Penale

Friday 05 December 2003

Immunità parlamentari. Dubbi di costituzionalità della legge 140/2003 sollevati dal Tribunale di Bologna nel processo Sgarbi. N. 1021 ORDINANZA (Atto di promovimento) 17 settembre 2003.

Immunità parlamentari. Dubbi di costituzionalità della legge 140/2003 sollevati dal Tribunale di Bologna nel processo Sgarbi

N.   1021   ORDINANZA (Atto di promovimento) 17 settembre 2003.

  Ordinanza emessa il 17 settembre 2003 dal tribunale di Bologna nel procedimento penale a carico di Sgarbi Vittorio ed altro Parlamento – Immunita’ parlamentari – Disposizioni per l’attuazione dell’art. 68, primo comma, della Costituzione – Insindacabilita’ delle opinioni espresse dai membri del Parlamento nell’esercizio delle loro funzioni Ampliamento, con legge ordinaria, dell’ambito di operativita’ della garanzia, in contrasto con i limiti stabiliti dal principio costituzionale, quali individuati dalla giurisprudenza della Corte costituzionale – Irragionevole disparita’ di trattamento tra i soggetti che rivestono la qualita’ di “parlamentare” ed i comuni cittadini – Ingiustificata compressione dell’esercizio del diritto, costituzionalmente riservato a tutti i cittadini (nella specie: alla parte offesa dal reato), anche ai sensi dell’art 6 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti. – Legge 20 giugno 2003, n. 140, art. 3, comma 1. – Costituzione, artt. 3, 24, 68, primo comma, e 117. (GU n. 48 del 3-12-2003) 

IL TRIBUNALE

    Letti  gli  atti  del  procedimento  penale  n. 1639/99  R.G.N.R.

n. 1510/02  r. gen. Tribunale di Bologna, pendente a carico di Sgarbi

Vittorio  e  Cane’  Gabriele,  come generalizzati in atti; sentite le

parti, che hanno concluso:

        la  parte  civile  ha  richiesto  sollevarsi  la questione di

legittimita’ costituzionale dell’art. 3 legge n. 140/03 per contrasto

con  gli  artt. 3,  24,  68,  101, 112, 117 della Costituzione, per i

motivi   espressi  in  memoria  scritta  depositata  agli  atti,  qui

richiamata,  e  ulteriormente illustrati all’Udienza odierna, come da

verbale;  nonche’  la sospensione del giudizio in corso nei confronti

dell’imputato  Sgarbi, e la separazione della posizione dell’imputato

Cane’.  In subordine, la parte civile ha chiesto sollevarsi conflitto

di attribuzioni;

        il  p.m.  ha  illustrato  le  proprie conclusioni di cui alla

memoria  scritta,  depositata  dell’odierna  udienza,  anch’essa  qui

richiamata, ritenendo che la questione di legittimita’ costituzionale

proposta  non  sia  rilevante  nel  presente procedimento, e pertanto

chiedendo  che  il  giudice  pronunci sentenza ai sensi dell’art. 129

c.p.p.  nei  confronti  dell’imputato  Sgarbi, separando la posizione

dell’imputato Cane’, ritenendo la natura strettamente personale della

causa di non punibilita’ di cui all’art. 68 Costituzione.

    La difesa di Cane’ Gabriele ha chiesto sollevarsi la questione di

legittimita’ costituzionale dell’art. 3 legge n. 140/03 per contrasto

con gli artt. 3 e 68 della Costituzione, in base ai motivi esposti in

udienza,  di cui al verbale in atti, e si e’ opposta alla separazione

della  posizione  del Cane’ chiedendo la sospensione dei processo per

entrambi gli imputati.

    La  difesa dell’imputato Sgarbi ha richiesto che, ove non venisse

accolta  la  questione di legittimita’ costituzionale sollevata dalle

altre  parti,  il  giudice  pronunci  sentenza ai sensi dell’art. 129

c.p.p.

    Ha pronunciato la seguente ordinanza.

    Preso  atto  della delibera della Camera dei deputati intervenuta

in  data  27 maggio  2003 qui trasmessa in originale e pervenuta agli

atti   in   data   3 giugno  2003,  con  la  quale  veniva  approvata

integralmente  la  proposta  della Giunta per le autorizzazioni circa

l’applicabilita’  dell’art. 68  primo  comma  della Costituzione, nel

senso  di  dichiarare  che  i  fatti  per  i  quali  e’  in  corso il

procedimento  penale n. 1639/1999 R.G.N.R. – n. 1881/99 RG.G.I.P., di

cui  al  documento  4-quater, n. 73, concernono opinioni espresse dal

deputato Sgarbi nell’esercizio delle sue funzioni, ai sensi del primo

comma deIl’art. 68 della Costituzione.

    Premesso che, il fatto per il quale e’ stato disposto il rinvio a

giudizio  dell’On. Sgarbi,  si  riferisce  a frasi ritenute – secondo

l’accusa  –  diffamatorie,  attribuite al medesimo e pubblicate in un

articolo  di  stampa  sul  quotidiano  «Il  Resto  del  Carlino»  del

31 dicembre  1998,  sotto  il  titolo «Caro Fini, non sono garantista

difendo tutti anche i piu’ deboli».

    L’on. Sgarbi avrebbe – secondo l’imputazione elevata a suo carico

–  con  l’articolo  suddetto,  offeso  gravemente  la reputazione del

dott. Giancarlo  Caselli,  all’epoca  Procuratore della Repubblica di

Palermo»  a  causa dell’adempimento delle sue funzioni e nell’atto di

esercitarle,  indicandolo  espressamente  come  causa della morte del

dott.   Luigi   Lombardini,  verificatasi  per  suicidio  a  Cagliari

l’11 agosto  1998,  in  quanto  avrebbe  posto  in  essere  nei  suoi

confronti   «una  violenza  intollerabile»  cosi’  da  condurlo  alla

disperazione  e  al  suicidio,  il  tutto  in un contesto generale di

iniziative giudiziarie caratterizzate dal sequestro di innocenti».

    La  Camera dei deputati approvava integralmente la proposta della

Giunta  per  le  autorizzazioni  a  procedere, la quale, richiesta di

pronunciarsi   per   iniziativa  dello  stesso  deputato  Sgarbi,  ha

esaminato  il  caso  nelle  sedute del 6 marzo e 14 maggio 2003 (cfr.

Relazione della giunta, trasmessa agli atti).

    Nella  relazione  della  giunta,  si sottolineava infatti che «le

affermazioni  del  deputato  Sgarbi sono parse inserirsi nel contesto

della  perdurante polemica politica nel nostro Paese inerente al modo

di  procedere della magistratura e in particolare nella forte critica

politica  manifestata  dal deputato Sgarbi nei confronti dell’operato

di  taluni  Magistrati,  critica  che  in molte precedenti occasioni,

l’assemblea  ha  ritenuto  insindacabili al sensi dell’art. 68, primo

comma, della Costituzione. Del resto, la garanzia di cui all’art. 68,

primo comma della Costituzione, copre anche attivita’ di critica e di

denuncia   del   Parlamentare  relativamente  all’ordine  del  giorno

dell’attivita’   parlamentare   cosi’  com’era  la  polemica  con  la

magistratura  in  quel  periodo. Decisiva ai presenti fini, e’ poi la

circostanza   che  le  dichiarazioni  del  deputato  Sgarbi  sono  di

contenuto sostanzialmente corrispondente a quelle riportate nelle sua

interrogazione  a riposta orale presentate il 15 settembre 1998 (Atto

Camera  n. 3/02843),  il  cui  testo  si  riporta  in allegato, e che

dimostra  appieno  il  nesso funzionale tra le dichiarazioni rese nel

contesto  del  procedimento in titolo e l’attivita’ parlamentare. Per

tali  motivi  all’unanimita’, la giunta ha deliberato nel senso che i

fatti  per  i  quali  e’ in corso il procedimento concernono opinioni

espresse  da  un  membro  del  Parlamento  nell’esercizio  delle  sue

funzioni  (cfr.  relazione  della giunta per le autorizzazioni – Doc.

IV-quater   n. 73  presentata  alla  Presidenza  il  15 maggio  2003,

approvata  dalla  Camera nella seduta del 27 maggio 2003 n. 314, come

da  estratto  stenografico  trasmesso  al seguito della comunicazione

inviata  a  questo Tribunale dal Presidente della Camera dei deputati

unitamente  alla  suddetta  relazione  e al testo dell’interrogazione

parlamentare citata).

    Pervenuta   la   suddetta   documentazione   via  fax  nel  corso

dell’udienza  dibattimentale  del  28 maggio  2003,  con  riserva  di

trasmissione  degli  originali  (pervenuti  successivamente  in  data

29 maggio  2003  alla  segreteria  di  Presidenza  del  tribunale  di

Bologna),  questo giudice disponeva un rinvio preliminare all’odierna

udienza,   riservando   ogni   decisione  senza  espletare  ulteriore

attivita’ istruttoria, come da ordinanza agli atti qui richiamata.

    Successivamente,  nelle  more  del  rinvio,  entrava in vigore la

legge 20 giugno 2003 n. 140 intitolata «Disposizioni per l’attuazione

dell’art. 68 della Costituzione nonche’ in materia di processi penali

nei  confronti  delle alte cariche dello Stato» il cui art. 3 comma 1

ridefiniva  l’ambito  di  applicazione del medesimo articolo 68 primo

comma  della  Costituzione, nei seguenti termini «l’art. 68, 1 comma,

della  Costituzione, si applica in ogni caso, per la presentazione di

disegni  o proposte di legge, emendamenti, ordini del giorno, mozioni

e  risoluzioni,  per  le  interpellanze  e le interrogazioni, per gli

interventi  nelle  assemblee  e  negli altri organi delle Camere, per

qualsiasi  espressione di voto comunque formulata, per ogni albo atto

parlamentare,  per ogni alba attivita’ di ispezione, di divulgazione,

di  critica  e  di  denuncia  politica,  connessa  alla  funzione  di

Parlamentare, espletata anche fuori del Parlamento».

    Allo   stato   attuale   del   processo,   essendo  pervenuta  la

deliberazione  della  Camera  in  senso  favorevole  all’applicazione

dell’art. 68   comma 1   della   Costituzione,  gia’  precedentemente

all’entrata  in  vigore  della suddetta legge, questo giudice sarebbe

tenuto,  giusta il combinato disposto di cui all’art. 3 commi terzo e

ottavo   della   legge   n. 140/03,  ad  «adottare  senza  ritardo  i

provvedimenti  indicati nel comma 3 ovvero a provvedere con sentenza,

in  ogni stato e grado del processo penale, a norma dell’art. 129 del

codice  procedura  penale», norma di carattere processuale, come tale

immediata applicazione in base al noto principio tempus regit actum.

    In  alternativa,  il  giudice  ordinario  conserva  il  potere di

sollevazione  del  conflitto  di  attribuzioni,  fondato sulla stessa

garanzia  costituzionale di delimitazione della sfera di attribuzioni

di cui all’art. 134 della Costituzione.

    La  pronuncia  di  una  sentenza  ai  sensi dell’art. 129 c.p.p.,

impone   tuttavia   a  questo  giudice  una  valutazione  preliminare

dell’ambito  di  applicazione dell’art. 68 comma 1 Costituzione, come

ridefinito  nel  nuovo  art. 3 comma 1 della legge n. 140/2003, quale

norma  sopravvenuta  di  carattere  sostanziale che delinea i casi di

applicazione della causa di non punibilita’, riconosciuta sussistente

nel caso di specie, dalla delibera parlamentare di cui sopra.

    Orbene,  questo  giudice  ritiene  che  l’attuale testo normativo

dell’art. 3  legge n. 140/2003 ponga una questione non manifestamente

infondata  di  legittimita’   costituzionale,  per  contrasto  con gli

artt. 3,  68 comma 1, 24 e 117 della Costituzione, e che la questione

sia  rilevante  nel  presente  procedimento  penale,  per i motivi di

seguito  esposti,  e  secondo  profili  solo in parte coincidenti con

quelli  gia’ dedotti dalle parti istanti, tanto da rendere necessaria

la  sollevazione  d’ufficio  ex  art. 23 comma 3 legge 11 marzo 1953,

n. 87.

      Invero,  l’art. 3 comma 1 legge n. 140/03, non si limita ad una

semplice  «attuazione»  dell’art. 68  comma 1  della Costituzione, ma

estende   l’ambito  di  operativita’  della  garanzia  dell’immunita’

parlamentare,  ben  oltre i limiti definiti dall’attuale formulazione

della  norma  costituzionale  citata, quali costantemente individuati

dalla  pluriennale  giurisprudenza  dalla  Corte costituzionale nelle

numerose  pronunce  intervenute  in  occasione  della sollevazione di

conflitti  di  attribuzioni  tra  il  giudice  ordinario e le Camere,

riguardo   allo   specifico   tema  del  «nesso  funzionale»   tra  le

dichiarazioni   di   un   deputato   e   l’espressione  di  attivita’

parlamentare.

    Per  consolidata  giurisprudenza  della  Corte  costituzionale e’

pacifico   che,   trattandosi   di   valutare  la  sussistenza  della

prerogativa  dell’immunita’ in rapporto alle dichiarazioni rese da un

deputato  ad  un’agenzia di stampa, e pertanto rilasciate al di fuori

dell’esercizio  delle  funzioni  parlamentari tipiche, il problema si

risolve  nello  stabilire  se  quelle  dichiarazioni siano ugualmente

identificabili come espressione dell’attivita’ parlamentare, e quindi

possano  ritenersi iscritte nell’ambito delle «opinioni» per le quali

opera   la   citata  garanzia  costituzionale  (cfr.  sentenza  Corte

costituzionale n. 51/2002, nella quale viene riaffermato il principio

secondo  cui  «ove  le  dichiarazioni per le quali il parlamentare e’

chiamato  a rispondere in sede giurisdizionale siano state rese al di

fuori  di  un’attivita’  funzionale  riconducibile  alla  qualita’ di

membro  della  Camera,  e del tutto al di fuori delle possibilita’ di

controllo  e  di  intervento  offerte  dall’ordinamento parlamentare,

l’unico   punto   da   verificare   riguarda  l’eventualita’  che  la

dichiarazione  medesima  non rappresenti altro se non la divulgazione

all’esterno….  di  un’opinione  gia’  espressa,  o  contestualmente

espressa, nell’esercizio della funzione parlamentare»).

    La Corte costituzionale ha piu’ volte chiarito che, ai fini della

predetta   identificazione,  (non  basta  la  semplice  comunanza  di

argomenti,   oggetto   di   attivita’   parlamentari   tipiche  e  di

dichiarazioni   fatte   al   di   fuori   di   esse,   ne’  basta  la

riconducibilita’  di  queste  ultime  dichiarazioni  ad  un  medesimo

«contesto  politico»  (cfr.  tra le molte conformi, la recente citata

sent.   Corte  cost.  n. 51/2002,  in  base  alla  quale  «per  poter

ricondurre le dichiarazioni extra moenia al panorama delle «opinioni»

per le quali opera la garanzia costituzionale della irresponsabilita’

non  basta la semplice comunanza di argomenti, ne’ la medesimezza del

«contesto» politico tra quelle dichiarazioni e l’espletamento di atti

tipici   della   funzione   parlamentare.  Occorre,  invece,  che  la

dichiarazione  possa essere qualificata come espressione di attivita’

parlamentare;  il che normalmente accade se ed in quanto sussista una

sostanziale  corrispondenza  di significati fra le dichiarazioni rese

al  di  fuori  dell’esercizio  delle  attivita’  parlamentari tipiche

svolte  in  Parlamento,  e  le  opinioni gia’ espresse nell’ambito di

queste ultime»).

    La  sostanziale  corrispondenza  di contenuti, finisce dunque per

costituire «il criterio che consente di identificare le dichiarazioni

rese  al  di fuori di quelle attivita’, e cionostante riconducibili o

inerenti  alla  funzione parlamentare, distinguendole cosi’ da quelle

che  ricadono nel diritto comune a tutti i cittadini, e proteggendole

tramite   la   speciale  garanzia  dell’art. 68  primo  comma,  della

Costituzione. Senza con cio’ determinare situazioni ingiustificate di

privilegio   personale»   (cfr.   Sent.   320   e  321/  2000,  sent.

27 febbraio-15 marzo 2002 n. 50).

    Alla  luce  dei  suddetti  ben  noti  principi,  una disposizione

semplicemente  «attuativa»  dell’art. 68  comma 1  della Costituzione

introdotta   con  legge  ordinaria,  avrebbe  necessariamente  dovuto

rispettare  i  confini  nei  quali era ed e’ legittimamente possibile

individuare   gli   estremi   del   «nesso   funzionale»  cosi’  come

interpretato  costantemente dalla Corte costituzionale, e in ossequio

al  dettato  della norma costituzionale attualmente vigente (salva la

possibilita’  di introdurre modifiche dirette a quest’ultima mediante

gli  strumenti legislativi previsti dall’art. 138 della Costituzione,

non attuati con la legge de qua.

    Si ritiene invece, che il testo dell’attuale art. 3 comma 1 legge

n. 140/03  abbia inteso individuare i termini di identificabilita’ di

«espressione    dell’attivita’    parlamentare»,   non   solo   nella

«sostanziale  identita’ di significati» tra le attivita’ extra moenia

e  quelle  svolte  in sede Parlamentare dal medesimo Deputato, bensi’

ancbe  in  una  serie  di  condotte  che,  pur  se  svolte  fuori del

Parlamento,  presentino  un  mero  collegamento  con  «la funzione di

Parlamentare»   e  non  una  specifica  connessione  con  l’attivita’

parlamentare  svolta  dal  medesimo soggetto, indipendentemente dalla

loro  identificabilita’  con  il  vero  e  proprio  «esercizio  delle

funzioni   parlamentari»   voluto   dall’art.   68   comma   1  della

Costituzione.

    Invero,  l’interpretazione  letterale  e  sistematica  del  testo

delIart. 3  comma 1  legge  n. 140/03 porta inequivocabilmente a tali

conclusioni,  laddove  vengono  analiticamente  indicate, in aggiunta

agli atti «tipici» espressivi dell’esercizio di funzioni parlamentari

(disegni  di  legge,  proposte  di legge, emendamenti, interrogazioni

etc.),   una   serie   di   ulteriori  attivita’  «di  ispezione,  di

divulgazione,  di  critica  e di denuncia politica», le quali saranno

ugualmente  coperte  dall’immunita’ anche se avvenute al di fuori del

Parlamento,    qualora   risultino   «connesse   alla   funzione   di

parlamentare».

    Il  rapporto  di «connessione» viene dunque riconosciuto non solo

rispetto  alla  «divulgazione»  di  atti  o  attivita’  compiute  dal

medesimo  Parlamentare  intra moenia, ma anche ad ulteriori e diverse

attivita’   espletate   fuori   della   sede   parlamentare,   e  non

necessariamente di contenuto corrispondente a quello di atti «tipici»

compiuti dallo stesso Parlamentare nell’esercizio delle sue funzioni.

    La  differenza  e’ rilevante, in quanto detta interpretazione del

nesso  funzionale  quale  criterio  operativo  di  applicazione della

garanzia dell’immunita’ parlamentare, consente di dilatarne i confini

ben  oltre  e  in contrasto con il dettato dell’attuale art. 68 primo

comma,   Costituzione,  sino  a  ricomprendervi  anche  attivita’  di

«critica  e/  o  di  denuncia politica», ovvero tutte quelle opinioni

espresse  dal  parlamentare  nello  svolgimento  della  sua attivita’

politica,  che  presentino un qualche «collegamento di argomento o di

contesto»  con  l’attivita’  parlamentare  (dello  stesso  o di altri

deputati),  e  non  solo – come la Corte costituzionale ha piu’ volte

costantemente  ribadito  –  quelle attivita’ che siano identificabili

quale  «espressione di attivita’ parlamentare», ovvero manifestate in

atti  che  costituiscano  «estrinsecazione delle facolta’ proprie del

Parlamentare   in   quanto   membro   dell’Assemblea»   (cosi’  Corte

costituzionale sent. n. 10/2000, n. 11/2000; n. 56/2000; 420/2000).

    Sul  punto,  la Corte costituzionale ha ritenuto che «la semplice

comunanza  di  argomento  fra  la  dichiarazione  resa  ai  mezzi  di

comunicazione  o in dibattiti pubblici e le opinioni espresse in sede

parlamentare  non basta a estendere alla prima l’insindacabilita’ che

copre  le  seconde. Ne’ si puo’ invocare a tal fine l’esistenza di un

«contesto»  politico  in  cui la dichiarazione si inserisca, giacche’

siffatto  tipo  di  collegamenti non vale, di per se’, a conferire il

carattere  di  attivita’  parlamentare  a  manifestazioni di pensiero

oggettivamente  estranee  ad  essa.  Deve esservi, dunque, un preciso

nesso  funzionale  fra  le  dichiarazioni e l’attivita’ parlamentare:

nesso  che  puo’  legittimamente  essere affermato dalle Camere anche

quando    le   dichiarazioni   siano   sostanzialmente   riproduttive

dell’opinione  sostenuta  in  sede parlamentare», e non invece, sulla

base  di  un  generico  riferimento alla «azione politica» svolta dal

deputato  «dentro  e  fuori  il  Parlamento»  sui medesimi temi (come

quelli,  rilevanti  nel caso di specie, attinenti all’amministrazione

della  giustizia e alla tutela dei soggetti sottoposti a carcerazione

preventiva) (cfr. Corte cost. sent. n. 56/2000).

    Quanto  alla  rilevanza della questione nel presente processo, ed

alla  priorita’  della  sua  risoluzione  rispetto  ad ogni ulteriore

decisione  –  sia  nel  senso  di sentenza ex art. 129 c.p.p., sia in

quello alternativa della sollevazione del conflitto di attribuzioni –

va osservato che:

        a)  la  delibera di insindacabilita’ verte sul riconoscimento

del  «nesso  funzionale» tra le dichiarazioni rese dallo Sgarbi fuori

del  Parlamento  e  l’esercizio  delle  funzioni parlamentari, ovvero

sull’applicazione   al   caso  di  specie,  delle  garanzie  previste

dall’art. 68, primo comma, della Costituzione.

    L’art. 3 della recente legge n. 140/03 ha ridefinito, nei termini

sopra  esposti, il medesimo ambito di operativita’ dell’art. 68 primo

comma,  della  Costituzione,  individuando  una  serie  specifica  di

attivita’  svolte  dal Parlamentare, alle quali si applica tale norma

costituzionale  in  quanto  «connesse  alla funzione di Parlamentare,

espletate  anche fuori del Parlamento», cosi’ interpretando – come si

e’  gia’  evidenziato  –  il  nesso  funzionale  che  scrimina  dette

attivita’,  in  modo  assai piu’ ampio di quanto consentito dal testo

attuale dell’art. 68, primo comma, della Costituzione.

    Alla  luce  della deliberazione della Camera dei deputati, questo

giudice  dovrebbe  applicare  l’art. 129  c.p.p.,  come peraltro oggi

espressamente   previsto   dall’art. 3   legge   n. 140/2003,  ovvero

sollevare   il   conflitto   di   attribuzioni   davanti  alla  Corte

costituzionale.  qualora  ritenesse  prodottasi  un’indebita  lesione

della   sfera   di   giurisdizione   da   parte   della   intervenuta

deliberazione.

    Tale   scelta  alternativa  e’  tutt’oggi  riservata  al  giudice

ordinario  di  fronte  all’intervento di una delibera della Camera, e

confermata piu’ volte dalla giurisprudenza della Corte costituzionale

gia’  prima dell’entrata in vigore dell’art. 3 legge n. 140/2003, che

non  ha  comunque  modificato  la  possibilita’  da parte del giudice

ordinario  di  adire  la  Corte  costituzionale attraverso la via del

conflitto  di  attribuzioni,  trattandosi di facolta’ che, come si e’

visto,  e’  riconosciuta  dalla  stessa  Costituzione  (artt. 134 ss.

Cost.).

    Tuttavia,   anche   le   valutazioni   necessariamente   connesse

all’esercizio  di  tale  facolta’  –  riservata  al giudice ordinario

qualora  egli  non  ritenga  di  aderire alla decisione assunta dalla

Camera e ritenga vi sia stata indebita lesione della propria sfera di

attribuzioni in conseguenza dell’esercizio, ritenuto illegittimo, del

potere  di dichiarare l’insindacabilita’ ai sensi dell’art. 68, primo

comma,   della   Costituzione  –  comportano  una  imprescindibile  e

preliminare  delibazione  attuale  della  delibera  stessa, alla luce

della nuova normativa introdotta dal citato art. 3, legge n. 140/2003

in epoca successiva all’intervenuta decisione della Camera.

    Dall’esame  –  esclusivamente  a  tal  fine – del contenuto della

delibera  in  oggetto,  emerge  chiaro  il richiamo nella motivazione

della  stessa,  non  solo alla ritenuta sostanziale corrispondenza di

contenuti  tra  le  dichiarazioni  del  deputato Sgarbi alla stampa e

quelle riportate nella sua interrogazione a risposta orale presentata

il   15   settembre  1998,  ma  anche  e  soprattutto,  alla  portata

interpretativa   che  la  Camera  ha  inteso  ribadire  relativamente

all’ambito  di  operativita’ della garanzia di cui all’art. 68, primo

comma,    della   Costituzione,   laddove   si  dice  chiaramente  che

quest’ultima  «copre  anche  attivita’  di  critica e di denuncia del

Parlamentare   relativamente   a   questioni  all’ordine  del  giorno

dell’attivita’  parlamentare,  cosi’  come  era  la  polemica  con la

magistratura  in  quel  periodo»  (cfr. relazione della giunta – doc.

IV-quater – n. 73 allegata agli atti).

    La  giunta  per  le  autorizzazioni  specificava  infatti,  nella

proposta  poi  approvata  integralmente con la delibera del 27 maggio

2003  (cfr.  relazione della giunta – doc. IV-quater – n. 73) che «le

affermazioni  del  deputato  Sgarbi sono parse inserirsi nel contesto

della perdurante polemica politica nel nostro Paese, inerente al modo

di procedere della magistratura e in particolare, nella forte critica

politica  manifestata  dal deputato Sgarbi nei confronti dell’operato

di  taluni  magistrati,  critica  che  in  molte precedenti occasioni

l’assemblea  ha  ritenuto  insindacabile ai sensi dell’art. 68, primo

comma, della Costituizione».

    Orbene,   tale   interpretazione   dell’ambito   di  operativita’

dell’art. 68,   primo   comma,   della  Costituzione,  e  quindi  del

riconoscimento del «nesso funzionale» tra le dichiarazioni rese extra

moenia   e   l’esercizio   delle   funzioni   parlamentari,   risulta

sostanzialmente  aderente  all’attuale  contenuto e portata del nuovo

art. 3  legge  n. 140/2003,  laddove  al  primo  comma,  esso estende

espressamente  il  riconoscimento della connessione funzionale ad una

serie   di  attivita’  specificamente  elencate,  tra  le  quali  ben

potrebbero  astrattamente  ricondursi  quelle  stesse  indicate nella

relazione  della  Giunta  –  «attivita’  di critica e di denuncia del

Parlamentare   relativamente   a   questioni  all’ordine  del  giorno

dell’attivita’   parlamentare,  cosi’  com’era  la  polemica  con  la

magistratura in quel periodo»; che il Parlamentare abbia svolto anche

fuori  della  sede  propria  del  Parlamento,  e che si trovino in un

rapporto di mero collegamento di argomento o di identita’ – comunanza

di tematiche rispetto a quelle trattate all’interno delle Camere, pur

se   non  si  esauriscano  nella  sola  attivita’  di  «divulgazione»

all’esterno   di  dichiarazioni  gia’  contenute  sostanzialmente  in

attivita’ compiute dallo stesso Parlamentare nella sede istituzionale

della Camera di appartenenza.

    Alla  luce di tali premesse, appare riconfermato che la questione

di  legittimita’  costituzionale  dell’art.  3, legge n. 140/2003, si

ponga  necessariamente  come  preliminare  e propedeutica rispetto ad

ogni  altra  decisione  del  giudice  ordinario, sia che la stessa si

concretizzi  nella sollevazione del conflitto di attribuzioni, oppure

nell’applicazione immediata dell’art. 129 c.p.p.

        b)   Invero,   anche   riguardo  a  tale  seconda  ipotesi  –

diversamente da quanto ritenuto dal p.m. nelle proprie deduzioni – si

manifesta la rilevanza della questione di legittimita’ costituzionale

posta  nel  caso  sub  iudice,  poiche’  lo stesso potrebbe rientrare

nell’attale  previsione  dell’art. 3,  comma  1, legge n. 140/2003, a

differenza  di  quanto  sarebbe accaduto prima dell’entrata in vigore

della medesima legge.

    Compiendo  una  preliminare  valutazione  –  esclusivamente a tal

fine,  e  quindi  dovendosi  prescindere  in  questa  sede,  da  ogni

ulteriore   valutazione   di   merito   in   ordine  alla  fondatezza

dell’ipotesi  di  accusa  –  si  rileva  che  le dichiarazioni di cui

all’articolo   di   stampa   oggetto  dell’imputazione  nel  presente

procedimento, non risultano avere contenuto totalmente corrispondente

a  quello  dell’atto  ispettivo  indicato  nella  delibera in oggetto

(interrogazione parlamentare presentata dall’on. Sgarbi – atto Camera

n. 3/02843  –  in  data  15  settembre  1998),  laddove  le stesse si

estendono alla frase «… voglio immaginare una situazione ribaltata:

Caselli  a  Palermo che, indagato per avere sequestrato innocenti con

indagini   insufficienti,   come   e’  realmente  accaduto  (Musotto,

Lombardo,  Scalone),  viene  interrogato  da  un  pool  di magistrati

cagliaritani  …  guidati da Lombardini. Quale sarebbe stato l’umore

di  Caselli?  Non  voglio  aggiungere  altro», introducendo contenuti

nuovi  e  sostanzialmente diversi da quelli dell’interrogazione, che,

per  questa  parte,  non  possono  identificarsi  quale  «espressione

dell’esercizio della funzione parlamentare».

    Invero,  queste  ulteriori  dichiarazioni  non costituiscono mera

divulgazione  esterna  dei contenuti dell’interrogazione parlamentare

citata,  ma  assumono  valenza  di  significato  autonomo,  ancorche’

riconducibile   solo   in   parte   alla  medesima  vicenda,  nonche’

ricollegabili  al  medesimo tema oggetto di critica, ovvero l’operato

di taluni magistrati.

    Esse  non  possono  pertanto,  integrare quella totale «identita’

sostanziale  di contenuti» presupposto di applicazione della garanzia

prevista dall’art. 68, primo comma, Cost.

    Sul  punto, la stessa Corte costituzionale ha ribadito che, anche

nei  casi di «sostanziale corrispondenza di contenuti solo parziale»,

le  dichiarazioni  rese  dal  parlamentare  extra  moenia non possono

considerarsi  divulgazione,  per  la parte priva di corrispondenza, e

dunque  non  possono  ritenersi  rese  nell’esercizio  delle funzioni

parlamentari»  (cosi’  Corte  cost.  sent.  n. 10/2000  su un caso di

conflitto   di  attribuzioni  sollevato  in  relazione  ad  un  altro

procedimento  a  carico  dell’on. Sgarbi per diffamazione a danno del

dott.  Caselli; n. 420/2000 nella quale si sottolinea come «quando vi

e’  una  semplice  parziale  comunanza generica di tematiche relative

alla  persona  offesa  dalle dichiarazioni … non e’ ravvisabile una

corrispondenza  sostanziale  di  contenuti  e significati con un atto

parlamentare e, quindi, un carattere divulgativo»).

    Invero,      nell’interrogazione      parlamentare     presentata

dall’on. Sgarbi  in  data 15 settembre 1998, seppure con le forme del

«quesito dubitativo» proprie dell’atto tipico, venivano mosse censure

specifiche  circa  l’operato dei magistrati della Procura di Palermo,

tra  i  quali  il  dott.  Caselli,  e  in  particolare,  circa alcune

irregolarita’  che  avrebbero caratterizzato le modalita’ di gestione

dell’indagine  svolta  nei  confronti del dott. Lombardini (all’epoca

procuratore  della  Repubblica  presso  la  Pretura  circondariale di

Cagliari)  e  l’espletamento  concreto  di alcuni atti giudiziari, in

particolare  le  modalita’  della  perquisizione  e  quelle  definite

«persecutorie»  di conduzione dell’interrogatorio, nonche’ nell’avere

«fatto   ventilare   la  possibilita’  di  “arresto  per  la  mancata

collaborazione”   (tema   da   sempre   pubblicizzato  dalla  cultura

“inquisitoria”  di Caselli e degli altri magistrati) con cio’ creando

il  clima  terrorizzante  che  secondo  l’interrogante  potrebbe aver

causato la morte di Lombardini».

    Secondo    l’interrogante,    tali    metodi   avrebbero   potuto

rappresentare  la  causa del suicidio del dott. Lombardini, tanto che

nell’interrogazione  si  ipotizzava  il  ravvisarsi di fattispecie di

reato  quali  quelle  previste  dagli  art. 580 c.p. o 613 c.p., e si

prospettava  la necessita’ di adottare i conseguenti provvedimenti di

carattere disciplinare e penale.

    L’interrogazione,  si  riferisce  dunque  a  fatti specifici solo

parzialmente  richiamati  nel  contenuto dell’articolo in questione –

suicidio  del  dott.  Lombardini e presunte responsabilita’ del dott.

Caselli  in ordine allo stesso a causa dei metodi d’indagine adottati

nel caso specifico – e solo genericamente compie un riferimento ad un

possibile «uso distorto» della carcerazione preventiva quale «arma di

pressione» per convincerlo a collaborare.

    Nell’articolo in oggetto, invece, si introducono temi e contenuti

nuovi, che non possono essere ritenuti sostanzialmente corrispondenti

a  quelli  oggetto  dell’interrogazione:  in  particolare, laddove si

parla  esplicitamente  di  «avere sequestrato innocenti sulla base di

indagini insufficienti» (come realmente accaduto: Musotto, Lombardo e

Scalone)»;  attribuiti  alla  persona  del  medesimo magistrato dott.

Caselli,  e  si citano tali casi nella descrizione esemplificativa di

una   situazione   ipotetica   in   cui,   attraverso  un  immaginato

«rovesciamento  dei  ruoli»,  lo  stesso  magistrato si fosse trovato

nella   condizione   di  soggetto  indagato  per  tali  fatti,  e  il

dott. Lombardini  nella  veste  di  titolare  dell’inchiesta. Dunque,

nell’articolo  oggetto  dell’imputazione,  da  un  lato si accosta la

vicenda  del  Lombardini  a quelle dei citati altri casi giudiziari –

circostanza   che  non  risulta  assolutamente  costituire  contenuto

dell’interrogazione   parlamentare   agli   atti   –  dall’altro,  si

attribuisce  espressamente  al  dott.  Caselli  «l’avere  sequestrato

innocenti   con   indagini  insufficienti»  con  riferimento  a  casi

specifici  e  diversi  da quello del Lombardini – contenuto dotato di

rilevanza   autonoma  che,  del  pari,  non  risulta  trovare  alcuna

identita’  sostanziale  con  quello  dell’interrogazione parlamentare

ridetta.

    In   quest’ultima,  risulta  espresso  un  richiamo  generico  al

concetto  di  un possibile uso distorto della carcerazione preventiva

quale «arma di pressione» per indurre l’indagato a fornire la propria

collaborazione;    contenuto   affatto   diverso   da   quello   che,

nell’articolo   di   stampa,   attribuisce   al  dott.  Caselli,  con

riferimento  a precisi casi giudiziari concreti, «l’avere sequestrato

innocenti con indagini insufficenti».

    In sostanza dunque, gli atti di sindacato ispettivo si limitano a

tratteggiare   l’identica   vicenda   evocata   nelle   dichiarazioni

dell’articolo   di   stampa,  sulla  quale  si  sono  successivamente

sviluppate  espressioni  diverse  per  forma  e  significati, poste a

fondamento  dell’accusa  contestata  nel  giudizio  penale.  Ma, come

peraltro   sopra  richiamato  e  piu’  volte  affermato  dalla  Corte

costituzionale,  per  l’operativita’ della prerogativa dell’immunita’

ex  art. 68,  primo  comma, della Costituzione, non basta la semplice

«comunanza  di  argomento»  ne’  la  riconducibilita’  ad un medesimo

«contesto  politico»  dei  temi  trattati,   poiche’  in  tal modo, si

determinerebbe   un’indebita   estensione   della  suddetta  garanzia

costituzionale  a  tutte  le opinioni espresse dal parlamentare nello

svolgimento  della  sua  attivita’ politica, e non solo – come invece

l’attuale  art. 68,  primo  comma, della Costituzione impone – quelle

«legate  da  nesso  funzionale»  (cfr.  sentenza Corte cost. n. 10-17

gennaio  2000), e nel caso di specie, a dichiarazioni non esattamente

identificabili  quale  «espressione  della  funzione e/o di attivita’

parlamentare».

    Cio’    premesso,    quelle    stesse   dichiarazioni   contenute

nell’articolo  di  stampa  oggetto  dell’imputazione  che, in base al

consolidato  orientamento  interpretativo  dell’art. 68, primo comma,

Cost.  fornito  dalla  Corte costituzionale, non rientrerebbero nella

sfera  di  operativita’  di  tale  norma  costituzionale,  si ritiene

potrebbero  rientrare  nell’attuale previsione normativa dell’art. 3,

comma  1,  legge  n. 140/2003:  in  particolare, laddove quest’ultimo

ricomprende  tra  le attivita’ coperte dalla garanzia dell’immunita’,

non  solo quelle di semplice «divulgazione» all’esterno del contenuto

sostanziale  di  atti  compiuti dal parlamentare nell’esercizio delle

relative   funzioni,  ma  anche  attivita’  di  «critica  e  denuncia

politica»  le  quali,  benche’  svolte  al  di  fuori del Parlamento,

presentino elementi di «connessione con la funzione di parlamentare»;

intesa  non quale «identificabilita’ con l’espressione dell’esercizio

della funzione parlamentare», bensi’ quale mero collegamento con temi

e argomenti al centro del dibattito politico-istituzionale del Paese,

che  siano oggetto di «critica e/o di denuncia politica» da parte del

parlamentare stesso.

    Il  ritenuto  contrasto  dell’attuale  formulazione  dell’art. 3,

comma 1, legge n. 140/2003 con l’art. 68, primo comma Cost., comporta

un  ulteriore profilo di illegittimita’ costituzionale che non appare

manifestamente   infondato,  ovvero  quello  relativo  alla  ritenuta

violazione degli artt. 3, 24 e 117 della Costituzione.

    Nel  primo  caso  (contrasto  con  l’art. 3  della  Costituzione)

laddove  il  nuovo  art. 3,  comma 1, legge n. 140/2003 introduce una

irragionevole  disparita’ di trattamento tra i soggetti che rivestono

la  qualita’  di «Parlamentare» e i comuni cittadini, trasformando di

fatto  quella  eccezionale  garanzia  dell’immunita’ finalizzata alla

tutela del libero esercizio delle funzioni parlamentari attraverso le

opinioni  espresse,  in  una ingiustificata situazione di «privilegio

personale» derivante esclusivamente dallo status di Parlamentare, che

ne  precluderebbe  la  responsabilita’  penale  a  prescindere  dalla

riscontrata  sussistenza di un’identificabilita’ di tali opinioni con

l’esercizio  delle  funzioni  parlamentari,  e a differenza di quanto

accadrebbe  a  tutti  coloro  che,  non  rivestendo  la  qualita’  di

parlamentare,   non   potrebbero  sottrarsi  alla  giurisdizione  pur

esprimendo identiche «attivita’ di critica e denuncia politica».

    Negli  altri  casi  (contrasto con l’art. 24 e 117 Costituzione),

l’attuale  formulazione  dell’art. 3,  legge n. 140/2003 comporta una

indebita  e  ingiustificata  compressione  dell’esercizio del diritto

costituzionalmente  riservato  a  tutti  i  cittadini, anche ai sensi

dell’art. 6  della  Convenzione  europea dei diritti dell’uomo (e nel

caso di specie, all’odierna parte offesa) di agire in giudizio per la

tutela dei propri diritti e interessi legittimi, diritto suscettibile

di legittima compressione soltanto a fronte dell’esigenza di tutelare

un  preminente  interesse  di  carattere  generale,  quale  il libero

esercizio  delle  funzioni parlamentari e non certo per salvaguardare

attivita’ che non ne costituiscono affatto l’espressione.

    Invero,  il  sacrificio  di  un  qualsivoglia  interesse di rango

costituzionale impone un previo ponderato bilanciamento con interessi

parimenti  di  rilievo costituzionale, che l’art. 3 legge n. 140/2003

non   assicura,  ancorando  invece  l’applicabilita’  della  garanzia

costituzionale   a   criteri   che   esorbitano   da  quelli  dettati

dall’art. 68,  primo  comma,  della Costituzione, pure in mancanza di

una legge costituzionale che ne abbia modificato l’attuale portata, e

recludendo di fatto al cittadino la possibilita’ di agire in giudizio

a fronte di situazioni che non giustificano affatto l’applicazione di

tale  privilegio,  ancorandolo  a condizioni esclusivamente personali

dei soggetti da perseguire.

    La   Corte   costituzionale,  ha  efficacemente  espresso  questo

principio  affermando  che  l’attivita’  politica che non costituisca

esplicazione   della  funzione  parlamentare  «rappresenta  piuttosto

esercizio  della liberta’ di espressione comune a tutti i consociati,

sicche’  ad essa non puo’ estendersi, senza snaturarla, una immunita’

che  la  Costituzione  ha  voluto, in deroga al generale principio di

legalita’  e di giustiziabilita’ dei diritti, riservare alle opinioni

espresse  nell’esercizio delle funzioni», ed ancora sottolineando che

in   assenza  di  tale  delimitazione  funzionale  dell’ambito  della

prerogativa,  l’applicazione di quest’ultima «la trasformerebbe in un

privilegio  personale del parlamentare, con possibili distorsioni del

principio  di  eguaglianza e di parita’ di opportunita’ fra cittadini

nella  dialettica  politica» (cfr. Corte cost. sent. n. 10/2000, gia’

sopra citata).

    Le  questioni  di  illegittimita’ costituzionale cosi’ come sopra

poste,  rilevano  anche  riguardo alla posizione processuale di Cane’

Cabriele, secondo imputato in questo stesso processo, per il reato p.

e  p.  dall’art. 57  c.p.  «perche’  per  negligenza, quale direttore

responsabile  del  quotidiano  «Il  Resto  del  Carlino»  ometteva di

esercitare  sul  contenuto  del periodico da lui diretto il controllo

necessario ad impedire che venisse commesso il reato di cui sopra».

    Invero,  nella  fattispecie criminosa prevista dalla disposizione

da  ultimo  citata,  «il  reato  che con il mezzo della pubblicazione

viene  commesso  dall’autore  dell’articolo  pubblicato, si configura

come  un  evento  del  reato  colposo  addebitato  al  direttore  del

giornale»  (cfr.  Cass.  penale  Sez.  V  n. 8418 del 28 luglio 1992;

Conforme  sez.  V  n. 8118del  22  giugno  1999);  cosicche’  risulta

evidente  la necessita’ di procedere alla trattazione congiunta delle

due   posizioni   processuali,   comportando   l’accertamento   della

responsabilita’  del  direttore  del quotidiano ai sensi dell’art. 57

c.p.,  la  preliminare  valutazione  in  merito alla ricorrenza degli

estremi  del  reato  presupposto,  ovvero  nel  caso  sub  iudice, un

accertamento  che non puo’ prescindere dalla previa risoluzione delle

questioni   di   legittimita’   costituzionale   poste,   in   quanto

necessariamente   incidente  sul  riconoscimento  di  una  «causa  di

esclusione  dell’antigiuridicita’  del  fatto»  costituente  il reato

presupposto (cfr. Cass. penale sez. V n. 858 del 21 aprile 1999).

    Sulla base delle motivazioni sopra diffusamente esposte, i motivi

e  i  profili  di  legittimita’  costituzionale sollevati dalla parte

civile  e  dalla difesa Cane’, qui richiamati, si ritengono assorbiti

ed  integrati in quelli sollevati d’ufficio con la presente ordinanza

quanto   ai   richiamati   artt. 3,  68  comma  1,  24  e  117  della

Costituzione;  irrilevanti  quanto  all’art. 112 della Costituzione –

poiche’   nel  caso  sub  iudice,  l’azione  penale  era  gia’  stata

esercitata  da  tempo,  prima  dell’entrata  in   vigore  della  legge

n. 140/2003  –  e  manifestamente infondata la questione sollevata in

relazione all’art. 101 della Costituzione.

                          P. Q. M.

    Visto l’art. 23 della legge n. 87/1953;

    Ritenute  non  manifestamente  infondate e rilevanti nel presente

giudizio  le  questioni  di  legittimita’  costituzionale dell’art. 3

comma  1  legge  n. 140/2003, per contrasto con gli artt. 3, 68 comma

primo, 24 e 117 della Costituzione;

    Sospende il giudizio in corso;

    Ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;

    Dispone  che  la  presente ordinanza sia notificata al Presidente

del  Consiglio dei ministri, nonche’ all’avv. Paolo Rossi del Foro di

Fermo   (codifensore  dell’imputato  Sgarbi)  oggi   non  presente,  e

comunicata ai Presidenti delle Camere.

        Bologna, addi’ 17 settembre 2003

                         Il giudice: Santini

03C1244