Lavoro e Previdenza

Wednesday 28 April 2004

L’ INPS paga i danni se da un suo errore nella compilazione dell’ estratto contributivo è derivata la negazione della pensione di anzianità . Cassazione Sezione lavoro sentenza 6 novembre 2003-24 aprile 2004, n. 7859

L’INPS paga i danni se da un suo errore nella compilazione dell’estratto contributivo è derivata la negazione della pensione di anzianità

Cassazione – Sezione lavoro – sentenza 6 novembre 2003-24 aprile 2004, n. 7859

Presidente Senese – Relatore Spanò

Pm Nardi – difforme – ricorrente Ciabatti

Svolgimento del processo

Con ricorso in data 15 dicembre 1997 Ciabatti Roberto conveniva in giudizio dinanzi al Pretore di Prato in funzione di Giudice del Lavoro l’Inps, Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale, al fine di ottenere il risarcimento dei danni conseguenti all’errata certificazione da parte dell’Istituto di una posizione contributiva tale da consentire l’accesso alla pensione di anzianità.

Resisteva l’Istituto ed assumeva che l’estratto conto assicurativo prodotto dall’interessato non poteva valere come certificazione e in ogni caso dalla stessa risultavano gli elementi per un calcolo esatto dei contributi accreditati.

Con sentenza 58/2000 in data 22 marzo 2000 il Tribunale di Prato, divenuto Giudice Unico di primo grado in materia di lavoro, respingeva la domanda.

Interponeva appello il Ciabatti e in esito il gravame veniva rigettato con sentenza 339/01, emessa in data 19 aprile-11 maggio 2001 dalla Corte d’appello di Firenze La decisione veniva così motivata.

Osservava la Corte territoriale che l’estratto contributivo è una «informativa fornita dall’Inps con espressa riserva di ulteriore verifica da parte dello stesso assicurato nell’intento di realizzare in via generale una corretta definizione della posizione contributiva degli assicurati e senza alcuna finalità o valenza certificativa».

Doveva quindi escludersi «ogni possibile configurazione di condotta colposa dell’Istituto nell’ambito di un procedimento amministrativo ovvero in sede di atti dovuti (di ufficio o su richiesta dell’interessato) ..».

Osservava ancora che la convinzione dell’assicurato di possedere un numero sufficiente di contributi era frutto di “un’errata interpretazione degli stessi dati a lui comunicati”.

Avverso la sentenza, che dalla copia autentica versata in atti da parte ricorrente risulta notificata in data 17 settembre 2001, propone ricorso per cassazione Ciabatti Roberto con atto notificato in data 14 novembre 2001, sulla base di un unico complesso motivo.

L’Inps si è costituito col solo deposito di procura.

Motivi della decisione

Con l’unico complesso motivo si denuncia, con riferimento al n. 3 dell’articolo 360 Cpc, la violazione o falsa applicazione degli articoli 1175, 1176, 1218, 1227, 2043 Cc, 51 e 78 Rd 1442/24, 38 legge 153/69, 1 Dl 352/78, 54 legge 88/1989, 5 Dpr 488/68 e Dm 5 febbraio 1969. Si denuncia altresì, con riferimento al n. 5 dell’articolo 360 Cpc, il vizio di motivazione.

Si osserva che l’Istituto deve fornire i dati relativi alla posizione contributiva in adempimento di uno specifico obbligo di legge ed è pertanto responsabile delle inesattezze contenute nelle comunicazioni fornite al riguardo.

Si rileva ancora che l’assicurato aveva sostenuto fin dall’inizio che dal documento risultavano 1821 settimane di contribuzione e invitato l’Istituto a specificare le ragioni di una differente lettura, instando in ogni caso per l’espletamento di una consulenza tecnica al riguardo. Si fa notare che la motivazione offerta dalla Corte territoriale si riduce alla immotivata affermazione della circostanza.

Le censure appaiono fondate.

Invero secondo l’articolo 54 legge 88/1989, «è fatto obbligo agli agenti previdenziali di comunicare, a richiesta esclusiva dell’interessato o di chi ne sia da questi legalmente delegato o ne abbia diritto ai sensi di legge, i dati richiesti relativi alla propria situazione previdenziale e pensionistica. La comunicazione da parte degli enti ha valore certificativo della situazione in essa descritta». Del tutto ingiustificata è quindi l’affermazione che l’estratto contributivo non avrebbe alcuna finalità o valenza certificativa. E il richiamo ad una espressa riserva di ulteriore verifica da parte dell’assicurato, che sembra essere stata contenuta nel documento, secondo quanto si afferma nella denunciata sentenza, è privo di qualsiasi rilevanza poiché di fronte ad un preciso obbligo di fornire una certificazione relativa alla posizione previdenziale e pensionistica, l’Istituto non può certo fornire dati non controllati o comunque incerti e sfuggire a responsabilità per erronee comunicazioni col mero invito all’assicurato ad effettuare verifiche. Tale riserva, ove non possa valere quale invito a dare la prova di ulteriori elementi a favore dell’assicurato, eventualmente non risultanti agli atti dell’Istituto, rappresenta una mera clausola di stile, priva di alcun effetto, siccome contraria al preciso disposto di legge.

Il Collegio di merito afferma ancora che il documento, se rettamente interpretato, forniva comunque dati esatti. È agevole rilevare al riguardo che tale valutazione non può essere formulata col mero richiamo ai chiarimenti offerti dall’Istituto, posto che l’obbligo di fornire una certificazione implica quello di consegnare un documento comprensibile con la normale diligenza da persona che abbia il livello culturale minimo compatibile con lo svolgimento di una attività lavorativa, non certo un prospetto che consente l’acquisizione dei dati esatti solo a seguito di chiarimenti dell’Ente che lo rilascia e di calcoli matematici.

Si impone quindi la cassazione dell’impugnata sentenza con rinvio per nuovo esame ad altro giudice in grado di appello che si designa come in dispositivo.

Detto Giudice dovrà valutare il documento che l’interessato ha prodotto nel corso del giudizio di primo grado, a lui rilasciato dall’Istituto, ed accertare se lo stesso, in base ad una lettura che risulti agevole a persona dotata delle cognizioni minime compatibili con lo svolgimento di un’attività lavorativa consentiva, alla data del rilascio, di escludere il requisito contributivo per l’accesso alla pensione d’anzianità.

Appare opportuno demandare a detto giudice anche la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.

PQM

Accoglie il ricorso. Cassa l’impugnata sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia anche per le spese alla Corte d’appello di Bologna.