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Infortunio sul lavoro. La Corte di Cassazione riafferma la valenza probatoria della sentenza di patteggiamento nel giudizio civile.
La sentenza penale di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. costituisce un importante elemento di prova per il giudice di merito il quale, ove intenda disconoscere tale efficacia probatoria, ha il dovere di spiegare le ragioni per cui l’imputato avrebbe ammesso una sua insussistente responsabilità, ed il giudice penale abbia prestato fede a tale ammissione. Pertanto la sentenza di applicazione di pena patteggiata, pur non potendosi configurare come sentenza di condanna, presupponendo pur sempre una ammissione di colpevolezza, esonera la controparte dall’onere della prova.
Così affermato dalla Corte di Cassazione sezione lavoro con l’ordinanza n. 3643, pubblicata il 7 febbraio 2019.
La vicenda esaminata: richiesta di risarcimento da parte di lavoratore rimasto vittima di infortunio per causa attribuibile a colpa del datore di lavoro.
Un dipendente di una ditta individuale che si occupava di giardinaggio rimaneva vittima di infortunio mentre era intento ad intervento di potatura di pianta, operando su di un cestello installato sul braccio di una gru. Per una improvvisa inclinazione del cestello cadeva al suolo, subendo gravissime lesioni (paraplegia degli arti inferiori). Il giudice di primo grado rigettava la domanda. Proponeva appello il lavoratore, ma la Corte d’Appello lo rigettava, affermando che l’asserita responsabilità del datore di lavoro nella causazione del sinistro non poteva ricavarsi unicamente dalla sentenza penale di patteggiamento, non essendo ravvisabili in giudizio presunzioni gravi, precise e concordanti che i fatti si fossero svolti secondo la dinamica prospettata dal lavoratore. Quest’ultimo proponeva così ricorso in Cassazione.
La valenza probatoria della sentenza di patteggiamento
Decidendo il caso portato all’attenzione della Corte, il Supremo Collegio ribadisce quanto costantemente affermato nel passato in materia di valenza probatoria nel giudizio civile della sentenza resa nel giudizio penale, ai sensi dell’art. 444 del c.p.p.: il cosiddetto patteggiamento.
Tale pronuncia, ribadisce la Corte, costituisce indiscutibile elemento di prova per il giudice di merito, il quale, ove intenda disconoscere tale efficacia probatoria, ha il dovere di spiegare le ragioni per cui l’imputato avrebbe ammesso una sua insussistente responsabilità ed il giudice penale vi abbia prestato fede. Detto riconoscimento, pertanto, pur non essendo oggetto di statuizione assistita dall’efficacia del giudicato, ben può essere utilizzato come prova dal giudice civile ai fini dell’accertamento dei fatti di causa.
Nel caso qui deciso, la corte di merito, non prendendo in considerazione la sentenza di patteggiamento, ha sostanzialmente negato ogni rilevanza al comportamento tenuto dal datore di lavoro in sede penale, ove ebbe a richiedere l’applicazione della pena ai sensi dell’articolo 444 c.p.p., cui seguì la sentenza di patteggiamento pronunciata dal giudice penale, in ordine ai reati contestati al datore di lavoro: l’avere cioè effettuato il sollevamento della persona, nell’esercizio delle sue mansioni di imprenditore, con attrezzatura non idonea a salvaguardare l’incolumità del lavoratore, provocandone la caduta e le conseguenti gravi lesioni subite.
Disattendendo la sentenza di patteggiamento, la corte territoriale non ha però motivato in maniera esaustiva ed efficace la propria decisione, ponendosi così in contrasto con i principi di diritto affermati dai giudici di legittimità.
Oltre tutto, prosegue la Corte di Cassazione, la sentenza di patteggiamento presuppone non solo il consenso delle parti sull’applicazione della pena, ma anche che non debba essere pronunciata sentenza di proscioglimento e che venga valutata la corretta qualificazione giuridica del fatto. Dunque, anche sotto questo aspetto, si ha la conferma della rilevante efficacia probatoria della sentenza penale di patteggiamento.
Indispensabile la valutazione complessiva delle risultanze probatorie
In conclusione, la sentenza impugnata è apparsa viziata ed è stata cassata con rinvio da parte del Supremo Collegio, il quale ha peraltro osservato che la controversia dovrà essere nuovamente valutata tenendo in considerazione anche il principio di diritto affermato in precedenza, secondo cui va censurata una decisione in cui il giudice si sia limitato a negare valore indiziario agli elementi acquisiti in giudizio senza accertare se essi, quand’anche singolarmente sforniti di valenza indiziarla, non fossero in grado di acquisirla ove valutati nella loro convergenza globale, accertandone la pregnanza conclusiva.
Nel caso deciso, la Corte d’Appello non ha adottato quella valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati, per accertare se essi fossero concordanti e se la loro combinazione fosse in grado di fornire una valida prova presuntiva, che magari non potrebbe dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuni di essi.
Avv. Roberto Dulio