Lavoro e Previdenza

Tuesday 12 April 2005

Indennità giudiziarie per maternità e puerperio. Per i Magistrati un trattamento deteriore rispetto al personale femminile delle segreterie e cancellerie giudiziarie? La questione rimessa alla Consulta

Indennità giudiziarie per maternità e puerperio. Per i Magistrati un trattamento deteriore rispetto al personale femminile delle segreterie e cancellerie giudiziarie? La questione rimessa alla Consulta

ORDINANZA (Atto di promovimento) 22 Novembre 2004 – 22 Novembre 2004, n. 174 

Ordinanza emessa il 22 novembre 2004 dal Consiglio di Stato sul ricorso proposto da Baccolini Serena contro Ministero della giustizia ed altro Magistratura – Indennita’ giudiziaria – Spettanza ai magistrati assenti dal lavoro per maternita’ e puerperio – Esclusione – Ingiustificato deteriore trattamento dei magistrati rispetto al personale femminile delle segreterie e cancellerie giudiziarie, cui detta indennita’ e’ attribuita in forza dell’art. 21 del d.P.R. n. 44/1990 e delle analoghe previsioni dei contratti collettivi successivi relativi al personale del comparto Ministeri. – Legge 19 febbraio 1981, n. 27, art. 3, comma 1. – Costituzione, art. 3. (GU n. 14 del 6-4-2005 ) 

IL CONSIGLIO DI STATO

    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  sul  ricorso in appello

n. 8684/1996  proposto  da  Baccolini  Serena, rappresentata e difesa

dagli avv. Anna Maria Cipolla, Cristiano Romano ed Eugenio Merlino ed

elettivamente  domiciliate  presso quest’ultimo in Roma, via Genovesi

n. 3;

    Contro:

        il Ministero di grazia e giustizia (ora: della Giustizia), in

persona   del   Ministro   pro   tempore   rappresentato   e   difeso

dall’Avvocatura  Generale  dello Stato e domiciliato ex lege presso i

suoi uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

        il Ministero del Tesoro (ora: dell’Economia e delle Finanze),

in persona del Ministro pro tempore, non costituito;

    Per  l’annullamento  della  sentenza del Tribunale amministrativo

regionale  della  Lombardia, sez. III, n. 814/1996, in data 17 giugno

1996;

    Visto l’atto di appello con i relativi allegati;

    Visto  l’atto  di costituzione in giudizio e la memoria difensiva

del Ministero della Giustizia;

    Visti gli atti tutti della causa;

    Alla pubblica udienza dell’8 luglio 2004, relatore il consigliere

Carlo  Deodato,  uditi  l’avv. E.  Merlino  e  l’Avvocato dello Stato

Canzoneri;

    Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

                              F a t t o

  e   d i r i t t o     1. – Con la sentenza appellata veniva respinto

il  ricorso  proposto dalla dott.ssa Serena Baccolini, nella qualita’

di  magistrato  ordinario,  al  fine  di  ottenere l’annullamento del

provvedimento  con  cui la Direzione provinciale del Tesoro di Milano

aveva  disposto  nei  suoi  riguardi  il  recupero  della somma di L.

8.783.776  –  precedentemente  erogata  in  suo  favore  a  titolo di

«indennita’  giudiziaria»  anche  nei  periodi  in  cui  ella  si era

assentata  dal  lavoro  per maternita’ e puerperio – e la conseguente

restituzione degli importi (asseritamente) indebitamente trattenutile

dallo stipendio (fino alla concorrenza della suddetta somma).

    1.1  –  Avverso  tale  decisione  proponeva  appello  la dott.ssa

Baccolini,  criticando  le  argomentazioni  assunte  a sostegno della

gravata  statuizione reiettiva ed insistendo per l’accertamento della

spettanza  a  se’  della  reclamata   indennita’, previa riforma della

sentenza appellata.

    1.2  – Resisteva il Ministero della giustizia, che concludeva per

la reiezione dell’appello.

    1.3  – Alla pubblica udienza dell’8 luglio 2004 il ricorso veniva

trattenuto in decisione.

    2.  –   Le  parti  controvertono  sulla  spettanza alla ricorrente

dell’indennita’  di  cui  all’art. 3,  legge  n. 27/1981,  anche  nei

periodi  di  astensione  obbligatoria  dal  lavoro  per  maternita’ o

puerperio.

    2.1  – L’odierna appellante, nella consapevolezza che la predetta

disposizione esclude espressamente la debenza del predetto emolumento

nei periodi di assenza dal servizio ai sensi degli artt. 4 e 7, legge

n. 1204/1971,   ne   prospetta,   con  il  primo  motivo,  un’esegesi

sistematica  che  la   privi  dell’anzidetta  portata  preclusiva e ne

denuncia,  comunque, l’illegittimita’ costituzionale, per il rilevato

contrasto   con   il   parametro   di   cui  all’art. 3  della  Carta

fondamentale, con specifico riguardo al diverso trattamento giuridico

ed  economico  riservato,  quanto  alla questione qui controversa, al

personale delle cancellerie e delle segreterie giudiziarie.

    3.  – Deve premettersi che la proposta lettura dell’art. 3, legge

n. 27/1981  in  un  senso  che consenta l’invocata affermazione della

spettanza  dell’indennita’  anche  per  i periodi in contestazione va

rifiutata   in  quanto  sprovvista  di  ogni  apprezzabile  riscontro

positivo,  posto  che,  a fronte dell’univoca portata letterale della

norma  (che  esclude  espressamente  la  debenza  dell’emolumento nei

periodi  di  assenza obbligatoria per maternita’ e puerperio), non e’

dato  ricavare  nell’ordinamento  alcuna disposizione successiva che,

per  il  suo  carattere  radicalmente  incompatibile  con  la  prima,

consenta di affermare l’avvenuta abrogazione tacita di quest’ultima.

    4.  –  Cosi’  esclusa  la fondatezza del primo motivo di gravame,

occorre  verificare  la  rilevanza  e  la  non manifesta infondatezza

dell’eccezione di incostituzionalita’ della disposizione controversa,

per   come   prospettata  ed  argomentata  (nei  termini  di  seguito

illustrati).

    Rileva, al riguardo, la ricorrente che, nonostante l’art. 1 della

legge  22  giugno 1981, n. 221 (con cui era stata estesa l’indennita’

giudiziaria   al   personale  dirigente  delle  cancellerie  e  delle

segreterie   giudiziarie)   avesse  espressamente  e  contestualmente

escluso  la  debenza  di  quell’emolumento  nei periodi di astensione

obbligatoria per maternita’ e puerperio, la contrattazione collettiva

successiva  e la sua applicazione amministrativa avevano riconosciuto

la  spettanza  dell’indennita’ nella situazione considerata ed assume

che  tale  ingiustificata  disparita’  di  trattamento,  a  fronte di

situazioni   identiche,   inficia   la   legittimita’  costituzionale

dell’art. 3,  legge  n. 27/1981,  per  il  denunciato  contrasto  con

l’art. 3 della Costituzione.

    5.  –  Potrebbe,  anzitutto,  obiettarsi,  al riguardo, (anche se

l’Avvocatura dello Stato non lo fa) che la diversa natura della fonte

regolatrice  dei  due  rapporti  di  lavoro  confrontati impedisce la

stessa  astratta configurabilita’ del vizio nella specie denunciato a

carico dell’art. 3, legge n. 27/1981.

    5.1  –  Tale  argomento non appare plausibile, alla stregua delle

considerazioni appresso esposte.

    5.2  –  La  differenza  del  regime  della  regolamentazione  del

rapporto  di  lavoro  tra le due categorie considerate – magistrati e

personale  dirigente delle cancellerie e delle segreterie giudiziarie

(contrattualizzata la prima, ma non la seconda) – non vale, ad avviso

del  collegio,  ad  escludere  la  configurabilita’ della prospettata

violazione dell’art. 3 della Costituzione e, quindi, della denunciata

disparita’ di trattamento.

    La  circostanza  che  un  tipo  rapporto trovi la sua fonte nella

legge  e l’altro in un contratto collettivo (anche prescindendo dalla

natura  latu  sensu  normativa di quest’ultimo) non esime, invero, il

legislatore  che  regola  il primo dal rispetto del suddetto precetto

costituzionale  (quand’anche  il  trattamento  piu’  favorevole venga

introdotto  da  un  contratto  collettivo successivo alla legge), ne’

preclude  la  verifica dell’osservanza di quel dovere ed il riscontro

della   sua   violazione  (secondo  il  procedimento  incidentale  di

scrutinio della costituzionalita’ del regime legislativo deteriore).

    L’eterogeneita’  della  natura della fonte della disciplina delle

condizioni  del  rapporto di lavoro (e, in particolare, dei diritti e

degli  obblighi  dei  lavoratori)  non  impedisce,  in definitiva, il

sindacato   costituzionale   della  compatibilita’  delle  differenze

riscontrate  nelle  condizioni  stabilite dalla legge e dal contratto

collettivo con il principio della Carta fondamentale che impone (alla

prima)  di garantire il medesimo trattamento a situazioni sostanziali

identiche.

    5.3   –   Diversamente   opinando,   si   perverrebbe,  peraltro,

all’inaccettabile   conclusione   di   impedire   un   controllo   di

costituzionalita’  di  una  disposizione  di  legge  che  esclude  la

spettanza  di  un  diritto,  viceversa  riconosciuto,  a  parita’  di

situazioni, ad un’altra categoria di lavoratori da un’altra fonte del

diritto,   e,  quindi,  in  definitiva,  di  convalidare  una  palese

ingiustizia,   legittimando  una  diversa  disciplina  di  situazione

sostanziali identiche.

    Senza   considerare  che  la  regolamentazione  del  rapporto  di

personale  «contrattualizzato»  non  puo’  che essere negoziale e che

escludendo  la  prospettabilita’,  come  tertium  comparationis,  del

contratto  collettivo  si  finisce  per  sottrarre il legislatore che

disciplina il rapporto di una categoria di lavoratori sostanzialmente

omologa  alla  prima  (nel  senso  che  opera  nello  stesso  settore

dell’ordinamento)    all’ambito    applicativo    dell’art. 3   della

Costituzione,  di  avvalorare  eventuali  trattamenti  deteriori  del

personale  non  «contrattualizzato»  e di ridurre, anzi di eliminare,

(inammissibilmente)    in   danno   di   quest’ultimo    le   garanzie

costituzionali  connesse  all’esigenza  di  parita’ di trattamento di

situazioni uniformi.

    5.4   –   Quand’anche,   tuttavia,   si   intendesse   negare  la

configurabilita’  di  una  disparita’  di  trattamento  tra  legge  e

contratto,  si  dovrebbe,  in ogni caso, riconoscere che, per effetto

dell’attribuzione   (con   il   contratto  collettivo)  al  personale

femminile  delle  cancellerie  e  delle  segreterie  giudiziarie  del

diritto  all’indennita’  giudiziaria  anche nei periodi di astensione

obbligatoria per maternita’ e puerperio, si e’ determinato un diverso

assetto  del  trattamento  della predetta categoria di dipendenti, in

relazione alla cui sopravvenienza la disposizione censurata conserva,

per  le  donne  magistrato,  un   regime  giuridico ormai connotato da

un’ingiustificata  difforme configurazione, che ne implica una palese

incompatibilita’ costituzionale.

    5.5  –  Resta,  in  ogni caso, confermata, anche sulla base delle

considerazioni  da  ultimo  svolte, la configurabilita’ della dedotta

inosservanza  del  precetto  costituzionale  che prescrive l’uniforme

regolamentazione  normativa  di  situazioni  uguali  e  che  vieta al

legislatore,   pena   l’incostituzionalita’,   di  introdurre,  o  di

mantenere, discipline diverse di fattispecie omologhe.

    6. – Cosi’ affermata l’astratta proponibilita’ della questione di

costituzionalita’   dell’art. 3,   legge  n. 27/1981  per  violazione

dell’art. 3  della  Costituzione,  nei  termini  appena illustrati ed

esaminati,  si deve, nell’ordine logico della disamina della censura,

scrutinare la rilevanza della relativa eccezione.

    Risulta, in proposito, agevole rilevare che la pretesa creditoria

azionata dalla ricorrente rinviene un ostacolo positivo proprio nella

disposizione censurata, la’ dove esclude la spettanza dell’indennita’

giudiziaria nei periodi in contestazione, e che, quindi, la questione

della  sua  compatibilita’  costituzionalita’  e,  quindi,  della sua

persistente  efficacia  si  rivela  decisiva  (e,  quindi, a fortiori

rilevante) dell’intera controversia.

    7.   –  In  ordine  alla  non  manifesta  infondatezza,  si  deve

premettere  che  la  questione  della  costituzionalita’ dell’art. 3,

legge  n. 27/1981  e’  stata gia’ esaminata diverse volte dalla Corte

costituzionale   e   risolta   nel  senso  del  riconoscimento  della

compatibilita’   della   disposizione   con   i   diversi   parametri

costituzionali indicati, di volta in volta, dai giudici rimettenti.

    7.1  –  Occorre,  quindi,  verificare se l’eccezione nella specie

formulata,  per  come prospettata, cioe’, nei termini sopra riferiti,

sia mai stata esaminata dalla Corte.

    Per  quanto  consta,  il  giudice  delle  leggi  ha  delibato  la

questione  della  costituzionalita’  dell’art. 3,   legge  n. 27/1981,

sotto  tre  distinti  profili:  con una prima sentenza (n. 238 dell’8

maggio 1990) ha escluso la sussistenza della denunciata disparita’ di

trattamento  delle  donne  magistrato rispetto alla generalita’ delle

dipendenti statali; con una seconda pronuncia (n. 407 del 24 dicembre

1996) e’ stata esclusa la prospettata disparita’ di trattamento delle

donne magistrato obbligatoriamente assenti per maternita’ rispetto ai

magistrati  in  servizio  ed  e’ stata riconosciuta la compatibilita’

dell’art. 3,  legge  n. 27/1981  con  il  precetto costituzionale che

impone  un’adeguata protezione della lavoratrice madre (art. 37 della

Costituzione);  con un’altra decisione (n. 106 del 18 aprile 1997) e’

stata, infine, esclusa la sussistenza della disparita’ di trattamento

tra   magistrati  donne  e  magistrati  uomini  e  della  prospettata

violazione delle norme costituzionali che prescrivono la tutela della

famiglia,  della  maternita’  e  dell’infanzia  (artt. 30  e 31 della

Costituzione).

    Come si vede, quindi, la Corte non ha mai esaminato la questione,

nei  termini  in  cui  e’ stata posta dalle odierne ricorrenti, della

sussistenza  di una disparita’ di trattamento tra le donne magistrato

e   le   dipendenti   del  Ministero  della  giustizia   addette  alle

cancellerie ed alle segreterie giudiziarie.

    Residua,  pertanto, spazio per la delibazione della non manifesta

infondatezza  dell’anzidetta eccezione, che, per come articolata, non

resta pregiudicata dai riferiti precedenti della Corte.

     7.2  –  Giova premettersi, in fatto, che con l’art. 1 della legge

n. 221/1988   e’   stata  attribuita  al  personale  dirigente  delle

cancellerie  e  delle  segreterie  giudiziarie  l’indennita’  di  cui

all’art. 3,  legge  n. 27/1981,  che  con la medesima disposizione e’

stata  espressamente  esclusa  la  spettanza  di  tale emolumento nei

periodi  di  astensione  obbligatoria  dal  lavoro  per  maternita’ e

puerperio,  che,  tuttavia,  con  l’art. 21,  d.P.R. 17 gennaio 1990,

n. 44 (di recepimento dell’accordo relativo al personale del compatto

Ministeri) e’ stata prevista l’attribuzione alle lavoratrici madre in

astensione obbligatoria ai sensi dell’art. 4 della legge n. 1204/1971

delle  «…  quote  di salario accessorio fisse e ricorrenti relative

alla  professionalita’  ed alla produttivita», che tale previsione e’

stata  interpetata  ed  applicata  dal  Ministero della giustizia nel

senso   della   spettanza   alle   proprie  dipendenti  addette  alle

cancellerie  ed alle segreterie dell’indennita’ giudiziaria anche nei

periodi  di  assenza  obbligatoria  per  maternita’ e puerperio (cfr.

circolare  n. 22  in  data 22 settembre 1993 della Direzione generale

organizzazione  giudiziaria  e  affari  generali),  che  la  predetta

previsione  e’  stata  ribadita  nei  contratti  collettivi nazionali

successivi  del  personale  del  comparto  Ministeri  e che, a quanto

consta,  l’emolumento  controverso  risulta  regolarmente corrisposto

alla suddetta categoria di personale nei periodi considerati.

    Attualmente,  quindi,  per  effetto delle predette previsioni dei

contratti    collettivi    (per    come   interpretate   ed   attuate

dall’amministrazione  della  giustizia),  le lavoratrici addette alle

cancellerie  ed alle segreterie giudiziarie percepiscono l’indennita’

di  cui  all’art. 3, legge n. 27/1981 (loro estesa dall’art. 1, legge

n. 221/1988)   anche  nei  periodi  di  astensione  obbligatoria  per

maternita’  e  puerperio,  mentre  le  donne  magistrato non ricevono

alcunche’, nella medesima situazione, a quel titolo.

    7.3  –  Osserva,  al  riguardo,  il  Collegio,  nei  limiti della

valutazione   della  non  manifesta  infondatezza  della  prospettata

eccezione  di  incostituzionalita’ dell’art. 3, legge n. 27/1981, che

la  posizione  delle diverse categorie di lavoratrici considerate non

presenta  differenze  tali da giustificare l’attribuzione ad una sola

del  diritto  all’indennita’ di giudiziaria nei periodi di astensione

obbligatoria  dal  lavoro  per  maternita’  e  puerperio e che, anzi,

l’identita’  della  ratio  dell’attribuzione ad entrambe del medesimo

emolumento  (agevolmente  ravvisabile nell’esigenza di compensare con

un’ulteriore  voce  «retributiva» la gravosita’ dell’impegno connesso

all’esercizio  dell’attivita’  giudiziaria,  cui  concorre  anche  il

personale  dirigente  delle cancellerie e delle segreterie) impone di

escludere  la  compatibilita’  di una diversa disciplina dei relativi

diritti  tra  classi  di  dipendenti  del tutto omologhe, quanto alla

spettanza    dell’indennita’    giudiziaria,    con    il   parametro

costituzionale  (art. 3)  che  esige  la  parita’  di  trattamento di

situazioni uguali (cfr. Corte cost., 26 novembre 2002, n. 476, in cui

si   ribadisce  il  principio,  costituzionalmente  garantito,  della

necessita’  dell’identita’  di  disciplina  di  fattispecie connotate

dagli  stessi  caratteri o, comunque, non adeguatamente differenziate

tra loro).

    8.  –  Le  suesposte  considerazioni  fondano,  in definitiva, il

giudizio di rilevanza e di non manifesta infondatezza della questione

della  illegittimita’  costituzionale  dell’art. 3,  comma  1,  legge

n. 27/1981,  nella  parte  in  cui  esclude  la  corresponsione della

speciale  indennita’  dallo  stesso  istituita  durante  i periodi di

astensione  obbligatoria  dal lavoro ai sensi dell’art. 4 della legge

30 dicembre 1971, per violazione dell’art. 3 della Costituzione ed in

relazione  all’art. 21,  d.P.R.  n. 44/1990 (da valersi quale tertium

comparationis  unitamente  alla  uniforme  contrattazione  collettiva

successiva).

    9.  –  Ne consegue che della risoluzione dell’anzidetta questione

va investita la Corte costituzionale, con conseguente sospensione del

presente procedimento.

                                                   P. Q. M.

    Non   definitivamente   pronunciando   sul  ricorso  indicato  in

epigrafe,  sospende il presente procedimento e ordina la trasmissione

degli  atti  alla  Corte  costituzionale,  per  la  definizione della

questione  della  costituzionalita’ dell’art. 3, comma 1, della legge

19 febbraio 1981, n. 27, nella parte in cui esclude la corresponsione

–  durante  i  periodi di astensione obbligatoria dal lavoro ai sensi

dell’art. 4  della legge 30 dicembre 1971 – della speciale indennita’

dallo    stesso   istituita,   per   violazione   dell’art. 3   della

Costituzione,  in  relazione  all’art. 2  del d.P.R. 17 gennaio 1990,

n. 44 e delle omologhe previsioni dei contratti collettivi successivi

relativi al personale del comparto Ministeri;

    Ordina  che  la  presente  ordinanza sia notificata, a cura della

Segreteria,  alle  parti  in  causa,  al Presidente del Consiglio dei

Ministri  e  comunicataai Presidenti della Camera dei deputati e del

Senato.

    Cosi’  deciso  in  Roma  nella  camera di consiglio dell’8 luglio

2004.

                 Il Presidente f.f.: Patroni Griffi

Il consigliere estensore: Deodato