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L’ impugnabilità del silenzio rifiuto secondo il Consiglio di Stato. CONSIGLIO DI STATO, SEZ. VI – Sentenza 10 febbraio 2003 n. 672
Limpugnabilità del silenzio rifiuto secondo il Consiglio di Stato
CONSIGLIO DI STATO, SEZ. VI Sentenza 10 febbraio 2003 n. 672 – Pres. Giovannini, Est. Pajno – Solferino (Avv.ti Pellegrini e Buccellato) c. Università degli Studi “G. DAnnunzio” di Chieti, Ministero dellIstruzione, dellUniversità e della Ricerca ed altro (Avv. Stato Rago) – (conferma T.A.R Abruzzo – Pescara, sent. 9 novembre 2000, n. 679).
FATTO
La Sig.ra Solferino Valeria frequentava, nellanno accademico 1996-1997 i seminari tenuti da alcuni collaboratori del Prof. Di Raimondo, docente di Istituzioni di diritto pubblico presso la facoltà di Economia e Commercio di Chieti; la stessa, recatasi a sostenere per la prima volta lesame di Istituzioni di Diritto Pubblico al secondo appello della sessione autunnale, nellottobre del 1997, veniva invitata dal predetto docente a ripresentarsi nella sessione straordinaria del gennaio 1998.
Allappello del 15 gennaio 1998 la Solferino, sosteneva la prima parte dellesame con un cultore della materia, ma il titolare della cattedra, dopo averle rivolto ben sei domande, invitava linteressata a ripresentarsi allappello successivo.
La Solferino, allora, verificata lesattezza delle proprie risposte, si presentava nuovamente al Prof. Di Raimondo, lamentando senza esito la non correttezza della valutazione.
Il 5 giugno 1998 lassistente che aveva esaminato la Sig. Solferino le consigliava di non presentarsi al titolare della cattedra; la studentessa si recava, peraltro, dal Prof. Di Raimondo, il quale faceva presente che la stessa avrebbe rischiato la verbalizzazione della bocciatura se avesse continuato nella propria esposizione.
In data 23-24 aprile 1996 il Prof. Di Raimondo presentava alla Procura della Repubblica di Pescara due esposti-denunce nei confronti della Sig.ra Solferino.
A questultima, presentatasi di nuovo allappello del 10 luglio 1998, veniva impedito di sostenere lesame.
Con atto del 21 ottobre 1999 il Procuratore della Repubblica di Pescara chiedeva al Giudice per le indagini preliminari larchiviazione del procedimento aperto a seguito dei due esposti.
In data 22 febbraio 2000 la Sig.ra Solferino presentava presso il Rettorato dellUniversità di Chieti e presso la Presidenza della Facoltà di Economia e Commercio, richiesta di avvio di procedimento disciplinare nei confronti del Prof. Di Raimondo.
Poiché nessuna risposta giungeva dallAteneo, la interessata diffidava lUniversità degli Studi G. DAnnunzio di Chieti, il Consiglio di Amministrazione della medesima e la Facoltà Economia e Commercio di Pescara ad adottare i provvedimenti di loro competenza sullistanza di avvio di procedimento disciplinare.
Essendo rimasta senza esito la diffida, la Sig.ra Solferino impugnava il silenzio serbato dallAteneo sullistanza con ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale dellAbruzzo Sez. di Pescara. Con sentenza n. 679 del 9 novembre 2000 il Tribunale dichiarava inammissibile il ricorso, osservando che la ricorrente non era legittimata a richiedere lapertura di un procedimento disciplinare a carico di insegnanti dipendenti dellUniversità, sicché la richiesta dellinteressata assumeva la consistenza di un atto di denuncia, al quale non poteva essere collegato un obbligo di provvedere. Il Tribunale riteneva, così, che allUniversità ed ai suoi organi non incombesse alcun onere di dare riscontro alle richieste della ricorrente.
La pronuncia di primo grado è stata, adesso, impugnata dallinteressata, la quale, a sostegno del gravame, ha dedotto che la propria posizione di studentessa la legittimava a proporre allUniversità una denuncia non formale degli avvenimenti di cui la stessa era stata involontariamente partecipe, e che erano stati causati dal Prof. Di Raimondo che, con la proposizione di due esposti-denunce allAutorità Giudiziaria Ordinaria aveva inciso sulla sua posizione giuridica.
Avendo il Prof. Di Raimondo gettato unombra sulla condotta dellinteressata, questultima lecitamente poteva ritenere che il Prof. Di Raimondo non si era attenuto ai propri doveri di docente e pubblico dipendente.
Lappellante non avrebbe mai pensato di costituire un organo preposto allinizio del procedimento disciplinare; la stessa, peraltro, in quanto studentessa dellAteneo, sarebbe stata pienamente legittimata a segnalare disfunzioni e problemi nellesercizio dellattività didattica.
Peraltro, il comportamento del Prof. Di Raimondo si riverberebbe negativamente sulla stessa Università G. DAnnunzio di Chieti.
Le doglianze formulate dallappellante in primo grado parrebbero confermate dalla Relazione rassegnata al C.U.N. dalla Corte di disciplina, istituita nel 1998, dopo un anno di funzionamento.
Sarebbe, così, evidente, lequivoco in cui sarebbe incorso il primo giudice: lesponente, infatti, non avrebbe inteso aprire un procedimento disciplinare ma più semplicemente, segnalare i fatti allUniversità, al fine di far verificare non solo leventuale fondatezza della propria convinzione di essere stata ingiustamente accusata, ma anche se latteggiamento tenuto nei suoi confronti fosse tale da arrecare ulteriore nocumento allo svolgimento delliter accademico. In tale prospettiva, la Risposta del Rettore sarebbe apparsa necessaria, oltre che opportuna.
Si sono costituiti in giudizio il Ministero dellIstruzione, dellUniversità e della Ricerca e lUniversità degli studi G. DAnnunzio di Chieti che, con apposita memoria hanno chiesto il rigetto del gravame. A sua volta, lappellante ha, con memoria, ulteriormente insistito per laccoglimento del gravame.
DIRITTO
1. Deve, innanzitutto, essere ricordato che il Tribunale è pervenuto alla statuizione di inammissibilità del ricorso di primo grado osservando che lodierna appellante, studentessa iscritta presso la Facoltà di Economia e Commercio, non è legittimata a proporre lapertura di un procedimento disciplinare a carico di insegnanti dipendenti dellUniversità, non esistendo alcuna disposizione che le riconosca tale facoltà e potendo, di conseguenza, la richiesta da lei formulata “assumere, tutto al più, mera funzione di atto di denuncia, cui non va collegato alcun obbligo di provvedere”.
In tal modo il primo giudice ha, sostanzialmente negato che sullistanza dellodierna appellante sussistesse lobbligo di provvedere dellUniversità, e non potendo, di conseguenza configurarsi il silenzio rifiuto, ha dichiarato inammissibile il ricorso introduttivo del giudizio.
2. Tale essendo il contenuto della decisione impugnata, lappello proposto dallinteressata appare infondato e deve, di conseguenza essere rigettato.
E noto, infatti, che il ricorso avverso il silenzio-rifiuto è diretto ad accertare la violazione dellobbligo dellAmministrazione di provvedere sulla istanza del privato tendente a sollecitare lesercizio di un pubblico potere, la sussistenza dellobbligo di provvedere e la violazione di tale obbligo in caso di inerzia. Correlativamente, il ricorso avverso il silenzio rifiuto presuppone che lamministrazione sia titolare del potere il cui esercizio venga sollecitato; che il soggetto istante sia titolare di una posizione qualificata che legittimi listanza; che sia stato attivato il procedimento di formulazione del silenzio mediante notifica di apposita diffida con assegnazione di un termine (Cons. Stato, Sez. V, 10 aprile 2002 n. 1970).
Il giudizio sul silenzio rifiuto è, infatti diretto ad accertare se il comportamento silenzioso in concreto tenuto “violi lobbligo dellAmministrazione di adottare un provvedimento esplicito sullistanza del privato”(Cons. Stato, Ad. Plen., 9 gennaio 2002 n. 1).
Per la configurazione di tale “obbligo” dellAmministrazione di adottare un provvedimento esplicito sullistanza del privato appare pertanto, necessario che il soggetto istante sia titolare di una posizione qualificata che legittimi listanza, e cioè che le norme che disciplinano il potere ed il procedimento che regola il suo esercizio assegnino allistante una situazione qualificata e differenziata: come, ad esempio, avviene quando, nellambito del procedimento medesimo, venga affidato ad un soggetto uno specifico potere di proposta, rispetto al quale si configura, quindi, un dovere altrettanto specifico, per lAmministrazione, di prendere in considerazione la proposta, e di rispondere a provvedere in modo esplicito.
Una situazione del genere non si verifica, invece, nel caso in esame. Lodierna appellante, in quanto studentessa dellUniversità degli Studi G. DAnnunzio di Chieti può, infatti, certamente avanzare, in tale qualità, richieste, segnalazioni o istanze al Rettore dellUniversità, ai fini dellesercizio del suo potere disciplinare; ma a tale potere di segnalazione non corrisponde, in capo al Rettore, un obbligo giuridico di adottare provvedimenti espliciti sulla richiesta o sullistanza, la cui presenza soltanto appare idonea a configurare il silenzio-rifiuto, e ciò perché le norme che disciplinano lesercizio del potere disciplinare invocato non prendono in considerazione in modo specifico lattività di denuncia o istanza, ricollegando al suo esercizio un obbligo di esplicita risposta.
3. I profili di doglianza addotti dalla appellante non paiono, daltra parte, idonei a fondere un diverso avviso.
Così è infatti di quello con cui si ricorda che la Sig.ra Solferino sarebbe legittimata a rivolgersi allAmministrazione Universitaria “con una sorta di denuncia non formale” degli avvenimenti dei quali la Sig.ra Solferino sarebbe stata involontariamente partecipe (pag. 4 dellatto di appello): da una parte, infatti, la legittimazione ad inoltrare una “denuncia non formale” allUniversità, non attribuisce, come si è visto, al denunciante una posizione qualificata nellambito del procedimento disciplinare; dallaltra, questultimo non costituisce il luogo o lo strumento di tutela della situazione giuridica della Sig.ra Solferino, eventualmente lesa in conseguenza delle denuncie (in ordine alle quali è stata, peraltro, richiesta larchiviazione) allAutorità Giudiziaria, poste in essere dal Prof. Di Raimondo.
Non sembrano, daltra parte, utilmente richiamati nella fattispecie, i profili riguardanti la presunta violazione, da parte del medesimo Prof. Di Raimondo, dei propri doveri di docente e di pubblico dipendente, o del Codice di comportamento dei dipendenti pubblici. Il presente giudizio riguarda, infatti, esclusivamente, laccertamento dellesistenza di un obbligo specifico dellUniversità di adottare un provvedimento esplicito a seguito della segnalazione della Sig.ra Solferino, e non, invece, la fondatezza della pretesa, e quindi lesistenza, nel merito, di un illecito disciplinare del predetto Prof. Di Raimondo.
4. Le osservazioni sopra esposte evidenziano, altresì, linfondatezza del secondo e del terzo profilo di doglianza, con cui lappellante deduce per un verso, di essere legittimata a segnalare disfunzioni e problemi nellesercizio dellattività didattica, e dallaltra, che apparirebbe “ben poco rispondente” allinteresse dellAteneo il fatto che lautorità Universitaria rimanga inerte nei riguardi della vicenda che ha riguardato la Sig.ra Solferino.
Da una parte, infatti, il potere di segnalare disfunzioni e problemi allUniversità non attribuisce allistante una posizione qualificata nello specifico procedimento disciplinare, che è quello relativo al potere a suo tempo sollecitato dallodierno appellante; dallaltro, loggetto del giudizio sul silenzio rifiuto concerne, esclusivamente laccertamento dellobbligo dellAmministrazione di rispondere, e quindi della legittimità del comportamento silenzioso, ma non implica alcuna valutazione sullopportunità di tale comportamento.
5. Non appare, poi, pertinente alloggetto del giudizio la questione prospettata dallappellante, della c.d. obbligatorietà dellazione disciplinare. Nel caso in esame, infatti, si tratta di stabilire se lUniversità dovesse, o meno, adottare una formale risposta a seguito della segnalazione della Sig.ra Solferino, e non se il Rettore avesse lobbligo di iniziare dopo tale segnalazione, il procedimento disciplinare. La disposizione richiamata dallappellante, (e cioè lart. 59, quarto comma, del d. lgs. n. 29 del 1993), che attribuisce le competenze in ordine alla contestazione degli addebiti, allistruzione del procedimento e alle sanzioni minori allufficio competente ai procedimenti disciplinari, “su segnalazione del Capo della struttura” presso la quale il dipendente lavora, sembra daltra parte escludere che allinizio del relativo procedimento si debba provvedere necessariamente a seguito della segnalazione di un soggetto terzo, diverso dal “capo della struttura”.
Il riferimento alla relazione della “Corte di disciplina” contenuto nellatto di appello, appare, poi, idoneo a mettere in luce lopportunità che le amministrazioni universitarie si attengono scrupolosamente alle disposizioni che regolano lavvio del procedimento disciplinare e la contestazione degli addebiti, ma non è idoneo a correlare allesercizio del potere generale di segnalazione una posizione qualificata allinterno del procedimento disciplinare, nellassenza di una disposizione sul procedimento che provveda in tal senso.
Sotto questo profilo, esattamente è stato osservato che non può essere, nella fattispecie, invocata la disposizione di cui allart. 2 della legge 7 agosto 1990 n. 241, che espressamente correla il dovere di concludere il provvedimento mediante ladozione di un provvedimento espresso al fatto che il procedimento medesimo consegua “obbligatoriamente” ad una istanza: esito, questo, che non si verifica nel caso in esame.
6. Deve, infine, essere osservato che non può indurre ad un contrario avviso il richiamo, operato dallappellante, con la memoria, alla pronuncia n. 1 del 2002 dellAdunanza Plenaria: questa, infatti evidenzia proprio che il giudizio sul silenzio rifiuto è diretto esclusivamente ad accertare se il silenzio serbato dallAmministrazione violi lobbligo di adottare il provvedimento esplicito richiesto con listanza, e non, invece, di pronunciarsi sulla fondatezza della pretesa sostanziale.
A tali principi si è, appunto, attenuto il primo giudice con la sentenza impugnata.
7. In conclusione, lappello deve essere respinto.
La natura della fattispecie induce, peraltro, il Collegio a disporre la compensazione delle spese di lite.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando, respinge lappello in epigrafe, con conseguenziale conferma della impugnata sentenza di primo grado.
Compensa tra le parti le spese processuali.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, il 18 giugno 2002, dal Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale – Sez.VI – nella Camera di Consiglio, con l’intervento dei Signori:
Giorgio GIOVANNINI Presidente
Sergio SANTORO Consigliere
Alessandro PAJNO Consigliere Est.
Lanfranco BALUCANI Consigliere
Rosanna DE NICTOLIS Consigliere
Depositata in segreteria in data 10 febbraio 2003.