regio decreto n. 1592/33»):
«I titoli accademici conseguiti all’estero non hanno valore legale [in Italia], salvo il caso di legge speciale.
Tuttavia coloro i quali abbiano ottenuto presso Istituti di istruzione superiore esteri uno dei titoli compresi in un elenco approvato, e, occorrendo, modificato con decreto del Ministro per l’educazione nazionale, possono ottenere presso una delle Università o Istituti superiori [d’istruzione] di cui alle tabelle A e B il titolo corrispondente a quello conseguito all’estero.
Ove trattisi di titoli accademici non compresi nell’elenco di cui al comma precedente, il Ministro, udito il parere delle competenti autorità accademiche e del comitato esecutivo della sezione prima del Consiglio superiore dell’educazione nazionale, può dichiarare che il titolo accademico conseguito all’estero ha lo stesso valore di quello corrispondente conferito dalle Università o dagli Istituti superiori [d’istruzione italiani], ovvero ammettere l’interessato a sostenere l’esame di laurea o di diploma, con dispensa totale o parziale degli esami di profitto prescritti dallo statuto dell’Università o Istituto superiore [d’istruzione] per il corrispondente corso di studi».
9.
L’art. 332 del regio decreto n. 1592/33 prevede:
«Fino alla emanazione del decreto ministeriale di approvazione dell’elenco di cui all’articolo 147, i cittadini italiani all’estero, gli italiani non regnicoli e gli stranieri possono essere ammessi alle Università e agli Istituti superiori [d’istruzione] all’anno di corso per il quale dalle competenti autorità accademiche siano ritenuti sufficienti i titoli di studi medi e superiori conseguiti all’estero.
Fino alla emanazione del decreto ministeriale di approvazione dell’elenco di cui all’articolo 170 le competenti autorità accademiche, cui sia richiesto il riconoscimento di titoli accademici conseguiti all’estero, possono, caso per caso, sempreché trattisi di titoli conseguiti in Università o Istituti superiori esteri di maggior fama, e tenuto altresì conto degli studi compiuti e degli esami speciali e generali sostenuti all’estero, dichiarare che il titolo estero ha lo stesso valore, a tutti gli effetti, di quello corrispondente conferito dalle Università e dagli Istituti superiori [d’istruzione italiani], ovvero ammettere l’interessato a sostenere l’esame di laurea o diploma, con dispensa totale o parziale dagli esami di profitto prescritti dallo statuto dell’Università o Istituto superiore [d’istruzione] per il corrispondente corso di studi».
10.
Ai sensi dell’art. 8, n. 1, della legge 19 novembre 1990, n. 341, di riforma degli ordinamenti didattici universitari (GURI n. 274 del 23 novembre 1990, pag. 6; in prosieguo: la «legge n. 341/90»):
«Per la realizzazione dei corsi di studio nonché delle attività culturali e formative di cui all’articolo 6, le università possono avvalersi, secondo modalità definite dalle singole sedi, della collaborazione di soggetti pubblici e privati, con facoltà di prevedere la costituzione di consorzi, anche di diritto privato, e la stipulazione di apposite convenzioni».
11.
La circolare del Ministero dell’Università e della Ricerca scientifica e tecnologica 3 ottobre 2000, n. 228, precisa che il riconoscimento in Italia di un diploma conseguito all’estero permane disciplinato dall’art. 332 del regio decreto n. 1592/33, mentre il decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 115, recante attuazione della direttiva 89/48 (GURI n. 40 del 18 febbraio 1992, pag. 6), può consentire solo lo svolgimento di una professione già svolta nel paese di provenienza.
12.
Una nota informativa diffusa dal Ministero degli Affari esteri prevede, in conformità alla nota del medesimo Ministero 30 aprile 1997, n. 442, sui corsi di studio parzialmente svolti in Italia, che un diploma universitario straniero può essere ammesso ad una procedura di riconoscimento solo se accompagnato da un’«attestazione della rappresentanza diplomatico-consolare italiana nel Paese estero in cui è stato rilasciato il titolo che comprovi l’effettivo soggiorno in loco dell’interessato per tutto il periodo degli studi universitari».
13.
La nota del Ministero dell’Università e della Ricerca scientifica e tecnologica 8 gennaio 2001 specifica che «i titoli rilasciati da Università riconosciute in Gran Bretagna possono essere riconosciuti in Italia solo se conseguiti dopo regolare frequenza dell’intero corso di studi presso le stesse o altro Istituto estero dello stesso livello di formazione, con esclusione, quindi, dei titoli rilasciati, ai cittadini italiani, sulla base dei periodi di studi svolti presso filiali o istituzioni private operanti in Italia con le quali abbiano stipulato delle convenzioni di tipo privatistico».
La controversia nella causa principale
14.
La sig.ra Neri si è iscritta alla Notthingam Trent University (in prosieguo: la «NTU») nell’intento di conseguire, dopo un corso di studi universitari quadriennale, la laurea in scienze politiche ad indirizzo internazionale (Bachelor of Arts with honours in International Political Studies).
15.
La NTU è un’università soggetta alla legislazione del Regno Unito ed è compresa nell’elenco degli organismi abilitati a rilasciare, al termine di un corso di studi universitari quadriennale, titoli accademici (Bachelor of Arts with honours) aventi valore legale.
16.
La NTU gestisce i corsi di studio tenuti presso la propria sede, nel Regno Unito, ove vengono rilasciati i diplomi finali.
17.
Tuttavia, l’art. 216 dell’Education Reform Act 1988 prevede un ulteriore sistema attraverso il quale le università possono rilasciare diplomi.
18.
Ai sensi di tale disposizione, il Ministro dell’Educazione approva un elenco di organismi che possono impartire insegnamenti preparatori al conseguimento di una laurea rilasciata da un’istituzione riconosciuta ed approvata da o nell’interesse di tale istituzione. Emerge dall’ordinanza di rinvio che tale elenco comprende la European School of Economics (ESE Insight World Education System Ltd; in prosieguo: l’«ESE»).
19.
Risulta del pari dall’ordinanza di rinvio che tale organismo è un Higher Education College (Istituto d’istruzione superiore) abilitato, secondo l’ordinamento didattico del Regno Unito, ad organizzare e a tenere corsi di studio universitari che sono stati approvati dalla NTU.
20.
L’ESE, costituita nella forma di società di capitali a responsabilità limitata, è un’impresa che ha sede nel Regno Unito e conta numerosi stabilimenti in altri Stati membri. Essa è registrata presso la camera di commercio di Roma con forma giuridica di società costituita in base alle leggi di un altro Stato membro e dispone in Italia di dodici unità locali.
21.
L’ESE non rilascia titoli di studio propri ma organizza, dietro corrispettivo, corsi per gli studenti iscritti alla NTU, in conformità ai piani di studio che sono convalidati da quest’ultima, la quale rilascia altresì il diploma di laurea finale (Bachelor of Arts with honours). La qualità dei corsi di studio tenuti dall’ESE è soggetta anche a un controllo pubblico da parte dell’agenzia governativa «The Quality Assurance Agency for Higher Education».
22.
Al fine di evitare gli elevati oneri economici che sarebbero derivati da un soggiorno nel Regno Unito per tutta la durata dei suoi studi, la sig.ra Neri aveva deciso di seguire le lezioni universitarie in Italia presso l’ESE. Dopo essersi iscritta al primo anno del corso tenuto dall’ESE a Genova e dopo aver anticipato all’ESE la somma di LIT 4 000 000 (EUR 2 065,83), essa ha appreso da fonti d’informazione italiane autorizzate che l’ESE non sarebbe abilitata a tenere corsi di formazione universitaria e che i titoli rilasciati dall’università, ancorché legalmente riconosciuti nel Regno Unito, non potevano essere riconosciuti in Italia se ottenuti in seguito a periodi di studio svoltisi sul territorio italiano.
23.
La sig.ra Neri, ritenendo di aver eseguito un pagamento indebito e non avendo potuto ottenere in via amichevole la restituzione della somma versata all’ESE, ha chiesto al Giudice di pace di Genova che l’ESE venisse condannata a restituirle la somma in questione.
24.
A sostegno della sua domanda la sig.ra Neri ha prodotto alcune circolari del Ministero dell’Università e della Ricerca scientifica e tecnologica, tali, a suo parere, da fondare la sua domanda.
25.
Il Giudice di pace di Genova precisa che l’ESE è un’impresa privata che esercita la propria attività nell’ambito comunitario del mercato dei servizi didattici, a scopo di lucro. Gli studenti della NTU che intendono frequentare i corsi tenuti dall’ESE stipulano con quest’ultima un contratto che prevede il pagamento di una somma che rappresenta il corrispettivo dei servizi forniti dall’ESE.
26.
L’ESE fornirebbe, tramite il proprio stabilimento italiano, sul territorio italiano, i medesimi servizi che è abilitata a fornire nel proprio Stato d’origine, nel pieno rispetto delle leggi dello Stato ospitante.
27.
Il Giudice di pace di Genova precisa che il Ministero dell’Università e della Ricerca scientifica e tecnologica nonché il Ministero degli Affari esteri hanno emanato circolari e note che prevedono che i titoli rilasciati dalle università negli Stati membri possono essere riconosciuti in Italia solamente se gli studenti hanno seguito i corsi negli Stati in cui tali titoli sono stati rilasciati. Invece, i titoli rilasciati ai cittadini italiani sulla base di periodi di studi trascorsi presso centri operanti in Italia con i quali tali università abbiano stipulato convenzioni di diritto privato non sarebbero riconosciuti. Il giudice del rinvio ritiene che tali note e circolari potrebbero avere l’effetto di dissuadere gli studenti dal seguire tali corsi universitari e che esse possano inoltre ostacolare, sul territorio nazionale, l’uso dei titoli universitari rilasciati dalle università estere.
28.
Per tale ragione, il Giudice di pace di Genova ritiene che tale prassi amministrativa, avente natura di misura regolamentare, in quanto applicata da tutti gli organi dell’amministrazione pubblica, possa avere l’effetto di dissuadere gli studenti dall’iscriversi a tali corsi universitari e/o, come accaduto nella fattispecie, di costringere gli studenti a ritirare la propria iscrizione ai corsi.
29.
Secondo il Giudice di pace di Genova, tale prassi amministrativa può quindi costituire un ostacolo alla libera circolazione delle persone, alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi.
30.
Del resto, il Giudice di pace di Genova ritiene che la direttiva 89/48 potrebbe ostare alla prassi amministrativa delle autorità italiane qualora i diritti derivanti da tale direttiva possano essere invocati dai cittadini degli Stati membri anteriormente al conseguimento del diploma di cui all’art. 1 della citata direttiva.
31.
Il Giudice di pace di Genova osserva peraltro che la decisione 63/266, che dispone che la politica comune di formazione professionale debba tendere ad evitare ogni pregiudizievole interruzione sia tra l’insegnamento generale e l’inizio della formazione professionale sia nel corso di quest’ultima, potrebbe ostare alla prassi amministrativa delle autorità italiane.
Domande pregiudiziali
32.
Con ordinanza 18 aprile 2002, il Giudice di pace di Genova ha deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte le seguenti tre questioni pregiudiziali:
«1) Se i principi del Trattato CE relativi alla libera circolazione delle persone (artt. 39 e seguenti), al diritto di stabilimento (artt. 43 e seguenti), alla libera circolazione dei servizi (art. 49 e seguenti) così come interpretati nella giurisprudenza elaborata dalla Corte di giustizia siano compatibili con norme o prassi amministrative dell’ordinamento nazionale quali quelle descritte ai punti III e IV della presente ordinanza. Ed in particolare con norme e/o prassi amministrative nazionali le quali:
– ostacolino lo stabilimento italiano di una società di capitali, il cui centro di attività principale è nel Regno Unito, all’esercizio nello Stato ospitante di una attività consistente nell’organizzazione e nella gestione di corsi di studio per la preparazione ad esami universitari, attività per il cui esercizio la società è regolarmente abilitata e accreditata da parte delle istituzioni statali britanniche;
– comportino effetti discriminatori rispetto ai soggetti nazionali che svolgono analoghe attività;
– vietino e/o gravemente ostacolino lo stabilimento italiano della società stessa nell’acquisto, in altro Stato membro e a titolo oneroso, dei servizi propedeutici all’esercizio dell’attività sopra indicata;
– disincentivino gli studenti a iscriversi a questi corsi di studio;
– ostacolino la formazione professionale degli studenti iscritti, nonché il conseguimento di un titolo che può attribuire al suo titolare sia vantaggi per accedere ad una attività professionale, sia vantaggi per esercitarla con maggior profitto anche in altri Stati membri.
2) Se la direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/48/CEE, nell’interpretazione del suo art. 2, che qui viene richiesta alla Corte di giustizia, attribuisca diritti che possono essere invocati anche anteriormente al conseguimento del diploma di cui all’art. 1 della direttiva stessa. E, in caso di risposta positiva al presente quesito, se la direttiva stessa, anche alla luce di quanto già statuito dalla Corte con sentenza 7 marzo 2002, in causa C-145/99 – Commissione contro Repubblica italiana – sia compatibile con norme o prassi amministrative dell’ordinamento nazionale le quali:
– demandino il riconoscimento dei diplomi d’istruzione superiore che sanzionano formazioni professionali di una durata minima di tre anni alla mera discrezionalità della Pubblica Amministrazione;
– ammettano al riconoscimento i titoli rilasciati da Università riconosciute in Gran Bretagna solo se conseguiti dopo regolare frequenza dell’intero corso di studi in territorio estero, con l’esclusione quindi dei titoli rilasciati sulla base dei periodi di studio svolti presso istituzioni estere operanti in Italia, ancorché autorizzate ed accreditate dalle Pubbliche Autorità a ciò deputate dello Stato membro di appartenenza;
– impongano la presentazione di una attestazione della rappresentanza diplomatico-consolare italiana nel Paese estero in cui è stato rilasciato il titolo che comprovi l’effettivo soggiorno in loco dell’interessato per tutto il periodo degli studi universitari;
– limitino il riconoscimento dei diplomi esclusivamente allo svolgimento di una professione già svolta nel Paese di provenienza, escludendo quindi qualsiasi riconoscimento ai fini dell’accesso ad una professione regolamentata ancorché non in precedenza esercitata.
3) Quale sia il significato e la portata di pregiudizievole interruzione della formazione professionale nell’interpretazione della decisione del Consiglio 2 aprile 1963, 63/266, e se in tale accezione possa rientrare l’istituzione, sul piano nazionale, da parte della Pubblica Amministrazione di un sistema permanente d’informazione il quale evidenzia che i titoli di studio rilasciati da una Università, ancorché legalmente riconosciuta in Gran Bretagna, non possono essere riconosciuti dall’ordinamento nazionale se conseguiti sulla base di periodi di studi svolti sul territorio nazionale».
Osservazione preliminare
33.
Il governo italiano ha affermato all’udienza che l’esposizione del diritto nazionale nell’ordinanza di rinvio non è corretta in alcuni punti e che tale ordinanza non tiene conto di tutte le disposizioni nazionali rilevanti. Il governo italiano ha inoltre menzionato le modifiche della normativa italiana e della normativa del Regno Unito successive all’ordinanza di rinvio, nonché i cambiamenti intervenuti nei rapporti tra la ESE e la NTU.
34.
A tale proposito, occorre rammentare che non spetta alla Corte pronunciarsi sull’interpretazione e sull’applicabilità di disposizioni nazionali o stabilire i fatti rilevanti per la soluzione della controversia nella causa principale.
35.
La Corte è infatti tenuta a prendere in considerazione, nell’ambito della ripartizione delle competenze tra i giudici comunitari e i giudici nazionali, il contesto fattuale e normativo nel quale si inserisce la questione pregiudiziale, come definito dal provvedimento di rinvio (sentenza 25 ottobre 2001, causa C-475/99, Ambulanz Glöckner, Racc. pag. I-8089, punto 10).
36.
Occorre quindi esaminare le questioni pregiudiziali nel contesto fattuale e normativo definito dal Giudice di pace di Genova nella sua ordinanza di rinvio.
Sulle questioni pregiudiziali
37.
Con la sua prima questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se gli artt. 39 CE, 43 CE e 49 CE ostino a una prassi amministrativa, quale quella di cui alla causa principale, in forza della quale i diplomi universitari del secondo ciclo rilasciati da un’università di uno Stato membro non sono riconosciuti in un altro Stato membro quando i corsi propedeutici a tali diplomi sono stati tenuti in quest’ultimo Stato membro ad opera di un diverso istituto di istruzione, in conformità ad un accordo concluso fra tali due istituti.
38.
Si deve rilevare che la sig.ra Neri fa valere tale prassi amministrativa dinanzi al giudice del rinvio per chiedere la restituzione delle spese d’iscrizione versate all’ESE, mentre l’ESE si oppone alla detta prassi amministrativa sulla base del diritto comunitario. Per dare alle questioni pregiudiziali una soluzione che possa essere utile ai fini della definizione della controversia dinanzi al giudice del rinvio è quindi necessario interpretare il diritto comunitario con riferimento all’attività dell’ESE.
39.
Si deve precisare a tale proposito che l’organizzazione, dietro corrispettivo, dei corsi di formazione superiore è un’attività economica che rientra nel capitolo del Trattato relativo al diritto di stabilimento quando è svolta da un cittadino di uno Stato membro in un altro Stato membro, in maniera stabile e continuativa, a partire da un centro di attività principale o secondario in quest’ultimo Stato membro (v., in tal senso, sentenza 15 gennaio 2002, causa C-439/99, Commissione/Italia, Racc. pag. I-305, punto 21).
40.
Posto che l’ESE, che ha la sua sede principale nel Regno Unito, organizza corsi di formazione superiore a partire dalle sedi secondarie in Italia, e, nella fattispecie, a partire dalla sua sede di Genova, è necessario esaminare le questioni pregiudiziali, nei limiti in cui esse attengono alle libertà fondamentali tutelate dal Trattato, sotto il profilo della libertà di stabilimento dell’ESE.
41.
L’art. 43 CE impone l’abolizione delle restrizioni alla libertà di stabilimento. Devono essere considerate come tali tutte le misure che vietano, ostacolano o rendono meno attraente l’esercizio di tale libertà (v. sentenza 7 marzo 2002, causa C-145/99, Commissione/Italia, Racc. pag. I-2235, punto 22).
42.
Per un istituto di istruzione, quale l’ESE, che organizza corsi di formazione intesi a permettere agli studenti di ottenere diplomi che possano facilitare il loro accesso al mercato del lavoro, il riconoscimento di tali diplomi da parte delle autorità di uno Stato membro presenta un’importanza rilevante.
43.
E’ evidente che una prassi amministrativa, quale quella controversa nella causa principale, in forza della quale taluni diplomi rilasciati a conclusione dei corsi di formazione universitaria tenuti dall’ESE non sono riconosciuti in Italia, può dissuadere gli studenti dal seguire tali corsi e in tal modo ostacolare gravemente l’esercizio da parte dell’ESE della sua attività economica in tale Stato membro.
44.
Occorre quindi constatare che una prassi amministrativa quale quella di cui trattasi nella causa principale rappresenta una restrizione alla libertà di stabilimento dell’ESE ai sensi dell’art. 43 CE.
45.
Il governo italiano sembra voler giustificare tale restrizione con la necessità di garantire un livello elevato dell’istruzione universitaria. Esso sostiene che l’ordinamento giuridico italiano non accetta accordi quale quello di cui trattasi nella causa principale in materia di formazione universitaria, in quanto rimane legato a una visione di tale formazione quale «bene pubblico» in cui si esprimono i valori culturali e storici di uno Stato. Secondo tale governo, un simile accordo in materia di formazione universitaria impedisce il controllo diretto della qualità degli istituti privati da parte delle autorità competenti sia nello Stato d’origine sia nello Stato ospitante.
46.
Occorre tuttavia rilevare che, se l’obiettivo di garantire un livello elevato delle formazioni universitarie sembra legittimo per giustificare restrizioni alle libertà fondamentali, tali restrizioni devono essere idonee a garantire il conseguimento dello scopo perseguito e non devono andare oltre quanto necessario per il raggiungimento di questo (v. sentenza 15 gennaio 2002, Commissione/Italia, cit., punto 23).
47.
Posto che l’ordinamento giuridico italiano sembra ammettere, ai sensi dell’art. 8, n. 1, della legge n. 341/90, accordi fra università italiane e altri istituti italiani di studi superiori che sono simili alla convenzione stipulata tra la NTU e l’ESE, e che dalla nota citata al punto 13 della presente sentenza sembra emergere che il mancato riconoscimento dei diplomi rilasciati in circostanze analoghe a quelle di cui alla causa principale riguarda solamente il titoli rilasciati a cittadini italiani, la prassi amministrativa esposta nell’ordinanza di rinvio non risulta idonea a realizzare l’obiettivo, fatto valere dal governo italiano, di garantire un elevato livello delle formazioni universitarie.
48.
In ogni caso, la prassi amministrativa di cui trattasi non sembra rispondere alle esigenze di proporzionalità rispetto all’obiettivo perseguito.
49.
Infatti, come sottolineato dall’avvocato generale al paragrafo 49 delle sue conclusioni, la prassi amministrativa descritta nell’ordinanza di rinvio sembra escludere qualsiasi esame da parte delle autorità nazionali e, pertanto, qualsiasi possibilità di riconoscimento dei diplomi rilasciati in circostanze quali quelle di cui alla causa principale.
50.
E’ giocoforza rilevare che una tale prassi amministrativa va oltre quanto necessario per garantire l’obiettivo perseguito.
51.
Di conseguenza, occorre risolvere la prima questione pregiudiziale nel senso che l’art. 43 CE osta a una prassi amministrativa, quale quella controversa nella causa principale, in forza della quale i diplomi universitari rilasciati da un’università di uno Stato membro non possono essere riconosciuti in un altro Stato membro quando i corsi propedeutici a tali diplomi sono stati tenuti in quest’ultimo Stato membro ad opera di un diverso istituto di istruzione in conformità ad un accordo concluso fra tali due istituti.
52.
Considerata la soluzione data alla prima questione, non è necessario risolvere la seconda e la terza questione.
Sulle spese
53.
Le spese sostenute dal governo italiano e dalla Commissione, che hanno presentato osservazioni alla Corte, non possono dar luogo a rifusione. Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese.
Per questi motivi,
LA CORTE (Quinta Sezione),
pronunciandosi sulle questioni sottopostele dal Giudice di pace di Genova con ordinanza 18 aprile 2002, dichiara:
L’art. 43 CE osta a una prassi amministrativa, quale quella controversa nella causa principale, in forza della quale i diplomi universitari rilasciati da un’università di uno Stato membro non possono essere riconosciuti in un altro Stato membro quando i corsi propedeutici a tali diplomi sono stati tenuti in quest’ultimo Stato membro ad opera di un diverso istituto di istruzione in conformità ad un accordo concluso fra tali due istituti.
Edward
La Pergola
von Bahr
Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 13 novembre 2003.
Il cancelliere Il presidente
R. Grass V. Skouris