Civile
Illegittimo togliere i punti di patente a chi è solo proprietario dell’auto e non è stato identificato chi ha commesso l’ infrazione.
Illegittimo
togliere i punti di patente a chi è solo proprietario dell’auto e non è stato
identificato chi ha commesso l’infrazione.
SENTENZA della Corte
costituzionale N.27 dell’ANNO 2005
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta
dai signori:
– Valerio ONIDA Presidente
– Fernanda CONTRI Giudice
– Guido NEPPI MODONA "
– Piero Alberto CAPOTOSTI "
– Annibale MARINI "
– Franco BILE "
– Giovanni Maria FLICK "
– Francesco AMIRANTE "
– Ugo DE SIERVO "
– Romano VACCARELLA "
– Paolo MADDALENA "
– Alfio FINOCCHIARO "
– Alfonso
QUARANTA "
– Franco GALLO "
ha
pronunciato la seguente
SENTENZA
nei
giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 204-bis, comma 3, del decreto
legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), disposizione
introdotta dall’art. 4, comma 1-septies, del decreto-legge 27 giugno 2003, n.
151 (Modifiche ed integrazioni al codice della strada), convertito con
modificazioni nella legge 1° agosto 2003, n. 214, e dell’art. 126-bis, comma 2,
del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, aggiunto dall’art. 7 del
decreto legislativo 15 gennaio 2002, n. 9 (Disposizioni integrative e
correttive del nuovo codice della strada, a norma dell’articolo 1, comma 1,
della legge 22 marzo 2001, n. 85), modificato dall’art. 7, comma 3, lettera b),
del decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151, convertito con modificazioni nella
legge 1° agosto 2003, n. 214, promossi con ordinanze dell’8 novembre 2003 dal
Giudice di pace di Voltri, del 5 dicembre 2003 dal Giudice di pace di Mestre, del
23 febbraio 2004 dal Giudice di pace di Ficarolo, del 16 marzo 2004 dal Giudice
di pace di Bra, del 17 febbraio 2004 dal Giudice di pace di Mestre, del 26
gennaio 2004 dal Giudice di pace di Montefiascone, del 30 e del 26 aprile 2004
dal Giudice di pace di Lanciano, del 12 maggio 2004 dal Giudice di pace di
Carrara e del 10 maggio 2004 (n. 2 ordinanze) dal Giudice di pace di Casale
Monferrato, rispettivamente iscritte ai nn. 120, 267, 465, 503, 569, 575, 643,
658, 701, 721 e 722 del registro ordinanze 2004 e pubblicate nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica nn. 11, 23, 25, 26, 32, 36 e 38,
prima serie speciale, dell’anno 2004.
Visti gli atti di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito
nella camera di consiglio del 15 dicembre 2004 il Giudice relatore Alfonso
Quaranta.
Ritenuto in fatto
1.¾ Il Giudice di pace di Genova,
sezione distaccata di Voltri (r.o. n. 120 del 2004),
ha sollevato questione di legittimità costituzionale – per la violazione degli articoli 3, 24, primo comma, e 113, secondo comma,
della Costituzione – dell’art. 204-bis, comma 3, del decreto legislativo 30
aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), disposizione introdotta
dall’art. 4, comma 1-septies, del decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151
(Modifiche ed integrazioni al codice della strada), aggiunta dalla legge di
conversione 1° agosto 2003, n. 214.
Il medesimo giudice rimettente –
ipotizzando esclusivamente il contrasto con l’art. 3 della Costituzione – ha
sollevato questione di legittimità costituzionale anche dell’art. 126-bis,
comma 2, del medesimo d.lgs. n. 285
del 1992, introdotto dall’art. 7 del decreto legislativo 15 gennaio 2002, n. 9
(Disposizioni integrative e correttive del nuovo codice della strada, a
norma dell’articolo 1, comma 1, della legge 22 marzo 2001, n. 85), nel testo
risultante all’esito della modifica apportata dall’art. 7, comma 3, lettera b),
del già segnalato d.l. n. 151 del 2003, come modificato – a
propria volta – dalla summenzionata legge di conversione n. 214 del 2003.
Il suddetto articolo 126-bis,
comma 2, del d.lgs. n. 285 del 1992 è censurato dal
rimettente genovese "nella parte in cui prevede che nel caso di mancata
identificazione del conducente la segnalazione della decurtazione del punteggio
attribuito alla patente di guida deve essere effettuata
a carico del proprietario del veicolo, salvo che lo stesso non comunichi entro
30 giorni i dati personali e della patente del conducente".
I Giudici di pace di Mestre (r.o. nn. 267 e 569 del 2004), Ficarolo (r.o.
n. 465 del 2004), Bra (r.o. n. 503 del 2004),
Montefiascone (r.o. n. 575 del 2004), Lanciano (r.o. nn. 643 e 658 del 2004), Carrara (r.o.
n. 701 del 2004) e Casale Monferrato (r.o. nn. 721 e
722 del 2004), hanno, a loro volta, sollevato questione di legittimità costituzionale
– deducendo, nel complesso, la violazione degli articoli 3, 24, 25
(l’indicazione di quest’ultimo parametro apparendo, per vero, frutto di un
laspsus calami) e 27 della Costituzione – sempre dell’art. 126-bis, comma 2
(ma, invero, la prima ordinanza di rimessione pronunciata dal rimettente di
Mestre parrebbe investire l’intero articolo), del d.lgs.
n. 285 del 1992.
1.1. Riferisce il primo dei
rimettenti (r.o. n. 120 del 2004) di essere investito
della decisione del ricorso proposto – a norma dell’art. 204-bis del codice
della strada – avverso un verbale di contestazione di infrazione
stradale, "con il quale è stata irrogata la sanzione amministrativa
pecuniaria di euro 137,55 e la sanzione amministrativa accessoria della
decurtazione di punti sei dal punteggio attribuito alla patente di guida di
veicoli a motore". Deduce, altresì, il Giudice di pace di Genova che il
ricorrente "non ha provveduto al versamento della somma pari alla metà del
massimo edittale della sanzione inflitta, come previsto dal comma 3 del
predetto art. 204-bis", evidenziando, inoltre, che l’interessato – nel suo
ricorso – ha sottolineato che "il veicolo al
momento dell’infrazione era in uso alla propria moglie".
Ciò premesso, il giudice a quo
ipotizza – innanzitutto – il contrasto dell’art. 204-bis, comma 3, del d.lgs. n. 285 del 1992, con gli artt. 3,
24, primo comma, e 113, secondo comma, della Costituzione.
La norma di legge suddetta,
infatti, violerebbe l’art. 3 della Carta fondamentale sotto il profilo della irragionevole disparità di trattamento realizzata tra
quanti adiscono le vie giudiziali per l’annullamento del verbale di
contestazione dell’infrazione stradale, e coloro che – in alternativa –
decidano o di proporre, allo stesso scopo, ricorso amministrativo all’autorità
prefettizia, ovvero impugnino direttamente la c.d.
"ordinanza-ingiunzione", giacché "l’incombente procedurale di
cui al comma 3 dell’art. 204-bis non è imposto a chi ricorra al prefetto ai
sensi dell’art. 203" del d.lgs. n. 285 del 1992, ovvero a chi, ai sensi
degli artt. 204-bis e 205, ricorra al giudice di pace avverso l’ordinanza
ingiunzione del prefetto. Un secondo motivo d’incostituzionalità, prosegue il
rimettente, sarebbe, inoltre, ravvisabile in relazione all’art.
24, primo comma, della Costituzione, giacché l’imposizione dell’onere
procedurale previsto dalla norma impugnata limiterebbe ingiustificatamente
"la possibilità di agire in giudizio per la tutela dei diritti", non
essendo difatti "dettata da ragioni di giustizia o di carattere processuale".
Infine, conclude sul punto il rimettente, un ulteriore
autonomo profilo d’incostituzionalità dovrebbe riscontrarsi riguardo all’art.
113, secondo comma, della Costituzione, atteso che esso "prevede che la
tutela giurisdizionale contro gli atti della pubblica amministrazione non può
essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione".
Inoltre, il Giudice di pace di
Genova solleva questione di legittimità costituzionale anche dell’art. 126-bis,
comma 2, del medesimo d.lgs. n. 285 del 1992.
Siffatta disposizione,
"nella parte in cui prevede che nel caso di mancata identificazione del
conducente, la segnalazione della decurtazione del punteggio attribuito alla
patente di guida deve essere effettuata a carico del
proprietario del veicolo, salvo che lo stesso non comunichi, entro 30 giorni, i
dati personali e della patente del conducente", sarebbe in contrasto con
l’art. 3 della Costituzione, configurando "un caso di responsabilità
oggettiva a carico del proprietario del veicolo", giacché questi
risponderebbe "per fatto altrui". Orbene, prosegue il giudice a quo,
mentre il ricorso a tale modello di responsabilità "può apparire
corretto" nelle ipotesi previste dagli articoli 196 del codice della
strada e 2054 del codice civile (poiché in tali casi
la responsabilità solidale del proprietario del veicolo, "per l’aspetto
puramente riparatorio", risponde alla duplice necessità di evitare che
"molte norme sulla circolazione stradale" restino eluse, e che i
danneggiati in sinistri stradali possano "non ottenere il giusto
risarcimento"), è, per contro, irragionevole che il proprietario del
veicolo sia punito per un fatto che non ha commesso, o che non ha neppure
concorso a realizzare.
D’altra parte, osserva
ulteriormente il rimettente, l’art. 3 della legge 24 novembre 1981, n. 689
(Modifiche al sistema penale), enuncia "il principio della responsabilità
personale in tema di sanzioni amministrative di natura punitiva" (a tale
categoria appartenendo la misura della decurtazione dei punti dalla patente,
dovendo essa considerarsi sanzione accessoria avente carattere strettamente
"punitivo personale"), di talché la disposizione impugnata – nella
misura in cui introdurrebbe una deroga a tale principio – realizzerebbe
"una disparità di trattamento tra i trasgressori di alcune
norme del codice della strada ed i trasgressori di altre norme
amministrative".
Infine, conclude
il rimettente genovese, "poiché nel nostro ordinamento è consentito ad una
persona fisica di essere proprietario di veicoli a motore pur non essendo
titolare di patente di guida", l’art. 126-bis, comma 2, del d.lgs. n. 285
del 1992 realizzerebbe "una disparità di trattamento tra soggetti
proprietari del veicolo oggetto dell’infrazione muniti della patente di guida e
quelli che ne sono privi, risultando di fatto punibili
con la decurtazione del punteggio solo i primi".
1.2.¾ Il Giudice di pace di
Mestre, con due distinte ordinanze (r.o. nn. 267 e 569
del 2004), ha sollevato – ipotizzando il contrasto, nella prima ordinanza, con
il solo art. 3 della Costituzione, e, nella seconda, anche con gli artt. 24 e
27 della Carta fondamentale – questione di legittimità costituzionale dell’art.
126-bis, comma 2 (ma, come già rilevato, la prima ordinanza di rimessione
parrebbe censurare l’intero articolo), del d.lgs. n.
285 del 1992.
1.2.1.¾ In particolare, nella
prima delle due ordinanze (r.o. n. 267 del 2004), il
giudice a quo censura la disposizione suddetta "nella parte in cui non
prevede l’inapplicabilità della sanzione accessoria della detrazione dei punti
sulla patente di guida in difetto della normativa di attuazione
dei previsti corsi di recupero".
Il rimettente descrive,
preliminarmente, l’oggetto del giudizio a quo, consistente nella decisione di
un ricorso (proposto avverso verbale di contestazione di infrazione
risalente al 3 luglio 2003) nel quale si "deduce l’illegittimità della
norma che introduce la sanzione accessoria della detrazione dei punti"
dalla patente di guida, atteso che "la nuova disciplina sarebbe incompleta
non essendo stata introdotta la puntuale disciplina dei c.d. corsi di recupero,
che dovrebbero, secondo il disegno del legislatore, consentire al conducente
sanzionato il recupero dei punti detratti".
Ciò premesso, il Giudice di pace
di Mestre (sempre nella prima – r.o. n. 267 del 2004 –
delle due ordinanze da esso pronunciate) deduce come
"la disciplina applicabile al momento della contestata infrazione"
risulti quella prevista dal d.l. n. 151 del 2003, che avrebbe fissato quale
data di entrata in vigore del d.lgs. n. 9 del 2002 (cioè il testo normativo recante la disciplina relativa alla
"patente a punti") quella del 1° luglio 2003. Poiché,
però, soltanto con decreto ministeriale del 29 luglio 2003 (Programmi dei corsi
per il recupero dei punti della patente di guida), pubblicato sulla Gazzetta
Ufficiale il 6 agosto 2003, sono state "introdotte le norme di dettaglio
sull’organizzazione dei corsi di recupero previsti dall’art. 126-bis" del
codice della strada, emergerebbe secondo il rimettente "dalla descritta successione
di norme (…) l’impossibilità giuridica, per un trasgressore sanzionato nel
periodo dal 1° luglio al 6 agosto 2003" (tale essendo l’evenienza
ricorrente nel caso oggetto del giudizio a quo) di "accedere al meccanismo
di recupero dei punti persi".
In forza di tali rilievi, il
Giudice di pace di Mestre pone in luce come, "a fronte dell’imposizione di
una sanzione, per la quale sono previsti rimedi di natura riabilitativa", risulti "in concreto negato al soggetto sanzionato
l’accesso incondizionato ai benefici previsti, con evidente ed ingiustificata
disparità di trattamento dipendente esclusivamente dal momento in cui la
sanzione viene applicata", ciò che renderebbe la disciplina suddetta non
conforme a Costituzione.
Su tali presupposti, quindi, il
rimettente – non senza osservare, in punto di rilevanza della questione
sollevata, come la stessa "all’evidenza" risulti "pregiudiziale
rispetto alla decisione della causa" devoluta al suo esame – ha concluso per la declaratoria
d’incostituzionalità della norma impugnata.
1.2.2.¾ Con la seconda delle
citate ordinanze (r.o. n. 569 del 2004), il Giudice di
pace di Mestre censura sotto altro profilo – per violazione degli articoli 3,
24 e 27 della Costituzione – l’art. 126-bis del codice della strada.
Il rimettente – premesso di
giudicare del ricorso proposto avverso il verbale con cui la polizia municipale
di Venezia contestava al proprietario di un veicolo, "benché non
conducente", l’avvenuta violazione dell’art. 142, comma
9, del codice della strada – deduce che il suddetto art. 126-bis
violerebbe "gli artt. 3 e 27 della Costituzione in quanto prevede una
sanzione amministrativa personale in virtù di una responsabilità
oggettiva" (e segnatamente nella parte in cui stabilisce che la decurtazione
del punteggio dalla patente venga effettuata a carico
del proprietario del veicolo, in caso di perdurante mancata identificazione del
conducente responsabile dell’infrazione), nonché "gli artt. 24 e 27 della
Costituzione", nella parte in cui dispone (al comma 2)
che, qualora il proprietario ometta di comunicare i dati personali e della
patente del conducente del veicolo, si applichi "a suo carico la sanzione
prevista dall’art. 180, comma 8" del medesimo codice della strada.
Con riferimento, in particolare,
alla prima censura (quella che ipotizza la violazione degli artt. 3 e 27
Cost.), il giudice a quo assume che la previsione della decurtazione dei punti
dalla patente, a carico del proprietario del veicolo, "appare in contrasto
con l’insieme del sistema sanzionatorio" previsto per le contravvenzioni
stradali (sistema, a suo dire, "costituito da norme che applicano i
principî costituzionali"), e ciò "in quanto la solidarietà passiva
del conducente e del proprietario è prevista solo per le sanzioni
pecuniarie" (giusto il disposto dell’articolo 196 del codice della strada), risultando "non (…) trasmissibili le
sanzioni non pecuniarie (…) ad altro soggetto diverso da quello che ha commesso
la violazione" (in virtù di quanto stabilito dall’art. 210 del medesimo
codice).
Quanto, invece, alla seconda
censura, e cioè il prospettato contrasto con gli artt.
24 e 27 della Carta fondamentale, la stessa si fonda sulla constatazione che
l’impugnato art. 126-bis – là dove fa carico al proprietario del veicolo di
comunicare i dati personali e della patente del conducente autore
dell’infrazione – costringe il proprietario del veicolo che non conosce il
conducente (come nel caso di specie, "dove il proprietario è legale
rappresentante di due società, e il ciclomotore è utilizzato dai dipendenti e
dai parenti") "ad una omissione", che
ha come effetto "il pagamento di una pena pecuniaria e l’irrogazione della
pena accessoria della decurtazione dei punti della patente", quest’ultima
essendo destinata, inoltre, a "modificarsi" – secondo il rimettente –
"a seconda delle condizioni e status del proprietario", il quale
soltanto "se titolare di patente viene colpito"
Orbene, tale regime sanzionatorio
– essendo previsto per un’omissione che, il più delle volte (anche in ragione
del notevole lasso di tempo che usualmente trascorre
tra l’accertamento dell’infrazione a carico del conducente e la richiesta dei
suoi dati personali, e della patente di guida, rivolta al proprietario del
veicolo), si risolve in una "incolpevole dimenticanza del fatto" –
appare al rimettente in contrasto con l’art. 27 della Costituzione.
"Mutuando dal diritto penale", egli osserva, "è necessario che
l’atto positivo o negativo sia posto in essere con
coscienza e volontà", ciò che non può certamente dirsi per una semplice
"dimenticanza".
Deduce, infine, il giudice a quo
che nella eventualità in cui il proprietario – il
quale pure non sia stato il conducente del veicolo – corrispondesse "la
sanzione pecuniaria in misura ridotta, non potrebbe proporre ricorso in quanto
gli viene impedito dallo stesso art. 126-bis"; ciò che induce il
rimettente ad eccepire "la violazione del diritto di difesa (art. 24
Cost.)".
1.3.¾ Il Giudice di pace di
Ficarolo (r.o. n. 465 del 2004) ha sollevato, del
pari, questione di legittimità costituzionale – per contrasto con gli artt. 3 e
24 Cost. – dell’art. 126-bis, comma 2, del d.lgs. n.
285 del 1992, "nella parte in cui dispone la decurtazione del punteggio
della patente di guida nei confronti del proprietario del veicolo nei cui
riguardi è stato accertato il superamento dei limiti di velocità, qualora non
risulti identificato colui che si trovava alla guida
del veicolo al momento in cui fu commessa l’infrazione contestata".
Il rimettente – ricostruita la
fattispecie concreta sottoposta al suo esame – ipotizza, innanzitutto, da parte
della disposizione impugnata, la "violazione del principio "nemo
tenetur se detegere" che discende, quale corollario, da quanto stabilito
dall’art. 24 della legge fondamentale". Il comma 2 del citato art.
126-bis, nel richiedere, infatti, al proprietario del veicolo di comunicare i
dati personali e della patente del conducente (non identificato al momento
dell’accertamento dell’illecito amministrativo), "non distingue (…) tra i
possibili destinatari della delazione che viene
imposta", di talché, ove la persona del conducente e del proprietario
coincidessero, quest’ultimo "sarebbe obbligato a confessare la propria
colpa".
"Ne deriva", prosegue
il giudice a quo, "il contrasto dell’art. 126-bis" con il principio
sopra richiamato (nemo tenetur se detegere), "e quindi con l’art. 24"
della Costituzione.
In relazione, invece,
all’ipotizzata violazione dell’art. 3 della Costituzione, il rimettente sottolinea che la sanzione della decurtazione dei punti
dalla patente "viene applicata in modo diverso" nei confronti delle
persone giuridiche rispetto alle persone fisiche, posto che nel primo caso
"si applica la sanzione pecuniaria di cui all’articolo 180" del
codice della strada, "mentre nel secondo la decurtazione dei punti della
patente di guida", dando così luogo ad una "ingiustificata disparità
di trattamento" tra le due ipotesi.
1.4.¾ Dubita, altresì, della
legittimità costituzionale della medesima disposizione – giacché in contrasto
con gli articoli 24 e 27 della Costituzione – anche il Giudice di pace di Bra (r.o. n. 503 del 2004).
La previsione – da parte
dell’art. 126-bis del d.lgs. n. 285 del 1992 – di una
"sanzione accessoria personale" a carico del proprietario del
veicolo, che ometta di comunicare chi effettivamente
fosse alla guida del veicolo in occasione della violazione di norme del codice
della strada, sarebbe – secondo il rimettente – in "evidente contrasto con
il principio della responsabilità personale dettato dall’art. 27, primo comma,
della Costituzione", giacché, "pur essendo tale norma riferita alla
responsabilità penale, essa è uniformemente interpretata come estensibile a
tutte le sanzioni che colpiscono la persona".
Evidenzia,
inoltre, il giudice a quo come il suddetto art. 126-bis del codice della strada
preveda anche, per l’omessa comunicazione di cui sopra, "il
pagamento di una sanzione amministrativa ai sensi dell’art. 180, comma 8, del
medesimo codice". Dall’applicazione di tale previsione deriverebbe per il
proprietario del veicolo – allorché questi non sia in
grado di comunicare i dati relativi alla persona ed alla patente del conducente
(come avviene, sottolinea il rimettente, "in quasi tutte le famiglie, in
caso di uso promiscuo del mezzo") – una situazione
"paradossale", giacché egli sarebbe, di fatto, costretto ad
"autodenunciarsi", per evitare almeno il pagamento della sanzione
pecuniaria suddetta. Si verrebbe, in tal modo, a realizzare una lesione del
"suo diritto di difesa – rectius: autodifesa – sancito dall’art. 24 Cost.",
in "spregio al principio del nemo tenetur se detegere".
Infine, secondo il Giudice di
pace di Bra, essendo di soli 30 giorni il termine per effettuare
la comunicazione contemplata dalla norma sospettata di costituzionalità, e
dunque "nettamente inferiore al termine di 60 giorni per proporre ricorso
al Giudice di pace o al Prefetto" (ai sensi degli articoli 203 e 204-bis
del d.lgs. n. 285 del 1992), da ciò "consegue il paradosso per cui potrebbe venire irrogata una sanzione accessoria in
mancanza di un giudicato sulla sanzione principale, in palese contrasto con il
principio, logico prima ancora che giuridico, secondo cui la sanzione
accessoria non ha ragione di esistere quando manchi ab origine o venga
successivamente meno quella principale".
Su tali basi – e non senza porre
in luce, conclusivamente, come, obbligando il proprietario del veicolo a
comunicare il nominativo del conducente responsabile
dell’accertata infrazione stradale, la norma de qua lascerebbe "in capo al
cittadino e non allo Stato la decisione su chi debba subire la sanzione" –
il rimettente ha concluso per l’accoglimento della questione di
costituzionalità sollevata.
1.5.¾ Il contrasto tra l’art.
126-bis del d.lgs. n. 285 del 1992 e gli articoli 3 e
27, primo e terzo comma, della Costituzione è
ipotizzato dal Giudice di pace di Montefiascone (r.o. n. 575 del 2004).
Riassume, in primo luogo, il rimettente i termini del giudizio a quo, sottolineando di
essere investito di un ricorso proposto avverso un verbale di contestazione dell’infrazione
stradale di cui all’art. 142, comma 8, del codice della strada.
Nel precisare che il ricorrente –
non essendo "in grado, dato il tempo trascorso, di indicare la persona
fisica al volante al momento dell’accertamento dell’infrazione" – ha provveduto
"al pagamento della sanzione pecuniaria", eccependo
però l’incostituzionalità "della sanzione amministrativa della
decurtazione" del punteggio dalla patente, il Giudice di pace di
Montefiascone ha sollevato – in relazione ai parametri summenzionati –
questione di legittimità costituzionale del suddetto art. 126-bis "nella
parte in cui pone a carico del proprietario del veicolo la decurtazione dei
punti della patente connessa a violazioni commesse da terzi".
Ad avviso del rimettente,
difatti, "il sistema sanzionatorio testé indicato
crea un’ingiustificata disparità di trattamento tra situazioni sostanzialmente
identiche", giacché esso può "applicarsi soltanto ai proprietari
muniti di patente di guida", mandando invece "esenti da sanzione
coloro che ne sono sprovvisti", così incentivando – oltretutto – la
"diseducativa tendenza a intestare le vetture ai non patentati".
Accanto all’ipotizzata violazione
dell’art. 3 Cost., il rimettente – non senza
evidenziare come la prassi, originata dall’applicazione della norma impugnata,
di denunciare un prossimo congiunto quale conducente responsabile
dell’infrazione darebbe luogo ad una situazione di "contrasto con la
tutela dei vincoli familiari costituzionalmente protetti" – prospetta,
quale ulteriore censura, la violazione dell’art. 27 della Carta fondamentale.
Tale articolo, difatti, "enuncia il principio della personalità della
pena", valevole anche per una "sanzione afflittiva che limita la
libertà personale e l’autonomia di locomozione" (qual è la decurtazione
dei punti dalla patente), non a caso "intrasmissibile ad altri soggetti
come previsto dall’art. 210" del medesimo d.lgs.
n. 285 del 1992.
1.6.¾ Con due distinte ordinanze
(r.o. nn. 643 e 658 del 2004), il Giudice di pace di
Lanciano ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 126-bis
del d.lgs. n. 285 del 1992.
1.6.1.¾ Nel primo caso (r.o. n. 643 del 2004), è ipotizzata la violazione degli
artt. 3 e 24 della Costituzione ad opera della
suddetta disposizione di legge, "nella parte in cui prevede che la
decurtazione dei punti avviene al proprietario del veicolo quando il conducente
rimane sconosciuto", nonché là dove stabilisce che "se proprietario è
una persona giuridica questa può liberarsi pagando solo una somma di denaro".
Il rimettente – nel premettere
che la risoluzione della questione di legittimità costituzionale è rilevante ai
fini della definizione del giudizio di cui esso è investito, giacché,
"dati tutti gli elementi della fattispecie concreta", la norma impugnata
è tra quelle "di cui non è da escludere l’applicazione per la risoluzione
della causa", poiché nel caso di specie "non
è stata identificata la conducente dell’auto de qua" – deduce la
violazione degli articoli 3 e 24 della Costituzione.
A suo dire, infatti, per effetto
della previsione contenuta nell’impugnata disposizione, "non tutti i
cittadini avrebbero pari dignità sociale e sarebbero eguali davanti alla
legge", né tutti "potrebbero agire per la tutela dei propri diritti
ed interessi legittimi". La norma de qua – prosegue il rimettente –
"introduce una singolare sanzione a carattere intermittente o eventuale a secondo di chi sia il proprietario del mezzo"
(essendo essa "applicabile solo nel caso in cui il titolare del mezzo sia
patentato"), dando, inoltre, luogo, "all’interno dei destinatari
patentati", ad un (ulteriore) "discrimine non ragionevole" a
carico di chi "non vuole indicare chi tra i familiari ha preso l’auto
oppure non sa, non conosce chi ha utilizzato l’auto".
Ipotizza, infine, il giudice a
quo un’ulteriore violazione degli stessi parametri
costituzionali (artt. 3 e 24 Cost.), sotto altro profilo.
Qualora, difatti, il proprietario
del veicolo risulti una persona giuridica, a carico
del suo legale rappresentante che ometta di comunicare i dati personali e della
patente del conducente si applicherebbe esclusivamente la sanzione
amministrativa prevista dall’art. 180 comma 8 del codice della strada (e cioè
una sanzione solo pecuniaria), con "evidente (…) discriminazione tra il
proprietario di un’autovettura che sia persona giuridica e chi non lo è, in
quanto il legale rappresentante ha la possibilità di effettuare il pagamento in
denaro senza alcuna decurtazione di punteggio", evenienza non prevista,
invece, nell’altra ipotesi.
In forza di tali rilevi – nonché conclusivamente osservando come "la possibilità
di irrogare sanzioni senza la contestazione immediata, anche se prevista dalla
legge" (ed alla base della possibilità di punire il proprietario del
veicolo in luogo del conducente rimasto sconosciuto), costituirebbe "di
per sé una compromissione del diritto di difesa, in contrasto con quanto
statuito dall’art. 24, secondo comma, della Costituzione" – il rimettente
ha chiesto la declaratoria
d’incostituzionalità della disposizione impugnata.
1.6.2.¾ Con la seconda ordinanza
(r.o. n. 658 del 2004), lo stesso Giudice di pace di
Lanciano deduce il contrasto con gli artt. 24 e 27 della Costituzione dell’art.
126-bis, comma 2, del d.lgs. n. 285 del 1992.
Il giudice a quo deduce, in primo
luogo, l’esistenza di un contrasto tra la disposizione impugnata e l’art. 24
Cost., giacché quest’ultimo – "in ossequio
all’antico brocardo nemo tenetur se detegere" – sancisce "il diritto
a non fornire elementi in proprio danno e, più in generale, a non collaborare
con l’Autorità per la propria incriminazione", diritto, viceversa,
pregiudicato dalla norma suddetta.
Quanto, invece, alla prospettata
violazione dell’art. 27 Cost., il rimettente osserva
che con "l’introduzione della perdita dei punti sulla patente"
l’illecito amministrativo, consistente nell’inosservanza delle regole sulla
circolazione stradale, avrebbe acquistato "la configurazione di un vero e
proprio reato con sanzione anche di carattere afflittivo oltre che
pecuniaria", di talché, a causa dell’applicazione della sanzione de qua,
"il reato-contravvenzione verrebbe addebitato per responsabilità oggettiva
violando l’art. 27 della nostra Costituzione".
Rileva, inoltre, il Giudice di
pace di Lanciano come la disposizione impugnata si presenti
in contrasto con la configurazione che alla responsabilità amministrativa è
stata conferita dalla già ricordata legge n. 689 del 1981.
Se è vero, difatti, che il suo
art. 6 (con disposizione che risulta, per così dire, "doppiata" –
nella materia delle infrazioni stradali – da quella contenuta nell’art. 196 del
d.lgs. n. 285 del 1992) ha "introdotto l’istituto
della solidarietà, di derivazione civilistica, prevedendo la responsabilità in
solido, con l’autore dell’illecito, del proprietario della cosa che servì a
commettere la violazione", deve, però, riconoscersi che siffatta
"solidarietà" "comporta il pagamento della somma pecuniaria
scaturita dalla violazione amministrativa, e non invece l’assoggettamento ad
altra sanzione di carattere affittivo, ma non pecuniario,
come quella della detrazione dei punti della patente prevista dall’art.
126-bis".
1.7.¾ Deduce, altresì, il
contrasto con gli articoli 3, 24 e 25 della Costituzione dell’art. 126-bis del
codice della strada, anche il Giudice di pace di Carrara (r.o.
n. 701 del 2004).
Ricostruisce, in primis, il rimettente i termini del giudizio a quo, sottolineando di
essere stato adito per l’annullamento di un verbale di accertamento
"riferito alla violazione relativa all’uso di telefono cellulare durante
la guida", verbale "notificato alla ricorrente in quanto proprietaria
del veicolo e "responsabile in solido" della violazione".
Deduce, inoltre, che l’interessata – nel proprio ricorso – assumeva "che
non era lei opponente alla guida", essendo, in ogni caso,
"impossibile per gli accertatori rilevare la circostanza contestata"
(e cioè l’uso dell’apparecchio telefonico, atteso che
la vettura di sua proprietà "sarebbe dotata di vetri oscurati"), e
che comunque l’automobile "non era stata usata dalla ricorrente nelle
circostanze di tempo e di luogo contestate", né "prestata ad
alcuno".
Chiesto, su
tali basi, l’accoglimento dell’opposizione, la ricorrente "eccepiva anche
questione di legittimità costituzionale dell’art. 126-bis" del codice
della strada, questione che l’adito giudicante ha reputato rilevante, giacché
solamente ove tale norma "fosse conforme a Costituzione si dovrebbe
applicare, all’esito sfavorevole per l’opponente del giudizio, anche la
sanzione accessoria della perdita di cinque punti della patente di guida
all’opponente".
In ordine, poi, alla non
manifesta infondatezza della questione, il
rimettente premette la necessità di chiarire la "natura giuridica della
decurtazione dei punti della patente", contestando la ricostruzione
proposta dal Ministero dell’Interno attraverso apposite
circolari, essendo tale istituto "contraddittoriamente definito, da un
lato, come misura avente "carattere cautelare" e dall’altro misura
che "integra il sistema delle sanzioni pecuniarie accessorie"
previste dal Codice della Strada". La constatazione che si è in presenza di un "istituto di natura afflittiva e
permanente (la decurtazione non ha effetti temporanei e provvisori)",
porta il giudice a quo a ritenere la misura in esame "una sanzione
amministrativa personale".
"Così ricostruita" –
prosegue il rimettente – "la natura della misura in rapporto alla propria
funzione, ne risultano però evidenziati anche gli
aspetti di contrasto con le norme e i principî costituzionali del sistema
sanzionatorio del codice della strada", giacché, in particolare,
l’articolo 196 del d.lgs. n. 285 del 1992 "prevede la solidarietà passiva
– per conducente e proprietario del veicolo – per le sole sanzioni
pecuniarie", così come il successivo art. 210 stabilisce "per diretta
conseguenza (…) l’intrasmissibilità delle sanzioni non pecuniarie ad altri
soggetti, diversi da chi abbia materialmente compiuto la violazione".
Orbene, assume il Giudice di pace
di Carrara, siffatto "impianto normativo" costituirebbe coerente
applicazione dei principî costituzionali (e segnatamente di quello secondo cui
la "responsabilità penale è personale"), che, seppur riferiti ai
reati, sarebbero tuttavia "estesi a tutte le violazioni per le quali siano
previste sanzioni che colpiscono una persona", donde l’ipotizzata
violazione – da parte della disposizione impugnata – dell’art. 25 (recte: 27)
della Costituzione. La previsione, difatti, della "possibile irrogazione
di sanzioni amministrative personali per una sorta di "responsabilità
oggettiva"", costituisce una scelta
legislativa "che mal si attaglia con i principi costituzionali di cui
all’art. 25" (recte: 27) della Costituzione, i quali risultano
"pacificamente applicabili nell’impianto normativo delle sanzioni
amministrative", come disciplinato dalla legge n. 689 del 1981.
Deduce il rimettente, inoltre, la
violazione anche dell’art. 3 della Costituzione, giacché la disposizione
impugnata realizzerebbe una "disparità di trattamento", innanzitutto
"nel caso in cui il proprietario della vettura – obbligato solidalmente
alla decurtazione – non sia in possesso della patente
di guida", ovvero quando, pur essendo "giuridicamente proprietario",
"di fatto non eserciti il possesso dell’auto" (tale sarebbe, in
particolare, la condizione delle "imprese di leasing", rispetto alle
quali oltretutto la sanzione colpirebbe "il legale rappresentante della
società, individuato con criteri del tutto soggettivi e casuali", quali
quelli connessi alla titolarità della carica).
Né, d’altra parte, il prospettato
dubbio di costituzionalità, per violazione dell’art. 3 della Carta
fondamentale, potrebbe essere superato – conclude il
giudice a quo – ove si ritenga che la sanzione della decurtazione dei punti
dalla patente "colpisca il proprietario non in quanto tale, ma per
l’omissione delle informazioni" indicate
nell’art. 126-bis, in quanto "tale comportamento omissivo è già di per sé
stesso punito dalla sanzione amministrativa pecuniaria ai sensi dell’art. 180,
comma 8" del medesimo codice della strada.
Ipotizza, infine, il Giudice di
Pace di Carrara anche la violazione degli articoli 24 e 25 della Costituzione,
in quanto, nell’ipotesi in cui "il proprietario del veicolo sia lo stesso
conducente, cui non sia stata immediatamente contestata la violazione",
questi "si vedrebbe costretto ad autodenunciarsi, a pena di incorrere in
doppio provvedimento punitivo", e cioè "da
un lato la decurtazione del punteggio e dall’altro la sanzione pecuniaria per
l’omissione dei dati dell’effettivo conducente".
Tale evenienza, però, non pare
compatibile con la scelta compiuta dal nostro ordinamento – "come ogni
ordinamento liberale" – in favore del principio che esclude (persino in
materia penale) "che si possa essere costretti ad agire contro sé stessi", atteso che sono "i soggetti che
accertano l’illecito ad essere tenuti ad individuare l’effettivo
trasgressore".
1.8.¾ La violazione del solo
articolo 24 della Costituzione – da parte del già più volte ricordato art.
126-bis del d.lgs. n. 285 del 1992 – è dedotta anche
dal Giudice di pace di Casale Monferrato, con due ordinanze (r.o.
nn. 721 e 722 del 2004) di pressoché identico contenuto (le stesse, invero,
differiscono unicamente in ragione del fatto che, nel primo caso, proprietaria
dell’autovettura, a carico della quale è stata
accertata l’infrazione stradale, risulta essere una persona giuridica).
Deducendo che ambedue i giudizi,
dei quali esso è investito, non potrebbero essere definiti
"indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità
costituzionale della norma sopracitata", il
rimettente assume che l’obbligo da essa imposto a carico del proprietario del
veicolo (indicare le generalità del conducente al momento dell’avvenuta
contestazione, nel caso in cui l’identificazione del trasgressore non avvenga
immediatamente) risulta "sanzionato diversamente, a seconda che il proprietario
sia una persona fisica o giuridica".
In entrambi i casi, tuttavia,
"il diritto di difesa garantito dall’art. 24 Cost. risulta
compresso", e ciò sotto vari profili; in primo luogo perché "la norma
prevede una responsabilità oggettiva del proprietario del veicolo", e cioè
un "istituto estraneo al nostro diritto sanzionatorio, sia penale, sia
amministrativo". La norma stabilisce, inoltre, "l’obbligo di denuncia
(o delazione) del conducente del veicolo", obbligo ipotizzabile, però, "solo
in capo a determinati soggetti, che rivestono funzioni pubbliche". Infine,
allorché le persone del proprietario e del conducente, autore dell’infrazione,
coincidano, "la norma imporrebbe un vero e proprio obbligo di confessare,
limitando irrimediabilmente il diritto di difesa del cittadino", essendo
"il diritto al silenzio (…) ormai patrimonio acquisito al nostro
ordinamento".
2.¾ È intervenuto, nei soli
giudizi originati dalle ordinanze di rimessione pronunciate dai Giudici di pace
di Genova, sezione distaccata di Voltri, e Mestre (r.o.
nn. 120 e 267 del 2004), il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato.
Nel primo caso la difesa erariale
si limita a "riportarsi alle deduzioni formulate nei precedenti atti di intervento in cause simili" (e segnatamente quelle
originate dalle ordinanze r.o. nn. 997 e 998 del 2003,
peraltro già definite da questa Corte con la sentenza n. 114 del 2004),
assumendo l’infondatezza della questione prospettata.
Nel secondo caso l’Avvocatura generale
dello Stato eccepisce che la questione sollevata sarebbe "inammissibile e comunque infondata".
Rileva la difesa erariale, quanto
all’inammissibilità della questione, che il giudice rimettente – censurando la
disposizione impugnata nella parte in cui precluderebbe l’accesso, ai corsi di
recupero dei punti della patente, ai soggetti sanzionati tra il 1° luglio 2003
(giorno a cui risale l’entrata in vigore della norma relativa
alla decurtazione del punteggio della patente) ed il successivo 6 agosto
(giorno, invece, della pubblicazione del già ricordato decreto ministeriale
recante la disciplina relativa ai corsi suddetti) – avrebbe omesso di
"precisare quale pregiudizio in concreto abbia subito il ricorrente dal
presunto ritardo nella istituzione dei corsi di recupero", e quindi
"come la questione di costituzionalità prospettata d’ufficio dal giudice a
quo possa assumere rilevanza nel giudizio".
Nel merito, invece, l’Avvocatura
generale dello Stato osserva che "né la normativa primaria, né tanto meno
il decreto ministeriale prevedono meccanismi di preclusione temporale per
l’iscrizione a tali corsi in relazione alla data di
decurtazione del punteggio". L’art. 6 del suddetto decreto si limita,
difatti, a prevedere l’impossibilità d’iscrizione ad uno dei corsi "se
prima non si sia ricevuta la comunicazione da parte del Ministero competente
della decurtazione" operata, nulla stabilendo, invece, "circa
l’esistenza di un termine massimo entro il quale un cittadino dovrebbe
iscriversi al corso di recupero".
Considerato in diritto
1.— I giudici di pace di Genova,
sezione distaccata di Voltri (r.o. n. 120 del 2004),
Mestre (r.o. n. 569 del 2004), Ficarolo (r.o. n. 465 del 2004), Bra (r.o. n.
503 del 2004), Montefiascone (r.o. n. 575 del 2004),
Lanciano (r.o. nn. 643 e 658 del 2004), Carrara (r.o. n. 701 del 2004) e Casale Monferrato (r.o. nn. 721 e 722 del 2004) hanno sollevato questione di
legittimità costituzionale – deducendo, nel complesso, la violazione degli
articoli 3, 24, 25 (l’indicazione di quest’ultimo parametro apparendo, per
vero, frutto di un laspsus calami) e 27 della Costituzione – dell’art. 126-bis,
comma 2, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della
strada), introdotto dall’art. 7 del decreto legislativo 15 gennaio 2002, n. 9
(Disposizioni integrative e correttive del nuovo codice della strada, a norma
dell’articolo 1, comma 1, della legge 22 marzo 2001, n. 85), nel testo
risultante all’esito della modifica apportata dall’art. 7,
comma 3, lettera b), del decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151 (Modifiche
ed integrazioni al codice della strada), come modificato – a propria volta –
dalla legge di conversione 1° agosto 2003, n. 214.
La disposizione de qua è
sospettata di incostituzionalità nella parte in cui
prevede che, nel caso di mancata identificazione del conducente,
"responsabile della violazione" delle norme del codice della strada
per le quali "è prevista la sanzione amministrativa accessoria della
sospensione della patente", la segnalazione della decurtazione del punteggio
attribuito alla patente di guida debba essere effettuata a carico del
proprietario del veicolo, "salvo che lo stesso non comunichi, entro trenta
giorni dalla richiesta, all’organo di polizia che procede, i dati personali e
della patente del conducente al momento della commessa violazione".
1.1.— Deducono taluni dei
predetti rimettenti (e segnatamente il Giudice di pace di Genova, sezione
distaccata di Voltri, nonché quelli di Mestre,
Ficarolo, Montefiascone, Lanciano e Carrara) la violazione dell’art. 3 della
Costituzione, ravvisata sotto diversi profili. Innanzitutto, perché la
disposizione impugnata configurerebbe una "sanzione intermittente",
operando soltanto nei confronti dei proprietari di veicoli che risultino muniti
di patente (r.o. nn. 120, 575, 643 e 701 del 2004),
ovvero esclusivamente nei confronti delle persone fisiche e non anche di quelle
giuridiche (r.o. nn. 465 e 643 del 2004); in secondo
luogo, perché la stessa – in contrasto con la previsione di cui all’art. 3
della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), che fissa
il principio della "personalità" della responsabilità amministrativa
– realizzerebbe un’ingiustificata "disparità di trattamento tra i
trasgressori di alcune norme del codice della strada
ed i trasgressori di altre norme amministrative" (r.o. n. 120 del 2004).
Il contrasto con il parametro di
cui all’art. 3 Cost. è ipotizzato, inoltre, anche in
relazione al difetto di ragionevolezza che connoterebbe la disposizione
de qua (r.o. nn. 120 e 569 del 2004). Essa, difatti, opera un intervento,
consistente nella previsione di un’ipotesi di responsabilità "per fatto
altrui", che – se appare "corretto" nei casi contemplati dagli
articoli 196 del codice della strada e 2054 del codice civile (giacché qui la
responsabilità solidale del proprietario del veicolo, "per l’aspetto
puramente riparatorio", risponde alla duplice necessità di evitare che
"molte norme sulla circolazione stradale" restino "eluse" e
che i danneggiati in sinistri stradali possano "non ottenere il giusto
risarcimento"; così in particolare r.o. n. 120
del 2004) – risulta, invece, irragionevole nel caso di specie, trattandosi di
applicare una sanzione di natura "personale" (così, nuovamente, r.o. n. 120 del 2004).
1.2.— L’art. 126-bis, comma 2,
del codice della strada, inoltre, sarebbe in contrasto – secondo quanto
ipotizzato dai rimettenti di Mestre, Ficarolo, Bra, Lanciano, Carrara e Casale
Monferrato – con l’art. 24 della Costituzione, e ciò sotto un triplice
alternativo profilo.
Da un lato si assume che "la
possibilità di irrogare sanzioni senza la
contestazione immediata, anche se prevista dalla legge", costituirebbe
"di per sé una compromissione del diritto di difesa" (r.o. n. 643 del
2004).
Per altro verso, invece, si sottolinea che – qualora le persone del proprietario del
veicolo e del conducente, responsabile dell’infrazione, coincidano – la
necessità di evitare (almeno) l’irrogazione della sanzione pecuniaria di cui
all’art. 180, comma 8, del codice della strada (comminata a carico del proprietario
che non provveda a soddisfare la richiesta di comunicare i "dati personali
e della patente" del conducente), dovrebbe indurre il destinatario della
richiesta suddetta ad autodenunciarsi, con conseguente violazione del principio
del nemo tenetur se detegere (r.o. nn. 465, 503, 658, 701, 721 e 722 del 2004).
Infine, si deduce la violazione
del diritto di difesa anche sotto un ulteriore profilo
(r.o. n. 503 del 2004), evidenziando come la previsione di un termine di appena
trenta giorni, entro il quale il proprietario del veicolo deve comunicare i
dati personali e della patente del conducente responsabile dell’infrazione,
risulti "nettamente inferiore al termine di sessanta giorni per proporre
ricorso al Giudice di pace o al Prefetto, al fine di conseguire l’annullamento
del verbale di contestazione dell’infrazione stradale". Orbene, tale
"sfasatura" temporale comporterebbe l’eventualità che sia "irrogata una sanzione accessoria in mancanza di un
giudicato sulla sanzione principale, in palese contrasto con il principio,
logico prima ancora che giuridico, secondo cui la sanzione accessoria non ha
ragione di esistere quando manchi ab origine o venga successivamente meno
quella principale".
1.3.— Viene,
infine, ipotizzata – dai soli giudici di pace di Bra, Mestre, Montefiascone,
Lanciano (ma esclusivamente nell’ordinanza r.o. n. 658 del
2004) e Carrara – la violazione anche dell’art. 27 della Costituzione.
Si assume, difatti, che il
principio – sancito dal primo comma di tale articolo – secondo cui la
"responsabilità penale è personale" deve intendersi riferito anche
alla responsabilità amministrativa.
2.— Il Giudice di pace di Genova,
sezione distaccata di Voltri (r.o. n. 120 del 2004),
ha, inoltre, sollevato questione di legittimità costituzionale – per contrasto
con gli articoli 3, 24, primo comma, e 113, secondo comma, della Costituzione –
dell’art. 204-bis, comma 3, del medesimo d.lgs. n. 285 del 1992, disposizione introdotta dall’art. 4, comma 1-septies,
del già citato d.l. n. 151 del 2003, aggiunta dalla legge di conversione
n. 214 del 2003.
Il rimettente lamenta la irragionevole disparità di trattamento – realizzata dalla
disposizione di legge impugnata – tra quanti adiscono le vie giudiziali per
l’annullamento del verbale di contestazione dell’infrazione stradale, e coloro
che, in alternativa, decidano o di proporre, allo stesso scopo, ricorso
amministrativo all’autorità prefettizia, ovvero impugnino direttamente la c.d.
"ordinanza-ingiunzione", giacché "l’incombente procedurale di
cui al comma 3 dell’art. 204-bis" del codice della strada (versamento di
una "cauzione", prevista a pena d’inammissibilità dell’iniziativa
esperita) risulterebbe stabilito solamente nella prima delle tre ipotesi. Si
deduce, inoltre, che l’imposizione dell’onere procedurale de quo limiterebbe
ingiustificatamente "la possibilità di agire in giudizio per la tutela dei
diritti", non essendo difatti "dettata da ragioni di giustizia o di
carattere processuale", contravvenendo inoltre al precetto costituzionale
il quale "prevede che la tutela giurisdizionale contro gli atti della
pubblica amministrazione non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione".
3.— Infine, un’ulteriore
questione di legittimità costituzionale dell’art. 126-bis del d.lgs. n. 285 del
1992 è sollevata dal Giudice di pace di Mestre (nella prima ordinanza – r.o. n. 267 del 2004 – da esso
pronunciata), sotto un profilo del tutto diverso da quelli testé illustrati.
È dedotta l’irragionevole
disparità di trattamento – e dunque il contrasto con l’art. 3 Cost. – che la
disposizione in esame realizzerebbe a carico di taluni utenti della strada,
esclusi ratione temporis dalla possibilità di partecipazione ai corsi per il
recupero del punteggio detratto dalla patente, giacché sanzionati anteriormente all’avvento del decreto del Ministero delle
infrastrutture e dei trasporti 29 luglio 2003 (Programmi dei corsi per il
recupero dei punti della patente di guida) con il quale sono state
"introdotte le norme di dettaglio sull’organizzazione dei corsi di
recupero previsti dall’art. 126-bis" del codice della strada. Secondo il
rimettente, difatti, i soggetti che abbiano subito la decurtazione di punti
dalla propria patente di guida in ragione di infrazioni
commesse tra il 1° luglio 2003 ed il successivo 6 agosto (cioè a dire in un
arco temporale che, nella prospettazione del giudice a quo, sarebbe compreso
tra la data dell’entrata in vigore della nuova normativa relativa alla
"patente a punti" e quella della pubblicazione del decreto
ministeriale concernente i c.d. "corsi di recupero") sarebbero impossibilitati
ad accedere a tali corsi, essendo divenute operative le norme di dettaglio
sulla loro organizzazione soltanto successivamente alla pubblicazione nella
Gazzetta Ufficiale del decreto ministeriale suddetto (e dunque il 6 agosto
2003).
4.— Ciò premesso in merito alle
iniziative assunte dai diversi giudici a quibus, deve preliminarmente disporsi
– data la connessione oggettiva esistente tra le varie ordinanze di rimessione
– la riunione dei relativi giudizi ai fini di una unica
decisione.
Quanto, invece, al contenuto di
quest’ultima, appare necessario definire, in via preliminare, tra le questioni
di legittimità costituzionale sollevate dal Giudice di pace di Genova, sezione
distaccata di Voltri (r.o. n. 120 del 2004), quella
avente ad oggetto l’art. 204-bis, comma 3, del codice della strada, nonché, di seguito, quella posta dal rimettente di Mestre
nella prima delle due ordinanze da esso pronunciate (r.o. n. 267 del 2004).
5.— La questione di legittimità
costituzionale dell’art. 204-bis, comma 3, del d.lgs.
n. 285 del 1992, sollevata dal rimettente genovese, è manifestamente
inammissibile.
La disposizione de qua è già
stata dichiarata costituzionalmente illegittima con sentenza di questa Corte n.
114 del 2004, la quale ha rilevato che l’imposizione dell’onere economico da essa previsto finisce "con il pregiudicare l’esercizio
dei diritti che l’art. 24 della Costituzione proclama inviolabili, considerato
che il mancato versamento comporta un effetto preclusivo dello svoglimento del
giudizio, incidendo direttamente sull’ammissibilità dell’azione esperita".
6.— La questione sollevata dal
Giudice di pace di Mestre con l’ordinanza r.o. n. 267
del 2004 è, invece, infondata.
Secondo il rimettente, dalla
previsione contenuta nell’art. 126-bis del codice della strada discenderebbe la
"impossibilità giuridica, per un trasgressore sanzionato nel periodo dal
1° luglio al 6 agosto 2003", di accedere ai corsi
di recupero della patente, essendo divenute operative le norme di dettaglio
sull’organizzazione dei corsi stessi solo successivamente a tale periodo, di
talché, "a fronte della imposizione di una sanzione, per la quale sono
previsti rimedi di natura riabilitativa", sarebbe "in concreto negato
al soggetto sanzionato l’accesso incondizionato ai benefici previsti, con
conseguente ingiustificata disparità di trattamento dipendente esclusivamente
dal momento in cui la sanzione viene applicata".
L’impugnato articolo 126-bis ha
previsto e disciplinato il sistema della c.d. patente a punti, stabilendo che
all’atto del rilascio della patente vengano attribuiti
venti punti, annotati in una apposita anagrafe nazionale (comma 1). Tale
punteggio è destinato a subire decurtazioni a seguito della comunicazione, alla
suddetta anagrafe, della "violazione di una delle norme per le quali è prevista la sanzione amministrativa accessoria
della sospensione della patente ovvero di una tra le norme di comportamento di
cui al titolo V" dello stesso codice della strada (meglio indicate in una
apposita tabella ad esso allegata). Il comma 4 del medesimo art. 126-bis
dispone che, fuori dai casi di perdita totale del
punteggio e purché questo non sia del tutto esaurito, è consentito ai
trasgressori di recuperare un certo numero di punti mediante la frequenza di
corsi di aggiornamento, organizzati dalle autoscuole ovvero da soggetti
pubblici o privati a ciò espressamente autorizzati. L’ultimo periodo del comma
sopra indicato dispone che "con decreto del Ministro delle infrastrutture
e dei trasporti sono stabiliti i criteri per il rilascio dell’autorizzazione, i
programmi e le modalità di svolgimento dei corsi di aggiornamento".
L’art. 126-bis in esame è entrato
in vigore a decorrere dal 30 giugno 2003 (secondo quanto previsto dall’art. 8
del già citato d.l. n. 151 del 2003); da tale data è dunque divenuto operativo
il sistema della patente a punti. Il decreto ministeriale che ha disciplinato i
corsi di recupero, per contro, è stato adottato in data 29 luglio 2003 ed è
stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale il successivo 6 agosto 2003.
L’infrazione al codice della
strada, sottoposta al giudizio del giudice rimettente, è stata commessa il 3
luglio 2003, dopo cioè l’entrata in vigore della
disposizione censurata e prima della pubblicazione del decreto. Secondo il
rimettente, la norma censurata sarebbe incostituzionale, in quanto "la
nuova disciplina sarebbe incompleta non essendo stata introdotta la puntuale
disciplina dei c.d. corsi di recupero, che dovrebbero, secondo il disegno del
legislatore, consentire al conducente sanzionato il recupero dei punti
detratti".
La censura prospettata non può
essere accolta per due ragioni, ciascuna delle quali ha carattere assorbente.
In primo luogo, anche per le
infrazioni commesse tra il 30 giugno 2003 e la data di entrata
in vigore del già menzionato decreto ministeriale relativo all’organizzazione
dei corsi di recupero dei punti perduti (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale
del 6 agosto 2003) era ed è possibile l’accesso ai corsi stessi. Da un lato,
infatti, nessuna preclusione di carattere temporale per l’iscrizione ai
medesimi è prevista, né dall’articolo 126-bis del codice della strada, né dal d.m. 29 luglio 2003, essendo – dall’altro – del tutto logico
che la partecipazione ai predetti corsi debba avvenire in epoca successiva
all’accertamento dell’infrazione ed alla applicazione delle due sanzioni
combinate, la prima di natura pecuniaria, e la seconda concernente la
decurtazione del punteggio. Nessun pregiudizio, dunque, può derivare al
soggetto che abbia commesso l’infrazione al codice
della strada nel suddetto arco di tempo, atteso che nessuna preclusione per la
partecipazione ai corsi di recupero è ipotizzabile per il contravventore.
In secondo luogo, l’eventuale
ritardo imputabile all’autorità amministrativa nel porre in essere gli atti di adempimento di una determinata normativa non può tradursi
in una ragione di illegittimità costituzionale della normativa stessa.
7.— In relazione, invece, alla
questione di legittimità del comma 2 del medesimo art. 126-bis del codice della
strada (sollevata da tutti gli altri rimettenti, compreso il Giudice di pace di
Genova, sezione distaccata di Voltri, nella seconda parte della sua ordinanza,
prima esaminata sotto un diverso profilo), occorre procedere ad uno scrutinio differenziato in relazione ai diversi parametri evocati,
presentandosi tale questione fondata solo nei limiti di seguito precisati.
8.— È necessario, peraltro,
premettere il quadro di fondo nel quale si colloca la
disposizione oggetto di censura, la cui legittimità costituzionale è posta in
dubbio dai rimettenti nella parte in cui essa stabilisce che, nel caso di
mancata identificazione del contravventore, la decurtazione dei punti della
patente "deve essere effettuata a carico del proprietario del veicolo,
salvo che lo stesso non comunichi, entro trenta giorni dalla richiesta,
all’organo di polizia che procede, i dati personali e della patente del
conducente al momento della commessa violazione".
L’originario
comma 2 dell’art. 126-bis del codice della strada, introdotto dall’art.
7 del decreto legislativo 15 gennaio 2002, n. 9 (Disposizioni integrative e
correttive del nuovo codice della strada, a norma dell’articolo 1, comma 1,
della legge 22 marzo 2001, n. 85), disponeva che l’organo accertatore della
violazione comportante la perdita di punteggio dovesse dare notizia, entro
trenta giorni dalla definizione della contestazione, all’anagrafe nazionale
degli abilitati alla guida. In particolare, il comma in questione prevedeva che
la comunicazione dovesse essere effettuata "solo
se la persona del conducente, quale responsabile della violazione", fosse
stata "identificata inequivocabilmente". In base a
tale disposizione, quindi, nelle ipotesi in cui non fosse stata possibile la
identificazione del conducente, il proprietario rispondeva soltanto per il
pagamento della sanzione pecuniaria prevista per l’infrazione, stante il
vincolo di solidarietà passiva con il conducente, ma non subiva alcuna
conseguenza relativamente alla decurtazione del punteggio della sua patente. La
decurtazione presupponeva, pertanto, l’avvenuta identificazione, in ogni caso,
del conducente del veicolo.
Soltanto in virtù di quanto
stabilito dall’art. 7, comma 3, lettera b), del decreto-legge 27 giugno 2003,
n. 151 (Modifiche ed integrazioni al codice della strada), nel testo a sua
volta modificato dalla relativa legge di conversione 1° agosto 2003, n. 214,
l’ultima parte del comma 2 dell’art. 126-bis è stata sostituita, prevedendosi
che, nel caso di mancata identificazione del conducente, la segnalazione
all’anagrafe nazionale degli abilitati alla guida debba "essere effettuata a carico del proprietario del veicolo",
aggiungendosi che il suddetto proprietario, per evitare tale effetto
pregiudizievole, è tenuto a comunicare, entro trenta giorni dalla richiesta
ricevutane, all’organo di polizia che procede, i dati personali e della patente
del conducente al momento della violazione commessa. È poi previsto che
"se il proprietario del veicolo risulta una
persona giuridica, il suo legale rappresentante o un suo delegato è tenuto a
fornire gli stessi dati, entro lo stesso termine, all’organo di polizia che
procede". La norma in esame, infine, aggiunge che "se il proprietario
del veicolo omette di fornirli, si applica a suo carico la sanzione prevista
dall’art. 180, comma 8", vale a dire quella secondo la quale
"chiunque senza giustificato motivo non ottempera all’invito dell’autorità
di presentarsi, entro il termine stabilito nell’invito medesimo, ad uffici di
polizia per fornire informazioni o esibire
documenti ai fini dell’accertamento delle violazioni amministrative previste
dal presente codice, è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di
una somma da euro 343,35 a euro 1.376,55".
Dall’insieme delle citate
disposizioni emerge, dunque, che nel caso in cui proprietario del veicolo sia una persona fisica munita di patente e l’infrazione sia
punita, oltre che con la sanzione pecuniaria prevista da altre norme del
codice, specificamente indicate in una apposita tabella, anche con quella della
decurtazione del punteggio della patente, il proprietario del mezzo, da un
lato, risponde in solido con il conducente per il pagamento della sanzione
pecuniaria principale (art. 196 del codice della strada), e, dall’altro, si
vede detratti i punti della patente. Tale ulteriore
sanzione si applica, peraltro, quando non sia stato possibile identificare il
conducente e il proprietario medesimo, ricevutane apposita richiesta, abbia
omesso di indicare all’autorità le generalità ed i dati della patente del
conducente che era alla guida del veicolo; indicazione che, invece, come si è
detto, determina l’inapplicabilità al proprietario della sanzione consistente
nella decurtazione del punteggio.
Ora, appare evidente che
l’applicazione di questa ulteriore sanzione prescinde
da qualsivoglia accertamento della responsabilità personale del proprietario
del veicolo in relazione alla violazione delle norme concernenti la
circolazione stradale.
9.— È alla luce di siffatta
disciplina complessiva che deve essere effettuato lo
scrutinio di costituzionalità sollecitato dai rimettenti, i quali ritengono che
la sanzione de qua sia incompatibile con uno o più dei parametri costituzionali
evocati.
9.1.— Viene, innanzi tutto, in
rilievo la censura con la quale è stata dedotta la
violazione dell’art. 24 della Costituzione.
Assumono taluni dei giudici
rimettenti che "la possibilità di irrogare sanzioni
senza la contestazione immediata" costituirebbe "di per sé una
compromissione del diritto di difesa". Sotto altro aspetto, ancora con
riferimento al citato parametro costituzionale, viene
dedotto che la disposizione censurata pregiudicherebbe "il diritto a non
fornire elementi in proprio danno e, più in generale, a non collaborare con
l’Autorità per la propria incriminazione"; diritto che sarebbe sancito
"in ossequio all’antico brocardo nemo tenetur se detegere". Infine,
si assume che il diritto alla difesa risulterebbe
pregiudicato, in ogni caso, dal fatto che la disposizione in esame prevede un
termine di appena trenta giorni, entro il quale il proprietario del veicolo è
tenuto a comunicare i dati personali e della patente del conducente
responsabile dell’infrazione; un termine, pertanto, "nettamente
inferiore" a quello di sessanta giorni per proporre ricorso al giudice di
pace o al prefetto, al fine di conseguire l’annullamento del verbale di
contestazione dell’infrazione stradale. L’irrogazione della sanzione della
decurtazione del punteggio dalla patente di guida, sebbene risulti
ancora pendente il termine per adire le vie giudiziali o amministrative onde
attingere la caducazione del verbale di contestazione dell’infrazione,
rappresenterebbe una menomazione del diritto di difesa.
9.1.1.— Va chiarito, in
proposito, che la mancata previsione della contestazione "immediata"
dell’infrazione punita con una misura amministrativa non integra di per sé una
violazione del diritto di difesa. E
a ciò va aggiunto che, in sostanza, la doglianza investe la possibilità –
prevista dall’art. 4, comma 4, del decreto-legge 20 giugno 2002, n. 121
(Disposizioni urgenti per garantire la sicurezza nella circolazione stradale),
convertito nella legge 1° agosto 2002, n. 168 – di non procedere alla
contestazione immediata dell’infrazione rilevata, di talché essa, più che
indirizzarsi contro la previsione dell’art. 126-bis, comma 2, del codice della
strada, avrebbe dovuto investire la disposizione che tale possibilità contempla.
9.1.2.— Quanto alla paventata
necessità per il proprietario del veicolo di autodenunciarsi,
il dubbio di costituzionalità sollevato dai rimettenti appare fondarsi su di
una inesatta esegesi del dato normativo. Si consideri, difatti, che la
disposizione impugnata espressamente stabilisce che la comunicazione
all’anagrafe nazionale degli abilitati alla guida dell’avvenuta perdita del
punteggio dalla patente (e cioè l’adempimento che ha
come presupposto, nel caso di mancata identificazione del conducente responsabile
della violazione, proprio l’avvenuta inutile richiesta al proprietario del
veicolo di fornire i dati personali e della patente del predetto conducente)
deve avvenire "entro trenta giorni dalla definizione della contestazione
effettuata", definizione che presuppone, a sua volta, che "siano
conclusi i procedimenti dei ricorsi amministrativi o giurisdizionali
ammessi", ovvero – ed è proprio siffatta previsione ad essere dirimente
rispetto alla censura in esame – che "siano decorsi i termini per la proposizione
dei medesimi".
In nessun caso, quindi, il
proprietario è tenuto a rivelare i dati personali e della patente del
conducente prima della definizione dei procedimenti
giurisdizionali o amministrativi per l’annullamento del verbale di
contestazione dell’infrazione.
9.2.— Fondate sono, invece, le
censure di violazione dell’art. 3 della Costituzione sotto il profilo della irragionevolezza della disposizione, nel senso che
essa dà vita ad una sanzione assolutamente sui generis, giacché la stessa – pur
essendo di natura personale – non appare riconducibile ad un contegno
direttamente posto in essere dal proprietario del veicolo e consistente nella
trasgressione di una specifica norma relativa alla circolazione stradale.
9.2.1.— A tale conclusione conduce
la ricostruzione del contenuto della disposizione censurata alla luce della disciplina generale del sistema sanzionatorio previsto
per gli illeciti amministrativi, dalla legge 24 novembre 1981, n. 689
(Modifiche al sistema penale).
L’art. 3 di tale legge fissa due
principî fondamentali: quello secondo il quale
"nelle violazioni cui è applicabile una sanzione amministrativa ciascuno è
responsabile della propria azione od omissione, cosciente e volontaria, sia
essa dolosa o colposa" (primo comma); e quello secondo il quale "nel
caso in cui la violazione è commessa per errore sul fatto, l’agente non è
responsabile quando l’errore non è determinato da sua colpa" (secondo
comma). Il citato articolo ancora la responsabilità per
comportamenti tipizzati dalla norma al carattere personale della condotta
commissiva od omissiva del contravventore.
Ciò premesso, dunque, sul
carattere "generale" del principio della personalità della responsabilità amministrativa, deve inoltre osservarsi
come l’art. 6 della stessa legge n. 689 del 1981 disciplini, a sua volta, ma
per le sole sanzioni pecuniarie, la solidarietà passiva tra "il
proprietario della cosa che servì o fu destinata a commettere la violazione o,
in sua vece, l’usufruttuario o, se trattasi di bene immobile, il titolare di un
diritto personale di godimento" e "l’autore della violazione".
Orbene, il codice della strada,
all’art. 196, con riferimento quasi testuale all’art. 6 della citata legge n.
689 del 1981 fa proprio il "principio di solidarietà", disponendo, al
comma 1, che "per le violazioni punibili con la sanzione amministrativa pecuniaria il proprietario del veicolo" (o, in sua
vece, "l’usufruttuario, l’acquirente con patto di riservato dominio o
l’utilizzatore a titolo di locazione finanziaria") è "obbligato in
solido con l’autore della violazione al pagamento della somma da questi
dovuta".
L’art. 126-bis, comma 2, invece,
intervenendo in materia diversa dalla responsabilità per il pagamento di somme
e in una ipotesi di sanzione di carattere schiettamente
personale, pone a carico del proprietario del veicolo, solo perché tale, una
autonoma sanzione, appunto, personale, prescindendo dalla violazione, al
medesimo proprietario direttamente ascrivibile, di regole disciplinanti la
circolazione stradale.
9.2.2.— È pur vero che in più
occasioni questa Corte (ordinanze nn. 323 e 319 del 2002 e n. 33 del 2001) ha
affermato che la responsabilità del proprietario di un veicolo, per le
violazioni commesse da chi si trovi alla guida, costituisce, nel sistema delle
sanzioni amministrative previste per la violazione delle norme relative alla circolazione stradale, un principio di ordine
generale, operante, in particolare, nel caso del fermo amministrativo del
veicolo, anche quando sia di proprietà di terzi (art. 214, comma 1-bis, del
codice della strada). Nondimeno, deve rilevarsi che
nelle ipotesi prese in considerazione dalla citata giurisprudenza si versava
pur sempre in tema di sanzioni aventi il carattere della patrimonialità e
dunque suscettibili d’essere oggetto del regime della solidarietà passiva
coinvolgente il proprietario del veicolo. Ed infatti
con l’irrogazione della sanzione del fermo amministrativo del veicolo non si
incide sulla "persona" del proprietario, giacché la norma "si
limita a sottrargli la disponibilità, per un tempo limitato, di un bene
patrimoniale" (ordinanza n. 282 del 2001), determinando così una
compressione soltanto di quelle facoltà di "godimento" della res che
ineriscono al diritto di proprietà.
Nella fattispecie ipotizzata
dall’art. 126-bis, invece, assume preponderante rilievo il carattere
schiettamente personale della sanzione che viene direttamente ad incidere
sull’autorizzazione alla guida.
Si tratta, dunque, di una ipotesi di illecito amministrativo che, per più aspetti,
appare assimilabile a quella della sospensione della patente, la cui
"natura afflittiva (…) incide sul profilo della legittimazione soggettiva
alla conduzione di ogni veicolo, gravando sul relativo atto amministrativo di
abilitazione, a seguito dell’accertata trasgressione di regole di comportamento
afferenti alla sicurezza della circolazione" (ordinanza n. 74 del 2000).
È, in effetti, proprio la
peculiare natura della sanzione prevista dall’art. 126-bis, al pari della
sospensione della patente incidente anch’essa sulla
"legittimazione soggettiva alla conduzione di ogni veicolo", che fa
emergere l’irragionevolezza della scelta legislativa di porre la stessa a
carico del proprietario del veicolo che non sia anche il responsabile
dell’infrazione stradale.
E ciò
senza che venga in rilievo il pur denunciato contrasto tra la norma censurata e
il principio costituzionale fissato dall’art. 27 della Costituzione; profilo
che resta assorbito.
In conclusione, l’art. 126-bis,
comma 2, del codice della strada, nella parte in cui assoggetta il proprietario
del veicolo alla decurtazione dei punti della patente quando
ometta di comunicare all’Autorità amministrativa procedente le generalità del
conducente che abbia commesso l’infrazione alle regole della circolazione
stradale, deve essere dichiarato costituzionalmente illegittimo.
10.— L’accoglimento della
questione di legittimità costituzionale, per violazione del principio di
ragionevolezza, rende, tuttavia, necessario precisare che nel caso in cui il
proprietario ometta di comunicare i dati personali e
della patente del conducente, trova applicazione la sanzione pecuniaria di cui
all’articolo 180, comma 8, del codice della strada.
In tal modo viene anche fugato il
dubbio – che pure è stato avanzato da taluni dei rimettenti – in ordine ad una ingiustificata disparità di trattamento realizzata tra i
proprietari di veicoli, discriminati a seconda della loro natura di persone
giuridiche o fisiche, ovvero, quanto a queste ultime, in base alla circostanza
meramente accidentale che le stesse siano munite o meno di patente.
Resta, tuttavia, ferma –
ovviamente – la possibilità per il legislatore, nell’esercizio della sua
discrezionalità, di conferire alla materia un nuovo e diverso assetto.
per
questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti
i giudizi,
dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’art. 126-bis, comma 2, del decreto
legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), introdotto
dall’art. 7 del decreto legislativo 15 gennaio 2002, n. 9 (Disposizioni
integrative e correttive del nuovo codice della strada, a norma dell’articolo
1, comma 1, della legge 22 marzo 2001, n. 85), nel testo risultante all’esito
della modifica apportata dall’art. 7, comma 3, lettera b), del decreto-legge 27
giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed integrazioni al codice della strada), convertito,
con modificazioni, nella legge 1° agosto 2003, n. 214, nella parte in cui
dispone che: "nel caso di mancata identificazione di questi, la
segnalazione deve essere effettuata a carico del proprietario del veicolo,
salvo che lo stesso non comunichi, entro trenta giorni dalla richiesta,
all’organo di polizia che procede, i dati personali e della patente del
conducente al momento della commessa violazione", anziché "nel caso
di mancata identificazione di questi, il proprietario del veicolo, entro trenta
giorni dalla richiesta, deve fornire, all’organo di polizia che procede, i dati
personali e della patente del conducente al momento della commessa
violazione";
dichiara
la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale
dell’art. 204-bis, comma 3, del predetto d.lgs. n. 285 del 1992, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, primo
comma, e 113, secondo comma, della Costituzione, dal Giudice di pace di
Genova, sezione distaccata di Voltri, con l’ordinanza indicata in epigrafe;
dichiara
non fondata la questione di legittimità costituzionale del medesimo art.
126-bis del predetto d.lgs. n. 285 del 1992, sollevata, in
riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Giudice di pace di Mestre, con
l’ordinanza r.o. n. 267 del 2004.
Così deciso in
Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12
gennaio 2005.
F.to:
Valerio ONIDA, Presidente
Alfonso QUARANTA, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 24
gennaio 2005.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA