Penale

Thursday 15 January 2004

Il processo penale italiano viola i diritti dell’ uomo. Lo sostengono i penalisti che denunciano il caso al Parlamento Europeo. (Strasburgo, 13 gennaio 2004)

Il processo penale italiano viola i diritti dell’uomo. Lo sostengono i penalisti che denunciano il caso al Parlamento Europeo

Unione delle camere penali italiane

La Costituzione europea e le violazioni italiane dei diritti dell’uomo

(Strasburgo, 13 gennaio 2004)

Gli Avvocati penalisti italiani auspicano decisamente un vero processo di integrazione politica dell’Europa, ma valutano criticamente la bozza di Costituzione Europea con riguardo ad alcuni profili, pur straordinariamente rilevanti perché relativi ai diritti primari del cittadino, e dunque determinanti per una valutazione complessiva dell’iniziativa.

Ed infatti l’articolo III, 166 sublima la cooperazione giudiziaria, introducendo il «principio del riconoscimento reciproco delle sentenze e delle decisioni giudiziarie», nonché «l’ammissibilità reciproca delle prove». Esso, dunque, dovrebbe operare comunque e acriticamente in ordine alle garanzie procedurali e sostanziali, legittimando prove non ammesse dal nostro sistema. A fronte di tale forza cogente ci si sarebbe dovuti aspettare che, con la medesima chiarezza, la legge fondamentale della nuova Europa delineasse in maniera netta ed articolata e facesse propri i principi del Giusto Processo, ma ciò non è avvenuto.

Ciò che invece è sicuramente delineato è il potenziamento, affidato aleatoriamente a future leggi europee, di Eurojust (articolo III, 169) ed Europol (articolo III, 172), nonché della creazione di una Procura Europea (articolo III, 175), con delega in bianco al Consiglio di approvarne lo statuto e disciplinarne il funzionamento.

Sulle nostre prerogative costituzionali, insomma, si sovrapporranno principi e valori che comunque prevarranno su di esse ma  che, se la bozza non sarà cambiata, saranno ispirati ad una concezione in cui l’esaltazione della “sicurezza” si porrà a scapito dei diritti.

Ciò rischia di avvenire già con il Mandato di Arresto Europeo. In ragione di tale preoccupazione questa Unione ha elaborato uno schema (recepito da ben cinque forze politiche) di legge delega per l’attuazione della decisione quadro 584 GAI/2002, che tende, nel pieno rispetto della normativa costituzionale italiana, ad evitare l’introduzione di un sottosistema contrastante con il sistema generale relativo alle misure restrittive della libertà personale ed a garantire quindi il vaglio degli elementi indiziari e delle esigenze cautelari che il nostro ordinamento prevede come presupposti essenziali perché un cittadino possa essere privato della libertà personale.

Mentre in Europa si lavora per la Costituzione Europea, a distanza di oltre mezzo secolo dalla sua approvazione in Italia non è rispettata la Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo. I cui “considerata” ci ricordano –tra l’altro- che «fine del Consiglio d’Europa è quello di realizzare un’unione più stretta … e che uno dei mezzi per conseguire tale fine è la salvaguardia e lo sviluppo dei Diritti dell’uomo e delle Libertà fondamentali», che «costituiscono le basi stesse della giustizia e della pace nel mondo».

Basterebbe richiamarne alcuni principi per suscitare in ogni cittadino italiano, specie se operatore della giustizia, amare riflessioni sull’evidenza delle inadempienze. Si tratta, nella sostanza, quasi di un capo d’accusa al nostro Legislatore:

Articolo 3 – «Nessuno può essere sottoposto a tortura, né a pene o trattamenti inumani o degradanti»

Articolo 5,3: «Ogni persona arrestata …ha il diritto di essere giudicata entro un termine ragionevole, o di essere messa in libertà durante la procedura …»

Articolo 6,1: «diritto a che la causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale…»

Articolo 6,2: «Ogni persona accusata da un reato è presunta innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente accertata»

Articolo 6,3: «In particolare, ogni accusato ha diritto a :

essere informato, nel più breve tempo possibile, in una lingua a lui comprensibile e in un modo dettagliato, della natura e dei motivi dell’accusa elevata a suo carico;

disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie a preparare la sua difesa;

difendersi personalmente o avere l’assistenza di un difensore di sua scelta e, se non ha i mezzi per retribuire un difensore, poter essere assistito gratuitamente …

esaminare o far esaminare i testimoni a carico ed ottenere la convocazione e l’esame dei testimoni a discarico nelle stesse condizioni dei testimoni a carico…» 

La realtà giudiziaria italiana è tutt’altro che in linea con gli stessi principi, ormai datati, della Convenzione.

Vanno subito segnalate le allarmanti condizioni del sistema carcerario italiano, spesso brutale, caratterizzato da un incivile ed endemico sovraffollamento e funestato da una illegittima previsione di carcere duro non distante da una vera e propria forma di tortura “legalizzata”, introdotta con l’articolo 41bis della legge sull’ ordinamento penitenziario, recentemente reso stabile, nonostante la ferma opposizione dei penalisti italiani.

L’involuzione in senso autoritario del sistema penale italiano è resa manifesta anche dalla recente introduzione dell’arresto differito, e cioè fuori dai casi di flagranza, da parte della polizia giudiziaria per i reati di violenza commessi in occasione di manifestazioni sportive.

La prassi giudiziaria italiana è inoltre caratterizzata da uno scarso rispetto della dignità delle persone sottoposte a restrizioni della libertà personale o, comunque, ad un procedimento penale: in particolare, le foto segnaletiche degli arrestati e le immagini della loro traduzione in manette, sono state più volte trasmesse dai telegiornali e sono reiteratamente comparse sui giornali, in palese violazione di norme di legge e deontologiche. Ricordato, ancora, che la foto-segnalazione degli arrestati da parte della Pg risponde a criteri di sicurezza che nulla hanno a vedere con l’esposizione degli indagati in guisa di trofei, va invece sottolineato che il rispetto della dignità degli imputati e le preoccupazioni per la privacy delle persone coinvolte in vicende giudiziarie non possono essere richiamate solo riguardo a vicende che coinvolgono personaggi famosi, ma devono valere per qualsiasi cittadino indipendentemente dalla natura dei reati contestati.

Per questo motivo, è necessario che dall’Europa provenga un monito al fine di far cessare l’incivile ed illecita consuetudine italiana di esporre volontariamente alla gogna mediatica le persone oggetto di provvedimenti cautelari.

Per quel che riguarda il nostro rito penale, esso è prevalentemente ispirato ai principi accusatori, il cui primato –liberale e funzionale- nei confronti del processo inquisitorio è fuori discussione. Altra cosa è, purtroppo, la concreta eliminazione, dalla normativa e dalla mentalità degli operatori, delle secolari incrostazioni del vecchio sistema, che pure penalizzava fortemente la Difesa, relegandola lungamente a “distanza di sicurezza” dalle sedi deputate all’assunzione probatoria.

La poderosa resistenza “culturale” al giusto processo ha prodotto nei primi anni del codice Vassalli (entrato in vigore il 24 ottobre 1989) una serie di spinte restauratrici del rito inquisitorio. La giurisprudenza, anche costituzionale, e la conseguente legislazione, specie negli anni 1991-‘92, diedero una svolta involutiva alle garanzie del cittadino, scompaginando il baricentro dell’assunzione probatoria, paurosamente regredito nella fase d’indagine, cui il difensore restava sostanzialmente estraneo, mentre il Pm veniva esaltato anche dai mass media e dalle ingenue aspettative di inverosimili palingenesi da parte dell’opinione pubblica. Le sorti del rito penale sono state riequilibrate solamente nel novembre 1999, con l’inserimento nell’articolo 111 della Costituzione dei principi “europei” del Giusto Processo, e da alcune leggi che ne seguirono, compresa la disciplina sulle investigazioni difensive (legge 397/00), fortemente promossa dagli avvocati penalisti.

Nel giusto processo si contrappongono, su di un piano di parità, la pubblica pretesa punitiva ed il diritto soggettivo del cittadino di respingerla, in conformità e nel rispetto dell’ordinamento giuridico processuale e sostanziale. Un simile meccanismo richiede che il Giudice della controversia sia indipendente (soggetto solo alla legge), terzo (appartenente ad un’organizzazione autonoma), imparziale (disinteressato ed indifferente alla vicenda sottoposta al suo esame). Orbene, particolarmente la terzietà esige la separazione delle carriere tra i magistrati, la quale – lungi dal postulare un’ulteriore riforma costituzionale – è un preciso dovere del legislatore ordinario italiano.

Lo stesso principio del contraddittorio nella formazione della prova, scelto dal legislatore costituzionale –in linea con i dettati della Convenzione Europea- come il più affidabile tra i metodi gnoseologici di ricostruzione processuale degli accadimenti storici, presuppone ovviamente una diversa collocazione ordinamentale e di funzioni del Giudice. Può ben dirsi come essa sia il punto di partenza del giusto processo e dello stesso Ordinamento Giudiziario, in ossequio ai principi della terzietà ed imparzialità del Giudice, tanto nel processo quanto nell’ordinamento.

I tempi del processo devono essere contenuti, e ciò impone indubbiamente la razionalizzazione e la semplificazione (rectius, armonizzazione) delle sue regole. E vanno, con scrupolo e lungimiranza, onorati concretamente tutti i precetti del Giusto Processo: il contraddittorio, la parità delle parti, la terzietà ed imparzialità del Giudice, la ragionevole durata del giudizio, la tempestività dell’informazione sulla natura e sui motivi dell’Accusa, la disponibilità per l’accusato del tempo e delle condizioni necessari per preparare la Difesa, il diritto dello stesso di interrogare o far interrogare davanti al Giudice le persone che l’accusano, nonché di ottenere la convocazione e l’interrogatorio di persone a sua Difesa nelle stesse condizioni dell’Accusa, l’autentica distinzione della fase d’indagine –meramente preparatoria- da quella dibattimentale, unica deputata all’assunzione probatoria, etc.

Con quel che direttamente ne discende: dalla separazione delle carriere alla piena praticabilità valorizzazione processuale delle indagini difensive; dalla effettività della Difesa alla sua sostanziale estensione a tutti i cittadini, anche ai meno abbienti.

Ma tutto ciò nell’ordinamento italiano non si realizza.

Tante disposizioni, con l’avallo di una giurisprudenza renitente alla riforma, hanno calpestato e calpestano il contraddittorio, l’effettività della Difesa,  la terzietà ed imparzialità del Giudice, il ruolo di parte del p.m.

Il Giudice soffre di una terzietà precaria, e ingiustamente affidata per lo più alla personale –seppure non infrequente- caratura degli uomini e alla loro capacità di affermarla nei confronti di un “collega” Pm non di rado invadente e ingombrante. Le norme, non ancora “costituzionalizzate”, non aiutano il giudice ad affrancarsi dal condizionamento incombente: in sede disciplinare e di carriera, in cui anche il p.m. è “giudice” delle sorti del collega; in sede giudiziaria, in cui il giudice potrà trovarsi quale diretto superiore gerarchico un Pm che magari non ha “esaudito”. Inoltre, la imparzialità di chi –in un processo accusatorio- dovrebbe rimanere al di sopra delle parti e indifferente all’esito del giudizio, viene turbata da disposizioni di legge, in forza delle quali è possibile –e comunque consentito- prendere posizione, ordinando attività istruttorie ad integrazione di quanto dedotto fino a quel momento.

Il Pm è, tradizionalmente quanto ingiustificatamente, il protagonista, il detentore dello scettro probatorio: il rito accusatorio tende a ripristinare equilibrio e legalità nel processo, ma occorrono norme meno equivoche.

Invero, sull’organo di accusa grava la qualità di improbabile tutore di una triplice, schizofrenica funzione: di accusa, innanzitutto e ordinariamente; di difesa, nel rispetto dell’articolo 358 Cpp (che ipocritamente lo vorrebbe impegnato anche nella ricerca degli elementi favorevoli all’indagato); e di giudizio (nei tantissimi procedimenti –la maggior parte- in cui, per disporre la citazione dinanzi al giudice dibattimentale, non è previsto l’intervento giurisdizionale del giudice dell’udienza preliminare).

Va fatta chiarezza sulla funzione del Pm, cui deve consentirsi di operare senza affidarsi a interpretazioni personali di regole troppo vaghe, se non decisamente ambigue.

Il Difensore, in questa ambientazione accusatoria distorta e costituzionalmente incompiuta, rimane in attesa di esserci a pieno titolo, fruendo dei diritti solo astrattamente attribuitigli. Per ottenere di svolgere pienamente ed effettivamente la sua funzione, in condizioni di pari dignità probatoria con il Pm, dinanzi a un Giudice terzo e imparziale. In ossequio, oltreché alla Convenzione dei Diritti dell’Uomo, alla Costituzione della Repubblica Italiana.

Una Costituzione decisamente invidiabile, solo parzialmente “tradotta” in leggi ordinarie, e anzi maltrattata da un legislatore sciatto e distratto, nonché da una giurisprudenza riluttante ai principi del giusto processo.

In conclusione, e limitandoci a una mera –e non esaustiva- elencazione di vistosi contrasti del nostro sistema con i principi sopra richiamati, possono qui citarsi:

L’intempestività dell’informazione di garanzia, dovuta solo ove il p.m. intenda compiere attività di indagine cui ha diritto di partecipare la Difesa;

La eccessiva durata dei procedimenti, in cui sono previsti troppi “tempi morti”, giustificati dall’insufficienza degli organici e dei mezzi, ma maliziosamente mascherati con la tesi singolare e restauratrice secondo cui vi sarebbero troppe tutele difensive; con la intollerabile conseguenza che si tende a sopprimere le garanzie, per velocizzare il processo a danno dell’imputato, invocando un principio posto a sua protezione;

La dilatazione anche temporale della carcerazione in attesa del giudizio, con l’ulteriore limitazione della presunzione d’innocenza, in certi casi persino capovolta, secondo i “canoni” del cosiddetto doppio binario, che fanno dipendere dal tipo di imputazione la presunzione di sussistenza dei requisiti che giustificano la misura coercitiva personale; spesso, inoltre, si assiste all’uso della custodia cautelare, più che per soddisfare concrete esigenze del procedimento, al fine, invece, di ottenere dichiarazioni ammissorie e collaborazioni o al fine di anticipare una sanzione;

La Difesa dei non abbienti, disciplinata in via minimale anche recentemente da una inadeguata normativa sul patrocinio a spese dello Stato, è davvero modesta e insufficiente;

Le indagini della Difesa, introdotte tre anni addietro, ed indispensabili –quanto, del resto, insufficienti- per una pari dignità delle parti processuali, richiedono urgenti integrazioni normative, ma nel frattempo sono aggredite da pronunce giurisprudenziali volte a minare la stessa funzione difensiva;

L’effettività della Difesa è in concreto assai limitata, e lo sarà fino a quando non si procederà ad una revisione organica del codice di procedura penale; intanto, per giunta, si registrano una serie di decisioni, anche della Corte di cassazione a sezioni riunite, molto deflagranti per i diritti del cittadino (riguardano, ad esempio, la sospensione dei termini di prescrizione del reato in caso di legittimo impedimento del Difensore o dello stesso imputato, con una dilatazione dei tempi processuali che va al di là della durata dell’impedimento; la dilazione sine die del termine iniziale per proporre ricorso nei confronti della decisione del Tribunale della libertà, essendosi deciso che la motivazione del provvedimento non deve essere emessa, come il dispositivo nei dieci giorni previsti dalla legge);

Il sistema prevede l’appello del p.m. avverso la sentenza di assoluzione, con la conseguenza che l’imputato può essere condannato per la prima volta nel giudizio di appello, essenzialmente cartolare, e non beneficiare di un altro grado di merito per il riesame della sua posizione;

Nella disciplina del giudizio di Cassazione è stata inserita un’apposita sezione che elimina, senza alcun contraddittorio, una percentuale incredibilmente alta (in certi periodi anche il 50%!) di ricorsi per inammissibilità o manifesta infondatezza dell’impugnazione.

La superiore elencazione, come s’è sottolineato più volte, è solo esemplificativa, e denota la gravità delle condizioni in cui si amministra giustizia in Italia, gravità che ha determinato questa Unione a fare ricorso più volte allo strumento estremo della astensione degli avvocati penalisti dalle udienze e comunque dall’attività giudiziaria.

Si confida, pertanto, se del caso previo utilizzo del potere di ispezione loro conferito, in un autorevole ed efficace intervento delle Autorità competenti.

Si auspica una approfondita valutazione dei principi della Costituzione europea, che dovrà sancire ulteriormente ed esaltare i diritti dell’uomo, non certo limitarne la portata.

Si allegano i documenti varati dall’Unione a difesa dei diritti di tutti.