Imprese ed Aziende
In caso di fallimento l’ azione di responsabilità nei confronti di amministratori e sindaci si prescrive con decorrenza dal momento dell’ insolvenza della società . SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONE I CIVILE – SENTENZA 18 gennaio 2005, n. 941
In caso di fallimento l’azione di responsabilità nei confronti di amministratori e sindaci si prescrive con decorrenza dal
momento dell’insolvenza della società.
SUPREMA CORTE DI
CASSAZIONE – SEZIONE I CIVILE – SENTENZA 18 gennaio 2005, n. 941
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza 10.10.1994 il Tribunale
di Cassino, su domanda del curatore del Fallimento
della Si. S.p.A., affermava
la responsabilità di Ar. An.
e Ma. Co. Ma., quali sindaci effettivi ed il primo
presidente del collegio sindacale della società fallita, per fatti di mala gestio e li condannava al risarcimento dei danni, nella
misura del 14% del danno complessivo arrecato alla società dalla condotta dei
convenuti e di altri amministratori e sindaci, pari a £ 121.017.489 oltre
interessi di legge. Il Tribunale ravvisava la responsabilità dei sindaci e
degli amministratori per omissione dell’attività di
controllo e sostitutiva rispetto agli obblighi di legge a fronte della
riduzione per perdite del capitale sociale oltre il terzo, in particolare per
la mancata messa in liquidazione della società con incremento delle passività
nell’anno 1983.
Con sentenza 31 luglio 2001 la Corte d’Appello di Roma
respingeva l’appello di Ar. An. e, di Ma. Co. Ma., condannandoli alle spese del grado.
Osservava la Corte di merito che non era fondato il motivo d’appello con cui Ar. An. e Ma. Co. Ma. sostenevano
di essersi dimessi a far tempo dal 1981 venendo
sostituiti da altri sindaci, non essendo quindi più tenuti a svolgere attività
di controllo nel 1983. Gli appellanti non avevano provato la falsità dei
verbali assembleari del 26.6.84 e 30.6.84 che li davano presenti come sindaci
in carica, mentre Ar. An.
aveva avanzato istanza al Ministero del Tesoro il
2.7.1984 per un rimborso IVA. Inoltre non avrebbe
potuto verificarsi la sostituzione automatica prevista dall’art. 2401 c. c.,
come all’epoca disciplinata, perché il sindaco effettivo St.
era già decaduto dalla carica in precedenza, come risultava dalla stessa
lettera di dimissioni di Ar. An.
del 9.5.1981 che dava atto della permanenza in carica di due soli sindaci
effettivi.
Neppure era fondato, ad avviso della Corte
di merito, il motivo con cui Ar. An.
e Ma. Co. Ma. deducevano l’intervenuta prescrizione dell’azione di
responsabilità, perché, in difetto di prova che l’insufficienza patrimoniale
della società si fosse verificata anteriormente, essa
andava ricondotta alla data della sentenza dichiarativa di fallimento e dunque
al 18.10.1988, mentre l’azione della curatela era stata proposta nel 1989.
Infine la Corte respingeva l’ultimo
motivo d’appello con cui i sindaci appellanti sostenevano che non si era
verificata la perdita del capitale oltre al terzo, perché nella valutazione del
deficit di bilancio i giudici di primo grado non
avevano tenuto conto che vi era stato un finanziamento da parte dei soci per
l’ammontare di £ 129.800.000. Osservavano i giudici d’appello che nella specie
si era trattato di un finanziamento e non di un conferimento, sì che il
Tribunale correttamente non lo aveva considerato nel calcolo del capitale,
riguardando tale "voce" il passivo e potendo essere in ogni momento
oggetto di ripetizione da parte di chi il denaro aveva versato.
Hanno proposto ricorso per cassazione
Ar. An. e Ma. Co. Ma.
formulando tre motivi di ricorso. Resiste con controricorso
la Curatela del Fallimento Si. S.p.A..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso i ricorrenti lamentano, senza invocare alcuna
specifica violazione di legge od illogicità della motivazione, che la Corte d’Appello
avrebbe errato nell’affermare che la voce di £ 129.800.000 costituisse un
finanziamento ripetibile, da considerare nel passivo della società fallita ai
fini del calcolo dell’intervenuta perdita del capitale sociale oltre il terzo,
anziché un conferimento in conto capitale, come tale irripetibile. Osservano
che il Tribunale aveva rilevato che nella specie si
trattava di conferimento, irripetibile ad nutum,
ancorché iscritto in bilancio come "conto finanziamento" perché
l’assemblea del 25.6.1981 aveva ratificato il "finanziamento dei soci
gratuito in conto capitale" deliberato dal consiglio di amministrazione il
18.9.1980.
Con il secondo motivo i ricorrenti
deducono che la Corte
avrebbe errato nel collocare il verificarsi
dell’insufficienza patrimoniale della Si. S.p.A. alla data del fallimento,
perché nella stessa relazione prodotta dalla curatela risultava
che la società aveva cessato di operare verso la fine del 1983, sì che in tale
periodo era già evidente l’insufficienza del patrimonio sociale a soddisfare i
creditori.
Con il terzo motivo
i ricorrenti lamentano che la
Corte d’Appello abbia ritenuto che nel 1983 essi fossero
ancora in carica come sindaci. Osservano che essi erano stati
nominati dall’assemblea del 12.1.1980 per un triennio, sì che l’incarico
sarebbe scaduto il 12.1.1983. Le dimissioni erano state presentate il 9.5.1981
ed accettate dal presidente del consiglio di amministrazione
il 27.6.1981, con lettera con cui questi si era anche impegnato a ricostituire
il collegio sindacale. Affermano che essi non erano tenuti a rimanere in carica
sino alla ricostituzione del collegio sindacale perché tale obbligo non era
previsto per legge, dovendosi quantomeno dubitare dell’applicabilità del regime
della prorogatio previsto
per gli amministratori dall’art. 2385 c. c.. Né poteva affermarsi che i sindaci
fossero rimasti in carica, come sarebbe risultato secondo la sentenza
impugnata, dai verbali delle assemblee tenutesi nel 1984, perché le dimissioni
non potevano essere oggetto di revoca tacita una volta prodottosi l’effetto
giuridico ad esse proprio. La
Corte non avrebbe inoltre tenuto conto delle dichiarazioni
dei testi Ca. e Pa. che avevano dichiarato di essersi
recati ogni sabato presso lo studio del prof. Ar. An. e di non
aver mai assistito a nessuna riunione assembleare. All’atto delle
dimissioni dei ricorrenti ad essi sarebbero subentrati
in via automatica, ai sensi dell’art. 2401 c. c., i sindaci supplenti Se. Ma. e
An. St. e la circostanza
che nelle assemblee del 1984 non si fosse dato atto dell’intervenuto mutamento
del collegio sindacale, non avrebbe potuto comportare altra conseguenza che la
nullità delle assemblee stesse.
Il primo motivo di ricorso è
inammissibile.
I ricorrenti si dolgono della
determinazione del deficit di bilancio, relativamente all’anno
1983, effettuata dalla Corte d’Appello considerando nel passivo la voce di
debito relativa all’ammontare di 129.800.000, ritenuta costituire un
finanziamento soci e non un versamento in conto capitale, come tale
irripetibile in quanto non suscettibile di restituzione ai soci se non in
occasione della liquidazione della società.
La censura in realtà attiene alla
valutazione delle risultanze degli elementi di prova
acquisiti al giudizio, correttamente motivata dalla Corte di merito sulla base
della qualificazione data alla voce del passivo nel bilancio della società, dal
quale risultava appunto trattarsi di finanziamento.
I ricorrenti deducono in senso
contrario un passo della motivazione della sentenza di
primo grado, che peraltro si riferisce al diverso problema della determinazione
del danno risarcibile, avendo il Tribunale, come ha osservato la stessa
sentenza impugnata, ritenuto di dover qualificare il finanziamento di oltre 129
milioni come soggetto a ripetizione in qualsiasi momento.
I ricorrenti oppongono
alla valutazione delle emergenze di causa compiuta dai giudici del merito una
propria, diversa, valutazione di quelle stesse circostanze, formulando
quindi in questi termini una censura inammissibile in questa sede.
Il secondo motivo di ricorso non è
fondato.
Questa Corte ha affermato che
l’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori e dei sindaci di
una società, esperibile, ex art. 2394 c. c., dai creditori sociali (ovvero,
come nella specie, dal curatore fallimentare della società poi fallita, ex art.
146 L.F.), è soggetta a prescrizione quinquennale con decorso non già dalla
commissione dei fatti integrativi di tale responsabilità, bensì dal
(successivo) momento dell’insufficienza del patrimonio sociale al
soddisfacimento dei crediti (art. 2394, comma secondo, c. c., che subordina la
proponibilità dell’azione al manifestarsi dell’evento dannoso), momento che,
non coincidendo con il determinarsi dello stato di insolvenza, ben può
risultare anteriore o posteriore alla dichiarazione di fallimento. L’onere
della prova della preesistenza al fallimento dello stato di insufficienza
patrimoniale della società spetta, poi, al soggetto (amministratore o sindaco)
che, convenuto in giudizio a seguito dell’esperimento della detta azione di
responsabilità, ne eccepisca l’avvenuta prescrizione, senza che, all’uopo, tale
onere possa dirsi assolto mediante la generica deduzione, priva di qualsiasi
altro utile elemento di fatto a sostegno dell’assunto, secondo cui l’insufficienza
patrimoniale si sarebbe manifestata (come nel caso di specie) già al momento
della messa in liquidazione della società, non essendo il procedimento di
liquidazione necessariamente determinato dalla eccedenza delle passività sulle
attività patrimoniali, e non implicando, altresì, la perdita integrale del
capitale sociale una consequenziale perdita di ogni valore attivo del
patrimonio sociale (Cass. civ., sez. I, 28.05.1998,
n. 5287, in Fallimento, 1999, 437).
Anche il terzo motivo di ricorso non è fondato.
Questa Corte ha affermato che in tema
di funzionamento del collegio sindacale di una società di capitali, la rinunzia
di un sindaco effettivo – a meno che non sia
diversamente disposto dallo statuto sociale – ha effetto immediato,
indipendentemente dalla sua accettazione da parte dell’assemblea, quando sia
possibile l’automatica sostituzione del dimissionario con un sindaco supplente
(Sez. I, 09.10.1986, n. 5928, in Dir. fall. 1987, II, 422). Nel caso in esame la Corte di merito
ha accertato, con valutazione in fatto non sindacabile in questa sede, che già
il sindaco effettivo St. era decaduto dalla carica ed
era stato sostituito con uno dei sindaci supplenti, sì che non poteva farsi
luogo a sostituzione automatica dei ricorrenti sindaci dimissionari ai sensi
dell’art. 2401, nel testo vigente prima delle modifiche introdotte dal D.Lgs. 27/01/1992 n. 88 (art. 23).
Ed ancora, con valutazione in fatto insindacabile in questa sede, la Corte di
merito ha accertato che i ricorrenti erano stati prorogati nella funzione,
desumendo tale circostanza sia dalla presenza di Ar. An. e di Ma. Co. Ma. alle
assemblee del 26.6.1984 e del 30.6.1984 sia dalla lettera scritta da Ar. An. in
qualità di sindaco in data 2.7.1984 al Ministero del Tesoro per un
rimborso IVA. Peraltro la Corte d’Appello ha ritenuto che i testi Ca. e Pa. chiamati a rispondere sulla circostanza se nello
studio di Ar. An. vi fossero state riunioni di sabato (dovendosi ritenere
in caso negativo che le assemblee della Si. S.p.A. non si fossero tenute,
contrariamente a quanto risultava dai verbali delle
medesime, con conseguente falsità dell’attestazione della presenza dei
ricorrenti in qualità di sindaci) fossero stati generici, essendosi limitati a
dichiarare di non aver mai visto effettuare riunioni di sabato nello studio di Ar. An.,
dichiarazioni queste ultime non risolutive per escludere che le assemblee
fossero mai state tenute.
Va infine aggiunto che la Corte di merito ha affermato
che vi fu prorogatio dei sindaci nella funzione, e
non, come affermano erroneamente i ricorrenti, che le dimissioni, già efficaci,
sarebbero state oggetto di un’inammissibile successiva
revoca tacita.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e
condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese del giudizio di cassazione che liquida in complessivi € 3.200,00 di cui €
3.000,00 per onorari, oltre IVA e CPA come per legge.