Penale

Thursday 23 September 2004

In materia di pedofilia la Cassazione delimita gli ambiti dell’ attività svolta dall’ agente provocatore. Cassazione – Sezione terza penale (cc) – sentenza 5 maggio-22 settembre 2004 – n. 37074

In materia di pedofilia la
Cassazione delimita gli ambiti dell’attività svolta
dall’agente provocatore
Cassazione – Sezione terza penale (cc) –
sentenza 5 maggio-22 settembre 2004 – n. 37074

Presidente Savignano
– Estensore Franco

Pm Izzo –
ricorrente Gullello

Svolgimento del processo

Con decreto del Pm
presso il tribunale di Palermo del 17 ottobre 2003 fu disposto il sequestro
probatorio di materiale informatico nei confronti di Gullello
Caterina, in relazione al reato di cui «all’articolo
600ter Cp». Il tribunale di Palermo, quale giudice
del riesame, con ordinanza del 28 novembre 2003 rigettò l’istanza
di riesame osservando:

a) che il sequestro preventivo non
presuppone l’accertamento dell’esistenza del reato, ma la semplice indicazione
di un reato astrattamente configurabile;

b) che nella specie il Pm aveva prospettato il reato di cui all’articolo 600ter Cp ed aveva fatto rinvio per relationem
agli accertamenti di polizia giudiziaria;

c) che peraltro la condotta della Gullello era sussumibile
esclusivamente nel reato di cui all’articolo 600quater Cp,
ossia nella mera detenzione di materiale pedopornografico;

d) che tuttavia, le operazioni di
polizia giudiziaria che avevano consentito di raccogliere gli elementi
indizianti mediante l’attivazione di un sito civetta
dovevano ritenersi legittime ai sensi dell’articolo 14 della legge 268/98, cha
autorizza la polizia a svolgere il ruolo di agente provocatore, mediante
l’acquisto simulato di materiale pornografico e l’effettuazione delle relative
attività di intermediazione, ivi compresa, appunto, la creazione dei cosiddetti
siti civetta, volti a favorire le attività di distribuzione e commercio del
materiale vietato;

e) che era vero che
il legislatore aveva subordinato l’attività di provocazione all’autorizzazione
dell’autorità giudiziaria e la aveva limitata alle ipotesi più gravi di reato,
tassativamente indicate negli articoli 600bis, comma 1; 600ter, commi 1, 2 e 3,
e 600quinquies Cp, lasciando fuori le ipotesi di
minore allarme sociale, quale la semplice detenzione di materiale pedopornografico di cui all’articolo 600quater Cp;

f) che tuttavia la normativa era
stata recentemente modificata dalla legge 228/03 (“Misure contro la tratta
delle persone”), il cui articolo 10, facendo salva la speciale attività di
contrasto già precedentemente regolata dall’articolo
14 legge 268/98, ne aveva integrato la disciplina, estendendo a tutti i delitti
contro la personalità individuale previsti dal libro secondo del Cp la speciale attività di copertura prevista per il
contrasto del terrorismo internazionale Dl 374/01, convertito nella legge
438/01, il cui articolo 4 consente alla polizia giudiziaria di utilizzare
«documenti, identità o indicazioni di copertura anche per attivare o entrare in
contatto con soggetti e siti nelle reti di comunicazione»;

g) che pertanto il legislatore, al
fine di una maggiore efficacia nella repressione dello sfruttamento della
persona umana, ha introdotto una forma di attività
provocatoria sostanzialmente sovrapponibile a quella di contrasto prevista
dalla legge del 1998, con la conseguenza che la polizia giudiziaria ha il
potere di attivare siti civetta senza quei limiti di fattispecie derivanti
dalla legge del 1998.

L’indagata propone ricorso per
cassazione deducendo erronea applicazione dell’articolo 252 Cpc
in relazione agli articoli 600ter e 600quater del Cp.

Osserva che sulla base degli atti
trasmessi dal Pm sussisteva il fumus
esclusivamente in relazione al reato di cui
all’articolo 600quater Cp, mentre non era assolutamente
rinvenibile il fumus di una delle fattispecie
delittuose di cui all’articolo 600ter Cp. Ora, per
tale reato, non è prevista l’attività di contrasto ai sensi dell’articolo 14 della legge 269/98, il quale limita tale attività al solo
fine di acquisire elementi di prova per i delitti di cui agli articoli 600bis,
comma 1, 600ter, commi 1, 2 e 3, e 600quinquies Cp e
non anche per il reato di cui all’articolo 600quater Cp,
concernente la mera detenzione consapevole di materiale pedopornografico.
Infatti l’attività di contrasto in esame è regolata da
una disciplina del tutto eccezionale e per essa non possono trovare
applicazione analogica norme e principi valevoli per la diversa fattispecie
delle intercettazioni telefoniche. Del resto, la stessa informativa della
polizia indicava la ricorrente come responsabile del reato di cui all’articolo
600quater Cp per avere per via telematica scaricato e
detenuto consapevolmente materiale pornografico. Inoltre, i beni sottoposti a
vincolo non costituiscono corpo di reato né sono cose pertinenti al reato. In ogni caso, nessuna traccia del materiale
sequestrato può riferirsi ad esibizioni minorili.

Motivi della decisione

Va innanzitutto
rilevato che va qualificato come processualmente
scorretto e gravemente lesivo dei diritti della difesa il fatto che il Pm nel decreto di sequestro si sia limitato ad indicare
genericamente il reato ipotizzato in quello «di cui all’articolo 600ter Cp», senza specificare se si trattasse dal reato previsto
dal comma 1, 2 o 3, ovvero di quello di cui al comma 4. Si tratta, infatti, di
reati ben diversi e distinti tra loro, non solo per la diversa gravità, ma
anche ai fini della utilizzabilità degli elementi di
indagine ottenuti mediante la cosiddetti attività di contrasto prevista
dall’articolo 14 della legge 269/1998 ‑ utilizzabilità che è assolutamente
esclusa nella ipotesi di cui all’articolo 600ter, comma 4, Cp
‑ di modo che la mancata indicazione del comma dell’articolo
600ter Cp per il quale è stato ipotizzato il fumus del reato, comporta non solo che la contestazione sia
del tutto generica, ma anche una palese violazione dei diritti di difesa
dell’indagato, che non è messo in grado di valutare né l’ipotesi delittuosa
ipotizzata nei suoi confronti né, soprattutto, la legittimità e
l’utilizzabilità degli elementi di prova su cui si fonda il sequestro.

La questione è comunque
nella specie superata perché lo stesso Tribunale del riesame ha accertato che
deve escludersi qualsiasi fumus di uno dei reati di
cui all’articolo 600ter Cp, essendo la condotta
contestata alla Gullello consistita nella mera
detenzione di materiale pedopornografico, e quindi
essendo nel caso in esame astrattamente configurabile soltanto il reato
previsto dall’articolo 600quater Cp, per il quale è
prevista in via alternativa la pena della reclusione o della multa.

Ciò posto è di tutta evidenza la
palese inutilizzabilità nel caso di specie, in qualsiasi fase, anche in quella
delle indagini preliminari, ed a qualsiasi fine, degli elementi raccolti dalla
polizia giudiziaria mediante l’attività di agente
provocatore prevista in via eccezionale dall’articolo 14 della legge 269/1998.

Innanzitutto ‑ come osserva la ricorrente e come
del resto questa Suprema Corte ha già avuto modo di sottolineare ‑ non è possibile nessuna estensione
analogica della disciplina relativa alle intercettazione telefoniche alla
attività di contrasto di cui al citato articolo 14, e ciò per una ragione
evidente.

Con l’attività di intercettazione
di comunicazioni telefoniche o telematiche la polizia giudiziaria si limita,
appunto, ad intercettare le comunicazioni che avvengono tra soggetti terzi
senza svolgere alcun ruolo attivo e tanto meno un ruolo di provocazione. Con
l’attività di contrasto di cui all’articolo 14 legge 269/98,
invece, in vista della gravità e dell’allarme sociale di alcuni ben specifici e
determinati reati, la polizia giudiziaria è autorizzata, limitatamente ai reati
stessi. a svolgere, in via dei tutto eccezionale
rispetto alle norme ed ai principi fondamentali del nostro ordinamento
processuale in tema di acquisizione delle prove, un vero e proprio ruolo di
agente provocatore. Orbene è evidente che una tale attività in tanto può
ritenersi consentita e non in contrasto con norme costituzionali in quanto sia appunto strettamente limitata a casi eccezionali e soggetta
ad una rigida disciplina che ne stabilisca rigorosamente i limiti e le
procedure (cfr. sezione
terza, 8 maggio 2003, Busi).

Ne consegue, in primo luogo, che
qualsiasi applicazione analogica di tale disciplina eccezionale a casi diversi
da quelli tassativamente previsti dall’articolo 14 legge 269/98,
deve ritenersi assolutamente vietata ai sensi dell’articolo 14 delle preleggi.

Del resto è proprio la eccezionalità di questa disciplina e la sua deroga dai
principi fondamentali, anche di valore primario ‑ deroga razionalmente giustificata
dalla particolare gravità ed odiosità dei reati che con essa si intendono
contrastare ‑ che ha indotto il legislatore a dettare dei limiti ben
precisi e rigorosi, al di fuori dei quali l’attività in questione deve ritenersi
non solo irregolare o illegittima, ma addirittura illecita, con conseguente
inutilizzabilità, rilevabile d’ufficio in qualsiasi stato e grado del processo,
ai sensi dell’articolo 191 Cpp, di qualsiasi elemento
di prova attraverso la medesima acquisito (cfr. sezione terza, 3 dicembre 2001, D’Amelio; sezione terza, 8
maggio 2003, Busi).

In particolare, con l’articolo in
questione, il legislatore ha previsto due diverse ipotesi di attività
di contrasto. La prima è quella indicata dal comma 1
del detto articolo 14, per la cui legittimità occorre la presenza dei seguenti
presupposti: a) che l’attività investigativa sia svolta nell’ambito di
operazioni disposte dal questore o dal responsabile di polizia di livello
almeno provinciale; b) che l’attività sia svolta da ufficiali di polizia
giudiziaria (e non quindi da semplici agenti); c) che i detti ufficiali di
polizia giudiziaria appartengano alle strutture specializzate ivi indicate; d)
che vi sia l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria per poter procedere all’acquisto
simulato di materiale pornografico, alle relative attività di intermediazione e
alla partecipazione ad iniziative turistiche; e) che la detta attività sia
diretta al solo fine di acquisire elementi di prova in ordine ai delitti di cui
agli articoli 600bis. comma 1. 600ter. commi 1, 2 e 3 e 600quinquies Cp.

La seconda ipotesi è quella prevista
dal comma 2 del detto articolo 14, e per la sua legittimità occorre la presenza
dei seguenti presupposti: a) che le indagini siano svolte nell’ambito dei compiti
di polizia delle telecomunicazioni, definiti con apposito
Dm, dall’apposito organo del ministero dell’Interno per la sicurezza e la
regolarità dei servizi di telecomunicazione; b) che l’attività sia svolta su
richiesta dell’autorità giudiziaria, motivata a pena di nullità; c) che
l’attività sia finalizzata esclusivamente a contrastare i delitti di cui agli
articoli 600bis, comma 1, 600ter, commi 1, 2 e 3 e 600quinquies Cp commessi mediante l’impiego di strumenti informatici o
mezzi di comunicazione telematica ovvero utilizzando reti di telecomunicazione
disponibili al pubblico; d) che, sempre esclusivamente a tal fine il personale
addetto può utilizzare indicazioni di copertura, anche per attivare siti nelle
reti, realizzare o gestire aree di comunicazione o scambio su reti o sistemi telematici, ovvero per partecipare ad esse.

Orbene nel caso in esame gli elementi
di prova a carico dell’indagata sono stati pacificamente acquisiti
esclusivamente attraverso un’attività di agente
provocatore espletata ai sensi dell’articolo 14 della legge 269/98, il quale
però limita la liceità dell’attività di contrasto solo al fine di contrastare i
delitti di cui agli articoli 600bis, comma 1, 600ter, commi 1, 2 e 3 e
600quinquies Cp. Non è quindi consentita in alcun modo
una qualsiasi utilizzabilità degli elementi di prova in tal modo raccolti al
fine di perseguire i delitti di cui all’articolo 600ter, comma quattro, o
600quater Cp.

Ne consegue che poiché nel caso di
specie l’unico reato ipotizzabile a carico dell’indagato è quello di cui
all’articolo 600quater Cp, l’espletata attività di
contrasto non poteva comunque essere utilizzata per
scoprire o comunque per perseguire il delitto in questione. In altre parole
l’attività di contrasto non poteva in nessun modo essere diretta a perseguire i
comportamenti di quei soggetti che si limitavano esclusivamente a procurarsi o
a detenere materiale pedopornografico così come non
poteva essere assolutamente utilizzata per perseguire i comportamenti di quei
soggetti che si limitavano, anche consapevolmente, a cedere ad altri, anche a
titolo gratuito materiale pedopornografico (articolo
600ter, comma 4 Cp), ossia si limitavano ad una
singola cessione di immagini o di filmati pedopornografici, dovendo invece essere diretta
esclusivamente alla scoperta dei comportamenti consistenti nella
«distribuzione», o «divulgazione» o «pubblicizzazione»
ad un numero indeterminato di persone del detto materiale (ovvero a scoprire e
perseguire i comportamenti integranti un altro dei reati espressamente indicati
dalla disposizione in esame). Poiché pertanto gli
elementi di prova a carico dell’indagato per il reato di cui all’articolo
600quater Cp, sono stati acquisiti mediante
un’attività che, avendo oltrepassato i limiti rigorosamente fissati dal suddetto
articolo 14, è da considerarsi non solo irregolare o illegittima, ma
addirittura illecita (in quanto l’attività dell’agente provocatore, di per sé
illecita, non trova più giustificazione e fondamento in una norma di legge) ne
consegue l’assoluta inutilizzabilità dei detti elementi di prova, ai sensi
dell’articolo 191 Cpp, in ogni stato e grado del
procedimento.

Né in senso contrario potrebbe valere
il paragone, da taluno proposto, con l’ipotesi in cui il materiale pedopornografico venisse ritrovato
a seguito di perquisizione diretta alla ricerca di armi o di sostanze
stupefacenti. Nel caso in esame, infatti, non si tratta di una normale attività
investigativa della polizia giudiziaria diretta all’accertamento di un qualche
reato, nel corso della quale venga per caso scoperta
l’esistenza di un differente reato, bensì dell’attività di un agente
provocatore, di per sé illecita ma che è autorizzata e resa lecita
esclusivamente negli stretti limiti e per l’accertamento dei limitati reati per
i quali è consentita. Ne consegue che è del tutto ovvio e corrispondente ai
principi ‑ ed anzi una contraria interpretazione sarebbe in contrasto
con fondamentali principi costituzionali e dovrebbe quindi essere comunque disattesa per evitare possibili censure di
illegittimità costituzionale ‑ che qualora attraverso tale attività
di agente provocatore si vengano per caso a scoprire reati diversi da quelli
alla cui scoperta tale attività era esclusivamente indirizzata, gli elementi
probatori relativi a tali reati non possano comunque essere in nessun caso
utilizzati.

Parimenti è infondato il richiamo, da
taluno avanzato, all’articolo 240, comma 2, Cp ed
all’articolo 324 Cpp. Innanzitutto,
invero, tale disposizione presuppone pur sempre che il sequestro degli oggetti
sia stato legittimamente eseguito, mentre nella specie si tratta di sequestro
palesemente illegittimo perché operato sulla base di un’attività di agente
provocatore avente i caratteri dell’illiceità e su elementi probatori
totalmente inutilizzabili. In secondo luogo, a tutto voler concedere, ossia
anche a voler ritenere per pura ipotesi applicabile l’articolo 324, comma 7,
anche nei casi di sequestro disposto in base a prove
assolutamente inutilizzabili perché acquisite per mezzo di attività illecita ed
anche nei casi in cui, come nella specie ‑ proprio per la totale
inutilizzabilità degli elementi di prova ‑ non è nemmeno astrattamente
configurabile il fumus di un qualsiasi reato, il
divieto di restituzione potrebbe tutt’al più
riguardare le sole cose la cui detenzione costituisca reato, ossia i soli
dischetti, cd rom, o altri supporti magnetici che concretamente contengano
immagini o filmati pedopornografici ma non anche
tutto il restante materiale illegittimamente sequestrato all’indagata.

È poi erroneo l’assunto in base al
quale il Tribunale del riesame ha creduto di poter superare il costante
indirizzo giurisprudenziale di questa Suprema Corte sul punto, ritenendo che la
disciplina della materia sarebbe stata completamente modificata dall’articolo
10 della legge 228/03, che avrebbe esteso a tutti i delitti contro la
personalità individuale (e quindi anche agli articoli 600ter, comma quattro, e
600quater Cp) la speciale attività di copertura
prevista per il contrasto del terrorismo internazionale dall’articolo 4 del Dl
374/01, convertito nella legge 438/01, con la conseguenza che sarebbero ormai superati i limiti e le eccezioni stabiliti
dall’articolo 14 della legge 269/98.

Innanzitutto, anche ad ammettere, per pura
ipotesi, che così fosse, vi sarebbe comunque una manifesta violazione del
principio del tempus regit actum. Infatti, dal decreto di sequestro del Pm emerge che i fatti addebitati alla Gullello
sono stati accertati in data 13 maggio 2003, mentre la legge richiamata dal
Tribunale del riesame di Palermo a giustificazione dell’attività di agente provocatore è dell’agosto 2003. Sarebbe pertanto
evidente l’indebita estensione della nuova normativa (legge 228/03) ad attività
di agente provocatore e di contrasto compiute in epoca
anteriore alla entrata in vigore di quella legge. L’unica norma di riferimento
per l’espletamento di tali attività, quindi, era in ogni caso l’articolo 14 della legge 268/98, che limitava la detta
attività ai soli delitti di cui agli articoli 600bis, comma 1, 600ter, commi 1,
2 e 3, e 600quinquies Cp.

Ma, come rilevato, l’assunto del
Tribunale del riesame è comunque infondato. Il comma 4
del Dl 374/01, convertito nella legge 438/01 (contenente “Disposizioni urgenti
per contrastare il terrorismo internazionale”), prevede ed autorizza le
«attività sotto copertura» e dispone che «fermo quanto disposto dall’articolo
51 Cp, non sono punibili gli ufficiali di polizia
giudiziaria che nel corso di specifiche operazioni di polizia disposte ai sensi
del comma 5, al solo fine di acquisire elementi di prova in
ordine ai delitti commessi con finalità di terrorismo anche per
interposta persona acquistano, ricevono, sostituiscono od occultano denaro,
armi, documenti, stupefacenti, beni ovvero cose che sono oggetto, prodotto,
profitto o mezzo per commettere il reato, o altrimenti ostacolano
l’individuazione della provenienza o ne consentono l’impiego» (comma 1) e che
«per le stesse indagini di cui al comma l. gli ufficiali ed agenti di polizia
giudiziaria possono utilizzare documenti, identità o indicazioni di copertura
anche per attivare o entrare in contatto con soggetti e siti nelle reti di
comunicazione, informandone il Pm al più presto e
comunque entro le 48 ore successive all’inizio delle attività».

Successivamente la legge 228/03 (recante “Misure
contro la tratta delle persone”) ha sostituito gli articoli 600 (“Riduzione o
mantenimento in schiavitù o in servitù”), 601 (“Tratta di persone”), 602
(“Acquisto e alienazione di schiavi”) Cp, ha
aggravato le pene previste dall’articolo 416 Cp
qualora l’associazione sia diretta a commettere uno dei suddetti delitti, ha
dettato una serie di altre disposizioni sempre dirette a combattere la tratta
delle persone, ed all’articolo 10 ha previsto ed autorizzato le «attività sotto
copertura», stabilendo, al comma 1, che «in relazione ai procedimenti per i
delitti previsti dal libro II, titolo XII, capo III, sezione I, del Cp, nonché dall’articolo 3 della legge 75/1958, si
applicano le disposizioni dell’articolo 4, commi 1, 2, 4, 5, 6 e 7, del Dl
374/01, convertito, con modificazioni, dalla legge 438/01».
La medesima disposizione, tuttavia, al comma 2 precisa che «È comunque fatto salvo quanto previsto dall’articolo 14 della
legge 269/98».

Orbene, è di tutta evidenza che,
contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale del riesame, l’articolo 10 della
legge 228/03 non ha affatto integrato o sostituito o
derogato la disciplina di cui all’articolo 14 della legge 269/98 consentendo
l’attività di agente provocatore e di contrasto sotto copertura anche per
l’individuazione e la repressione dei reati di cui agli articoli 600ter, comma
4, e 600quater Cp, ma al contrario costituisce
l’espressione di una chiara volontà del legislatore di mantenere ferma, per le
attività di contrasto e di agente provocatore dirette ad acquisire elementi di
prova in ordine ai delitti relativi alla prostituzione ed alla pornografia
minorile o alle iniziative turistiche volte allo sfruttamento della
prostituzione minorile, la disciplina specifica dettata dall’articolo 14 della
legge 269/98, con tutte le modalità, le condizioni, i presupposti, le finalità
ed i limiti da essa previsti.

Ciò emerge chiaramente dal fatto che,
se fosse altrimenti, ossia se fosse vera la tesi del
Tribunale del riesame, non vi sarebbe stato alcun bisogno di inserire il comma
2 dell’articolo 10 della legge 228/03, dal momento che già solo in base al
comma 1 le attività di copertura di cui all’articolo 4 del Dl 374/01,
convertito, con modificazioni, dalla legge 438/01, si sarebbero potute
applicare anche ai delitti di cui agli articoli da 600bis a 600septies Cp, dal momento che tali delitti sono previsti dal libro
II, titolo XII, capo III, sezione I, del Cp. Se
invece il legislatore ha inserito l’espressa disposizione di esclusione
di cui al comma 2 del citato articolo 10, precisando che «è comunque fatto
salvo quanto previsto dall’articolo 14 della legge 269/98», ciò altro non può
significare, secondo il significato proprio delle parole, che l’intenzione del
legislatore era quella di limitare l’applicazione dell’attività di copertura
prevista dall’articolo 10 citato ai soli delitti di cui agli articoli 600, 601,
602 e 603 Cp lasciando in vigore, relativamente ai
delitti previsti dagli articoli da 600bis a 600septies Cp,
esclusivamente la speciale disciplina dettata dall’articolo 14 della legge
269/98.

Ciò del resto è confermato dalla evidente ratio della normativa. Con l’articolo 4 del
Dl 374/01, convertito, con modificazioni, dalla legge 438/01, il legislatore ha
inteso, in via eccezionale, prevedere attività di agente
provocatore svolte sotto copertura per combattere gravissimi delitti,
tassativamente indicati, quali quelli commessi con finalità di terrorismo,
disponendo anche specifiche procedure, modalità e condizioni. Con l’articolo 10
della legge 228/03 il legislatore ha inteso estendere l’attività degli agenti provocatori
ad altri gravissimi delitti, sempre tassativamente indicati, e sempre in via
eccezionale, quali la riduzione o il mantenimento in schiavitù, la tratta di
persone, l’acquisto o l’alienazione di schiavi, il plagio nonché
i delitti in materia di prostituzione. Si tratta di norme eccezionali, che
vanno interpretate restrittivamente, e che non
possono estendersi oltre i casi espressamente indicati. È quindi chiaro che il
legislatore, proprio per evitare una estensione di
tali norme alla materia della prostituzione e della pornografia minorile, ed in
particolare ai delitti dallo stesso legislatore configurati come meno gravi, ha
inteso espressamente ribadire che per questa materia l’attività dì indagine
continuava ad essere regolata dall’articolo 14 legge 269/98.

Ciò infine corrisponde alla necessità
di dare alle disposizioni in esame una necessaria interpretazione adeguatrice, dal momento che
sarebbe manifestamente irrazionale una interpretazione che ‑ contro l’espressa volontà del
legislatore ‑ estendesse una attività di per sé illecita e contraria a
fondamentali diritti e principi costituzionali, e permessa soltanto in via
eccezionale quando espressamente prevista da una specifica disposizione di legge,
ed in genere consentita esclusivamente per combattere reati gravissimi e puniti
con pene assai elevate, ad altri reati che il legislatore, nel legittimo
esercizio dei suo potere discrezionale in ordine alla determinazione dei fatti
costituenti reato e delle pene da applicare, ha invece qualificato come meno
gravi, tanto da prevedere per essi in via alternativa la pena della reclusione
o quella della sola multa, come appunto i reati di cui all’articolo 600ter,
quarto comma, Cp e 600quater Cp,
che quindi non a caso, bensì nel quadro di una razionale e sistematica
disciplina della materia, sono stati esclusi da quelli per i quali è in via
eccezionale consentita la raccolta di elementi di prova per mezzo di attività
di agente provocatore o di contrasto o di copertura.

Deve quindi ribadirsi
il principio della assoluta inutilizzabilità, ai sensi dell’articolo 191 Cpp, in ogni stato e grado del procedimento, ivi compresa
la fase delle indagini preliminari, degli elementi di prova a carico di
indagati per i reati di cui agli articoli 600ter, comma 4, Cp
e 600quater Cp, che siano stati acquisiti mediante
un’attività investigativa di contrasto mediante agente provocatore, non
trovando tale attività, di per sé illegittima se non illecita, giustificazione
e fondamento nell’articolo 14 della legge 269/98. Né la situazione è mutata per
effetto dell’entrata in vigore dell’articolo 10 della legge 228/03, il quale,
facendo comunque espressamente salva, al comma 2, la
disciplina dettata dall’articolo14 della legge 269/98, non ha derogato o
modificato la stessa e non ha quindi consentito alcuna attività di agente
provocatore o di copertura per l’individuazione e la repressione dei reati di
cui ai citati 600ter, comma 4, Cp e 600quater Cp.

Poiché pertanto nel caso di specie
gli unici elementi di prova su cui si basa il sequestro preventivo sono affetti
da inutilizzabilità assoluta e poiché quindi non è configurabile nemmeno in astratto
il fumus del reato ipotizzato, l’ordinanza impugnata,
unitamente al decreto di sequestro del Pm, debbono essere annullati senza rinvio, mentre gli oggetti in
sequestro vanno restituiti all’avente diritto.

PQM

La Corte Suprema di Cassazione
annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata nonché il
decreto di sequestro del Pm e dispone la restituzione
delle cose in sequestro all’avente diritto.