Penale
Investire i pedoni, anche se ubriachi, è sempre reato.
Investire i pedoni, anche se
ubriachi, è sempre reato.
Cassazione – Sezione quarta
penale – sentenza 8 maggio – 13 luglio 2007, n. 27740
Presidente Marzano – Relatore
Piccialli
Pm Febbraro – conforme –
Ricorrente Ienni
Fatto e diritto
Ienni Antonio ricorre contro la
sentenza in data 15 giugno 2006, con la quale la Corte di appello
dell’Aquila, in parziale riforma della sentenza di primo grado sostituiva la
pena dell’arresto inflitta per il reato di guida in stato di
ebbrezza ex art. 186, commi 1 e 2, codice della strada, con la sanzione
pecuniaria di euro 1000, confermando il giudizio di responsabilità per il reato
di omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme sulla circolazione
stradale e la relativa pena statuita dal giudice di primo grado (fatto avvenuto
in data 14.11.2002).
Sui motivi di appello, diretti ad
ottenere l’assoluzione nel merito dell’imputato, sul duplice rilievo
dell’asserito comportamento colposo del pedone, che procedeva barcollando ed in
stato di alterazione, e della affermata mancanza di prove che la velocità
dell’autovettura fosse superiore a quella consentita, la Corte ne argomentava
l’infondatezza, osservando che lo stesso imputato aveva ammesso di aver notato
la vittima percorrere il margine della strada con andatura barcollante e che,
pertanto, essendo prevedibile anche una improvvisa deviazione del pedone, la
condotta di guida dello Ienni si palesava con evidenza inadeguata alla
situazione concreta e colposa.
Veniva
altresì dato atto anche del concorso di colpa della vittima senza stabilirne
però l’incidenza.
Avverso la sentenza, propone
ricorso l’imputato che articola tre distinti motivi di doglianza.
Con il primo prospetta la
violazione di legge in ordine al giudizio di prevedibilità ed evitabilità dell’evento,
non essendo imputabile allo Ienni alcun profilo di colpa specifica né generica.
Sotto il primo profilo, si
sostiene che l’imputato non aveva violato la norma
precauzionale prevista dall’art. 142 del codice della strada, emergendo dalla
stessa sentenza che al momento dell’investimento l’autovettura osservava il
limite di velocità di 50 Km
orari né quella di cui all’art. 141 dello stesso codice, che, nell’imporre al
conducente di regolare la velocità al fine di arrestare tempestivamente il
mezzo, avrebbe riferimento esclusivamente agli eventi prevedibili tra i quali
non poteva certamente rientrare la condotta della vittima.
Parimenti, nessun profilo di
colpa generica sarebbe imputabile allo Ienni, essendo del tutto imprevedibile
l’improvviso attraversamento del pedone.
Con il secondo motivo denuncia la
manifesta illogicità della motivazione laddove i giudici di appello affermano
la facile prevedibilità dell’attraversamento da parte del pedone, così
applicando un giudizio non giustificato sulla base di massime di esperienza
generalmente riconosciute. La contraddittorietà della sentenza emergerebbe
anche dalla circostanza che la stessa Corte di appello ha dato atto che
l’imputato tentò, pur se invano, di porre in essere una cd. manovra di
emergenza. Inoltre, in assenza di una consulenza cinematica sull’autovettura,
il giudice di merito non aveva a disposizione elementi probatori sufficienti a
fondare il giudizio di responsabilità dello Ienni, non potendosi escludere
logicamente che il cd. comportamento alternativo lecito non sarebbe valso ad
impedire l’investimento del pedone.
Con il terzo motivo denuncia
l’erronea interpretazione dell’art. 133 c.p., avendo i
giudici del merito inflitto una pena (mesi cinque di reclusione per l’omicidio
colposo) non commisurata ai fatti ed alla personalità dell’imputato,
incensurato.
Il ricorso è infondato.
I primi due motivi strettamente
connessi, meritano trattazione congiunta, vertendo tutti sull’assenza di colpa
dell’imputato a fronte del comportamento gravemente colposo del pedone.
Prima di procedere all’esame dei
motivi, appare opportuno soffermarsi sui principi più volte affermati dalla
giurisprudenza di legittimità in ordine agli obblighi gravanti sul conducente.
In primo luogo, il conducente è
tenuto a vigilare al fine di avvistare il pedone.
L’avvistamento del pedone implica
la percezione di una situazione di pericolo, in presenza
della quale ogni conducente è tenuto a porre in essere una serie di
accorgimenti (in particolare, moderare la velocità e, all’occorrenza, arrestare
la marcia del veicolo), al fine di prevenire il rischio di un investimento.
Circa i doveri di attenzione del
conducente tesi ad avvistare il pedone, si è sottolineato che grava sul
conducente l’obbligo di ispezionare continuamente la strada che sta per
impegnare, mantenendo un costante controllo del veicolo in rapporto alle
condizioni della strada stessa e del traffico e di prevedere tutte quelle
situazioni che la comune esperienza comprende, in modo da non costituire
intralcio o pericolo per gli altri utenti della strada (v. Sez IV, 2 marzo
2007, Basta; 23 gennaio 2007, Tassi e 13 ottobre 2005, Tavoliere).
Al fine di escludere la
responsabilità del conducente è, perciò, necessario che lo stesso sia trovato,
per motivi estranei ad ogni suo obbligo di diligenza, nella oggettiva
impossibilità di avvistare il pedone e di osservarne i movimenti, attuati in
modo rapido ed inatteso; occorre, inoltre che nessuna infrazione alle norme
della circolazione stradale ed a quelle di comune prudenza sia riscontrabile
nel suo comportamento (v. le citate sentenze Sez. IV).
Alla luce di tale premessa,
ritiene il Collegio che la sentenza impugnata sia
esente da vizi logico-giuridici.
I giudici dell’appello all’esito
della valutazione degli elementi acquisiti, hanno ritenuto di attribuire
rilievo nel determinismo causale dell’evento alla imprudenza e negligenza
dell’imputato, il quale, pur avendo avvistato il pedone (il quale, come ammesso
dallo stesso imputato, percorreva il margine della strada con andatura
barcollante), non ovviava alla situazione di pericolosità, arrestando
l’autovettura o riducendo la velocità, in modo da rendere possibile l’arresto
in caso di improvvisa invasione della carreggiata da parte di persona, che,
come rilevato dalla Corte di merito manifestava segni di non adeguato controllo
della propria persona.
La Corte di merito ha, inoltre
escluso, anche questa volta con motivazione esente da censure, che il
comportamento della vittima nell’attraversamento fosse
qualificabile come repentino ed improvviso, e come tale, idoneo ad escludere la
responsabilità dello Ienni, avendo avuto l’imputato la possibilità di avvistare
il pedone e di osservarne tempestivamente i movimenti.
Ad analoga conclusione i giudici
di secondo grado pervenivano con riferimento alla vana manovra di deviazione
dell’autovettura verso destra, posta in essere dal guidatore per schivare il
pedone, il cui asserito arresto al centro della strada – peraltro indimostrato
– è stato legittimamente ritenuto irrilevante, a fronte del comportamento
gravemente imprudente del guidatore.
Il giudizio espresso sul punto
attiene al merito dei fatti e non è sindacabile in sede di legittimità perché
frutto di un apprezzamento delle emergenze processuali in ordine alla condotta
di guida del ricorrente, ai profili di colpa in essa
ravvisati e alla loro incidenza sotto il profilo causale, del quale è stata
data congrua e coerente giustificazione.
Infondata è anche la censura
relativa all’erronea applicazione dell’art. 133 c.p.,
con riferimento al trattamento sanzionatorio applicato. È decisiva, in tal
senso, la considerazione che la facile prevedibilità dell’attraversamento del
pedone come correttamente rilevato dalla corte di merito, implica un grado di
colpa del ricorrente, in relazione al quale la pena inflitta è certamente
adeguata, essendo, oltretutto, prossima ai minimi edittali.
Al rigetto del ricorso consegue
la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
PQM
La Corte Suprema di
cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.