Lavoro e Previdenza
Indennità giudiziarie per maternità e puerperio. Per i Magistrati un trattamento deteriore rispetto al personale femminile delle segreterie e cancellerie giudiziarie? La questione rimessa alla Consulta
Indennità giudiziarie per maternità e puerperio. Per i Magistrati un trattamento deteriore rispetto al personale femminile delle segreterie e cancellerie giudiziarie? La questione rimessa alla Consulta
ORDINANZA (Atto di promovimento) 22 Novembre 2004 – 22 Novembre 2004, n. 174
Ordinanza emessa il 22 novembre 2004 dal Consiglio di Stato sul ricorso proposto da Baccolini Serena contro Ministero della giustizia ed altro Magistratura – Indennita’ giudiziaria – Spettanza ai magistrati assenti dal lavoro per maternita’ e puerperio – Esclusione – Ingiustificato deteriore trattamento dei magistrati rispetto al personale femminile delle segreterie e cancellerie giudiziarie, cui detta indennita’ e’ attribuita in forza dell’art. 21 del d.P.R. n. 44/1990 e delle analoghe previsioni dei contratti collettivi successivi relativi al personale del comparto Ministeri. – Legge 19 febbraio 1981, n. 27, art. 3, comma 1. – Costituzione, art. 3. (GU n. 14 del 6-4-2005 )
IL CONSIGLIO DI STATO
Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso in appello
n. 8684/1996 proposto da Baccolini Serena, rappresentata e difesa
dagli avv. Anna Maria Cipolla, Cristiano Romano ed Eugenio Merlino ed
elettivamente domiciliate presso quest’ultimo in Roma, via Genovesi
n. 3;
Contro:
il Ministero di grazia e giustizia (ora: della Giustizia), in
persona del Ministro pro tempore rappresentato e difeso
dall’Avvocatura Generale dello Stato e domiciliato ex lege presso i
suoi uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
il Ministero del Tesoro (ora: dell’Economia e delle Finanze),
in persona del Ministro pro tempore, non costituito;
Per l’annullamento della sentenza del Tribunale amministrativo
regionale della Lombardia, sez. III, n. 814/1996, in data 17 giugno
1996;
Visto l’atto di appello con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio e la memoria difensiva
del Ministero della Giustizia;
Visti gli atti tutti della causa;
Alla pubblica udienza dell’8 luglio 2004, relatore il consigliere
Carlo Deodato, uditi l’avv. E. Merlino e l’Avvocato dello Stato
Canzoneri;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
F a t t o
e d i r i t t o 1. – Con la sentenza appellata veniva respinto
il ricorso proposto dalla dott.ssa Serena Baccolini, nella qualita’
di magistrato ordinario, al fine di ottenere l’annullamento del
provvedimento con cui la Direzione provinciale del Tesoro di Milano
aveva disposto nei suoi riguardi il recupero della somma di L.
8.783.776 – precedentemente erogata in suo favore a titolo di
«indennita’ giudiziaria» anche nei periodi in cui ella si era
assentata dal lavoro per maternita’ e puerperio – e la conseguente
restituzione degli importi (asseritamente) indebitamente trattenutile
dallo stipendio (fino alla concorrenza della suddetta somma).
1.1 – Avverso tale decisione proponeva appello la dott.ssa
Baccolini, criticando le argomentazioni assunte a sostegno della
gravata statuizione reiettiva ed insistendo per l’accertamento della
spettanza a se’ della reclamata indennita’, previa riforma della
sentenza appellata.
1.2 – Resisteva il Ministero della giustizia, che concludeva per
la reiezione dell’appello.
1.3 – Alla pubblica udienza dell’8 luglio 2004 il ricorso veniva
trattenuto in decisione.
2. – Le parti controvertono sulla spettanza alla ricorrente
dell’indennita’ di cui all’art. 3, legge n. 27/1981, anche nei
periodi di astensione obbligatoria dal lavoro per maternita’ o
puerperio.
2.1 – L’odierna appellante, nella consapevolezza che la predetta
disposizione esclude espressamente la debenza del predetto emolumento
nei periodi di assenza dal servizio ai sensi degli artt. 4 e 7, legge
n. 1204/1971, ne prospetta, con il primo motivo, un’esegesi
sistematica che la privi dell’anzidetta portata preclusiva e ne
denuncia, comunque, l’illegittimita’ costituzionale, per il rilevato
contrasto con il parametro di cui all’art. 3 della Carta
fondamentale, con specifico riguardo al diverso trattamento giuridico
ed economico riservato, quanto alla questione qui controversa, al
personale delle cancellerie e delle segreterie giudiziarie.
3. – Deve premettersi che la proposta lettura dell’art. 3, legge
n. 27/1981 in un senso che consenta l’invocata affermazione della
spettanza dell’indennita’ anche per i periodi in contestazione va
rifiutata in quanto sprovvista di ogni apprezzabile riscontro
positivo, posto che, a fronte dell’univoca portata letterale della
norma (che esclude espressamente la debenza dell’emolumento nei
periodi di assenza obbligatoria per maternita’ e puerperio), non e’
dato ricavare nell’ordinamento alcuna disposizione successiva che,
per il suo carattere radicalmente incompatibile con la prima,
consenta di affermare l’avvenuta abrogazione tacita di quest’ultima.
4. – Cosi’ esclusa la fondatezza del primo motivo di gravame,
occorre verificare la rilevanza e la non manifesta infondatezza
dell’eccezione di incostituzionalita’ della disposizione controversa,
per come prospettata ed argomentata (nei termini di seguito
illustrati).
Rileva, al riguardo, la ricorrente che, nonostante l’art. 1 della
legge 22 giugno 1981, n. 221 (con cui era stata estesa l’indennita’
giudiziaria al personale dirigente delle cancellerie e delle
segreterie giudiziarie) avesse espressamente e contestualmente
escluso la debenza di quell’emolumento nei periodi di astensione
obbligatoria per maternita’ e puerperio, la contrattazione collettiva
successiva e la sua applicazione amministrativa avevano riconosciuto
la spettanza dell’indennita’ nella situazione considerata ed assume
che tale ingiustificata disparita’ di trattamento, a fronte di
situazioni identiche, inficia la legittimita’ costituzionale
dell’art. 3, legge n. 27/1981, per il denunciato contrasto con
l’art. 3 della Costituzione.
5. – Potrebbe, anzitutto, obiettarsi, al riguardo, (anche se
l’Avvocatura dello Stato non lo fa) che la diversa natura della fonte
regolatrice dei due rapporti di lavoro confrontati impedisce la
stessa astratta configurabilita’ del vizio nella specie denunciato a
carico dell’art. 3, legge n. 27/1981.
5.1 – Tale argomento non appare plausibile, alla stregua delle
considerazioni appresso esposte.
5.2 – La differenza del regime della regolamentazione del
rapporto di lavoro tra le due categorie considerate – magistrati e
personale dirigente delle cancellerie e delle segreterie giudiziarie
(contrattualizzata la prima, ma non la seconda) – non vale, ad avviso
del collegio, ad escludere la configurabilita’ della prospettata
violazione dell’art. 3 della Costituzione e, quindi, della denunciata
disparita’ di trattamento.
La circostanza che un tipo rapporto trovi la sua fonte nella
legge e l’altro in un contratto collettivo (anche prescindendo dalla
natura latu sensu normativa di quest’ultimo) non esime, invero, il
legislatore che regola il primo dal rispetto del suddetto precetto
costituzionale (quand’anche il trattamento piu’ favorevole venga
introdotto da un contratto collettivo successivo alla legge), ne’
preclude la verifica dell’osservanza di quel dovere ed il riscontro
della sua violazione (secondo il procedimento incidentale di
scrutinio della costituzionalita’ del regime legislativo deteriore).
L’eterogeneita’ della natura della fonte della disciplina delle
condizioni del rapporto di lavoro (e, in particolare, dei diritti e
degli obblighi dei lavoratori) non impedisce, in definitiva, il
sindacato costituzionale della compatibilita’ delle differenze
riscontrate nelle condizioni stabilite dalla legge e dal contratto
collettivo con il principio della Carta fondamentale che impone (alla
prima) di garantire il medesimo trattamento a situazioni sostanziali
identiche.
5.3 – Diversamente opinando, si perverrebbe, peraltro,
all’inaccettabile conclusione di impedire un controllo di
costituzionalita’ di una disposizione di legge che esclude la
spettanza di un diritto, viceversa riconosciuto, a parita’ di
situazioni, ad un’altra categoria di lavoratori da un’altra fonte del
diritto, e, quindi, in definitiva, di convalidare una palese
ingiustizia, legittimando una diversa disciplina di situazione
sostanziali identiche.
Senza considerare che la regolamentazione del rapporto di
personale «contrattualizzato» non puo’ che essere negoziale e che
escludendo la prospettabilita’, come tertium comparationis, del
contratto collettivo si finisce per sottrarre il legislatore che
disciplina il rapporto di una categoria di lavoratori sostanzialmente
omologa alla prima (nel senso che opera nello stesso settore
dell’ordinamento) all’ambito applicativo dell’art. 3 della
Costituzione, di avvalorare eventuali trattamenti deteriori del
personale non «contrattualizzato» e di ridurre, anzi di eliminare,
(inammissibilmente) in danno di quest’ultimo le garanzie
costituzionali connesse all’esigenza di parita’ di trattamento di
situazioni uniformi.
5.4 – Quand’anche, tuttavia, si intendesse negare la
configurabilita’ di una disparita’ di trattamento tra legge e
contratto, si dovrebbe, in ogni caso, riconoscere che, per effetto
dell’attribuzione (con il contratto collettivo) al personale
femminile delle cancellerie e delle segreterie giudiziarie del
diritto all’indennita’ giudiziaria anche nei periodi di astensione
obbligatoria per maternita’ e puerperio, si e’ determinato un diverso
assetto del trattamento della predetta categoria di dipendenti, in
relazione alla cui sopravvenienza la disposizione censurata conserva,
per le donne magistrato, un regime giuridico ormai connotato da
un’ingiustificata difforme configurazione, che ne implica una palese
incompatibilita’ costituzionale.
5.5 – Resta, in ogni caso, confermata, anche sulla base delle
considerazioni da ultimo svolte, la configurabilita’ della dedotta
inosservanza del precetto costituzionale che prescrive l’uniforme
regolamentazione normativa di situazioni uguali e che vieta al
legislatore, pena l’incostituzionalita’, di introdurre, o di
mantenere, discipline diverse di fattispecie omologhe.
6. – Cosi’ affermata l’astratta proponibilita’ della questione di
costituzionalita’ dell’art. 3, legge n. 27/1981 per violazione
dell’art. 3 della Costituzione, nei termini appena illustrati ed
esaminati, si deve, nell’ordine logico della disamina della censura,
scrutinare la rilevanza della relativa eccezione.
Risulta, in proposito, agevole rilevare che la pretesa creditoria
azionata dalla ricorrente rinviene un ostacolo positivo proprio nella
disposizione censurata, la’ dove esclude la spettanza dell’indennita’
giudiziaria nei periodi in contestazione, e che, quindi, la questione
della sua compatibilita’ costituzionalita’ e, quindi, della sua
persistente efficacia si rivela decisiva (e, quindi, a fortiori
rilevante) dell’intera controversia.
7. – In ordine alla non manifesta infondatezza, si deve
premettere che la questione della costituzionalita’ dell’art. 3,
legge n. 27/1981 e’ stata gia’ esaminata diverse volte dalla Corte
costituzionale e risolta nel senso del riconoscimento della
compatibilita’ della disposizione con i diversi parametri
costituzionali indicati, di volta in volta, dai giudici rimettenti.
7.1 – Occorre, quindi, verificare se l’eccezione nella specie
formulata, per come prospettata, cioe’, nei termini sopra riferiti,
sia mai stata esaminata dalla Corte.
Per quanto consta, il giudice delle leggi ha delibato la
questione della costituzionalita’ dell’art. 3, legge n. 27/1981,
sotto tre distinti profili: con una prima sentenza (n. 238 dell’8
maggio 1990) ha escluso la sussistenza della denunciata disparita’ di
trattamento delle donne magistrato rispetto alla generalita’ delle
dipendenti statali; con una seconda pronuncia (n. 407 del 24 dicembre
1996) e’ stata esclusa la prospettata disparita’ di trattamento delle
donne magistrato obbligatoriamente assenti per maternita’ rispetto ai
magistrati in servizio ed e’ stata riconosciuta la compatibilita’
dell’art. 3, legge n. 27/1981 con il precetto costituzionale che
impone un’adeguata protezione della lavoratrice madre (art. 37 della
Costituzione); con un’altra decisione (n. 106 del 18 aprile 1997) e’
stata, infine, esclusa la sussistenza della disparita’ di trattamento
tra magistrati donne e magistrati uomini e della prospettata
violazione delle norme costituzionali che prescrivono la tutela della
famiglia, della maternita’ e dell’infanzia (artt. 30 e 31 della
Costituzione).
Come si vede, quindi, la Corte non ha mai esaminato la questione,
nei termini in cui e’ stata posta dalle odierne ricorrenti, della
sussistenza di una disparita’ di trattamento tra le donne magistrato
e le dipendenti del Ministero della giustizia addette alle
cancellerie ed alle segreterie giudiziarie.
Residua, pertanto, spazio per la delibazione della non manifesta
infondatezza dell’anzidetta eccezione, che, per come articolata, non
resta pregiudicata dai riferiti precedenti della Corte.
7.2 – Giova premettersi, in fatto, che con l’art. 1 della legge
n. 221/1988 e’ stata attribuita al personale dirigente delle
cancellerie e delle segreterie giudiziarie l’indennita’ di cui
all’art. 3, legge n. 27/1981, che con la medesima disposizione e’
stata espressamente esclusa la spettanza di tale emolumento nei
periodi di astensione obbligatoria dal lavoro per maternita’ e
puerperio, che, tuttavia, con l’art. 21, d.P.R. 17 gennaio 1990,
n. 44 (di recepimento dell’accordo relativo al personale del compatto
Ministeri) e’ stata prevista l’attribuzione alle lavoratrici madre in
astensione obbligatoria ai sensi dell’art. 4 della legge n. 1204/1971
delle «… quote di salario accessorio fisse e ricorrenti relative
alla professionalita’ ed alla produttivita», che tale previsione e’
stata interpetata ed applicata dal Ministero della giustizia nel
senso della spettanza alle proprie dipendenti addette alle
cancellerie ed alle segreterie dell’indennita’ giudiziaria anche nei
periodi di assenza obbligatoria per maternita’ e puerperio (cfr.
circolare n. 22 in data 22 settembre 1993 della Direzione generale
organizzazione giudiziaria e affari generali), che la predetta
previsione e’ stata ribadita nei contratti collettivi nazionali
successivi del personale del comparto Ministeri e che, a quanto
consta, l’emolumento controverso risulta regolarmente corrisposto
alla suddetta categoria di personale nei periodi considerati.
Attualmente, quindi, per effetto delle predette previsioni dei
contratti collettivi (per come interpretate ed attuate
dall’amministrazione della giustizia), le lavoratrici addette alle
cancellerie ed alle segreterie giudiziarie percepiscono l’indennita’
di cui all’art. 3, legge n. 27/1981 (loro estesa dall’art. 1, legge
n. 221/1988) anche nei periodi di astensione obbligatoria per
maternita’ e puerperio, mentre le donne magistrato non ricevono
alcunche’, nella medesima situazione, a quel titolo.
7.3 – Osserva, al riguardo, il Collegio, nei limiti della
valutazione della non manifesta infondatezza della prospettata
eccezione di incostituzionalita’ dell’art. 3, legge n. 27/1981, che
la posizione delle diverse categorie di lavoratrici considerate non
presenta differenze tali da giustificare l’attribuzione ad una sola
del diritto all’indennita’ di giudiziaria nei periodi di astensione
obbligatoria dal lavoro per maternita’ e puerperio e che, anzi,
l’identita’ della ratio dell’attribuzione ad entrambe del medesimo
emolumento (agevolmente ravvisabile nell’esigenza di compensare con
un’ulteriore voce «retributiva» la gravosita’ dell’impegno connesso
all’esercizio dell’attivita’ giudiziaria, cui concorre anche il
personale dirigente delle cancellerie e delle segreterie) impone di
escludere la compatibilita’ di una diversa disciplina dei relativi
diritti tra classi di dipendenti del tutto omologhe, quanto alla
spettanza dell’indennita’ giudiziaria, con il parametro
costituzionale (art. 3) che esige la parita’ di trattamento di
situazioni uguali (cfr. Corte cost., 26 novembre 2002, n. 476, in cui
si ribadisce il principio, costituzionalmente garantito, della
necessita’ dell’identita’ di disciplina di fattispecie connotate
dagli stessi caratteri o, comunque, non adeguatamente differenziate
tra loro).
8. – Le suesposte considerazioni fondano, in definitiva, il
giudizio di rilevanza e di non manifesta infondatezza della questione
della illegittimita’ costituzionale dell’art. 3, comma 1, legge
n. 27/1981, nella parte in cui esclude la corresponsione della
speciale indennita’ dallo stesso istituita durante i periodi di
astensione obbligatoria dal lavoro ai sensi dell’art. 4 della legge
30 dicembre 1971, per violazione dell’art. 3 della Costituzione ed in
relazione all’art. 21, d.P.R. n. 44/1990 (da valersi quale tertium
comparationis unitamente alla uniforme contrattazione collettiva
successiva).
9. – Ne consegue che della risoluzione dell’anzidetta questione
va investita la Corte costituzionale, con conseguente sospensione del
presente procedimento.
P. Q. M.
Non definitivamente pronunciando sul ricorso indicato in
epigrafe, sospende il presente procedimento e ordina la trasmissione
degli atti alla Corte costituzionale, per la definizione della
questione della costituzionalita’ dell’art. 3, comma 1, della legge
19 febbraio 1981, n. 27, nella parte in cui esclude la corresponsione
– durante i periodi di astensione obbligatoria dal lavoro ai sensi
dell’art. 4 della legge 30 dicembre 1971 – della speciale indennita’
dallo stesso istituita, per violazione dell’art. 3 della
Costituzione, in relazione all’art. 2 del d.P.R. 17 gennaio 1990,
n. 44 e delle omologhe previsioni dei contratti collettivi successivi
relativi al personale del comparto Ministeri;
Ordina che la presente ordinanza sia notificata, a cura della
Segreteria, alle parti in causa, al Presidente del Consiglio dei
Ministri e comunicataai Presidenti della Camera dei deputati e del
Senato.
Cosi’ deciso in Roma nella camera di consiglio dell’8 luglio
2004.
Il Presidente f.f.: Patroni Griffi
Il consigliere estensore: Deodato