Lavoro e Previdenza
Intermediazione di manodopera giornalistica e presenza degli elementi tipici del lavoro subordinato. Un’ interessante sentenza della Suprema Corte. Cassazione.-.Sezione lavoro.-.sentenza 22 maggio 29 agosto 2003, n.12664
Intermediazione di manodopera giornalistica e presenza degli elementi tipici del lavoro subordinato. Uninteressante sentenza della Suprema Corte
Cassazione.-.Sezione lavoro.-.sentenza 22 maggio 29 agosto 2003, n.12664
Presidente Dangelo.-.relatore De Matteis
Pm Finocchi Ghersi.-.conforme
Ricorrente Edime Spa
Svolgimento del processo
Con ricorso congiuntamente proposto, depositato 1’11.3.96, i giornalisti Giuseppe Lopez, Mario Barbi, Madina Fabretto, Paola Emilia Cicerone, Daniele Vulpi, Ibrahim Refat, Gianna Pontecorboli, hanno chiesto al Pretore del Lavoro di Roma l’accoglimento delle seguenti domande: A) dichiarare che i ricorrenti hanno lavorato fino al gennaio 1996 allle dipendenze della EDIME S.p.A., EDISUD SPA., Domenico Sanfilippo S.p.A., con l’illecita interposizione della Quotidiani Associati s.r.l; B) dichiarare inefficaci, invalidi e nulli i licenziamenti intimati ai ricorrenti dalla Quotidiani Associati; C) ordinare alle tre società interponenti in solido di reintegrare i ricorrenti nel posto di lavoro e di corrispondere loro la relativa retribuzione;
D) condannare le convenute in solido a corrispondere ai ricorrenti, anche a titolo di risarcimento del danno, la retribuzione relativa al periodo dalla data del licenziamento a quella della reintegra, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali.
Con successivo ricorso depositato in data 19/8/1996, il Lopez ha chiesto nel confronti della Quotidiani Associati s.r.l., della EDI.ME S.p.A., della EDISUD S.p.A. e della Domenico Sanfilippo S.p.A. l’accoglimento delle seguenti domande:
A) condannare le convenute Quotidiani Associati s.r.l., EDIME s.p.a., EDISUD s.p.a. e Domenico Sanfilippo S.p.A., in solido, al pagamento in favore del ricorrente per differenze retributive, ovvero indennità e compensi relativi all’attività amministrativa svolta nel periodo 1.6.90-19.1.96, della somma di lit. 163.264.302, ovvero del diverso importo che riterrà di giustizia, anche ex art. 36 Cost.,. oltre rivalutazione monetaria ed interessi di legge;
B) dichiarare che l’importo per differenze retributive di cui sub A) deve essere incluso nella retribuzione base ai fini del calcolo di quanto spettante al ricorrente per TFR, C) condannare la EDISUD s.p.a. ad adibire il ricorrente alle mansioni di Vice Direttore della Gazzetta del Mezzogiorno ed a corrispondergli anche a titolo di risarcimento del danno la relativa retribuzione in misura di lit. 744.615.385 per il periodo dal 15.9.1993 al 31.7.1996 e di lit. 20.000.000 mensili per il successivo periodo sino alla data della pronunzia dell’emananda sentenza;
D) condannare la EDISUD s.p.a. al pagamento in favore del ricorrente a titolo di risarcimento del danno per la mancata nomina a Direttore de La Gazzetta del Mezzogiorno della somma £ 500.000.000 o del diverso importo che riterrà secondo giustizia, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali.
Il giudizio iniziato con il ricorso individuale è stato riunito a quello precedente promosso congiuntamente.
Il Tribunale di Roma, quale giudice del lavoro monocratico di primo grado, con sentenza in data 21 settembre/9 ottobre 1999 n. 14552, ha deciso come segue: “Dichiara che i ricorrenti hanno lavorato alle dipendenze della Edi.me S.P.A., della Edisud S.p.A. e della Domenico Sanfilippo S.p.A. con l’illecita interposizione della Quotidiani Associati s.r.l. e dichiara l’inefficacia dei licenziamenti intimati agli stessi ricorrenti. Per l’effetto condanna le società convenute in solido a reintegrare le stesse parti attrici nel posto di lavoro e a corrispondere loro tutte le retribuzioni calcolate ex contratto collettivo giornalisti secondo la rispettiva qualifica, oltre interessi legali. Condanna inoltre le società resistenti in solido a pagare le somme (determinate per ciascun ricorrente). Condanna inoltre la Edisud ad adibire Lopez Giuseppe alle mansioni corrispondenti alla qualifica di vice direttore e a corrispondergli, a titolo di risarcimento del danno, la retribuzione di lit. 150.000.000 annui per il periodo 15.9.1993-31.7.1996, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali. Respinge ogni altra domanda. Condanna le società convenute in solido a pagare le spese processuali liquidate in complessive 35 milioni.
Il Tribunale di Roma, decidendo quale giudice d’appello, provvedendo sugli appelli delle tre società riuniti, e sull’ appello incidentale della Pontecorboli (relativo alla indennità di residenza ed altre spese inerenti al suo incarico di corrispondente da New York), con sentenza in data 25.10.2001- 21.1.2002 n. 2044, ha così deciso “Accoglie l’appello proposto dalla Edisud Spa nei confronti di Lopez Giuseppe in ordine al capo della domanda relativo alla adibizione dello stesso alle mansioni di Vice Direttore ed al conseguente risarcimento dei danni, specificando che la posizione del Lopez è da intendersi regolata, comunemente agli altri lavoratori appellati, dal primo capo della sentenza impugnata.
Rigetta l’appello incidentale della Pontecorboli.
Accoglie l’appello incidentale proposto dagli ulteriori lavoratori e per l’effetto condanna le tre società appellanti, in solido, a pagare la rivalutazione monetaria sulle somme attribuite dal Pretore, dalle singole scadenze al saldo. Compensa le spese del grado in relazione alla posizione del Lopez. Condanna le appellanti società, in solido, al pagamento delle spese processuali nei confronti dei lavoratori appellati, liquidate in complessive £. 5.500.000″.
Il giudice d’appello, ampiamente illustrati i criteri interpretativi adottati della Legge 23 ottobre 1960, n. 1369, ed illustrate le circostanze di fatto provate in causa, ha ritenuto che queste integrassero una intermediazione vietata di manodopera.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per Cassazione la Edime s.p.a., con cinque motivi, con atto notificato il 19.6.2002.
Si sono costituiti con controricorso la Domenico Sanfilippo Editore S.p.A., la Edisud s.p.a., Lopez Giuseppe, Mario Barbi, Madina Fabretto, Paola Emilia Cicerone, Daniele Vulpi, Ibrahim Refat, Gianna Pontecorboli.
Hanno altresì proposto ricorso incidentale il Lopez e la Pontecorboli.
Le tre società editrici ed il gruppo Fabretto hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Motivi della decisione Con il primo motivo la ricorrente principale Edime, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 1 Legge 23 ottobre 1960, n. 1369; 1655, 1662, 1665 Cod. Civ.; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia (art. 360, nn. 3 e 5 c.p.c.), contesta i principi giuridici posti a base della sentenza impugnata e la loro applicazione al caso concreto.
Il motivo è fondato.
La sentenza impugnata ha accertato che le società Edime, Edisud e Domenico Sanfilippo S.p.A., editrici di giornali quotidiani nel Mezzogiorno, hanno costituito la società Quotidiani Associati, con apporto di capitale in misura diversificata, al fin di garantire la fornitura di servizi giornalistici per le tre testate da loro edite. La nuova società costituita aveva una propria sede, disponeva di mezzi di produzione propri e si avvaleva di giornalisti, coordinati e diretti dal direttore Lopez (cfr. sentenza pag. 5). La struttura societaria era invece costituita da un Consiglio di amministrazione composto da rappresentanti delle società proprietarie.
Un primo dato risulta dunque acquisito: la Quotidiani Associati era una società con propria organizzazione di impresa.
E’ ben vero che è possibile anche per un imprenditore genuino, provvisto dunque di una propria struttura organizzativa e finanziaria, assumere la veste di intermediario di manodopera limitatamente ad una parte più o meno cospicua della sua attività (Cass. Sez. Un. 21.3.1997 n. 2517; Cass. 2.3.1999 n. 4046; Cass. 12.3.1996 n. 2014), ed è altrettanto pacifico che il momento genetico della fattispecie interpositoria può anche essere successivo a quello della costituzione del rapporto di lavoro; tuttavia, nel caso di specie, la sentenza impugnata non assume né una distinzione tra l’organizzazione d’impresa, in sé genuina, della Quotidiani Associati ed il servizio fornito alle tre società editrici dei quotidiani, né un’evoluzione funzionale del servizio reso verso una intermediazione vietata di manodopera, bensì identifica questo, fenomeno nel modo di operare proprio della Quotidiani Associati.
Si deve al riguardo osservare che la tipologia degli appalti, vietati oppure consentiti, dalla Legge 23 ottobre 1960, n. 1369 si desume non solo dall’art. 1, commi 1 e 3, che pone il principio generale del divieto di appalti di mera manodopera, ma anche dagli artt. 3 e 5, i quali, nel dettare la disciplina degli appalti leciti, forniscono utili criteri tipologici interpretativi di quelli illeciti. L’art. 3 non è dunque una norma derogatoria del principio generale dell’art. 1, ma nel momento in cui rafforza la tutela dei dipendenti dell’appaltatore negli appalti leciti, indirettamente delimita il perimetro di quelli illeciti.
In particolare, dal carattere esemplificativo (” … compresi…”) dei servizi menzionati al comma 1 (facchinaggio, pulizia e manutenzione ordinaria degli impianti), ed in relazione alla tecnologia prevalentemente manuale di tali servizi al tempo dell’emanazione della legge, si desume la liceità di appalti di servizi espletabili prevalentemente con mera attività manuale o personale.
Tale interpretazione è confortata dal comma 2 dell’art. 3, il quale menziona appalti, identificati dalla norma stessa, che normalmente sono svolti con la sola forza lavoro, senza l’ausilio di macchine, come la esazione o la lettura dei contatori.
In tali ipotesi, l’attività lecita dell’appaltatore risiede nella mera organizzazione della forza lavoro per lo svolgimento di mansioni puramente manuali, unitamente alla fornitura di una professionalità specifica che, in un mondo produttivo sempre più complesso, sofisticato e concorrenziale, può consistere anche nella capacità di gestione di tali attività apparentemente elementari, ma che richiedono conoscenza approfondita delle modalità operative, esperienza del mercato, degli strumenti anche di consumo eventualmente necessari (come negli appalti di pulizia), ed ormai, quasi universalmente, supporti informatici di gestione.
La complessità evolutiva sopra cennata consente dunque che il ciclo produttivo dell’imprenditore sia frazionato con molteplici strumenti giuridici, che vanno dalla produzione diretta mediante lavoro dipendente, al contratto di fornitura da imprese terze di semilavorati o parti staccate del prodotto finale, o con lavoratori autonomi, appalti di servizi, lavoratori a domicilio etc.
L’ art. 3, comma 1, consente dunque l’appalto di servizi; il discrimine fondamentale tra appalto vietato e appalto lecito, ai sensi della L. 1369, è quello della nozione di servizio.
L’art. 3 raziona i servizi appaltabili secondo un criterio insieme soggettivo ed oggettivo; la appaltabilità di servizi a prevalente prestazione personale (ritenuta lecita sulla base dell’analisi interpretativa fin qui svolta) fa emergere, quale criterio di liceità, l’autonomia gestionale dell’appaltatore che si esplica non nella determinazione delle caratteristiche del prodotto, riservate al committente, ma nella conduzione aziendale, nella direzione del personale, nella scelta delle modalità e dei tempi di lavoro (Cass. 2014/1996 cit.). Ma tale criterio evidentemente soggettivo, perché riferito alla capacità imprenditoriale dell’appaltatore, si coniuga con un criterio oggettivo, perché l’autonomia gestionale può esplicarsi solo in relazione a mansioni appaltate suscettibili di costituire un servizio in sé compiuto ed autonomo, e cioè un complesso di operazioni costituenti una sezione del processo produttivo esperibile autonomamente dall’appaltatore, nella organizzazione complessa dell’ appaltante.
In altre parole ancora, perché si abbia appalto lecito, occorre che l’intervento direttamente dispositivo e di controllo delle strutture gerarchiche dell’ appaltante si esplichi sulla attività dell’appaltatore e non sulle persone da questo dipendenti. Come già statuito da questa Corte, l’appalto illecito da parte di impresa appaltatrice si verifica quando l’intera gestione dei rapporti di lavoro sia stata completamente affidata all’impresa appaltante (Cass. 4046/1999 cit.).
Orbene, nel caso di specie, il giudice d’appello ha ritenuto che costituisca intermediazione vietata di manodopera il modo di operare dei giornalisti della Quotidiani Associati che così descrive:
“il lavoro dei giornalisti formalmente alle dipendenze della Quotidiani Associati veniva deciso in costante collegamento e rapporto con le segreterie di redazione dei tre giornali associati. Intorno alle 10-10,30 di ogni giorno si svolgeva una prima riunione di redazione (scilicet presso la Quotidiani Associati) e venivano individuati dei possibili argomenti su cui scrivere dei “pezzi”; successivamente la Quotidiani entrava in contatto telefonico con le redazioni dei singoli giornali (i tre editi dalle società appellanti) e sulla base degli argomenti già individuati e delle ulteriori esigenze rappresentate dalle singole testate, venivano decisi da queste ultime gli articoli da scrivere. Ciò avveniva intorno a mezzogiorno, e comunque precedentemente alla riunione di redazione delle testate, per fornire alle stesse una scaletta di massima degli articoli da inserire nei rispettivi giornali. Successivamente, al termine di dette riunioni, si sviluppavano ulteriori contatti per ottenere le definitive indicazioni dei pezzi scelti dalle redazioni.
Ciascun pezzo pubblicato non riportava mai la indicazione della fonte di provenienza (la Quotidiani Associati), ma appariva con il semplice nome del redattore, al pari dei pezzi scritti dai redattori dipendenti dalle singole testate. Anche di domenica venivano utilizzati i dipendenti della Quotidiani per scrivere pezzi sportivi relativi ad eventi svoltisi a Roma. I singoli articoli venivano in prevalenza dettati o inviati alla redazione della Gazzetta del Mezzogiorno, la quale aveva il compito di ritrasmetterli alle altre due testate, svolgendo, in tal modo, un compito di coordinamento e di capofila per i tre giornali.
I pezzi pubblicati non venivano pagati singolarmente alla Quotidiani Associati; infatti sulla base di un contratto stipulato con le singole società “proprietarie”, veniva erogata una sorta di abbonamento o pagamento forfettario, determinato, sulla base non già del lavoro effettivamente svolto dalla società di servizi, ma della quota di partecipazione di ciascuna società editrice al capitale azionario della Quotidiani.
Il Direttore della Quotidiani Lopez svolgeva compiti di coordinamento del lavoro dei redattori interni, i quali peraltro per tutti gli aspetti connessi alla scelta e preparazione dei singoli pezzi tenevano rapporti direttamente con i capo redattori delle singole testate. E’ infatti risultato (teste Erbani), che per la parte culturale il riferimento era costituito dal capo redattore dei servizi culturali della Sicilia, Salvatore Scalía . Per tale tipologia di articoli, in aggiunta alla decisione quotidiana dei pezzi da scrivere, veniva elaborato un programma settimanale, poi offerto ai tre giornali per le opportune determinazioni del materiale da pubblicare”.
Nella descrizione riportata, sono presenti elementi che denotano chiaramente una organizzazione di impresa, quali l’esistenza di “propri ed autonomi dipendenti e mezzi di produzione”, la riunione di redazione, il programma settimanale, il coordinamento e la direzione dei giornalisti della Quotidiani Associati da parte del Lopez, la destinazione al mercato (per circa il 20% dell’ammontare dei servizi, mentre l’80% era destinato alle testate associate: pag. 8 e 9 sentenza impugnata); mentre per altri, costituiti essenzialmente dai rapporti dei giornalisti della Quotidiani Associati con le testate associate (“per tutti gli aspetti connessi alla scelta e preparazione dei singoli pezzi”), il giudice d’appello non ha sufficientemente chiarito la sussistenza dell’elemento caratterizzante la intermediazione vietata di manodopera nel caso di rapporti tra imprese, e cioè se l’appaltante (società editrice della testata) svolgesse un intervento direttamente dispositivo e di controllo sulle persone dipendenti dell’appaltatore del servizio (Quotidiani Associati). Se cioè l’intervento delle testate fosse limitata alla scelta del prodotto (l’articolo), o fosse più penetrante ed attenesse alle modalità di svolgimento della prestazione. Peraltro dalla sentenza impugnata non risulta alcuna ingerenza delle testate nell’assegnazione delle mansioni, dei pezzi, delle sedi ai singoli giornalisti. Infatti, come chiarito supra, un coordinamento di attività sussiste anche tra committente di un servizio e suo esecutore, senza che tale coordinamento comporti necessariamente subordinazione del secondo al primo.
Ed il carattere affievolito della subordinazione nel lavoro giornalistico non comporta automaticamente una espansione della nozione di intermediazione vietata di manodopera.
La motivazione della sentenza impugnata affermativa della intermediazione vietata di manodopera è fondata essenzialmente sulla natura dei rapporti tra redattori delle testate e redattori della Quotidiani Associati, e sulla struttura finanziaria di quest’ultima società. Sul primo argomento si è già detto, sul secondo non è sufficiente il sistema di finanziamento della Quotidiani Associati tramite abbonamento, tipico delle agenzie di stampa, per escludere l’autonomia patrimoniale di tale società.
La sentenza impugnata va pertanto cassata, e la causa rimessa alla Corte d’ Appello di L’Aquila, che la deciderà attenendosi al seguente principio di diritto: “Ove venga prospettata una intermediazione vietata di manodopera nei rapporti tra società dotate entrambe di propria genuina organizzazione di impresa, il giudice del merito deve accertare se la società appaltante svolga un intervento direttamente dispositivo e di controllo sulle persone dipendenti dell’appaltatore del servizio, non essendo sufficiente a configurare la intermediazione vietata il mero coordinamento necessario per la confezione del prodotto”.
L’accoglimento del primo motivo assorbe: a) il secondo motivo, con cui la ricorrente principale Edime, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 1 Legge 23 ottobre 1960, n. 1369, 2094, 1292, 1294 cod.civ. (art. 360, n. 3 c.p.c.), censura la sentenza impugnata nella parte in cui imputa la titolarità dei rapporti di lavoro dei dipendenti di Q.A. a tutte e tre le società committenti e, quindi, indirizza l’ordine di reintegrazione nel posto di lavoro a carico delle tre società, in via solidale; b) il quarto motivo, con cui la stessa ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 1 Legge 23 ottobre 1960, n. 1369, 2247 cod. civ.; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia (art. 360, nn. 3 e 5 c.p.c.), censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso il perseguimento dello scopo di lucro, elemento essenziale delle società ex art. 2247 c.c, per il solo fatto che la somma degli abbonamenti effettuati dalle società appaltanti a fronte dei servizi forniti, forfetaria e non commisurata aliutilizzo degli stessi nonché “pressoché” pari ai costi complessivamente sostenuti dalla appaltatrice Quotidiani Associati; c) il quinto motivo, con cui la stessa ricorrente, deducendo omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia (art. 360, n. 5 c.p.c.) censura la sentenza impugnata, in via subordinata, anche nella parte in cui accomuna le posizioni delle tre società editrici senza operare alcuna differenziazione fra di loro e per di più con una motivazione insufficiente e contraddittoria. Dovendo il giudice del rinvio riesaminare tutta la vicenda relativa alla intermediazione vietata di manodopera, risultano assorbiti anche: d) il terzo motivo, con cui la ricorrente principale, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363 nella interpretazione degli artt. 2, 5, 6, 11, 12 e 36 contratto collettivo giornalisti, 2094 cod. civ; 45 L. 69/1963; omessa, insufficiente e contradditoria motivazione su punto decisivo della controversia (art. 360, nn. 3 e 5 c.p.c.) censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato per Fabretto, Cicerone, Barbi, Refat, Vulpu e Pontecorboli e le qualifiche rispettivamente riconosciute; e) il ricorso incidentale con cui la Pontecorboli, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 429, 3° comma, c.p.c., nonché dell’art. 22, comma 36, Legge 23 dicembre 1994, n. 724 (art. 360, n. 3 c.p.c.); motivazione insufficiente e contraddittoria in ordine a punti decisivi della controversia (art. 360, n. 5 c.p.c.), censura la sentenza impugnata nella parte in cui non le ha riconosciuto la rivalutazione monetaria sui crediti di lavoro riconosciuti; infatti l’obbligo di pagare la rivalutazione monetaria presuppone l’obbligo di pagare le differenze retributive.
Con unico motivo il ricorrente incidentale Lopez, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 1321, 1325, 1326 2103 cod.civ.; motivazione insufficiente e contraddittoria in ordine a punti decisivi della controversia (art. 360, n. 5 c.p.c.), censura la sentenza impugnata nella parte in cui, in accoglimento dell’appello proposto dalla Edisud spa, ha riformato la precedente condanna della Edisud S.p.A. ad adibirlo alle mansioni corrispondenti alla qualifica di vice Direttore e a corrispondergli, a titolo di risarcimento, la retribuzione di L. 150.000.000 annui per il periodo 15.9.93/1.7.96, oltre rivalutazione ed interessi come per legge.
Contesta che le circostanze emerse dalle prove testimoniali raccolte non siano sufficienti a dimostrare l’accordo intercorso tra le parti per il conferimento al Lopez della qualifica di Vice direttore della Gazzetta del Mezzogiorno a decorrere dal 15/9/1993.
Il motivo è infondato.
Esso si risolve in una diversa valutazione della prova testimoniale (teste Maffia). Secondo la sentenza impugnata, le circostanze riferite dal teste – incontro tra il Lopez e gli amministratori della Edisud, intenzione in esso manifestata di conferirgli l’incarico di Vice Direttore proposto alla redazione romana della Gazzetta del Mezzogiorno – non sono sufficienti a provare che in tale incontro si sia perfezionato un contratto di lavoro, perché le circostanze riferite sono prive dei contenuti utili ad individuare un siffatto contratto.
Né le censure del ricorrente inficiano il ragionamento del giudice d’appello.
Esso va pertanto respinto. Sussistono giusti motivi per compensare le relative spese processuali.
P.Q.M.
riunisce i ricorsi, accoglie il primo motivo del ricorso principale; rigetta il ricorso incidentale del Lopez, compensando le relative spese processuali. Dichiara assorbita ogni altra questione. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’ Appello di L’Aquila.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro, il 22 maggio 2003.
Il Presidente
Il Consigliere Estensore