Penale

Friday 12 September 2003

Insider trading. Per il Tribunale di Siracusa ci sono dubbi di costituzionalità . N. 658 ORDINANZA (Atto di promovimento) 10 giugno 2003.

Insider trading. Per il Tribunale di Siracusa ci sono dubbi di costituzionalità

N.   658   ORDINANZA (Atto di promovimento) 10 giugno 2003.

Ordinanza emessa il 10 giugno 2003 dal tribunale di Siracusa nel procedimento penale a carico di

Ciancio Sanfilippo Mario ed altri

Reati e pene – Intermediazione finanziaria – Abuso di informazioni privilegiate

Criteri per stabilire quando la condotta incriminata influisca «sensibilmente» sul prezzo dei titoli

– Mancata previsione

– Violazione del principio di uguaglianza per il potere del tutto discrezionale conferito al giudice sulla valutazione della sussistenza del reato

– Violazione del principio di tassativita’ delle fattispecie criminose. – Decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, art. 180. – Costituzione, artt. 3 e 25, comma secondo. Reati e pene

– Intermediazione finanziaria – Abuso di informazioni privilegiate – Trattamento sanzionatorio – Previsione di una pena superiore rispetto a quella indicata nella legge di delega

– Eccesso di delega. – Decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, art. 180. – Costituzione, art 76. In alternativa alla precedente questione. Reati e pene – Intermediazione finanziaria – Reato di abuso di informazioni privilegiate – Legge di delega – Determinazione del quantum di pena per le violazioni omogenee e di pari offensivita’ rispetto a quelle gia’ disciplinate da leggi vigenti – Mancata previsione – Violazione del principio di tassativita’ delle fattispecie penali – Eccesso di delega. – Legge 6 febbraio 1996, n. 52, art. 3, comma 1, lett. c). – Costituzione, artt. 25, comma secondo e 76. (GU n. 36 del 10-9-2003)

Nel  processo  che  vede  imputato  Ciancio Sanfilippo Mario piu’

altri per il reato di cui all’art. 180 primo, secondo, terzo e quarto

(c.d.  insider  trading), decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58

(testo  unico  dei  mercati finanziari) – che ha dato attuazione alla

legge  delega  n. 52/1996  –  la  difesa  ha  sollevato  eccezione di

legittimita’ costituzionale dell’art. 3 lett. c) di tale legge delega

e  del  detto  art. 180  per  violazione  degli  articoli 3, 25 comma

secondo e 76 della Costituzione.

Sulle  predette eccezioni di costituzionalita’ il giudice osserva

quanto segue.

Sotto   un   primo   profilo,  la  difesa  ha  rilevato  come  la

compatibilita’  della legislazione in materia penale con il principio

di  riserva assoluta di legge di cui all’art. 25, secondo comma e con

l’art. 76  della  Costituzione  e’  subordinata  alla presenza, nella

legge  delega,  di  «indicazioni  cosi’  dettagliate e precise da far

considerare   l’attivita’   di   Governo   come   un’opera  meramente

esecutiva».   Nel   caso   in   esame,   ritiene   la  difesa,  detta

compatibilita’  non sussiste in quanto non puo’ essere considerata in

linea  col  principio  di  legalita’  una  legge  delega  –  quale la

n. 52/1996  –  che all’art. 3 lett. c) prevede che le sanzioni penali

possono   essere   previste   «per   assicurare   l’osservanza   alle

disposizioni   dei   decreti  legislativi»,  senza  specificare  tali

disposizioni  e  le  relative  condotte. Da cio’ consegue che unico e

vero  arbitro della scelta delle condotte punibili e’ stato il potere

esecutivo, in contrasto con il principio della riserva di legge.

Un  altro  profilo per il quale la difesa eccepisce la violazione

dell’art. 25,  secondo  comma,  Cost. attiene al mancato rispetto del

principio   di   tassativita’   della  fattispecie  penale.  Infatti,

l’art. 180,    comma   terzo,   t.u.m.f.   definisce   l’informazione

privilegiata come «l’informazione specifica di contenuto determinato,

di  cui il pubblico non dispone che, se resa pubblica, sarebbe idonea

ad  influenzare  sensibilmente   il  prezzo»  sostiene  la difesa che,

l’impossibilita’  ci  stabilire  ex  ante  quando un’informazione sia

idonea  ad  influenzare  «sensibilmente»  il prezzo dei titoli, anche

tenuto  conto  che la domanda e l’offerta sono stimolate non soltanto

da  autonome  operazioni  ma  anche dal normale flusso del risparmio,

dalla   congiuntura   economica   e   da  molteplici  vicende  spesso

imprevedibili,   impedisce  ai  destinatari  delle  norme  penali  di

orientare   i  propri  comportamenti  conoscendo  preventivamente  le

conseguenze degli stessi.

Ulteriore   profilo   per   cui   si  eccepisce  la  legittimita’

costituzionale dell’art. 180, t.u.m.f., con riferimento agli articoli

25,  secondo  comma, e 76 Cost., discende dall’art. 3, comma lett. c)

della legge delega. A tal proposito la difesa rileva che il principio

di  riserva assoluta di legge non riguarda solo la determinazione del

precetto  normativo,  ma  anche  il  profilo  attinente  alla pena da

infliggere, in ossequio al principio nulla poena sine lege. L’art. 3,

primo  comma,  lett.  c)  della  legge  delega n. 52/1996 non assolve

all’obbligo   di  determinazione  delle  sanzioni  penali  stabilendo

generici  minimi e massimi di pena ancorandoli peraltro a fattispecie

il cui contenuto non e’ decifrabile.

Peraltro,   mentre  l’art. 3  della  legge  delega  cit.  prevede

l’applicazione  delle  pene dell’arresto e/o dell’ammenda, l’art. 180

t.u.m.f  prevede come sanzione quella della reclusione e della multa,

con cio’ ulteriormente violando i predetti precetti costituzionali.

E’   manifestamente   infondata   la  eccezione  di  legittimita’

costituzionale  dell’art. 3 della legge delega 6 febbraio 1996, n. 52

in  relazione  all’art. 25,  secondo comma e 76 Cost. Il principio di

legalita’   ed   i   presupposti   della  delega  costituzionalizzati

nell’art. 76  non  sono  violati  quando sia una legge dello Stato ad

indicare  i  presupposti,  i  caratteri,  il contenuto e i limiti dei

provvedimenti  dell’autorita’  non legislativa alla cui trasgressione

deve seguire la pena.

Nel  caso  in esame la legge n. 52/1996 ha delegato il Governo ad

emanare  decreti  legislativi  recanti  le  norme occorrenti per dare

attuazione a numerose direttive della Comunita’ europea, il contenuto

delle  quali  costituisce anch’esso principio e criterio della delega

legislativa.

L’art. 8 della predetta legge delega prevede inoltre che ai testi

unici  che  il  Governo  dovra’ emanare, andranno coordinate le norme

vigenti   nelle   stesse  materie  ed  apportando  alle  medesime  le

integrazioni e modificazioni necessarie al predetto coordinamento.

Cio’ premesso, si rileva come il reato di insider trading non sia

stato  introdotto ex novo dal decreto legislativo n. 58/1998 – che ha

dato    attuazione   alla  legge  delega  n. 52/1996  –  ma  era  gia’

disciplinato  nel  nostro  ordinamento  dalla  legge  n. 157/1991. Il

legislatore   delegato,   nell’ambito  del  potere  conferitogli  dal

legislatore delegante, ha riformulato una fattispecie gia’ esistente,

apportandovi   quelle   integrazioni  e  modificazioni  necessarie  a

coordinarla  con altre normative al fine di creare un corpo unitario.

D’altra  parte,  le  Camere  ricorrono alla delega nei casi in cui la

materia  da  regolare legislativamente sia molto complessa e richieda

cognizioni  tecniche  di  cui  solo  il  Governo – che puo’ avvalersi

dell’opera   di   organi  consultivi  tecnici  –  puo’  disporre.  In

particolare,  il  ricorso  ad una legge delega per l’emanazione di un

testo  unico  si  giustifica  ove  si  osservi  che  il  Governo, nel

coordinare   le   varie   disposizioni   legislative,  puo’  ritenere

necessario apportare alla materia innovazioni sostanziali per rendere

omogeneo  ed  attuale  un  corpo di norme emanate successivamente nel

tempo ai fini della loro migliore comprensione ed applicazione.

Richiedere   al   legislatore   delegante   un’indicazione  cosi’

dettagliata   e  precisa  dei  principi  e  delle  direttive  da  far

considerare l’attivita’ di governo come un’opera meramente esecutiva,

vanificherebbe le finalita’ dello strumento del decreto legislativo.

Ritiene  dunque  questo giudicante che la censura di legittimita’

costituzionale  lamentata dal difensore sia manifestamente infondata,

atteso che l’ambito di operativita’ del legislatore delegato e’ stato

sufficientemente  determinato dal legislatore delegante, sia per cio’

che  attiene ai criteri e direttive generali della delega, desumibili

anche  dal  contenuto delle singole direttive comunitarie da attuare,

sia  per  cio’  che  attiene  ai  criteri  speciali, desumibili dalla

previgente norma in materia di insider trading.

E’   invece   non   manifestamente   infondata  la  eccezione  di

illegittimita’ costituzionale sollevata con riferimento all’art. 180,

terzo  comma,  t.u.m.f.  per violazione del principio di tassativita’

che   e’   uno  dei  corollari  dell’art. 25,  secondo  comma,  della

Costituzione.

L’art. 180,  terzo comma, del d.lgs. n. 58/1998, come gia’ detto,

prevede  che  «ai fini dell’applicazione delle disposizioni dei commi

primo   e   secondo,   per   informazione   privilegiata  si  intende

un’informazione   specifica  di  contenuto  determinato,  di  cui  il

pubblico  non dispone, concernente strumenti finanziari o emittentidi

strumenti  finanziari  che,  se  resa  pubblica,  sarebbe  idonea  ad

influenzare   sensibilmente  il  prezzo».  La  formulazione  di  tale

disposizione non consente di determinare la fattispecie criminosa con

connotati precisi in modo che l’interprete, nel ricondurvi un’ipotesi

concreta,  possa  esprimere un giudizio di corrispondenza sorretto da

fondamento controllabile.

Nel  caso  di  specie  e’  rimesso  al  giudice  di  stabilire se

l’informazione  utilizzata  e resa pubblica sia idonea ad influenzare

«sensibilmente»  il  prezzo.  Ora,  e’  evidente  che spesso le norme

penali  si  limitano  ad  una descrizione «elastica» del precetto per

realizzare  nel  miglior  modo possibile l’esigenza di una previsione

tipica dei fatti costituenti reato. Cio’ pero’ non puo’ mai spingersi

sino  al  punto  di rendere indeterminata la condotta sanzionata. Nel

caso   in   esame,   e’   evidente  che  il  legislatore  non  poteva

predeterminare  tutte le informazioni idonee ad influenzare il prezzo

dei titoli, in quanto spetta necessariamente all’interprete stabilire

ex  post  –  valutate  tutte  le  variabili  del  mercato finanziario

esistenti  al momento in cui l’agente si e’ avvalso dell’informazione

–  se questa potesse o meno influenzare il prezzo dei titoli. Ma cio’

che  rimane  del  tutto  indeterminato  e’  stabilire  in  quali casi

l’impatto dell’informazione sul mercato finanziario possa determinare

una  variazione  «sensibile»  del  prezzo  dei  titoli  stessi.  Tale

incertezza  non  consente  di  distinguere i comportamenti penalmente

leciti  da  quelli illeciti, e il cittadino sapra’ di aver commesso o

meno  un  reato  solo  a  seguito  dell’interpretazione  operata  dal

giudice,  il  quale  potra’  riconoscere  la sussistenza del reato di

insider  trading  sulla  base  di  una  propria valutazione del tutto

discrezionale in mancanza di qualsivoglia specifico criterio legale.

Cio’   collide   con   il  principio  di  tassativita’  enunciato

dall’art. 25,  secondo  comma,  Cost.,  nonche’  con  il principio di

eguaglianza  previsto  dall’art. 3  della  Costituzione  che  sarebbe

vulnerato    dai    contrastanti    apprezzamenti   giurisprudenziali

determinati dalla vaghezza della norma.

La  rilevanza  delle  questioni  nel  giudizio a quo e’ evidente.

Infatti, una pronuncia di accoglimento inciderebbe direttamente sulla

valutazione  della  condotta tenuta dall’imputato, che, parametrata a

criteri  precisi,  potrebbe  non  integrare  gli  estremi del delitto

contestato.

E’  invece  manifestamente infondata la eccezione di legittimita’

costituzionale    dell’art. 180   t.u.m.f.   con   riferimento   agli

articoli 25, secondo comma, per violazione del principio di legalita’

della  pena,  e  76  della  Costituzione  per  eccesso di delega, nei

termini proposti dalla difesa nella sua prima memoria.

L’art. 3, lett. c) della legge delega n. 52/1996 dispone che, ove

necessario  per  assicurare l’osservanza delle disposizioni contenute

nei  decreti  legislativi, saranno previste sanzioni amministrative e

penali  per le infrazioni alle disposizioni dei decreti stessi. A tal

proposito  il  legislatore delegante ha previsto le pene dell’ammenda

(fino  a  un  massimo  di  L. 200.000.000) e dell’arresto (fino a tre

anni), sole o congiunte, a seconda della gravita’ delle infrazioni.

La  predetta norma, nell’ultima parte, prevede che «in ogni caso,

in   deroga   ai  limiti  sopra  indicati,  per  le  infrazioni  alle

disposizioni dei decreti legislativi saranno previste sanzioni penali

o  amministrative  identiche  a  quelle  eventualmente gia’ comminate

dalle  leggi  vigenti  per le violazioni che siano omogenee e di pari

offensivita’   rispetto   alle   infrazioni   medesime».   Con   tale

disposizione  il  legislatore  delegante ha voluto chiaramente che il

reato  di  insider  trading  conservasse  la  natura  di delitto come

previsto   dall’art. 2   legge  n. 157/1991  che  lo  puniva  con  la

reclusione fino ad un anno e con la multa fino a 300 milioni.

Sotto  questo profilo, e’ manifestamente infondata l’eccezione di

legittimita’  costituzionale  dell’art. 180  t.u.m.f. sollevata dalla

difesa nella parte in cui tale norma sanziona il reato in oggetto con

la reclusione e la multa anziche’ con l’arresto e l’ammenda.

La  difesa, in una memoria successiva, ha sollevato altri profili

di   illegittimita’   costituzionale  dell’art. 180  t.u.m.f.  A  tal

proposito   ha   rilevato   che   mentre  il  legislatore  delegante,

all’art. 3,  comma  l, lett. c) ultima parte, aveva previsto sanzioni

penali  «identiche»  a   quelle gia’ comminate dalle leggi vigenti per

violazioni  omogenee  e di pari offensivita’, il legislatore delegato

aveva  oltrepassato  il limite della delega. Infatti, mentre l’art. 2

della  legge  n. 157/1991  –  che  disciplinava  l’insider  trading –

prevedeva  la pena della reclusione fino ad un anno e la multa fino a

L.  300  milioni,  l’art. 180 t.u.m.f. ha previsto una pena superiore

(reclusione fino a tre anni e multa fino a lire 600 milioni).

Tale    eccezione   di   legittimita’   costituzionale   non   e’

manifestamente infondata.

Non  e’  chiaro  che  cosa  abbia voluto intendere il legislatore

delegante  laddove  parla  di  sanzioni  «identiche»  a  quelle  gia’

comminate  da  leggi  vigenti.  Se  con tale aggettivo il legislatore

delegante  ha voluto intendere una pena uguale per genere e quantum a

quella  gia’  contenuta  nell’art. 2  legge  n. 157/199l,  l’art. 180

t.u.m.f.,  nel  prevedere  una  pena  superiore, ha violato l’art. 76

Cost.,  in  quanto  ha  ecceduto il limite della delega. Se invece il

legislatore  delegante  ha  voluto intendere una pena uguale solo per

genere  a  quella  prevista  dall’art. 2, legge n. 157/199l, la norma

censurabile  per  violazione  degli  articoli 76 e 25, secondo comma,

Cost.  e’  quella  dell’art. 3, comma l, lett. c), della legge delega

n. 52/1996  la  quale  non  ha  previsto  il  quantum di pena con cui

sanzionare  le  violazioni omogenee e di pari offensivita’ rispetto a

quelle  gia’  disciplinate  da leggi vigenti, tra le quali rientra il

reato di insider trading.

La  rilevanza  della  questione  nel giudizio a quo e’ desumibile

dall’immediata  incidenza  che un’eventuale pronuncia di accoglimento

avrebbe nella valutazione della condotta degli imputati.