Civile
L’ indennizzo per il danno da emotrasfusione spetta anche al convivente more uxorio? Il Tribunale di Trento pensa di sì e solleva questione di costituzionalità ORDINANZA (Atto di promovimento) 23 Luglio 2004 – 23 Luglio 2004, n. 931
Lindennizzo per il danno da emotrasfusione spetta anche al convivente more uxorio? Il Tribunale di Trento pensa di sì e solleva questione di costituzionalità
ORDINANZA (Atto di promovimento) 23 Luglio 2004 – 23 Luglio 2004, n. 931
Ordinanza emessa il 23 luglio 2004 dal tribunale di Trento nel procedimento civile vertente tra M.M. e Ministero della salute Sanita’ pubblica – Epatite cronica HCV conseguente a trasfusione – Indennizzo – Spettanza al coniuge contagiato dal soggetto emotrasfuso – Conseguente esclusione del convivente more uxorio – Illogicita’ e contradditorieta’ rispetto alla finalita’ di tutela dei soggetti abitualmente conviventi – Incidenza su diritto fondamentale della persona. – Legge 25 luglio 1997, n. 238, art. 1, comma 6. – Costituzione, artt. 2 e 3. il giudice (GU n. 48 del 15-12-2004 )
Letti gli atti e sciogliendo la riserva che precede,
O s s e r v a
Rilevato in fatto
Con verbale di data 10 settembre 2002 la Commissione medica
ospedaliera di Verona negava a M.M. il diritto all’indennizzo di cui
alla legge n. 210 del 1992, facendo presente da un lato che la
domanda era stata presentata nel 1996 e quindi oltre il termine
triennale previsto dall’art. 3, comma 1 della legge, dall’altro lato
escludendo l’esistenza di un nesso causale tra l’infezione da HCV ed
il contagio dal marito S.P.
Nel presente giudizio M.M. chiede che le sia riconosciuto il
diritto di percepire l’indennizzo di cui alla legge n. 210 del 1992 e
successive modificazioni e integrazioni con conseguente condanna del
Ministero della salute al pagamento delle somme dovute.
In particolare la ricorrente fa presente di essere affetta da
epatite cronica C da HCV correlata manifestatasi nel 1991 e
confermata a seguito di biopsia epatica nel 1993.
Sostiene che detta patologia e’ ascrivibile al contagio da parte
del marito S.P. anch’egli portatore di epatopatia cronica HCV
correlata a seguito di trasfusioni e trattamento con emoderivati in
conseguenza di sinistro stradale avvenuto nel 1978, al quale la
patologia cronica era stata diagnosticata nel 1992.
La ricorrente afferma che l’infezion da HCV e’ stata quindi
trasmessa per via parentale inapparente dal marito con il quale,
all’epoca del contagio, conviveva more uxorio e con il quale si era
poi sposata in data 3 settembre 1994. La ricorrente esclude invece
che il virus sia stato trasmesso dal padre, anche se quest’ultimo
risultato portatore del medesimo genotipo del virus; ove il contagio
fosse avvenuto per via intrafamiliare, afferma la ricorrente, non si
capirebbe infatti come mai il virus non era stato trasmesso dal padre
anche agli altri appartenenti all’originario nucleo familiare della
ricorrente (madre e fratelli).
Il Ministero della salute, costituitosi per il tramite
dell’Avvocatura dello Stato, ribadisce le ragioni ostative gia’
enunciate dalla C.M.O. di Verona; evidenzia l’esistenza di un fattore
di rischio intrafamiliare cui dovrebbe essere attribuito rilievo
causale preminente (il padre della ricorrente, M.A. era pure lui
affetto da epatite C di genotipo 2a/2c); sottolinea inoltre che il
convivente more uxorio non e’ ricompreso tra i soggetti beneficiari
delle provvidenze contemplate dalla legge n. 210 del 1992 sia pur a
seguito dell’allargamento del campo di applicazione della legge
n. 210 del 1992 ad opera di alcune sentenze della Corte
costituzionale (C. cost. n. 27 del 1998 e Corte cost. n. 423 del 2000
e Corte cost. n. 476 del 2002); fa presente che tra M.M. e S.P. non
vi era stata vera e propria convivenza more uxorio, ma soltanto
coabitazione.
La ricorrente ha chiesto che sia sollevata questione di
legittimita’ costituzionale dell’art. 1 e dell’art. 2, comma 6 della
legge n. 210 del 1992 per contrasto con gli artt. 2 e 3 della
Costituzione.
Non e’ in contestazione tra le parti che, a seguito di autonomo
ricorso, S.P. e’ stato riconosciuto portatore di epatite cronica HCV
correlata in conseguenza del trattamento con trasfusioni di sangue ed
emoderivati cui fu sottoposto nel 1978.
Considerato in diritto
1. – M.M. lamenta che non le sono riconosciuti i benefici di cui
alla legge n. 210 del 1992.
2. – Non rileva innanzitutto il fatto che la domanda in via
amministrativa e’ stata presentata nel 1996 e quindi oltre il termine
dei 3 anni previsto dall’art. 3, comma 1 della legge n. 210 del 1992.
In proposito occorre osservare che il termine di decadenza previsto
dall’art. 3 della legge n. 210 del 1992 per la proposizione della
domanda di indennizzo per le menomazioni da vaccinazioni non si
applica analogicamente al caso di epatiti post-trasfusionali;
infatti, le norme sulla decadenza hanno carattere eccezionale e non
sono applicabili oltre i casi espressamente previsti (Cass. 27 aprile
2001, n. 6130); con la conseguenza che, per il caso delle epatiti
post-trasfusionali verificatesi prima delle modifiche introdotte
dalla legge n. 238 del 1997, la domanda e’ proponibile nell’ordinario
termine di prescrizione decennale, a decorrere dal momento in cui
l’avente diritto ha avuto conoscenza del danno (Cass. 23 aprile 2003,
n. 6500).
3. – I benefici di cui alla legge n. 210 del 1992 sono stati
negati a M.M. sia in quanto l’infezione da HCV risale ad epoca
antecedente rispetto al matrimonio sia in quanto sussisterebbe un
fattore di rischio intrafamiliare dato che il padre, M.A., e’
risultato portatore di virus HCV dello stesso genotipo della figlia.
4. – Nel presente giudizio e’ stato dato corso a CTU medico
legale.
Il CTU ha affermato che M.M. risulta affetta da epatite cronica
conseguente ad infezione da virus di tipo C; ha anche sostenuto che
la fonte del contagio deve individuarsi con ogni ragionevole certezza
nell’attuale coniuge.
Ad avviso del CTU non paiono esservi infatti ragionevoli e
comprovabili dubbi sul fatto che M.M. ha contratto l’infezione da
virus dell’epatite di tipo C, per via inapparente ovvero per via
sessuale, dall’attuale marito S.P.
Risentito a chiarimenti, all’udienza di data 26 marzo 2004 il
CTU, pur facendo presente che la trasmissione per via inapparente si
puo’ verificare anche in ambito familiare, ha tuttavia evidenziato
che nel 1992 il padre della M. non manifestava evidenze cliniche di
positivita’ all’HCV, evidenze che si sono manifestate soltanto nel
1998 quando gia’ da 7 anni la ricorrente era stata trovata positiva
all’HCV.
Le conclusioni del CTU sono quindi nel senso di ritenere
ragionevolmente che M.M. abbia contatto il virus HVC per contagio da
parte dell’allora convivente S.P.
5. – Il Mistero della salute dubita del fatto che M. convivesse
more uxorio con l’attuale marito prima di contrarre matrimonio nel
1994; dubita anche del fatto che il rapporto di convivenza
sussistesse gia’ nel maggio 1991, ossia all’epoca in cui si e’
manifestata clinicamente la patologia.
Dalle deposizioni testimoniali raccolte all’udienza del 9 marzo
2004, emerge che M.M. e S.P. hanno iniziato ad avere una relazione
stabile e duratura gia’ nel 1989, quando andarono a convivere assieme
in via P. a T.
Il fatto che la relazione tra i due abbia assunto tali
connotazioni e’ desumibile dal fatto che, come riferito dal teste C.,
M. e S., continuarono ad abitare assieme anche dopo essersi
trasferiti da T. ad A. fino all’epoca in cui contrassero matrimonio
il 3 settembre 1994.
Gli atti di causa inducono a ritenere quindi che, in epoca
antecedente al matrimonio ed in particolare all’epoca in cui M.
contrasse il virus HCV, tra M.M. e S.P., vi era un rapporto di vera e
propria convivenza more uxorio caratterizzata dai connotati della
stabilita’, continuita’ e regolarita’, ossia una vera e propria
ýfamiglia di fattoý.
Se all’epoca tra i due vi fosse stato un semplice rapporto
occasionale e non gia’ una famiglia di fatto, non si comprenderebbe
infatti come mai il rapporto abbia avuto un carattere di stabilita’
tale da protrarsi nel tempo fino al matrimonio.
6. – La piu’ probabile ricostruzione dell’iter trasmissivo
dell’infezione e’ quindi quella per cui il virus e’ stato trasmesso
da S.P. a M.M. all’epoca in cui i due convivevano more uxorio.
7. – L’art. 1, comma 6 della legge 25 luglio 1997, n. 238
stabilisce che ýi benefici di cui alla presente legge spettano
altresi’ al coniuge che risulti contagiato da uno dei soggetti di cui
all’art. 1 della legge 25 febbraio 1992, n. 210, nonche’ al figlio
contagiato durante la gestazioneý.
Per quanto interessa il presente giudizio, la disposizione
contenuta nell’art. 1, comma 6 della legge 25 luglio 1997, n. 238
estende pertanto i benefici al coniuge e non anche al convivente more
uxorio che risulti contagiato da uno dei soggetti di cui all’articolo
1 della legge n. 210 del 1992.
8. – Della disposizione di legge in esame non puo’ essere data
un’interpretazione analogica e neppure estensiva.
Come ha giustamente evidenziato il Ministero della salute,
l’ambito di applicazione del sistema di cui a legge n. 210 del 1992,
e’ stato ýallargatoý in alcuni casi non gia’ in via di
interpretazione bensi’ in seguito ad alcune espresse declaratorie di
illegittimita’ costituzionale (C. cost. n. 27 del 1998, Corte cost.
n. 423 del 2000 e Corte cost. n. 476 del 2002).
Inoltre se nel novero dei beneficiari potessero essere ricomprese
non soltanto le persone in rapporto di causalita’ diretta ed
immediata con i vari fattori di rischio, ma anche altri soggetti, non
si capirebbe come mai il legislatore ha dovuto ýallargareý
espressamente il campo di operativita’ nel momento in cui ha voluto
prendere in considerazione anche soggetti in rapporto mediato ed
indiretto come il coniuge ed il figlio che sia stato contagiato
durante la gestazione.
9. – In base all’attuale quadro normativo, i benefici di cui alla
legge n. 210 del 1992 non possono essere quindi riconosciuti a M.M.
in quanto, all’epoca del contagio, convivente more uxorio con S.P.
ýveicoloý dell’infezione.
Sotto queto aspetto la questione di legittimita’ costituzionale
dell’art. 1, comma 6 della legge 25 luglio 1997, n. 238 appare quindi
rilevante.
10. – La questione di legittimita’ costituzionale della
disposizione di legge anzidetta che viene qui sollevata appare anche
non manifestamente infondata sotto un duplice aspetto.
11.- La convivenza more uxorio ancorche’ non compiutamente
regolata dalla legge, e’ tuttavia presa in considerazione ad esempio
nell’art. 317-bis c.c. in materia di attribuzione delle potesta’
genitoriali.
D’altro canto, sia pur in particolari casi e a determinati fini,
la Corte costituzionale ha riconosciuto rilevanza giuridica alla
convivenza more uxorio: nella sentenza n. 404 del 1988 ha dichiarato
l’illegittimita’ costituzionale dell’art. 6, comma 1 della legge
n. 392 del 1978 nella parte in cui non prevedeva tra i successibili
nella titolarita’ del contratto di locazione, in caso di morte del
conduttore, il convivente more uxorio nella sentenza n. 559 del 1989
ha dichiarato l’illegittimita’ costituzionale dell’art. 18, commi 1 e
2 della legge della Regione Piemonte n. 64 del 1984 in materia di
successione nel rapporto di assegnazione e godimento di alloggi di
edilizia residenziale pubblica.
Non ignora questo Tribunale che, secondo la giurisprudenza della
Corte costituzionale, la trasformazione della coscienza e dei costumi
sociali non autorizza a ritenere che la convivenza di fatto rivesta
oggettivamente connotazioni identiche a quelle che scaturiscono dal
rapporto matrimoniale. Una unificazione delle due figure non e’
quindi ammissibile.
In diverse decisioni la Corte costituzionale ha infatti posto in
luce la netta diversita’ della convivenza di fatto, ýfondata
sull’affectio quotidiana, liberamente ed in ogni istante revocabile,
di ciascuna delle partiý rispetto al rapporto coniugale,
caratterizzato da ýstabilitaý, certezza e dalla reciprocita’ e
corrispettivita’ di diritti e doveri (…) che nascono soltanto dal
matrimonioý.
La convivenza di fatto non puo’ essere pertanto assimilata al
rapporto di coniugio per essere ricondotta, cosi’ come quest’ultimo,
sotto ýl’alaý protettiva dell’art. 29 della Cost. Rimane quindi
estranea al contenuto delle garanzie offerte dall’art. 29 della Cost.
una relazione come quella tra conviventi more uxorio, pur socialmente
apprezzabile, divergente tuttavia dal modello che si radica nel
rapporto coniugale.
12. – La posizione del convivente di fatto merita in determinati
casi riconoscimento, anche se i vincoli affettivi e solidaristici che
ne scaturiscono troveranno tutela non gia’ nell’art. 29 della Cost.
ma nell’ambito della protezione, offerta dall’art. 2 della Cost., dei
diritti inviolabili dell’uomo nelle formazioni sociali.
Il parametro con riguardo al quale si chiede il vaglio di
costituzionalita’ dell’art. 1, comma 6 della legge 25 settembre 1997,
n. 238 e’ quindi in primo luogo quello rinvenibile nell’art. 2 Cost.,
ove si afferma che la Costituzione tutela l’individuo in qualunque
contesto esplichi la propria personalita’ e, quindi, anche nella
famiglia c.d. di fatto (cosi’ come la Corte costituzionale ha gia’
ritenuto nella sentenza n. 237 del 1986 purche’ il rapporto di
corivivenza risulti caratterizzato da un grado accertato di
stabilita).
D’altra parte, ove anche al convivente more uxorio non fossero
estesi i benefici di cui alla legge n. 210 del 1992, verrebbe in tal
modo pregiudicato il suo diritto alla salute, ossia il diritto a non
subire menomazioni della propria sfera psicofisica per effetto, in
via sia pur mediata ed indiretta, di trasfusioni o somministrazioni
di emoderivati.
Un diritto di tal fatta rientra nel novero dei diritti
inviolabili dell’uomo, cui offre presidio per l’appunto l’art. 2
della Cost.
13. – In secondo luogo il parametro di costituzionalita’ e’
quello delineato dall’art. 3 della Cost. sotto il profilo
dell’irragionevolezza.
Il fatto che, come si e’ ricordato sopra, la Costituzione tenga
distinti la convivenza more uxorio ed il rapporto coniugale, piu’
volte affermato dalla Corte costituzionale, non esclude la
comparabilita’ delle discipline riguardanti aspetti particolari
dell’una e dell’altro che possano presentare analogie, ai fini del
controllo della ragionevolezza sotto il profilo dell’art. 3 Cost. (in
questo senso Corte cost. n. 8 del 1996).
L’art. 1, comma 6 della legge 25 luglio 1997, n. 238 e’ diretto
ad apprestare una tutela in favore delle persone legate da un
rapporto di stabile convivenza con il soggetto portatore di una
patologia irreversibile da infezione da HIV, persone che, attraverso
il contatto familiare ed in particolare attraverso il contatto
sessuale, sono esposte al rischio di contrarre a loro volta la
medesima patologia.
Sotto questo aspetto il rapporto di coniugio non si differenzia
in alcun modo dal rapporto di convivenza more uxorio. Se i benefici
di cui alla legge n. 210 del 1992 sono riconosciuti al coniuge, non
vi e’ ragione perche’ li stessi benefici non debbano essere
riconosciuti anche al convivente more uxorio che, per quel che
riguarda la ratio sottesa all’allargamento degli indennizzi di legge,
appare in tutto e per tutto parificabile alla persona legata da
vincolo matrimoniale.
i dubita quindi che la limitazione dei benefici in questione al
solo coniuge violi l’art. 3 della Cost. Per riprendere un passo della
sentenza della Corte costituzionale n. 404 del 1988 l’art. 3 Cost. e’
qui invocato non per la sua portata eguagliatrice, restando comunque
diversificata la condizione del coniuge da quella del convivente more
uxorio, ma per la contraddittorieta’ logica dell’esclusione del
convivente dalla previsione di una norma che intende tutelare
l’abituale convivenza e la dimestichezza dei rapporti tra persone
legate da stretti vincoli affettivi.
P. Q. M.
Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita’ costituzionale dell’art. 1, comma 6 della legge 25
luglio 1997, n. 238, nella parte in cui non prevede che i benefici di
cui alla medesima legge spettano anche al convivete more uxorio che
risulti contagiato da uno dei soggetti di cui all’art. 1 della legge
25 febbraio 1992 n. 210, per contrasto con gli artt. 2 e 3 della
Cost.
Sospende il giudizio in corso;
Dispone l’immediata trasmissione degli atti alla Corte
costituzionale;
Dispone che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia
notificata alle parti ed al Presidente del Consiglio dei ministri e
sia comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
Cosi’ deciso in Trento, il 23 luglio 2004
Il giudice: Benini