Civile

Wednesday 17 November 2004

Il Tribunale di Firenze annulla la vendita di titoli se la banca non dichiara il conflitto d’ interesse. Sentenza del giorno 30 maggio 2004.

Il Tribunale di Firenze annulla la vendita di titoli se la banca non
dichiara il conflitto d’interesse.

Tribunale di Firenze

Giudice Unico Dott. Angelo Antonio Pezzati – Sentenza del giorno 30
maggio 2004.

C. B., O. B. e L.
V., con atto di citazione notificato il 6 giugno 2002, hanno chiesto la
condanna della società Cassa di Risparmio di Firenze al risarcimento dei danni,
conseguenti all’invalidazione o alla risoluzione dei contratti di prenotazione
e di acquisto del titolo “Cassa di Risparmio di Firenze s.p.a. 26 marzo 2001 /
26 settembre 2001 reverse convertibile collegato ad
azioni Fiat s.p.a.”, stipulati il 7 marzo 2001.

A sostegno della domanda gli attori
hanno dedotto che i contratti in questione era
invalidi perché oggetto di truffa contrattuale o di dolo da parte dell’istituto
bancario, in quanto esso, già all’epoca dell’ideazione dell’operazione e della
emissione dei titoli in questione, era consapevole delle cattive prospettive
dall’azione Fiat, di cui non aveva informato
gli investitori.

Gli attori hanno, inoltre,
chiesto la risoluzione dei contratti per inadempimento della società Cassa
di Risparmio di Firenze per aver essa violato gli articoli 28, comma primo,
lettera a), 28 comma secondo, 29 e 30 del regolamento Consob.

Parte attrice ha, infine, eccepito la
nullità per difetto di forma, imposta dall’art. 23, comma primo, della legge n° 58 del 1998, con riferimento al contratto sottoscritto
da C. B. in nome di L. V. e di O.
B..

C. B., O. B. e L.
V. hanno, quindi, lamentato un danno corrispondente alla perdita, solo per il
primo, di euro 9.632,47 e, per tutti, di euro
19.264,94 e hanno chiesto il ristoro di tale pregiudizio e del danno morale
subito.

La società Cassa di
Risparmio di Firenze, benché regolarmente citata, non si è costituita
rimanendo così contumace.

La causa, senza lo svolgimento di alcuna attività istruttoria, è stata trattenuta per la
decisione, sulle conclusioni rassegnate dagli attori in conformità all’atto
introduttivo del giudizio.

– 2 –

Dalla documentazione prodotta emerge
che C. B., il 7 marzo 2001, ha sottoscritto un modulo predisposto dalla società
convenuta intestato “Emissione di euro 36.200.000 di titoli di ‘Cassa di
Risparmio di Firenze S.p.A. 26 marzo 2001 / 26 settembre 2001reverse
convertibile collegato ad azioni Fiat”, prenotando l’acquisto di ventisei di
tali titoli del valore nominale di 1.000 cadauno.

Analogo modulo hanno
sottoscritto, lo stesso 7 marzo 2001, il medesimo C. B., insieme a L. V. e a O. B., prenotando così ulteriori cinquantadue
titoli allo stesso valore nominale.

Risulta, inoltre, che la società
Cassa di Risparmio di Firenze ha provveduto ad addebitare,
verso la fine di marzo del 2001, sui conti correnti degli attori l’esatto
controvalore dei titoli acquistati, per euro 26.000, con riferimento al
contratto sottoscritto dal solo C. B., e per euro 52.000, con riferimento al
contratto concluso anche da L. V. e da O. B..

Infine, risulta
che l’istituto bancario convenuto, alla fine di settembre del 2001, ha accredito sul
conto corrente intestato a C. B. la somma di euro 16.367,52 e su quello
intestato allo stesso C. B., a L. V. e ad O. B. la
somma di euro 32.735,04.

Ne consegue, pertanto, che, per
effetto degli investimenti in esame, in sei mesi, C. B. ha perso, da solo, la
somma di 9.632,47 euro, e, insieme a L. V. e a O. B., la somma di euro 19.264,94.

– 3 –

Dalla lettura del regolamento apposto
sul retro dei contratti in questione si ricava che, con la sottoscrizione dei
medesimi, gli attori si sono impegnati all’acquisto di una certa quantità di
titoli emessi dalla società convenuta.

Sembra di capire dall’esame non
agevole del regolamento che l’istituto di credito convenuto abbia
promesso, in ogni caso, alla scadenza dei titoli, al termine di sei
mesi, il pagamento di un interesse “pari al 5,80% lordo posticipato sul valore
nominale”. Tuttavia, dalla lettura dell’art. 6 dello stesso regolamento, emerge
che, “per effetto dell’opzione implicita
nell’operazione”, il valore dei titoli sarebbe stato rimborsato sulla base di
un calcolo complicato collegato al valore dell’azione Fiat nel periodo
indicato. Con la conseguenza che la banca “non garantisce l’integrale rimborso
a scadenza del capitale versato”.

Siamo, pertanto, in
presenza di una vendita di prodotti finanziari che presentano
caratteristiche a metà strada tra le obbligazioni e le azioni, generalmente
denominati obbligazioni strutturate. Esse sono chiamate così perché nascono
dall’unione di due elementi:

– un titolo a reddito fisso, di
durata variabile da pochi mesi a diversi anni, che prevede il pagamento di una
cedola periodica o alla scadenza;- un contratto che ne
determina la cedola o il valore del capitale a scadenza in funzione
dell’andamento del prezzo di uno o più parametri finanziari, come indici o
combinazioni di indici di borsa, titoli o portafogli di titoli azionari, fondi
comuni, tassi di cambio o materie prime.

Si tratta, quindi, di titoli
obbligazionari il cui rimborso è indicizzato
all’andamento dei prezzi di una delle seguenti attività: azioni, panieri di
indici e titoli o valute. In parole più semplici, il rendimento delle
obbligazioni strutturate non è sicuro fin dall’inizio, ma si determina durante
la vita del titolo in base all’andamento in borsa o nei mercati finanziari di alcune azioni o di alcune valute. Tra essi
spiccano i titoli denominati “reverse convertible” che, come quelli in esame, garantiscono
all’investitore un’alta cedola, ma anche loro sono legati ad un’azione
sottostante. Se durante la vita dell’obbligazione il
prezzo dell’azione sottostante scende oltre una determinata soglia, alla
scadenza del reverse convertibile l’investitore viene
rimborsato in modo un po’ particolare. Non gli viene, infatti, consegnato il
capitale iniziale che aveva investito, come succede
per una normale obbligazione, ma un determinato numero delle azioni sottostanti
o il controvalore di esse, determinato secondo particolari calcoli. In questo
modo, quindi, ciò che il risparmiatore guadagna con l’alta cedola
può perderlo al momento del rimborso.

La sottoscrizione dei titoli in
questione richiede, pertanto, un’attenta valutazione e ponderazione di questi
fattori e presuppone una notevole competenza in materia essendo espressamente
esclusa la possibilità di rimborso anticipato. Con questi prodotti si rischia,
infatti, di rimetterci in termini di mancato guadagno se portati a scadenza.
Per sottoscriverli occorre, quindi, conoscere molto bene la situazione
sottostante attraverso il puntuale rispetto da parte degli istituti bancari
degli obblighi informativi dettati
dalla legge.

– 4 –

Ciò premesso, va rilevato che la
condotta della società convenuta al momento della conclusione dei due contratti in esame è stata illegittima sotto vari
aspetti.

E’, infatti, pacifico che la società
Cassa di Risparmio di Firenze ha agito in una situazione di conflitto di interessi. Ciò risulta
espressamente indicato in entrambi i contratti in questione, laddove si legge
la dichiarazione del cliente che “prende atto che la Cassa di Risparmio di
Firenze S.p.A. si trova, con riferimento alla presente operazione, in una
situazione di conflitto di interessi, essendo contemporaneamente banca
emittente e collocatrice dei titoli in oggetto”.

Ne consegue,
pertanto, che, ai sensi dell’articolo 21 del decreto legislativo n° 58 del 24 febbraio 1998, la banca convenuta doveva
organizzarsi in modo tale da assicurare ai clienti trasparenza nelle condizioni
contrattuali. Nel caso in esame l’obbligo di trasparenza non risulta
in alcun modo dai contratti sottoscritti da parte attrice.

Al contrario la disciplina
del contratto è riportata solamente nel regolamento posto sul retro del
documento e scritto in caratteri minuti. Esso, inoltre, si presenta per
numerose clausole di difficile lettura e interpretazione. In particolare le
difficoltà si appuntano proprio nella ricognizione della
disciplina dettata dall’art. 6, laddove si parla di “rimborso e
scadenza”.

La lettura di tale clausola non
consente un’immediata percezione della sistema di
rimborso. Mentre l’art. 5 indica chiaramente l’alto tasso di interesse
promesso, così allettando subito il cliente, l’art. 6 non offre pari chiarezza.
Da una prima lettura sembra quasi di capire che l’ipotesi normale sia quella
del rimborso del valore del titolo “alla pari”, consentendo così all’utente di
fruire per intero dell’alto tasso di interesse. Un
esame più approfondito consente tuttavia di capire che ciò non avviene quasi
mai “per effetto dell’opzione implicita
nell’operazione”, formula davvero oscura, destinata quasi a suggerire che ciò
non avvenga solo nel caso in cui le parti si mettano d’accordo per una
disciplina diversa. Ma anche volendo prescindere da
tali espressioni occorre rilevare che la determinazione della somma da
rimborsare alla scadenza del titolo richiede anche una certa capacità
matematica. Si legge infatti nella clausola in esame
che sarà rimborsato “un importo pari al valore nominale moltiplicato per
‘Valore di Riferimento Finale’ diviso il ‘Valore di
Riferimento Iniziale’ arrotondato al secondo
centesimo di euro”. Sembra di capire, peraltro, che ciò non accada sempre e
che, in particolare, ciò non accada quando il valore
di riferimento finale sia superiore al valore di riferimento iniziale e non sia
mai stato superiore nel corso del rapporto.

Le clausole contrattuali dovrebbero
sempre essere redatte in modo chiaro e comprensibile, l’equivocità e la non
trasparenza della clausola è essa stessa fonte di squilibrio tra le parti e di iniquità sostanziale, nella misura in cui contribuisce ad
aggravare l’asimmetria informativa
già presente nei contratti di adesione.

Va, inoltre, rilevato che l’art. 27
del regolamento del Consob (n°
11522 del 1° luglio 1998) prevede l’impossibilità di effettuare
operazioni con o per conto della propria clientela se hanno direttamente o
indirettamente un interesse in conflitto, anche derivante da rapporti di
gruppo, dalla prestazione congiunta di più servizi o da altri rapporti di
affari propri o di società del gruppo, a meno che non abbiano preventivamente informato per iscritto l’investitore sulla natura e
l’estensione del loro interesse nell’operazione e l’investitore non abbia
acconsentito espressamente per iscritto all’effettuazione dell’operazione.

Nel caso in esame non vi è stata informazione preventiva sulla natura e l’estensione
del loro interesse nell’operazione, ma solo un avviso generico in ordine all’esistenza del conflitto di interesse in
questione.

– 5 –

Stabilisce l’articolo 21 del decreto
legislativo n° 58 del 1998 che, nella prestazione dei
servizi di investimento e accessori, i soggetti
abilitati devono acquisire le informazioni
necessarie dai clienti e operare in modo che essi siano sempre adeguatamente
informati.

L’articolo 28 del regolamento della Consob (n° 11522 del 1° luglio
1998) chiarisce che, prima di iniziare la prestazione dei servizi di investimento, gli intermediari autorizzati devono
chiedere all’investitore notizie circa la sua esperienza in materia di
investimenti in strumenti finanziari, la sua situazione finanziaria, i suoi
obiettivi di investimento, nonchè circa la sua
propensione al rischio e devono consegnare agli investitori il documento sui
rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari. La stessa norma, al
secondo comma, chiarisce che gli intermediari autorizzati non possono effettuare operazioni o prestare il servizio di gestione se
non dopo aver fornito all’investitore informazioni
adeguate sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni della specifica
operazione o del servizio, la cui conoscenza sia necessaria per effettuare
consapevoli scelte di investimento o disinvestimento.

Il successivo art. 29 prevede che gli
intermediari autorizzati si debbano astenere dall’effettuare con o per conto degli investitori operazioni non adeguate per tipologia,
oggetto, frequenza o dimensione.

– 6 –

I criteri generali, contenuti nella
normativa in esame, concretano dei canoni di comportamento immediatamente precettivi, anche a prescindere dalla loro sussunzione e specificazione in norme regolamentari.

E’ opinione ormai consolidata quella
che individua nei regolamenti della Consob, non solo
un’espressione di potestà ontologicamente normativa,
ma anche una fonte idonea ad incidere con modalità particolarmente incisive
sulla sfera giuridica soggettiva dei destinatari delle norme.

Si tratta, insomma, di disposizioni
costitutive di diritto, che vanno ad integrare l’ordinamento giuridico
generale, a condizionare l’autonomia negoziale, ad incidere sui rapporti
interprivati, a costituire un parametro generale ed astratto della validità
degli atti e dei comportamenti realizzati dagli operatori del mercato.

Prescindendo dal problema della collocazione nella sistematica delle fonti e dall’esito
della risoluzione di eventuali antinomie, insomma, l’efficacia esterna delle
norme prodotte dalla Consob nell’esercizio della sua
potestà regolamentare non differisce, in quanto ad effetti prodotti sull’agire
dei privati, dalle norme che derivano dall’ermeneusi
di una legge o di un regolamento governativo.

Tali regole sono, insomma, parte
integrante dell’ordinamento generale: salva l’eventuale illegittimità della
disposizione che le prevede o la loro natura indipendente, nulla osta a che
simili norme possano costituire fonte di invalidità o
di inefficacia di un negozio giuridico, ovvero fattispecie astratta con cui
confrontare un comportamento colpevole o doloso ad esse contrario e in
relazione alla quale stabilire la responsabilità del suo autore.

Ad eguale
conclusione si perverebbe anche qualora si volesse
addirittura escludere l’efficacia dei regolamenti della Consob
sui rapporti interprivati. Secondo questa posizione, infatti, la violazione degli
obblighi sanciti dai “provvedimenti” della Consob comporterebbe, ex se, le sole conseguenze interdittive e sanzionatorie. La
mancata ottemperanza ad obblighi e divieti sanciti in via regolamentare determinerebbe, in ogni caso, effetti indiretti sui rapporti
negoziali posti tra privati: sarebbe comunque sufficiente ad integrare la colpa
inerente al neminem laedere,
a determinare un’inversione dell’onere della prova nell’ambito della
responsabilità contrattuale ed a provocare la nullità di contratti per assenza
di elementi essenziali prestabiliti per via di fonte primaria.

Il concetto di diligenza, si
riferisce, naturalmente, non alla generica diligenza buon padre di famiglia,
bensì alla diligenza del buon professionista, particolarmente qualificata.

– 7 –

Nel caso in esame non
risulta affatto che la società Cassa di Risparmio di Firenze abbia
preventivamente richiesto agl’investitori notizie circa la loro esperienza in
materia di investimenti in strumenti finanziari, la loro situazione
finanziaria, i loro obiettivi di investimento, nonchè
circa la loro propensione al rischio.

Non risulta
che la banca convenuta abbia consegnato agli investitori il documento sui
rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari. Va, peraltro,
ricordato che tale informativa non
può essere generica, ma deve essere il più possibile particolareggiata ed
attagliata allo specifico investimento.

Non si può ritenere
che il rispetto dell’obbligo di trasparenza si esaurisca nella consegna di un
contratto (spesso scritti con caratteri minuscoli); di un prospetto informativo, inerente agli strumenti finanziari
offerti; o dalla preliminare consegna del documento Consob
sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari.

Non si può presumere che sia
pienamente consapevole l’investitore, cui l’intermediario ha consegnato i
suddetti documenti e questi non deve ritenere che il mero rispetto dell’obbligo
in questione renda il cliente capace di tutelare da sé il proprio interesse e
di assumersi i rischi dell’investimento compiuto.

Invero, l’intermediario deve comunque assicurare all’investitore la propria assistenza e
la propria guida nella scelta delle operazioni da compiere, anche al di là
delle asettiche e standardizzate informazioni
riportate nel documento.

La “conoscenza” deve essere una conoscenza effettiva ed anche alla luce del dettato
dell’art. 82, comma 3, del Regolamento Consob,
l’intermediario (o il promotore) deve verificare che il cliente abbia compreso
le caratteristiche essenziali dell’operazione proposta, non solo con riguardo
ai relativi costi e rischi patrimoniali, ma anche con riferimento alla sua
adeguatezza in rapporto alla situazione dell’investitore.

– 8 –

L’art. 23 del decreto legislativo n° 58 del 1998, al sesto comma, specifica che, nei giudizi
di risarcimento dei danni cagionati al cliente nello svolgimento dei servizi di investimento e di quelli accessori, spetta ai soggetti
abilitati l’onere della prova di aver agito con la specifica diligenza
richiesta.

Nel caso in esame, invece, la società
Cassa di Risparmio di Firenze è rimasta contumace e non ha fornito, pertanto,
alcuna dimostrazione di avere adottato nella conclusione e nell’esecuzione dei
contratti per cui è causa la necessaria diligenza,
secondo le norme sopra illustrate.

– 9 –

Rileva il giudicante che la normativa
sopra richiamata è posta a tutela dell’ordine pubblico economico e, dunque, si
sostanzia in norme imperative, la cui violazione impone la reazione
dell’ordinamento attraverso il rimedio della nullità del contratto, anche a
prescindere da un’espressa previsione in tal senso da parte del legislatore
ordinario.

Questo principio è stato sancito
dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. 7 marzo 2001 n. 3272), secondo cui “in presenza di un negozio contrario a norme imperative, la
mancanza di un’espressa sanzione di nullità, non è rilevante ai fini della
nullità dell’atto negoziale in conflitto con il divieto, in quanto vi
sopperisce l’art. 1418, comma 1, c.c., che
rappresenta un principio generale rivolto a prevedere e disciplinare proprio
quei casi in cui alla violazione dei precetti imperativi non si accompagna una
previsione di nullità”.

Pertanto, un contratto di investimento, concluso senza l’osservanza delle regole di
condotta dettate dalla normativa richiamata, deve essere dichiarato nullo,
perché contrario all’esigenza di trasparenza dei servizi finanziari che è
esigenza di ordine pubblico.

Va, quindi, dichiarata la nullità dei
contratti sottoscritti il 7 marzo 2001 da C. B., da O. B. e da L. V. e la società Cassa di Risparmio di Firenze va
condannata alla restituzione delle somme illegittimamente ricevute.

– 10 –

Ne consegue, pertanto, che la società
convenuta va condannata a pagare a C. B. la somma di 9.632,47 euro, e, allo
stesso C. B., a L. V. e a O. B., la somma di euro
19.264,94 euro, oltre per entrambi i debiti agli interessi nella misura legale
con decorrenza dal 6 giugno 2002, dovendosi presumere la buona fede dell’accipiens. Anche nell’ipotesi di specie trova applicazione
il principio per cui la buona fede si presume in
difetto di specifiche prove contrarie e può ritenersi esclusa solo dalla prova
della consapevolezza, da parte dello stesso accipiens
dell’inesistenza di un suo diritto al pagamento effettuato a suo favore.

Stabilisce l’art. 2059 c.c. che il
danno non patrimoniale può essere risarcito solo nei casi determinati dalla
legge. Ai sensi dell’art 185 c.p. chi commette un reato deve risarcire anche il
danno non patrimoniale che abbia arrecato al soggetto
offeso. Pertanto il risarcimento del danno non patrimoniale, salvo ipotesi
particolari non oggetto del presente giudizio, può conseguire solo alla
commissione di un reato. Il risarcimento dei danni non patrimoniali postula
pertanto che la responsabilità dell’autore di un fatto illecito sia affermata in base all’accertamento di un fatto che
integri gli estremi di un reato, valutabile "incidenter
tantum" dal giudice civile. Nel caso in esame non sussistono gli elementi
per poter configura la truffa non essendo stati né
dedotti né dimostrati gli artifici o i raggiri che avrebbe impiegato l’istituto
bancario convenuto per convincere gli attori alla stipula del contratto.

In applicazione del principio
stabilito dall’art. 91 c.p.c. la società Cassa di
Risparmio di Firenze va condannata anche al rimborso delle spese processuali
che, tenuto conto della natura e del valore della controversia, dell’importanza
e del numero delle questioni trattate e all’attività svolta dal difensore
innanzi al giudice, si liquidano in complessivi euro 8.469,52, oltre all’I.V.A.
e al C.P.A., di cui euro
1.569,64 per diritti ed euro 5.842,76 per onorario, euro 741,24 quale rimborso
forfetario sulle spese generali e infine euro 315,88 quali spese effettivamente
sostenute.

per questi motivi

Il Tribunale, definitivamente
decidendo, condanna la società Cassa di Risparmio di
Firenze a pagare a C. B. la somma di 9.632,47 euro, e, allo stesso C. B., a L. V. e a O. B., la somma di euro 19.264,94 euro, oltre per
entrambi i debiti agli interessi nella misura legale con decorrenza dal 6
giugno 2002 ed al rimborso delle spese processuali, liquidate in complessivi
euro 8.469,52, oltre all’I.V.A. e al C.P.A.

Così deciso il 30 maggio 2004 in
Firenze.