Penale
Immunità parlamentare. La legge 140/2003 al vaglio della Corte Costituzionale. N. 633 ORDINANZA (Atto di promovimento) 30 giugno 2003.
Immunità parlamentare. La legge 140/2003 al vaglio della Corte Costituzionale
N. 633 ORDINANZA (Atto di promovimento) 30 giugno 2003.
Ordinanza emessa il 30 giugno 2003 dal tribunale di Milano nel procedimento penale a carico di Berlusconi Silvio
Processo penale – Divieto di sottoposizione a processi penali, ai sensi dell’art. 1, comma 1, della legge n. 140/2003, del Presidente della Repubblica, del Presidente del Senato, del Presidente della Camera dei deputati, del Presidente del Consiglio dei ministri, del Presidente della Corte costituzionale, per qualsiasi reato anche riguardante fatti antecedenti l’assunzione della carica o della funzione, fino alla cessazione delle medesime
Derivata sospensione nei confronti di tali soggetti dei processi penali in corso in ogni fase, stato o grado, fino alla cessazione della carica o della funzione
Violazione del principio di uguaglianza (derogabile soltanto con norma costituzionale), con riferimento al principio di obbligatorieta’ dell’esercizio dell’azione penale. – Legge 20 giugno 2003, n. 140, art. 1, comma 2, in relazione al comma 1 del medesimo articolo. – Costituzione, art. 3, in relazione agli artt. 101 e 112. Processo penale
– Divieto di sottoposizione a processi penali, ai sensi dell’art. 1, comma 1, della legge n. 140/2003, del Presidente della Repubblica, del Presidente del Senato, del Presidente della Camera dei deputati, del Presidente del Consiglio dei ministri, del Presidente della Corte costituzionale, per qualsiasi reato anche riguardante fatti antecedenti l’assunzione della carica o della funzione, fino alla cessazione delle medesime – Derivata sospensione nei confronti di tali soggetti dei processi penali in corso in ogni fase, stato o grado, fino alla cessazione della carica o della funzione
– Mancanza di collegamento funzionale tra le ipotesi di reato contestate e la carica rivestita o la funzione esercitata
– Violazione del principio di uguaglianza, in relazione alle norme costituzionali che prevedono immunita’ o prerogative sempre connesse alla carica rivestita o alla funzione esercitata. – Legge 20 giugno 2003, n. 140, art. 1, comma 2, in relazione al comma 1 del medesimo articolo. – Costituzione, art. 3, in relazione agli artt. 68, 90 e 96. Processo penale
– Divieto di sottoposizione a processi penali, ai sensi dell’art. 1, comma 1, della legge n. 140/2003, del Presidente della Repubblica, del Presidente del Senato, del Presidente della Camera dei deputati, del Presidente del Consiglio dei ministri, del Presidente della Corte costituzionale, per qualsiasi reato anche riguardante fatti antecedenti l’assunzione della carica o della funzione, fino alla cessazione delle medesime – Derivata sospensione nei confronti di tali soggetti dei processi penali in corso in ogni fase, stato o grado, fino alla cessazione della carica o della funzione
– Obbligatorieta’ e non rinunciabilita’ di tale prerogativa
– Indeterminatezza del termine di durata della stessa – Impedimento all’esercizio dell’azione civile – Mancanza di una clausola che faccia salvo il compimento degli atti urgenti di natura e valenza processuale – Lesione del diritto al processo e del diritto di difesa. – Legge 20 giugno 2003, n. 140, art. 1, comma 2, in relazione al comma 1 del medesimo articolo. – Costituzione, artt. 24, 111 e 117 (quest’ultimo in relazione all’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali). Ordinamento giudiziario – Applicazione dei magistrati – Limite di durata – Sospensione o proroga dell’applicazione nel caso di sospensione ex lege del dibattimento, per la durata della sospensione medesima – Mancata previsione – Lesione del principio di buon andamento della pubblica amministrazione – Violazione del principio della ragionevole durata del processo. – Regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, art. 110, comma quinto (come successivamente modificato). – Costituzione, artt. 97 e 111. (GU n. 36 del 10-9-2003)
IL TRIBUNALE
Ha pronunciato la seguente ordinanza sulle eccezioni di
legittimita’ costituzionale del comma due, in relazione al comma 1,
dell’art. 1, della legge n. 140/2003 sollevate dal p.m. e dalla parte
civile CIR, come argomentate in dettaglio nelle memorie depositate in
data 24 e 25 giugno 2003; sentita la difesa Berlusconi, che ha
argomentato in contraddittorio all’udienza del 25 giugno 2003,
depositando documentazione di dottrina e di giurisprudenza a
sostegno;
O s s e r v a
Va innanzitutto premesso che questo Tribunale e’ competente a
valutare la manifesta o meno infondatezza della questione di cui
trattasi in quanto spetta comunque al Tribunale di applicare la norma
del comma 2, dell’art. 1, della citata legge e quindi di dichiarare
la causa di sospensione ivi prevista nel contesto del dibattimento in
corso.
La rilevanza della questione posta dalle suddette parti risulta
cosi’ evidente in quanto il giudice e’ tenuto – qualora debba
applicare una norma per cui si ravvisino aspetti di non manifesta
infondatezza di questioni di costituzionalita’ – a trasmettere gli
atti alla Corte costituzionale.
Ad avviso del Tribunale la prima e fondamentale questione da
affrontare e’ quella della natura del contenuto normativo
dell’art. 1, legge n. 140/2003 sia nella formulazione generale del
comma 1 che nella formulazione derivata del comma 2, che sarebbe
direttamente applicabile nel caso di specie, data la pendenza del
procedimento a carico dell’imputato Berlusconi, che riveste
nell’attualita’ la carica di Presidente del Consiglio dei ministri.
Ha rilevato la difesa dell’imputato che si tratta di una norma
procedurale che instaura una mera sospensione del processo, cosi’
come e’ previsto in altri casi sia dal codice di rito che in altre
disposizioni di legge (normative valutarie, sul contrabbando, codice
militare di pace, ecc.), tutte assunte in via ordinaria, senza
necessita’ di una procedura formativa di rango costituzionale. Ha
altresi’ argomentato circa il fatto che anche in altri casi la
sospensione del procedimento e’ riferibile a soggetti determinati in
virtu’ delle loro qualita’ personali.
Per la verita’, tale connotazione specifica si riferisce
unicamente all’art. 71 del c.p.p., in cui e’ prevista la sospensione
del procedimento nel caso in cui risulti una incapacita’
dell’imputato tale da impedire una cosciente partecipazione al
procedimento medesimo.
Ma valuta il tribunale che tali argomentazioni siano meramente
suggestive e non colgano la sostanziale differenza tra i vari casi di
sospensione disposti per via ordinaria e la norma in esame.
A prescindere dalla considerazione che l’unico caso di
sospensione collegato alla qualita’ dell’imputato si riferisce
unicamente ad un accertato stato obiettivo di incapacita’ del
medesimo a stare in giudizio e nei cui confronti diventa
oggettivamente impossibile procedere, negli altri casi si tratta
sempre di situazioni oggettive di carattere endoprocessuale: basti
pensare alla sospensione del processo in caso del ricorso alla Corte
costituzionale, ovvero ad altri organi che devono rendere un giudizio
preventivo rispetto alla prosecuzione del dibattimento (ad esempio
sospensione della decisione in caso di ricusazione o ricorso ad
organi internazionali).
La difesa ha altresi’ rilevato che l’ordinamento – a fronte di
situazioni particolari – ha previsto deroghe alla disciplina comune
nei confronti di determinati soggetti, riferendosi in specifico alla
disposizione di cui all’art. 205 c.p.p., che prevede modalita’
particolari per l’assunzione della testimonianza del Capo dello Stato
o, a richiesta, degli stessi soggetti a cui si riferisce l’art. 1
della legge in discussione. In verita’ – come gia’ ha avuto occasione
di stabilire la Corte costituzionale – in tale caso non vi e’ ne’
soppressione ne’ affievolimento della funzione giurisdizionale,
giacche’ la norma in questione si limita ad un contemperamento degli
interessi in gioco, ma non elimina o sospende i doveri comuni a tutti
gli altri cittadini.
Nel caso di specie, invece, basta leggere la norma, per
constatare che, al comma 1, e’ stabilita una non sottoposizione a
processo penale e, nel comma 2, una derivata sospensione dei processi
in corso alla data di entrata in vigore della legge per soggetti che
rivestono cariche di rilievo costituzionale (Il Presidente della
Repubblica, i Presidenti del Senato e della Camera dei deputati, il
Presidente del Consiglio e il Presidente della Corte costituzionale)
e che la non sottoposizione a processo, ovvero la sospensione di
quello gia’ in corso, e’ collegata alla «assunzione della carica o
della funzione fino alla cessazione delle medesime». Atteso il
riferimento a tali soggetti particolari e alla carica o funzione
rivestita, deve necessariamente concludersi che si tratta di una
prerogativa (non processabilita) che non ha nulla a che vedere con
cause o motivazioni endoprocessuali che sono ravvisabili negli altri
casi di sospensione del processo.
In altri termini la motivazione della sospensione del processo
deriva direttamente da una prerogativa personale che si attribuisce
alle alte cariche dello Stato e che e’ collegata con l’assunzione e
durata della carica, per qualsiasi reato anche riguardante fatti
antecedenti l’assunzione della medesima.
E, trattandosi di una prerogativa riservata espressamente a
soggetti che rivestono cariche costituzionali e non potendosi certo
affermare che non incidono sull’esercizio dell’azione penale (da
intendersi ovviamente non solo come esplicazione di attivita’ di
indagine ma anche come azionabilita’ davanti ad un giudice, terzo e
imparziale, dell’ipotesi d’accusa ai fini della sua valutazione nel
contraddittorio processuale), e’ immediato e imprescindibile
constatare che, con la norma in esame, si incide direttamente sul
principio di uguaglianza, con una violazione anche dell’art. 112
della Costituzione.
Deve rilevarsi, infatti, che, tra i principi fondamentali della
Carta costituzionale, vi e’ quello dell’art. 3 che, come la stessa
Consulta ha gia’ avuto occasione di rilevare, e’ un principio
fondante dell’ordinamento, derogabile solo dalla stessa Costituzione
ovvero con modifiche costituzionali a termine dell’art. 138 Cost.
Tale rilievo risulta confermato dal fatto che prerogative
riguardanti cariche o funzioni costituzionali sono disciplinate nella
stessa Costituzione (art. 90 e 96) ovvero in leggi costituzionali
successive (come la legge costituzionale 9 febbraio 1948 n. 1 che,
all’art. 3, comma 2, estende ai giudici costituzionali le garanzie
allora previste dall’art. 68 Cost. comunque come oggi modificato).
Pare dunque non manifestamente infondata la questione di
legittimita’ costituzionale dell’art. 1, comma secondo, con
riferimento al comma primo della legge qui in esame, sotto il profilo
della violazione dell’art. 3 in relazione agli articoli 101 e 112
Cost.
La difesa Berlusconi ha obiettato, sotto questo profilo, la non
necessita’ di una legge costituzionale per la prerogativa in
questione, in quanto sarebbe stata introdotta con l’art. 5 della
legge ordinaria 3 gennaio 1981, n. 1, una prerogativa a tutela dei
componenti del CSM, organo anch’esso costituzionale, senza alcuna
censura da parte del giudice delle leggi.
In verita’, contrariamente a quanto assunto dalla difesa, detta
norma non ha introdotto una prerogativa o forma di immunita’, bensi’
una speciale causa di non punibilita’, che ha un ambito di
operativita’ si’ diverso da quello delle scriminanti di diritto
penale comune, ma non assimilabile alle immunita’ o prerogative come
previste dalla Costituzione. Afferma testualmente la Corte, nella
Sentenza n. 148/1983, che «le formule rispettivamente adoperate nella
Costituzione e dalla legge n. 1 del 1981 sono volutamente diverse.
Nel primo caso, cioe’, si afferma che i membri del Parlamento non
possono essere “perseguiti” … Nella stesura finale del disposto in
esame si chiarisce invece – a seguito di un apposito emendamento
approvato dalla IV Commissione permanente della Camera – che i
componenti del CSM non sono “punibili”, quasi per escludere che i
consiglieri siano stati in alcun modo sottratti ai giudici penali,
mediante un’immunita’ di tipo processuale». Ha ancora affermato la
Corte che «l’art. 5 della legge n. 1 del 1981 ha previsto una causa
di non punibilita’ specifica ma rigorosamente circoscritta, avente
per oggetto le sole manistazioni di pensiero funzionali all’esercizio
dei poteri-doveri costituzionalmente spettanti ai componenti il
Consiglio superiore».
Nel censurare gli argomenti dell’ordinanza di remissione la
Consulta ha ancora precisato che gli argomenti addotti «hanno il
torto di confondere, collocandole sul medesimo piano, garanzie di
natura diversissima. La posizione che questa Corte ha preso nella
sentenza n. 4 del 1965 deve essere riferita, come risulta con
chiarezza dalla motivazione, ai casi di deroga al principio
dell’obbligatorieta’ dell’azione del PM … ben altro e’ il caso
delle cause di non punibilita’ stabilite in vista dell’esercizio di
determinate funzioni. Il legislatore ordinario puo’ ben operare in
tal senso al di la’ delle ipotesi espressamente previste dalle fonti
sovraordinate, purche’ le scriminanti cosi’ stabilite siano il frutto
di un ragionevole bilanciamento dei valori costituzionali in gioco».
La norma di cui all’art. 1 della legge n. 140 del 2003 pare
pacifico non costituisca alcuna scriminante speciale (in tal caso la
giurisdizione si esplicherebbe infatti pienamente proprio al fine di
verificare la sussistenza o meno dei presupposti per l’applicazione
di detta scriminante), stabilendo invece una causa di non
processabilita’, ovvero la sospensione del procedimento pendente,
venendo cosi’ ad incidere certamente sulla obbligatorieta’
dell’azione penale, che di fatto non puo’ essere compiutamente
esercitata.
Valuta il Tribunale che neppure possa ritenersi manifestamente
infondata la questione di legittimita’ costituzionale proposta con
riferimento agli articoli 3, 68, 90 e 96 della Costituzione.
La normativa in esame fa salva l’applicazione degli articoli 90 e
96 della Costituzione e cio’ conferma che la prerogativa istituita
con tale norma e’ ulteriore ed aggiuntiva rispetto a quelle gia’
costituzionalmente stabilite, per di piu’ senza alcun collegamento
funzionale con la carica rivestita e senza un termine preciso e
determinato per la cessazione della prerogativa, essendo evidente
che, non solo ciascuna carica puo’ essere rinnovata, ma possono anche
susseguirsi cariche diverse sempre considerate dalla norma.
In sintesi, il nostro sistema costituzionale prevede, per un
verso l’art. 3, che stabilisce il principio che tutti i cittadini
hanno pari dignita’ sociale e sono eguali davanti alla legge, senza
distinzione, tra l’altro, di condizioni personali e sociali. Per
altro verso, la stessa Costituzione prevede immunita’ e prerogative
che, come e’ noto, si giustificano con la necessita’ di garantire
l’autonomia e il libero svolgimento delle proprie funzioni dei
diversi poteri dello Stato e pare necessario concludere che in questo
quadro soltanto, salvo modifiche costituzionali, e’ allo stato
individuabile il punto di equilibrio tra esercizio della
giurisdizione e lo svolgimento di funzioni di rilievo costituzionale.
Innanzitutto, l’art. 68 della Costituzione stabilisce, per i
membri del Parlamento, una immunita’ strettamente funzionale per le
«opinioni espresse e i voti dati nell’esercizio delle loro funzioni»
e stabilisce, inoltre, una autorizzazione della Camera di
appartenenza limitatamente all’esecuzione di determinati
provvedimenti.
L’art. 90 stabilisce una immunita’ per il Presidente della
Repubblica per quanto riguarda gli atti compiuti nell’esercizio delle
sue funzioni, tranne che per alto tradimento o attentato alla
Costituzione. In tal caso un’ulteriore prerogativa e’ costituita
dalla «messa in stato di accusa» da parte del Parlamento stesso in
seduta comune. Anche in questo caso si tratta di forma di immunita’
assolutamente funzionale. L’art. 96 Cost., che riguarda il Presidente
del Consiglio ed i ministri, prevede – dopo aver precisato che per i
reati commessi nell’esercizio delle loro funzioni gli stessi sono
sottoposti alla giurisdizione ordinaria – una condizione di
procedibilita’ (autorizzazione della Camera o del Senato) con riserva
di legge costituzionale.
Puo’ dunque constatarsi che la Costituzione non prevede in alcun
modo forme di immunita’ o prerogative riferibili a reati che non
hanno alcun collegamento con le funzioni esercitate; e cio’ mentre la
normativa in esame risulta doppiamente scollegata con la funzione per
cui e’ ragionevole derogare al principio di uguaglianza, atteso che
si riferisce espressamente a qualsiasi tipo di reato anche
riguardante fatti antecedenti l’assunzione della carica e della
funzione.
Inoltre, con riguardo alla norma in esame, valuta il Tribunale
che non sia manifestamente infondata la proposta questione di
legittimita’ costituzionale con riferimento agli articoli 24 e 111
Cost, atteso che la prevista non sottoposizione a processo e la
derivata sospensione dello stesso gia’ in corso, oltre ad essere
obbligatoria e non rinunciabile e’ anche a tempo indeterminato in
quanto la carica – alla cui cessazione e’ collegata la durata della
prerogativa – puo’ essere ricoperta ripetutamente senza che sia
prevista alcuna limitazione.
Cio’ comporta una lesione al principio del diritto alla difesa
che e’ stabilito indistintamente per tutti i cittadini e che viene ad
essere indebitamente sottratto ai soggetti previsti dalla norma.
Contemporaneamente la indeterminatezza del termine di durata della
prerogativa appare in contrasto con l’art 111, che e’ norma
ulteriormente affermativa e rafforzativa del piu’ generale principio
del diritto al processo e del diritto di difesa.
E deve anche rilevarsi che, a maggior ragione, appare la
pregnanza della violazione del diritto di difesa, nel caso specifico,
considerato che il Presidente del Consiglio dei ministri non puo’
essere sottoposto a processo per i reati comuni, mentre, previa
autorizzazione della Camera o del Senato, e’ sottoposto alla
giurisdizione ordinaria per i reati funzionali, il che pare essere di
per se’ irragionevole.
Ma comunque, anche qualora le argomentazioni di cui sopra fossero
ritenute non decisive, gli articoli 24 e 111 della Costituzione sono
certamente richiamabili con riferimento alla violazione dei diritti
della parte offesa costituitasi parte civile nel procedimento penale
sospeso per effetto della norma in esame, e cio’ a tacere del
riferimento di incostituzionalita’ anche con riguardo all’art. 117
della Costituzione in relazione all’art. 6 della Convenzione europea
per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’
fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 e resa esecutiva in
Italia con legge n. 848 del 1955. Pare significativo considerare in
proposito che, con sentenza 30 gennaio 2003 (affaire Cordova c.
Italie, n. 1, ricorso n. 40877/98), la Corte di Strasburgo ha
rilevato che «occorre ricordare che la Convenzione europea dei
diritti dell’uomo ha lo scopo di proteggere dei diritti non teorici o
illusori, ma concreti ed effettivi. Il rilievo vale in particolare
per il diritto di accesso ai tribunali vista la posizione eminente
che il diritto ad un processo equo occupa in una societa’
democratica. Sarebbe incompatibile con la preminenza del diritto in
una societa’ democratica e con il principio fondamentale che sottende
l’art 6 – che sancisce che le rivendicazioni civili devono essere
portate davanti ad un giudice – che uno Stato possa, senza riserve o
senza il controllo degli organi della Convenzione, sottrarre alla
competenza dei tribunali tutta una serie di azioni civili o esonerare
da responsabilita’ delle categorie di persone. E cio’ nonostante la
Corte abbia riconosciuto che siano giustificate prerogative nei
confronti dei parlamentari.
Peraltro la violazione degli articoli 24 e 111 Cost. consiste,
nel caso di specie, nell’impedimento indeterminato dell’esercizio
dell’azione civile, per effetto della disposizione di cui
all’art. 75, terzo comma, c.p.p.
Tale norma, infatti, stabilisce (e cio’ in applicazione del noto
principio della separazione delle giurisdizioni che informa l’attuale
codice di rito) che: «se l’azione e’ proposta in sede civile nei
confronti dell’imputato dopo la costituzione di parte civile nel
processo penale o dopo la sentenza penale di primo grado, il processo
civile e’ sospeso fino alla pronuncia della sentenza penale non piu’
soggetta ad impugnazione, salve le eccezioni previste dalla legge».
Cio’ comporta all’evidenza, nel caso di specie, che la parte civile
costituita non potrebbe trasferire l’azione in sede civile, stante
l’assenza, nella norma dell’art 1, comma secondo, della legge
n. 140/2003, di una espressa eccezione sul punto. Ne’ risultano
conferenti, al contrario, le argomentazioni della difesa Berlusconi.
La stessa ha infatti rilevato che la parte civile costituita nel
processo penale, ai sensi dell’art. 82, quarto comma, c.p.p.,
revocando la propria costituzione, potrebbe ben accedere alla sede
civile.
Un tale argomento ignora del tutto che, ove fosse applicata la
norma di cui all’art. 1, secondo comma, legge n. 140/2003, la secca
sospensione del processo impedirebbe qualunque attivita’ processuale,
ivi compresa la revoca della costituzione di parte civile. Singolare
e priva di pregio risulta poi l’argomentazione secondo cui la parte
civile, per tutelare i propri diritti costituzionalmente garantiti,
dovrebbe eccepire ex parte sua l’incostituzionalita’ dell’art. 295
del c.p.c. che stabilisce appunto la sospensione necessaria in caso
di pendenza del procedimento penale.
Norma, quest’ultima, a proposito della quale sarebbero rilevabili
aspetti di incostituzionalita’ solo ed esclusivamente per le parti
offese da reati commessi dalle cinque alte cariche di cui trattasi,
mentre in tutti gli altri casi non sono assolutamente ipotizzabili
profili di incostituzionalita’.
Gli articoli 24 e 111 Cost. appaiono peraltro violati anche sotto
il profilo della mancata previsione, nella norma in discussione, di
una clausola che faccia salvo il compimento degli atti urgenti che
abbiano natura e valenza processuale, come, per esempio, sarebbe
l’assunzione urgente di una prova in sede di incidente probatorio e
che, diversamente, sarebbe dispersa in via definitiva. Ne’ vale, a
contrario, l’argomentazione spesa dalla difesa Berlusconi, secondo
cui il problema non sussisterebbe, perche’ in caso di prova – in
specifico esame testimoniale non piu’ rinnovabile per causa
sopravvenuta – opererebbe l’art. 512 c.p.p.: ma, invero,
l’acquisizione in dibattimento ex art. 512 c.p.p., puo’ avvenire solo
nel caso in cui non fosse prevedibile, in sede di indagine, la
sopravvenienza della non rinnovabilita’ dell’atto. Al contrario,
l’incidente probatorio dispone per il caso in cui vi sia il fondato
timore che, per vari motivi, non si possa piu’ acquisire nella sede
propria dibattimentale la prova necessaria. Si tratta dunque di due
situazioni completamente differenti.
Valuta inoltre il Tribunale doveroso sottoporre alla Corte
costituzionale, d’ufficio, altra questione relativa alla valutata non
manifesta infondatezza dell’art. 110 R.D. 30 gennaio 1941, n. 12
(come successivamente modificato dall’art. 1 della legge 16 ottobre
1991 n. 321 «Interventi straordinari per la funzionalita’ degli
uffici»).
La rilevanza e attualita’ della questione e’ intrinsecamente
collegata e si manifesta in diretta correlazione con la sollevabile
questione di legittimita’ costituzionale dell’art. 1 della legge
n. 140/2003, che comporta, ai sensi dell’art. 23, comma 2, della
legge 11 marzo 1953, n. 87, la sospensione del procedimento e che
comporta altresi’ tempi tecnici che incidano considerevolmente sulla
durata della applicazione del dott. Brambilla al collegio titolare
del dibattimento sospeso.
Tale situazione, assolutamente anomala, di scadenza del collegio
giudicante, non per effetto di indisponibilita’ o incapacita’ del
giudice, ma per effetto di norma dell’ordinamento giudiziario,
renderebbe priva dei relativi effetti, nel contesto del dibattimento
in corso, una pronuncia, da parte della Consulta, di eventuale
incostituzionalita’ della norma di cui all’art. 1, legge n. 140/2003.
Pare opportuno premettere che, con decreto del Presidente della
Corte d’appello di Milano in data 10 gennaio 2002, il dott.
Brambilla, giudice di sorveglianza, veniva applicato a tempo pieno
alla prima sezione penale del Tribunale ordinario per la necessita’
imprescindibile di continuare a far parte del collegio titolare del
processo a carico in allora di Silvio Berlusconi ed altri, di cui il
predetto magistrato era originariamente componente, avendo
partecipato alla trattazione del medesimo per circa due anni.
L’applicazione in questione, disposta ai sensi dell’art. 110
dell’ordinamento giudiziario, e’ stata disposta per un anno, come
prevede detta norma, ed e’ stata successivamente rinnovata, con
decreti in data 16, 28 ottobre 2002 e 7 gennaio 2003, per la durata
di un altro anno a partire dal 9 gennaio 2003 e dunque sino al 9
gennaio 2004.
Tale ultima data, pertanto, ai sensi del comma quinto dell’art.
110 dell’ordinamento giudiziario, rappresenta il termine ultimo, non
piu’ prorogabile o rinnovabile, di scadenza dell’applicazione.
Valuta il Tribunale che la norma in questione, per quanto
stabilisce al comma quinto prima parte, presenti profili di
incostituzionalita’ non manifestamente infondati, con riferimento
agli articoli 97 e 111 della Costituzione.
Pare invero pacifico che si tratti di norma di amministrazione e
che quindi ricade sotto la previsione dell’art. 97 Cost. secondo cui
i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge in
modo che innanzitutto sia assicurato il buon andamento dell’ufficio
medesimo: buon andamento che la rigidita’ dei termini di applicazione
non pare affatto assicurare nella misura in cui il comma quinto,
dell’art. 110 ord. giud. non prevede una sospensione (o comunque una
proroga) del periodo di applicazione nel caso in cui sia sospeso ex
lege il dibattimento e per il periodo di effettiva durata della
sospensione.
D’altro canto, come evidenzia il caso di specie, la continuita’
del dibattimento in corso, in stato avanzato di trattazione,
costituiva l’esigenza imprescindibile per cui l’applicazione stessa
e’ stata disposta, cosicche’ appare anche intrinsecamente
irragionevole che il dibattimento in questione, pervenuto ora alle
battute finali e’ sospeso ex lege non possa essere eventualmente
definito per la scadenza secca del termine di applicazione.
Cio’, sotto altro profilo, integra, ad avviso del Collegio, anche
una violazione dell’art. 111 della Costituzione, producendo una
irragionevole durata del dibattimento, giacche’ il fatto che un
magistrato non possa piu’ far parte del collegio giudicante (con i
necessari effetti di cui all’art. 525, secondo comma, c.p.p.)
comporta inevitabilmente che sia rinnovata tutta l’attivita’
dibattimentale: il che, nel caso di dibattimenti complessi, anche per
il numero dei testimoni da riassumere, finirebbe col rendere concreto
l’intervento della prescrizione.
Per quanto infine attiene alla richiesta del p.m. di acquisizione
(rectius di allegazione al verbale) di una memoria ai sensi degli
articoli 482 e 121 c.p.p., esplicativa della modalita’ di conduzione
delle indagini da parte dell’ufficio inquirente, e’ necessario
precisare quanto segue.
Le parti, in ogni stato e grado del procedimento, possono
presentare al giudice memorie, depositandole nella cancelleria del
giudice senza bisogno di autorizzazione alcuna da parte di
quest’ultimo ed hanno diritto di fare allegare al verbale di udienza
memorie contenenti dichiarazioni a cui abbiano interesse, cosi’ come
hanno diritto a far inserire nel verbale dichiarazioni orali della
stessa natura.
Ma tutto cio’ sul presupposto che sia in corso il dibattimento:
nel caso di specie, la richiesta del p.m. e’ intervenuta all’udienza
del 25 u.s., ovvero in un contesto in cui – per effetto dell’entrata
in vigore, fin dal giorno 21 giugno 2003, dell’art. 1 della legge
n. 140/2003 – l’attivita’ dell’udienza era limitata necessanamente
alla dichiarazione di sospensione in applicazione di tale legge
ovvero a valutazioni circa la non manifesta infondatezza di questioni
di legittimita’ costituzionale della legge stessa, nel qual caso il
giudice, prima di applicarla, deve rimettere la questione al giudizio
della Corte costituzionale.
In altri termini, all’udienza del giorno 25 giugno 2003, primo
momento utile per le valutazioni di cui sopra, era gia’ preclusa ogni
attivita’ tipicamente dibattimentale e quindi anche la possibilita’
di invocare l’applicazione dell’art. 482 c.p.p.
Si sarebbe invece potuto depositare la memoria in questione in
cancelleria prima dell’entrata in vigore dell’articolo di legge
oggetto del vaglio di legittimita’ costituzionale.