Lavoro e Previdenza

Wednesday 26 October 2005

Il poliziotto che si traveste da donna, anche se fuori dal servizio, può essere licenziato.

Il poliziotto che si traveste da donna, anche se fuori dal servizio, può essere licenziato.

Consiglio di Stato Sezione sesta decisione 14 giugno-17 ottobre 2005, n. 5821

Presidente Varrone Estensore Salemi

Ricorrente Console

Fatto e diritto

1.- Con ricorso proposto innanzi al Tar del Lazio, Sezione prima ter, il sig. Danilo Console, agente della Polizia di Stato, impugnava, chiedendone lannullamento, il decreto del 7 aprile 2000, con cui gli era stata inflitta la sanzione disciplinare dal servizio ai sensi dellarticolo 7, n. 1, del Dpr 737/81.

Con sentenza 9549/01, il giudice adito respingeva il ricorso.

Con ricorso notificato il 12 novembre 2002, il ricorrente ha proposto appello contro la summenzionata sentenza.

Il Ministero appellato non si è costituito in giudizio.

Alla pubblica udienza del 14 giugno 2005, il ricorso è stato trattenuto in decisione.

2.- Con il primo motivo di appello, il ricorrente ripropone la censura di violazione dellarticolo 19 del Dpr 737/81 e della circolare n. 333-a/9820 A.1 del ministero dellInterno Dipartimento della pubblica sicurezza.

A suo avviso, contrariamente allassunto del giudice di prime cure, il funzionario istruttore ha palesemente disatteso i principi e i criteri di cui alle summenzionate disposizioni.

In particolare, il suddetto funzionario avrebbe formulato indebitamente considerazioni personali suscettive di influenzare negativamente il Consiglio provinciale di disciplina.

Il motivo è infondato.

Come rettamente osservato dal Tar, la relazione del funzionario, per contenendo alcune valutazioni soggettive e dilungandosi in citazioni di dottrina e giurisprudenza, contiene una indicazione completa dei fatti, è accompagnata dai verbali integrali delle testimonianze raccolte, dal supplemento di discolpa del ricorrente e da atti che dimostrano un accurato svolgimento della fase istruttoria, volto ad acquisire elementi oggettivi, rispetto ai quali un eventuale eccesso di zelo od un velato, ma irrilevante, preconcetto nella formulazione della relazione finale perde dimportanza.

In particolare, sia in primo grado che in questa fase del giudizio, lappellante sostiene che è falsa laffermazione, contenuta a pag. 2, della relazione del funzionario istruttore, secondo la quale «risulta inequivocabilmente provato che il Console&circolava, come dichiarato dallo stesso, con biancheria intima femminile».

Indubbiamente è questa una espressione inappropriata rispetto agli indumenti indossati dal ricorrente (minigonna e calze femminili), ma da ciò non può desumersi che la relazione istruttoria sia stata faziosa e priva di serenità.

Quanto, poi, allosservazione, contenuta pag. 3 della suddetta relazione, secondo cui «la reazione (del sig. Console) alle situazioni di stress appare illogica, priva di consequenzialità e necessitante, a modesto parere dello scrivente, di una attenta analisi medico-specialistica», la stessa va correlata, ai fini della sua comprensione, nella ulteriore affermazione che «illuminante al riguardo è laffermazione del Console il quale sostiene che il suo atteggiamento è derivato dalle dichiarazioni fatte dalla sua fidanzata e dalla volontà di punirsi. Se la reazione posta in essere dal Console appare incomprensibile in un normale cittadino risulta intollerabile se posta in essere da un appartenente alla Polizia di Stato. Questi ultimi, infatti, in ragione del lavoro svolto, vivono frequentemente situazioni stressanti e non è tollerabile che non siano in grado di gestirle adeguatamente; tale incapacità sarebbe pericolosa non solo per lo stesso poliziotto, ma ancor più per la cittadinanza che vede nel tutore dellordine un punto fermo e sicuro a cui fare riferimento proprio nelle situazioni difficili della vita».

Si sostiene ancora che il funzionario istruttore avrebbe disatteso, senza alcuna valida giustificazione, tutte le testimonianze rese in favore dellappellante e avrebbe suggerito espressamente il provvedimento sanzionatorio da applicare, ma siffatte doglianze non possono essere condivise, in quanto, da un lato, non sono indicate le testimonianze alle quali dovrebbe farsi riferimento e, dallaltro, anche se la circolare, invocata dallappellante, esclude che il funzionario istruttore esprima valutazioni sulla sanzione da applicare, il mancato rispetto di tale principio non comporta di per sé lillegittimità del procedimento.

3.- Con il secondo motivo di appello si insiste sulla violazione, sotto altro aspetto, dellarticolo 19 del citato DP.R. 737/81, evidenziandosi che il procedimento disciplinare doveva ritenersi estinto per perenzione, posto che il funzionario istruttore aveva inviato tutto il carteggio raccolto al Questore di Palermo il quale non aveva formulato le opportune osservazioni di cui al citato articolo 19.

Il motivo è infondato.

Quanto alla prima doglianza è agevole il rilievo che è la normativa (articolo 19 Dpr 737/81) che impone la trasmissione della relazione, unitamente al carteggio raccolto, allAutorità che ha disposto linchiesta, che, nella specie, era proprio il Questore di Palermo; quanto alla seconda, è corretto il rilievo del giudice di prime cure, che lestinzione del procedimento, secondo lo spirito e la lettera della legge, non deriva dalla mancata formulazione di osservazioni da parte del Questore, ma semmai dalla mancata trasmissione degli atti al Consiglio di disciplina entro il limite temporale prescritto.

Il Questore ha il potere, ex articolo 19, penultimo e ultimo comma del citato Dpr 737/81, di disporre larchiviazione con provvedimento motivato, se ritiene che gli addebiti non sussistano, ovvero di trasmettere il carteggio dellinchiesta, al Consiglio di disciplina competente….

E questa una regola procedimentale che non incide sulle garanzie di difesa dellinquisito, sicché deve escludersi che la sua inosservanza sia suscettiva di determinare la nullità del procedimento o, comunque, la sua annullabilità sub specie del difetto di motivazione, poiché tale vizio emerge solo in relazione allatto terminale del procedimento (cfr., in argomento, CdS, Sezione prima, 2889/03).

4.- Con il terzo motivo di appello, il ricorrente deduce la violazione degli articoli 1, 7 e 13 del Dpr 7377/81, dellarticolo 2106 Cc della summenzionata circolare.

A suo avviso, lAmministrazione, secondo il dettato delle norme surriferite, avrebbe dovuto valutare tutte le circostanze attenuanti, gli eventuali precedenti (nella specie inesistenti), il carattere del trasgressore, letà, la condotta antecedente e susseguente allinfrazione presuntivamente commessa e tutte le altre eventuali attenuanti generiche non contemplate direttamente dalla legge, ma comunque desumibili dallarticolo 133 Cp.

Da un attento esame della vicenda e da unistruttoria serena sarebbe certamente emersa linsussistenza dellinfrazione contestata, nonché che il suo travestimento era stato un episodio del tutto occasionale, anzi assolutamente unico.

Lunico addebito contestabile sarebbe stato lanomalo abbigliamento indossato, che, peraltro, non solo non costituisce ipotesi di reato, ma di per sé ove non strumentale a mercificazioni comportamentali non è neppure motivo di condotta disonorevole o immorale (basterebbe riflettere che costituisce la norma dei periodi carnevaleschi).

In definitiva, lAmministrazione avrebbe dovuto valutare i fatti in modo corretto ed adeguato, in modo da rispettare il principio della necessaria proporzionalità della sanzione da infliggere alla gravità dellinfrazione.

Le suesposte doglianze sono prive di fondamento.

Va anzitutto osservato che determinati fatti, ritenuti espressione di gravi carenze del dipendente del senso dellonore e del senso morale, ben possono condurre alla destituzione anche nel caso in cui i fatti accertati non integrino ipotesi di reato.

Non ha, poi, pregio la censura riguardante lestraneità del fatto al rapporto di servizio, né la supposta sproporzione tra gravità dei fatti e sanzione irrogata.

La sanzione destitutoria ex articolo 7, secondo comma, punto 1), del citato Dpr 737/81 (analoga a quella prevista dallarticolo 84, lett. a) Tu imp. Civ. St.), è stabilita per reprimere tutti quei comportamenti del pubblico dipendente che arrechino pregiudizio alla dignità delle funzioni esercitate e possano far temere che queste ultime non siano state espletate correttamente, tali essendo anche quelli che, seppure estranei al servizio, si dimostrino in qualche modo lesivi del prestigio e del decoro della Pa (cfr. CdS, Sezione quinta, 24/1999).

Con riguardo alla proporzione, trattasi di principio generale dellordinamento: esso implica che la Pa debba adottare la soluzione idonea ed adeguata, comportante il minor sacrificio possibile per gli interessi compresenti e, in materia sanzionatoria, costituisce principio generale di giustizia sostanziale, come dimostra larticolo 2106 Cc, in ambito della disciplina del rapporto di lavoro, che fa riferimento alla gravità dellinfrazione.

In sede di irrogazione di sanzioni disciplinari, deve sempre sussistere una proporzione tra il fatto contestato e la misura della sanzione (Corte costituzionale, 16/1991; CdS, Sezione quarta, 3541/00).

Ciò posto, giova, peraltro, ribadire che la determinazione relativa allentità della sanzione disciplinare è espressione di una tipica valutazione discrezionale della Pa datrice di lavoro, di per sé insindacabile dal giudice amministrativo, tranne nei casi in cui appaia manifestamente anomala o sproporzionata o particolarmente severa in quanto determinata nel massimo consentito, e che il giudice non può sostituire la propria valutazione a quella dellAmministrazione, ma può soltanto verificare che latto sia sorretta da adeguata motivazione e basata su fatti manifestamente gravi e tali da indurla a considerarli incompatibili con la prosecuzione del rapporto di lavoro (cfr., di recente, CdS, Sezione quarta, 6490/04).

Tali essendo i limiti del potere giurisdizionale, è corretta laffermazione del primo giudice secondo il quale «non sembra che lunicità dellepisodio o le modalità del suo svolgimento siano elementi sufficienti ad evidenziare una mancanza di ragionevolezza nella sanzione, effettivamente grave, poiché le ragioni della determinazione espulsiva sono state individuate non solo e non tanto nellepisodio in sé del travestimento, quanto nel complessivo comportamento tenuto dal ricorrente e nel giudizio di irreparabile disvalore dedotto dalla mancanza di senso di lealtà e del rispetto per sé stesso».

5.- Le considerazioni che precedono impongono il rigetto dellappello, con conseguente conferma della sentenza di primo grado.

Non vè luogo ad una pronuncia sulle spese, non essendosi costituita in giudizio lAmministrazione appellata.

PQM

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione sesta, respinge il ricorso in appello indicato in epigrafe.

Nulla per le spese di giudizio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.