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Tuesday 09 November 2004

L’ impugnazione del silenzio-rifiuto al TAR non è ammissibile se il giudice amministrativo non ha giurisdizione sul rapporto sottostante. CONSIGLIO DI STATO – SEZIONE IV – Sentenza 24 novembre 2004 n. 7088

L’impugnazione del silenzio-rifiuto al TAR non è ammissibile se il
giudice amministrativo non ha giurisdizione sul rapporto sottostante.

CONSIGLIO DI STATO – SEZIONE IV –
Sentenza 24 novembre 2004 n. 7088

Pres. Venturini
– Est. Rulli

Piacente (avv. Gallo) c/ Ministero
dell’Interno (Avvocatura Generale dello Stato)

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale

(Sezione Quarta)

ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello n. 3999 del 2004
proposto dal

sig. Emanuele Piacente, rappresentato e
difeso dall’avv. G. Gallo e con lo stesso elettivamente
domiciliato in Roma, Via L. Mantegazza,
n. 24 (c/o cav. L. Gardin);

contro

– il Ministero dell’Interno, in
persona del Ministro in carica,

– il Dipartimento dei Vigili del
Fuoco, del Soccorso Pubblico e della Difesa Civile del Ministero dell’Interno, in persona dei rispettivi rappresentanti in
carica, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i
cui uffici sono ex lege domiciliati, in Roma, Via dei
Portoghesi, n. 12;

per l’annullamento

della sentenza n. 1415 del 18 marzo 2004,
resa inter partes dal
Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, sul ricorso n. 112 del 2004
del registro generale di quel Tribunale, proposto ex art. 21 bis della L. 6 dicembre 1971, n. 1034;

Visto il ricorso con i relativi
allegati;

Visto l’atto di costituzione in
giudizio dell’Amministrazione dell’Interno;

Relatore alla
pubblica udienza del 6 luglio 2004 il Consigliere Dedi
Rulli; udito l’avv. G. Gallo per l’appellante.

Ritenuto in fatto e considerato in
diritto quanto segue:

FATTO

Con ricorso
proposto innanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, il dr. Emanuele Piacente chiedeva una
pronuncia dichiarativa della illegittimità del
silenzio-rifiuto opposto dall’Amministrazione sulla sua istanza di riammissione
in servizio ex art.110, comma 5, del D.Lgs. n. 267 del 18agosto 2000,
inoltrata in data 23 luglio 2003, seguita da atto di diffida e messa in mora
notificato il successivo 4 ottobre dello stesso anno.

Il Tribunale adito ha dichiarato il
gravame inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo
che è sprovvisto di poteri di cognizione in ordine alla
pretesa sostanziale invocata della quale può conoscere solo il giudice
ordinario.

Con atto notificato in data 23 aprile
2004, il dr. Piacente ha impugnato la predetta decisione ritenendola erronea e
lesiva dei propri interessi.

Afferma, in particolare, che il
rimedio giurisdizionale istituito dalla L. n. 205 del 27 luglio 2000 con l’art. 21 bis introdotto nella L. n. 1034 del 6 dicembre 1971, sarebbe
rimedio di carattere generale avverso il silenzio dell’Amministrazione,
valevole erga omnes, che prescinde, come tale, dal
preventivo accertamento della giurisdizione cui è sottoposta la pretesa
sostanziale.

Una sua diversa interpretazione
condurrebbe ad una evidente ipotesi di illegittimità
costituzionale della norma per contrasto con i principi generali di cui agli artt. 3 e 113 dell Costituzione.

Nel merito parte appellante sostiene
la piena fondatezza della pretesa avanzata basata su una corretta lettura della disposizione invocata (art. 110, comma 5, del D.Lgs. n. 267 del 2000) che
consente la riammissione in servizio di quei dipendenti che abbiano
sottoscritto un rapporto di lavoro a tempo determinato, alla scadenza del
contratto e con il solo limite della disponibilità del posto in organico.

L’interessato conclude
chiedendo l’accoglimento dell’appello, la riforma della decisione impugnata con
l’accoglimento del ricorso proposto in primo grado.

Si è costituita l’Amministrazione
intimata.

Nella camera di consiglio del 6
luglio 2004, su richiesta del difensore di parte
appellante, la controversia è stata spedita in decisione.

DIRITTO

1. L’appello è infondato.

Preliminare rispetto ad ogni altra
questione è stabilire la sussistenza o meno della giurisdizione del giudice amministrativo circa la pretesa oggetto del
giudizio proposto innanzi al Tribunale territoriale.

Sul punto il Collegio ritiene che
l’impianto decisorio sviluppato nella decisione in
esame sia da condividere e comunque non viene scalfito
in maniera decisiva dalle deduzioni di parte appellante.

In primo luogo, come correttamente
affermato da quel giudice, la vicenda relativa alla
mancata riassunzione del dr. Piacente, come da lui richiesto, non è conoscibile
dal giudice amministrativo, trattandosi di materia oggi attribuita alla
cognizione del giudice ordinario ai sensi dell’art. 69, comma
7, del D.Lgs. 30 manzo
2001 n. 165 in base al quale “….sono attribuite al
giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, le controversie di cui
all’articolo 63 del presente decreto, relative a questioni attinenti al periodo
del rapporto di lavoro successivo al 30 giugno 1998. Le controversie relative a questioni attinenti al periodo del rapporto di
lavoro anteriore a tale data restano attribuite alla giurisdizione esclusiva
del giudice amministrativo solo qualora siano state proposte, a pena di
decadenza, entro il 15 settembre 2000.”

Né il dichiarato difetto di
giurisdizione può essere aggirato azionando il
meccanismo del silenzio-rifiuto.

Merita adesione, al riguardo,
l’impostazione seguitata dal Tribunale pugliese, secondo cui il rimedio del
silenzio-rifiuto, regolato da ultimo, per gli aspetti processuali, dall’art.
21-bis della legge T.A.R.,
non è esperibile nel caso in cui il giudice amministrativo sia privo di
giurisdizione in ordine al rapporto cui inerisce la
richiesta rimasta inevasa.

Se è vero, infatti, che per certi
versi è riscontrabile la tentazione di configurare l’istituto in questione come
rimedio “di chiusura”, azionabile in qualunque caso di comportamento inerte
della P.A. in seguito alla proposizione di un’istanza
da parte di un privato, non è d’altra parte ipotizzabile una sorta di
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sul silenzio: in mancanza di
univoche indicazioni testuali in senso contrario, l’istituto del silenzio va
letto in continuità con la consolidata tradizione giurisprudenziale, che lo ha
configurato come strumento diretto a superare l’inerzia della P.A.
nell’emanazione di un provvedimento amministrativo, a fronte di una posizione
di mero interesse legittimo in capo al cittadino. Con la conseguenza che in presenza di una posizione di diritto soggettivo correlata
ad un rapporto di pubblico impiego la tutela giurisdizionale è ammissibile recta via in sede esclusiva attraverso una pronuncia di
accertamento.

Conclusione, questa, che rimane
indubbiamente valida anche a seguito della devoluzione della materia al giudice
ordinario (con l’attribuzione al medesimo dei necessari poteri di adottare
“tutti i provvedimenti, di accertamento, costitutivi o
di condanna, richiesti dalla natura dei diritti tutelati” (art. 63, comma 2,
del D. Lgs. n. 165/2001).

E non possono condividersi quelle
deduzioni svolte nell’atto di appello circa la
possibile configurabilità di un vuoto di tutela
censurabile sotto il profilo costituzionale; la soluzione accolta si rivela
pienamente coerente sotto il profilo sistematico, anche perché impedisce di
configurare un’indebita commistione di giurisdizioni diverse sullo stesso
rapporto; commistione che contrasterebbe con l’intento delle recenti riforme
volte a privatizzare il rapporto di lavoro alle dipendenze delle
amministrazioni pubbliche ed a disciplinare di conseguenza, razionalizzandolo,
il relativo sistema di tutela giurisdizionale e, d’altra parte, non può
seriamente affermarsi che il ricorso al giudice ordinario sia strumento privo
di garanzie e di adeguate tutele.

Ed infine giova precisare che detta
chiave di lettura della disposizione invocata non si pone nemmeno in contrasto
con la recente sentenza dell’Adunanza Plenaria di questo Consiglio del 9
gennaio 2002, n. 1, la quale, nel circoscrivere la portata dei poteri del
giudice amministrativo al mero accertamento dell’illegittimità del silenzio, ha
ritenuto, tra l’altro, “determinante che il silenzio
riguardi l’esercizio di una potestà amministrativa e che la posizione del
privato si configuri come un interesse legittimo”. E non vi è dubbio che la
pretesa sostanziale sottesa all’odierno giudizio non si delinea
come una posizione di interesse legittimo.

2. Per le ragioni svolte
il ricorso in appello così come proposto non può trovare accoglimento e
la sentenza impugnata va confermata.

Sussistono motivi per compensare, tra
le parti, le spese e gli onorari del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede
giurisdizionale, Sezione quarta, definitivamente pronunciando, respinge
l’appello in epigrafe e, per l’effetto, conferma la decisione impugnata.

Compensa, tra le parti, le spese e
gli onorari del giudizio.

Ordina che la presente decisione sia
eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, il 6 luglio 2004, in camera di
consiglio, con l’intervento dei seguenti magistrati:

Lucio Venturini – Presidente

Costantino Salvatore – Consigliere

Dedi Rulli – Consigliere, est.

Aldo Scola – Consigliere

Carlo Deodato – Consigliere