Enti pubblici

Sunday 22 June 2003

Il nuovo piano sanitario nazionale per il triennio 2003-2005 I parte.

Il nuovo piano sanitario nazionale per il triennio 2003-2005 I parte.

DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 23 maggio 2003

Approvazione del Piano sanitario nazionale 2003-2005.

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Visto l’art. 1, comma 5, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni, che demanda al Governo la predisposizione e l’adozione del Piano sanitario nazionale, sentite le Commissioni parlamentari competenti per materia e le Confederazioni sindacali maggiormente rappresentative, d’intesa con la Conferenza unificata di cui all’art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281;

Visto l’art. 8 del citato decreto legislativo n. 281 del 1997;

Vista la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3;

Visto il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri in data 29 novembre 2001, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 33 dell’8 febbraio 2002, recante individuazione dei livelli essenziali di assistenza, di cui all’art. 1, comma 6, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni;

Viste le osservazioni delle Regioni formulate dalla Conferenza dei presidenti delle regioni e delle Province autonome nella seduta della Conferenza Stato-Regioni del 20 giugno 2002;

Acquisito il parere delle Confederazioni sindacali maggiormente rappresentative;

Acquisito il parere delle competenti Commissioni parlamentari della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica;

Preso atto dell’intesa intervenuta nell’ambito della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, unificata con la Conferenza Stato-citta’ ed autonomie locali nella seduta del 15 aprile 2003;

Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 18 aprile 2003;

Sulla proposta del Ministro della salute, di concerto con i Ministri per gli affari regionali e dell’economia e delle finanze;

Decreta:

Art. 1.

1. E’ approvato il Piano sanitario nazionale 2003-2005 nel testo risultante dall’atto di intesa tra Stato e Conferenza unificata, di cui all’allegato.

Il presente decreto, previa registrazione da parte della Corte dei conti, sara’ pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.

Dato a Roma, addi’ 23 maggio 2003

CIAMPI

Berlusconi, Presidente del Consiglio dei Ministri

Sirchia, Ministro della salute

La Loggia, Ministro per gli affari regionali

Tremonti, Ministro dell’economia e delle finanze

Visto, il Guardasigilli: Castelli

Registrato alla Corte dei conti il 13 giugno 2003

Ufficio di controllo preventivo sui Ministeri dei servizi alla persona e dei beni culturali, registro n. 4, foglio n. 113

Allegato PIANO SANITARIO NAZIONALE 2003-2005

                             I N D I C E

                      il quadro di riferimento

      |I nuovi scenari e i fondamenti del Servizio sanitario

1.    |nazionale

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1.1.  |Il primo Piano sanitario nazionale dopo il cambiamento

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1.1.1.|L’etica del sistema

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      |Dalla sanita’ alla salute: la nuova visione ed i principi

1.2.  |fondamentali

   Parte Prima: I dieci progetti per la strategia del cambiamento

2.      |I dieci progetti per la strategia del cambiamento

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        |Attuare, monitorare e aggiornare l’accordo sui livelli

        |essenziali ed appropriati di assistenza e ridurre le liste

2.1.    |di attesa

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        |Promuovere una rete integrata di servizi sanitari e sociali

        |per l’assistenza ai malati cronici, agli anziani e ai

2.2.    |disabili

———————————————————————

        |La cronicita’, la vecchiaia, la disabilita’: una realta’

        |della societa’ italiana che va affrontata con nuovi mezzi e

2.2.1.  |strategie

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2.2.2.  |Le sfide per il Servizio sanitario nazionale

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        |Garantire e monitorare la qualita’ dell’assistenza sanitaria

2.3.    |e delle tecnologie biomediche

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        |Potenziare i fattori di sviluppo (o {capitali}) della

2.4.    |sanita’

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        |Realizzare una formazione permanente di alto livello in

2.5.    |medicina e sanita’

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        |Promuovere l’eccellenza e riqualificare le strutture

2.6.    |ospedaliere

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        |Promuovere il territorio quale primaria sede di assistenza e

2.7.    |di governo dei percorsi sanitari e socio-sanitari

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2.7-bis.|Potenziare i Servizi di urgenza ed emergenza

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        |Promuovere la ricerca biomedica e biotecnologica e quella

2.8.    |sui servizi sanitari

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        |Promuovere gli stili di vita salutari, la prevenzione e la

2.9.    |comunicazione pubblica sulla salute

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        |Promuovere un corretto impiego dei farmaci e la

2.10.   |farmacovigilanza

                Parte Seconda: Gli obiettivi generali

3.     |La promozione della salute

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3.1.   |Vivere a lungo, vivere bene

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3.2.   |Combattere le malattie

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3.2.1. |Le malattie cardiovascolari e cerebrovascolari

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3.2.2. |I tumori

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3.2.3. |Le cure palliative

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3.2.4. |Il diabete, le malattie metaboliche

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3.2.5. |I disturbi del comportamento alimentare

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3.2.6. |Le malattie respiratorie e allergiche

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3.2.7. |Le malattie reumatiche ed osteoarticolari

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3.2.8. |Le malattie rare

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3.2.9. |Le malattie trasmissibili prevenibili con la vaccinazione

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       |La sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS) e le

3.2.10.|malattie a trasmissione sessuale

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3.3.   |Ridurre gli incidenti e le invalidita’

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3.4.   |Sviluppare la riabilitazione

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3.5.   |Migliorare la medicina trasfusionale

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3.6.   |Promuovere i trapianti di organo

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4.     |L’ambiente e la salute

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4.1.   |I cambiamenti climatici e le radiazioni ultraviolette

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4.2.   |L’inquinamento atmosferico

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4.2.1. |L’amianto

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4.2.2. |Il benzene

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4.3.   |La carenza dell’acqua potabile e l’inquinamento

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4.4.   |Le acque di balneazione

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4.5.   |L’inquinamento acustico

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4.6.   |I campi elettromagnetici

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4.7.   |Lo smaltimento dei rifiuti

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       |Pianificazione e risposta sanitaria in caso di eventi

4.8.   |terroristici ed emergenze di altra natura

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4.9    |Salute e sicurezza nell’ambiente di lavoro

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5.     |La sicurezza alimentare e la sanita’ veterinaria

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6.     |La salute e il sociale

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6.1.   |Le fasce di poverta’ e di emarginazione

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6.2.   |La salute del neonato, del bambino e dell’adolescente

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6.3.   |La salute mentale

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6.4.   |Le tossicodipendenze

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6.5.   |La sanita’ penitenziaria

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6.6.   |La salute degli immigrati

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                      IL QUADRO DI RIFERIMENTO

1. I nuovi scenari e i fondamenti del Servizio sanitario nazionale

1.1. Il primo Piano sanitario nazionale dopo il cambiamento

    Il  Piano  2003-2005 e’ il primo ad essere varato in uno scenario

sociale e politico radicalmente cambiato.

    La  missione  del Ministero della salute si e’ significativamente

modificata  da   «pianificazione  e  governo della sanita» a «garanzia

della  salute» per ogni cittadino. Il Servizio sanitario nazionale e’

un  importante  strumento  di  salute,  ma non e’ l’unico: infatti il

benessere  psico-fisico  si mantiene se si pone attenzione agli stili

di vita, evitando quelli che possono risultare nocivi.

    Per   quanto  riguarda  lo  scenario  politico-istituzionale,  il

recente  decentramento  dei  poteri  dallo  Stato  alle  Regioni  sta

assumendo  l’aspetto  di  una  reale devoluzione. Il decentramento fa

parte  da  tempo  degli  obiettivi della sanita’ italiana ed era gia’

presente  fra  le  linee ispiratrici della legge 23 dicembre 1978, n.

833,  istitutiva  del Servizio sanitario nazionale, come del riordino

degli  anni  ’90,  nell’ambito  del  quale  veniva  riconosciuto alla

Regione  un ruolo fondamentale nella programmazione, organizzazione e

gestione dei servizi sanitari.

    La   fase   attuale   rappresenta   un  ulteriore  passaggio  dal

decentramento  dei  poteri  ad  una  graduale  ma  reale devoluzione,

improntata alla sussidiarieta’, intesa come partecipazione di diversi

soggetti alla gestione dei servizi, partendo da quelli piu’ vicini ai

cittadini.

    Significativi  passi  in  avanti  sono  stati  realizzati  con la

modifica  del  titolo V della Costituzione e, nella seconda meta’ del

2001, con l’Accordo tra Stato e Regioni (8 agosto 2001), alcuni punti

del  quale  sono  stati recepiti con il successivo decreto attuativo,

convertito in legge (decreto-legge 18 settembre 2001, n. 347, e legge

16 novembre 2001, n. 405).

    La  legge  costituzionale  recante  «Modifiche  al titolo V della

parte  seconda  della  Costituzione», varata dal Parlamento l’8 marzo

2001  e  approvata  in  sede  di referendum confermativo il 7 ottobre

2001,  ha  introdotto  i  principi  della  potesta’  di  legislazione

concorrente   dello   Stato   e   delle   Regioni  e  della  potesta’

regolamentare delle Regioni in materia di sanita’.

    Rientra nella competenza esclusiva dello Stato la «determinazione

dei Livelli Essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili

e  sociali  che  devono  essere  garantiti  su  tutto  il  territorio

nazionale» (art. 117), definiti secondo quanto stabilito nel novembre

2001  a  stralcio  del  Piano  sanitario  nazionale  con le procedure

previste  dal decreto-legge 18 settembre 2001, n. 347, convertito poi

nella  legge 16 novembre 2001, n. 405, ferma restando la tutela della

salute  che  la  Repubblica  garantisce  ai  sensi dell’art. 32 della

Costituzione.   In    altri   termini  lo  Stato  formula  i  principi

fondamentali, ma non interviene sul come questi principi ed obiettivi

saranno  attuati,  perche’  cio’  diviene  competenza esclusiva delle

Regioni.

    Il  ruolo dello Stato in materia di sanita’ si trasforma, quindi,

da  una  funzione  preminente di organizzatore e gestore di servizi a

quella di garante dell’equita’ sul territorio nazionale.

    In  tale  contesto  i  compiti del Ministero della salute saranno

quelli di:

      garantire   a   tutti   l’equita’  del  sistema,  la  qualita’,

l’efficienza  e la trasparenza anche con la comunicazione corretta ed

adeguata;

      evidenziare  le  disuguaglianze  e le iniquita’ e promuovere le

azioni correttive e migliorative;

      collaborare  con le Regioni a valutare le realta’ sanitarie e a

migliorarle;

      tracciare   le  linee  dell’innovazione  e  del  cambiamento  e

fronteggiare i grandi pericoli che minacciano la salute pubblica.

    Nonostante  i  risultati  raggiunti  negli  ultimi  decenni siano

apprezzabili  in  termini di maggiore aspettativa di vita e di minore

prevalenza  delle  patologie  piu’  gravi,  ulteriori e piu’ avanzati

traguardi  e  miglioramenti  vanno  perseguiti  nella  qualificazione

dell’assistenza,  nell’utilizzo piu’ razionale ed equo delle risorse,

nell’omogeneita’  dei  livelli  di  prestazione  e nella capacita’ di

interpretare meglio la domanda e i bisogni sanitari.

    Inoltre, non va dimenticato che la popolazione anziana nel nostro

Paese e’ cresciuta e cresce di numero piu’ che in altri Paesi europei

e  che  e’  aumentato  il  peso delle risorse private investite nella

salute,  sia da parte delle famiglie che del terzo settore e di altri

soggetti privati.

    Al  Piano sanitario nazionale e’ affidato il compito di delineare

gli  obiettivi  da raggiungere per attuare la garanzia costituzionale

del  diritto  alla  salute  e degli altri diritti sociali e civili in

ambito  sanitario.  Tali  obiettivi  si  intendono  conseguibili  nel

rispetto  dell’Accordo dell’8 agosto 2001, come integrato dalle leggi

finanziarie  per  gli anni 2002 e 2003 e nei limiti e in coerenza dei

programmati  Livelli  Essenziali  di Assistenza di cui al decreto del

Presidente  del  Consiglio dei Ministri 29 novembre 2001 e successive

integrazioni.

    Cio’   avviene,  peraltro,  in  coerenza con l’Unione europea e le

altre  Organizzazioni internazionali, quali l’Organizzazione Mondiale

della  Sanita’  (OMS)  e il Consiglio d’Europa, che elaborano in modo

sistematico gli obiettivi di salute e le relative strategie.

    La competenza dell’Unione europea, in materia sanitaria, e’ stata

ulteriormente  rafforzata dal Trattato di Amsterdam del 1997, entrato

in  vigore  nel  1999,  secondo  il  quale  il  Consiglio dell’Unione

europea,  deliberando con la procedura di co-decisione, puo’ adottare

provvedimenti  per  fissare  i  livelli  di  qualita’ e sicurezza per

organi  e  sostanze  di origine umana, sangue ed emoderivati nonche’,

nei  settori  veterinario  e  fitosanitario,  misure il cui obiettivo

primario sia la protezione della sanita’ pubblica.

    Nel  mese  di settembre  2002  e’  entrato  in  vigore  il  nuovo

Programma  di  Azione  Comunitario nel settore della sanita’ pubblica

2003-2008,   che   individua   tra  le  aree  orizzontali  di  azione

comunitaria:

      la  lotta  contro  i grandi flagelli dell’umanita’, le malattie

trasmissibili, quelle rare e quelle legate all’inquinamento;

      la riduzione della mortalita’ e della morbilita’ correlate alle

condizioni di vita e agli stili di vita;

      l’incoraggiamento   ad   una  maggiore  equita’  nella  sanita’

dell’Unione  europea  (U.E.),  da  perseguire attraverso la raccolta,

analisi e distribuzione delle informazioni;

      la   reazione  rapida  a  pericoli  che  minacciano  la  salute

pubblica;

       la prevenzione sanitaria e la promozione della salute.

    Anche in questo campo, con i commi secondo e quarto dell’art. 117

del  novellato  titolo  V della Costituzione, alle Regioni sono state

affidate  nuove  competenze  in  materia  comunitaria, sia nella fase

ascendente   di   formazione  degli  atti  normativi  comunitari  sia

nell’attuazione  ed  esecuzione  degli accordi internazionali e degli

atti dell’Unione europea.

    Il  ruolo  del PSN e’ significativo in questa prospettiva, tenuto

conto  anche  della  recente  elaborazione  della «strategia sociale»

comunitaria  avviata dal Consiglio Europeo di Lisbona, proseguita con

quello  di  Nizza  ed  esplicitata  dalla decisione n. 50/2002/CE del

Parlamento   Europeo   e  del  Consiglio  del  7 dicembre  2001,  che

istituisce  un  programma  d’azione  comunitaria  per incoraggiare la

cooperazione   tra   gli   Stati   membri   al   fine  di  combattere

l’emarginazione  sociale e, con la piu’ ampia accezione, di garantire

la coesione sociale in Europa.

    Il   Piano   sanitario  nazionale  2003-2005  tiene  conto  degli

obiettivi comunitari in tema di salute e del necessario coordinamento

con i programmi dell’Unione europea.

    Per  rispondere  alle  esigenze  del  nuovo  scenario  il  PSN si

articola in due parti:

      la prima specifica gli obiettivi strategici di salute;

      la  seconda  individua  le  linee  di  sviluppo  per  gli altri

obiettivi generali di salute.

    L’efficacia  del  Piano dipende dall’attuazione di una produttiva

cooperazione  fra  i diversi livelli di responsabilita’, e per quanto

di competenza, comuni e province, chiamati a:

      trasformare gli obiettivi in progetti specifici e ad attuarli;

      investire nella qualificazione delle risorse umane;

      adottare  soluzioni  organizzative  e  gestionali innovative ed

efficaci;

      adeguare gli standard quantitativi e qualitativi;

      garantire  i  Livelli  Essenziali  di  Assistenza  su  tutto il

territorio nazionale.

    In  questo  senso  e’ necessaria una impostazione intersettoriale

delle  politiche  per  la tutela della salute, che contempli anche le

politiche  sociali,  ambientali  ed  energetiche,  quelle del lavoro,

della  scuola e dell’istruzione, delle politiche agricole e di quelle

produttive:  la tutela della salute, pertanto, si persegue attraverso

una  strategia coordinata di interventi delle diverse istituzioni per

rispondere  pienamente  ed  in  maniera specifica ai nuovi bisogni di

salute dei cittadini.

    In  sintesi,  alla  luce  dei  cambiamenti  politici  e giuridici

avvenuti  e  di  quelli tuttora in corso, il presente Piano sanitario

nazionale  2003-2005 si configura come un documento di indirizzo e di

linea  culturale,  piu’  che  come un progetto che stabilisce tempi e

metodi per il conseguimento degli obiettivi, in quanto questi aspetti

operativi  rientrano  nei  poteri  specifici  delle  Regioni,  cui il

presente Piano e’ diretto e con le quali e’ stato costruito.

    1.1.1. L’etica del sistema.

    La necessita’ di garantire ai cittadini un sistema sanitario equo

diviene  sempre  piu’ urgente per il nostro Paese. L’equita’ dovrebbe

guidare  le  politiche  sanitarie,  ma  nel dibattito e’ stata finora

sottovalutata,    uscendo   spesso   perdente   nel   conflitto   con

l’efficienza.  Si  sono create cosi’ diverse iniquita’ di sistema che

vanno  dalle  differenze  quali-quantitative  nei  servizi erogati in

varie  aree del Paese, alle disuniformi e lunghe liste d’attesa anche

per  patologie che non possono aspettare, allo scarso rispetto per il

malato,  agli  sprechi e all’inappropriatezza delle richieste e delle

prestazioni,  al condizionamento delle liberta’ di scelta dei malati,

alla insufficiente attenzione posta al finanziamento e all’erogazione

dei  servizi  per cronici ed anziani. Iniquita’ genera iniquita’ e le

lunghe  liste  di attesa innescano talvolta il sistema perverso della

raccomandazione,   per  cui  il  servizio  puo’  risultare  ottimo  o

accettabile per una parte dei cittadini, ma non altrettanto buono per

altri.

    Nel  1999 un gruppo di esperti anglosassoni, il cosiddetto Gruppo

di  Tavistock,  ha sviluppato alcuni principi etici di massima che si

rivolgono  a  tutti  coloro  che hanno a che fare con la sanita’ e la

salute e che, non essendo settoriali, si distinguono dai codici etici

elaborati dalle singole componenti del sistema (medici, enti).

    Nel  2000  i  cosiddetti  7  principi  di  Tavistock  di  seguito

riportati   sono  stati  aggiornati  e  offerti  alla  considerazione

internazionale.

    1)  Diritti.  I cittadini hanno diritto alla salute e alle azioni

conseguenti per la sua tutela.

    2) Equilibrio. La cura del singolo paziente e’ centrale, ma anche

la  salute  e  gli  interessi  della collettivita’ vanno tutelati. In

altri  termini  non  si  puo’  evitare il conflitto tra interesse dei

singoli   e   interesse   della   collettivita’.   Ad   esempio,   la

somministrazione  di antibiotici per infezioni minori puo’ giovare al

singolo  paziente,  ma  nuoce  alla  collettivita’ perche’ aumenta la

resistenza dei batteri agli antibiotici.

    3)  Visione  olistica  del paziente, che significa prendersi cura

di tutti  i  suoi  problemi  e assicurargli continuita’ di assistenza

(dobbiamo sforzarci continuamente di essere ad un tempo specialisti e

generalisti).

    4) Collaborazione degli operatori della sanita’ tra loro e con il

paziente,  con  il  quale  e’ indispensabile stabilire un rapporto di

partenariato:  «Nulla  che  mi  riguardi senza di me» e’ il motto del

paziente  che  dobbiamo  rispettare  (Maureen Bisognano, Institute of

Health Care Improvement, Boston).

    5)  Miglioramento.  Non  e’  sufficiente fare bene, dobbiamo fare

meglio,   accettando   il   nuovo   e   incoraggiando  i  cambiamenti

migliorativi.  Vi  e’  ampio  spazio per migliorare, giacche’ tutti i

sistemi  sanitari  soffrono  di  «overuse,  underuse,  misuse»  delle

prestazioni (uso eccessivo, uso insufficiente, uso improprio).

    6)  Sicurezza.  Il  principio  moderno  di  «Primum  non  nocere»

significa  lavorare quotidianamente per massimizzare i benefici delle

prestazioni, minimizzarne i danni, ridurre gli errori in medicina.

    7)  Onesta’,  trasparenza, affidabilita’, rispetto della dignita’

personale sono essenziali a qualunque sistema sanitario e a qualunque

rapporto tra medico e paziente.

     Altri  due  principi  che  alcuni  propongono  di aggiungere ai 7

sopraelencati  sono la responsabilizzazione di chi opera in sanita’ e

la libera scelta del paziente.

    A questi principi il Piano sanitario nazionale intende ispirarsi,

proponendo  azioni concrete e progressive per la loro attuazione, dal

momento  che  e’ compito dello Stato garantire ai cittadini i diritti

fondamentali sanciti dalla Costituzione.

1.2.  Dalla  sanita’  alla  salute:  la  nuova  visione ed i principi

fondamentali

    La  nuova  visione della transizione dalla «sanita» alla «salute»

e’  fondata,  in particolare, sui seguenti principi essenziali per il

Servizio  sanitario  nazionale, che rappresentano altresi’ i punti di

riferimento per l’evoluzione prospettata:

      il diritto alla salute;

      l’equita’ all’interno del sistema;

      la responsabilizzazione dei soggetti coinvolti;

      la dignita’ ed il coinvolgimento «di tutti i cittadini»;

      la qualita’ delle prestazioni;

      l’integrazione socio-sanitaria;

       lo sviluppo della conoscenza e della ricerca;

      la sicurezza sanitaria dei cittadini.

    Il  diritto  alla  salute  e  alle  cure,  indipendentemente  dal

reddito,  costituisce  da  tempo  parte  integrante  dei principi che

costituiscono l’ossatura del patto sociale, ma non ha trovato fino ad

oggi attuazione sufficiente. Nella nuova visione, esso costituisce un

obiettivo   prioritario.  Pertanto  e’  indispensabile,  garantire  i

Livelli  Essenziali  di  Assistenza,  concordati fra Stato e Regioni,

assicurare  un’efficace prevenzione sanitaria e diffondere la cultura

della promozione della salute.

    L’equita’  negli  accessi ai servizi, nell’appropriatezza e nella

qualita’  delle  cure e’ un fondamentale diritto da garantire. Troppo

spesso  accade  che,  a  parita’ di gravita’ ed urgenza, l’assistenza

erogata   sia   diversificata   a   seconda   del  territorio,  delle

circostanze,  delle  carenze  strutturali  e organizzative e di altri

fattori. In particolare, e’ necessario ridurre al minimo la mobilita’

dei  pazienti  derivante dalla carenza nel territorio di residenza di

strutture  sanitarie  idonee  a  fornire  le  prestazioni di qualita’

richieste.

    La  responsabilizzazione  piena  dei soggetti e delle istituzioni

incaricati  di  organizzare  ed  erogare  le  prestazioni  di cura e’

fondamentale  per  promuovere concreti percorsi di salvaguardia delle

garanzie.  In  questo  senso va sviluppata la piena consapevolezza di

tutti,  in relazione alla complessita’ dei bisogni, agli obblighi che

discendono  dal  patto  costituzionale, alla sempre maggiore ampiezza

delle  possibili  risposte  in  termini professionali e tecnologici e

alla  necessita’ di modulare gli interventi sulla base delle linee di

indirizzo  comuni  e  degli  obiettivi  prioritari  del  sistema, nel

rispetto rigoroso delle compatibilita’ economiche.

    La  dignita’  e  la partecipazione di tutti coloro che entrano in

contatto con i servizi e di tutti i cittadini costituisce nella nuova

visione  della  salute un principio imprescindibile, che comprende il

rispetto  della  vita  e  della  persona  umana, della famiglia e dei

nuclei  di convivenza, il diritto alla tutela delle relazioni e degli

affetti,  la  considerazione  e  l’attenzione  per  la sofferenza, la

vigilanza  per  una   partecipazione  quanto piu’ piena possibile alla

vita  sociale da parte degli ammalati e la cura delle relazioni umane

tra  operatori  ed utenti. Il cittadino e la sua salute devono essere

al  centro  del  sistema, unitamente al rispetto dei principi etici e

bioetici  per  la  tutela  della  vita,  che  sono  alla  base  della

convivenza sociale.

    La  qualita’  delle  prestazioni  deve  essere  perseguita per il

raggiungimento   di   elevati  livelli  di  efficienza  ed  efficacia

nell’erogazione  dell’assistenza e nella promozione della salute. E’,

inoltre,  necessario  garantire  l’equilibrio  fra la complessita’ ed

urgenza  delle  prestazioni  ed  i  tempi di erogazione delle stesse,

riducendo  la  lunghezza  delle  liste  di  attesa.  La crescita e la

valorizzazione professionale degli operatori sanitari e’ un requisito

essenziale   che   deve   essere  assicurato  tramite  la  formazione

permanente ed altri meccanismi di promozione.

    L’integrazione  tra i servizi sanitari e quelli sociali a livello

locale e’ indispensabile cosi’ come la collaborazione tra Istituzioni

e   pazienti   e   la  disponibilita’  delle  cure  specialistiche  e

riabilitative domiciliari per i pazienti cronici, i malati terminali,

i  soggetti  deboli e coloro che non sono totalmente autosufficienti;

inoltre,  e’  molto  rilevante,  sotto il profilo sociale, concorrere

allo sviluppo di forme di supporto ai familiari dei pazienti.

    Lo sviluppo della conoscenza nel settore della salute, attraverso

la  ricerca  biomedica  e  sanitaria,  e’ fondamentale per vincere le

nuove sfide derivanti, in particolare, dalle malattie attualmente non

guaribili,   attraverso   nuove   procedure  diagnostiche  e  terapie

efficaci.

    La  sicurezza  sanitaria dei cittadini e’ stata messa in evidenza

in  tutta  la sua importanza anche dai recenti drammatici avvenimenti

connessi  al  terrorismo.  La  sanita’ di questi anni non puo’ quindi

prescindere  dal comprendere tra gli elementi costitutivi della nuova

visione  quello  dello  sviluppo di strategie e strumenti di gestione

dei  rischi,  di  precauzione  rispetto  alle  minacce,  di  difesa e

prevenzione, nonche’ ovviamente di cura degli eventuali danni.

    Il  raggiungimento  di tutti i suddetti obiettivi necessita della

misurazione  e  della valutazione comparativa dei risultati ottenuti,

sul  versante  sia  quantitativo  sia  qualitativo.  Non  e’  infatti

possibile  assicurare  pari  dignita’  e pari trattamento a tutti gli

utenti senza disporre di strumenti per la verifica del lavoro fatto e

della  qualita’ raggiunta nelle varie realta’. La soddisfazione degli

utenti   e   la   loro   corretta  informazione,  la  qualita’  delle

prestazioni,  i  risultati  ottenuti  in  termini  clinici e sociali,

nonche’ il rapporto tra costi e risultati devono costituire una parte

significativa  degli  obiettivi  da raggiungere e delle misurazioni e

valutazioni  da effettuare in modo comparativo fra le diverse realta’

territoriali.

    A  seguire,  in  questa  Parte  prima,  si descrivono le linee di

pensiero  e  di azione per l’attuazione dei progetti per la strategia

del cambiamento, mentre gli obiettivi generali del Servizio sanitario

nazionale sono trattati nella Parte seconda.

                             Parte Prima

                          I DIECI PROGETTI

                  PER LA STRATEGIA DEL CAMBIAMENTO

2. I dieci progetti per la strategia del cambiamento

2.1. Attuare,   monitorare   ed   aggiornare  l’accordo  sui  livelli

essenziali ed appropriati di assistenza e ridurre le liste di attesa

    Il   primo frutto concreto dell’Accordo stipulato tra il Governo e

le  Regioni  in materia sanitaria l’8 agosto 2001 e’ costituito dalla

definizione  dei  Livelli  Essenziali  di Assistenza, da assicurare e

garantire su tutto il territorio nazionale.

    Tale definizione e’ costruita sui seguenti fondamentali principi:

      il  livello dell’assistenza erogata, per essere garantita, deve

poter essere misurabile tramite opportuni indicatori;

      le  prestazioni,  che  fanno parte dell’assistenza erogata, non

possono essere considerate essenziali se non sono appropriate;

      l’appropriatezza   delle   prestazioni  e’  collegata  al  loro

corretto  utilizzo  e  non  alla tipologia della singola prestazione,

fatte salve quelle poche considerate non strettamente necessarie;

      gli  indicatori  di appropriatezza vengono calcolati ai diversi

livelli di erogazione del servizio (territorio, Ospedale, ambiente di

lavoro)  e  verificano  la  correttezza  dell’utilizzo  delle risorse

impiegate in termini di bilanciamento qualita-costi.

    L’introduzione  dei  Livelli Essenziali di Assistenza costituisce

l’avvio  di  una nuova fase per la tutela sanitaria, in quanto per la

prima volta si da’ seguito all’esigenza, emersa da anni, di garantire

ai cittadini un servizio sanitario omogeneo in termini di quantita’ e

qualita’  delle  prestazioni  erogate  e  di  individuare il corretto

livello di erogazione dei servizi resi.

    La  definizione dei LEA, prima con l’Accordo del 22 novembre 2001

poi  con  l’adozione  degli  stessi con il decreto del Presidente del

Consiglio  dei Ministri del 29 novembre 2001, in attuazione dell’art.

6  della  legge  n.  405/2001  ha definito i confini a carico del SSN

utilizzando due concetti principali:

      a)  quello di servizi «essenziali», intesi come accettabili sul

piano sociale nonche’ tecnicamente appropriati ed efficaci, in quanto

fondati  sulle  prove  di evidenza ed erogati nei modi economicamente

piu’ efficienti;

      b)  quello  delle «liste negative» consistente nell’individuare

precisamente  cio’ che non deve piu’ essere erogato con finanziamenti

a carico del SSN.

    Il significato innovativo dell’introduzione dei LEA e’ consistito

nell’aver   definito   i  diritti  sanitari  dei  cittadini  in  modo

complessivo  e  non  in termini residuali (anche per questo i LEA non

possono  esser  definiti  come livelli minimi) e nell’aver introdotto

uno  strumento  per  il  governo  dell’evoluzione  del  SSN  e non un

semplice modo per ridimensionare la spesa.

    La  messa a punto di tale strumento tuttavia ha portato alla luce

alcune  aree  di  complessita’  tra  le  quali  si  ritiene opportuno

segnalare le seguenti:

      i) appropriatezza  clinico-assistenziale  e  organizzativa  che

richiede  un  processo  continuo che va sostenuto sistematicamente da

parte  del livello centrale, regionale, aziendale e professionale del

SSN  per gli aspetti di relativa competenza, per migliorare l’impiego

delle  risorse  e  la  qualita’  dei  servizi, anche in rapporto alla

introduzione di nuove tecnologie;

      ii)  integrazione  socio-sanitaria  che richiede di individuare

ulteriori  fonti  di  finanziamento per le prestazioni che sono state

escluse totalmente o parzialmente dai LEA.

    La  definizione  dei livelli di assistenza e’ un primo importante

passo  di  un  percorso  che  richiede  la  verifica, sul territorio,

dell’effettiva  erogazione  degli  stessi  e  dei  relativi  costi, a

garanzia  dell’equita’  della  tutela  della  salute sul territorio e

dell’efficienza del sistema.

    In attuazione dell’accordo in materia di spesa sanitaria, sancito

dalla  Conferenza  Stato-Regioni l’8 agosto 2001, e’ stato istituito,

nell’ambito della Conferenza Stato-Regioni, il Tavolo di monitoraggio

e  verifica  sui LEA effettivamente erogati e sulla corrispondenza ai

volumi  di  spesa  stimati  e  previsti,  cui sono affidati i compiti

indicati  ai  punti  15  degli  accordi Governo-Regioni dell’8 agosto

2001,  5.2  dell’accordo  del  22 novembre  2001 sui LEA e lettera a)

dell’accordo  del  14 febbraio  2002  sulle modalita’ di accesso alle

prestazioni diagnostiche e terapeutiche e indirizzi applicativi sulle

liste di attesa.

    Nel  tavolo  di  monitoraggio  e  verifica vengono anche definiti

specifici criteri di monitoraggio all’interno del sistema di garanzie

introdotto  dall’art.  9 del decreto legislativo 18 febbraio 2000, n.

56,   per   assicurare   trasparenza,   confrontabilita’  e  verifica

dell’assistenza erogata attraverso i LEA con un sistema di indicatori

essenziali,    pertinenti   e   caratterizzati   da   dinamicita’   e

aggiornamento continuo.

    L’accordo  del 22 novembre 2001 prevede, inoltre, la costituzione

di  un organismo nazionale ad hoc, cui affidare l’aggiornamento delle

prestazioni  erogate  sotto il profilo tecnico-scientifico, valutando

periodicamente  quelle  da  mantenere, escludere o includere ex novo,

senza  alterarne  il  profilo  economico  finanziario.  Con  la legge

15 giugno  2002,  n.  112,  tale  organismo  e’  stato individuato ed

istituito  quale Commissione (C-LEA), per le attivita’ di valutazione

in   relazione   alle  risorse  definite,  dei  fattori  scientifici,

tecnologici  ed  economici relativi alla definizione ed aggiornamento

dei LEA e delle prestazioni in esso contenute.

    Con  il  collegato  alla  finanziaria 2003 e’ stata istituita una

Commissione  unica  per  i  dispositivi  medici,  cui  e’ affidato un

compito  di  aggiornamento del repertorio dei dispositivi medici e di

classificazione  dei  prodotti in classi e sottoclassi specifiche con

l’indicazione    del   prezzo   di   riferimento.   Attraverso   tale

classificazione,  anche  ad  integrazione  di  quanto  previsto dalla

normativa   comunitaria,   si   garantira’  un  omogeneo  sistema  di

caratterizzazione qualitativa di dispositivi medici utilizzabili e si

porranno  le  basi  per  agevolare iniziative di ottimizzazioni delle

procedure  di  acquisto  rispettose  delle  esigenze  di  qualita’  e

sicurezza dei prodotti.

    Con  i tre organismi sopra citati si realizza un organico sistema

di garanzia, articolato secondo il seguente schema:

      il  Tavolo di Monitoraggio e verifica dei Livelli essenziali di

assistenza  effettivamente  erogati  ha  il compito di verificarne la

corrispondenza  con  i volumi di spesa stimati e previsti, articolati

per  fattori  produttivi  e  responsabilita’  decisionali, al fine di

identificare   i   determinanti   di   tale   andamento,  a  garanzia

dell’efficacia e dell’efficienza del Servizio sanitario nazionale;

      la  Commissione  nazionale per la definizione e l’aggiornamento

dei  LEA  (C-LEA),  garantisce,  a  parita’ di risorse impiegate, che

siano  effettuati gli indispensabili interventi di manutenzione degli

elenchi   delle   prestazioni   ricomprese   nei   LEA,  proponendone

l’introduzione,  la sostituzione o la cancellazione, con le procedure

previste dalla normativa vigente;

      la Commissione unica per i dispositivi medici (CUD), garantisce

che  l’utilizzo  dei  dispositivi  medici  nella  varie  tipologie di

prestazioni   sia   ispirato  a  criteri  di  qualita’  e  sicurezza,

assicurando anche la congruita’ del prezzo.

    Nell’ambito  dell’accordo sui LEA, particolare importanza riveste

la questione della corretta gestione degli accessi e delle attese per

le   prestazioni   sanitarie,   sottolineata  piu’  volte  anche  dal

Presidente  della  Repubblica,  e  anch’essa  obiettivo  di  primaria

importanza  per  il  cittadino: il tempo di attesa rappresenta, da un

lato, la prima risposta che egli riceve dal sistema e, dall’altro, il

fondamentale  principio di tutela dei diritti in tema di accesso alle

cure e di eguaglianza nell’ambito del Servizio sanitario.

    Il   diritto   all’accesso   alle   prestazioni   diagnostiche  e

terapeutiche,  in  conseguenza  di richieste appropriate, deve essere

messo  in  relazione,  per  i tempi e per i modi, con una ragionevole

valutazione della prestazione richiesta e della sua urgenza.

    Per  contribuire  al  miglioramento  complessivo  dell’efficienza

delle  strutture e dell’accessibilita’ alle prestazioni sanitarie, e’

stato  sottoscritto  il  recente  accordo  relativo alle attivita’ di

chirurgia  di giorno (day surgery), che consente una diversificazione

dell’offerta sanitaria per i cittadini ed una maggiore appropriatezza

nell’utilizzo delle tipologie di assistenza.

Gli obiettivi strategici:

    disporre  di  un  consolidato sistema di monitoraggio dei Livelli

Essenziali  di  Assistenza,  tramite  indicatori  che operino in modo

esaustivo   a  tutti  e  tre  i  livelli  di  verifica  (ospedaliero,

territoriale  e  ambiente  di  lavoro), grazie anche all’utilizzo dei

dati elaborati dal Nuovo Sistema Informativo Sanitario;

    rendere  pubblici  i  valori  monitorati  dei  tempi  di  attesa,

garantendo il raggiungimento del livello previsto;

    costruire  indicatori  di appropriatezza a livello del territorio

che siano centrati sul paziente e non sulle prestazioni, come avviene

oggi;

    diffondere  i  modelli  gestionali  delle Regioni e delle Aziende

Sanitarie  in grado di erogare i Livelli Essenziali di Assistenza con

un  corretto bilanciamento tra i costi e la qualita’ (bench-marking a

livello regionale ed aziendale);

    promuovere  i  migliori protocolli di appropriatezza che verranno

via via sperimentati e validati ai diversi livelli di assistenza;

    attivare  tutte  le  possibili  azioni  capaci  di  garantire  ai

cittadini tempi di attesa appropriati alla loro obiettiva esigenza di

salute,  anche  sulla  base  delle  indicazioni presenti nell’Accordo

Stato-Regioni 11 luglio 2002.

2.2. Promuovere  una rete integrata di servizi sanitari e sociali per

l’assistenza ai malati cronici, agli anziani e ai disabili

    2.2.1.  La  cronicita’, la vecchiaia, la disabilita’: una realta’

della societa’ italiana che va affrontata con nuovi mezzi e strategie

    Il  mondo  della  cronicita’  e  quello  dell’anziano hanno delle

peculiarita’ che in parte li rendono assimilabili:

      sono aree in progressiva crescita;

      richiedono  una  forte  integrazione  dei  servizi sanitari con

quelli sociali;

      necessitano  di  servizi residenziali e territoriali finora non

sufficientemente disegnati e sviluppati nel nostro Paese;

      hanno una copertura finanziaria insufficiente.

    Piu’ che mai si rende necessario, innanzitutto, che si intervenga

in  sede  preventiva; prevenire in questo caso significa rallentare e

ritardare  l’instaurarsi  di  condizioni  invalidanti,  che  hanno in

comune  un progressivo percorso verso la non-autosufficienza e quindi

verso  la  necessita’  di  interventi  sociali e sanitari complessi e

costosi.  Per  quanto  riguarda i diversi approcci praticabili per la

prevenzione, essi sono di diversa natura: prevenzione primaria (stili

di  vita  salutari)  e secondaria (diagnosi precoce di alcuni tipi di

tumore),  nonche’  profilassi  di  particolari  malattie. Le Regioni,

pienamente  responsabili  dell’assistenza  sanitaria e della relativa

spesa,  sanno che investire in prevenzione significa risparmiare gia’

nel  medio  termine;  questa  consapevolezza induce a ritenere che le

misure  di  prevenzione in questa area avranno in futuro uno sviluppo

maggiore che in passato.

    Per  gli  anziani  importante e’ la possibilita’ di mantenere una

vita  attiva  sia  dal  punto  di  vista fisico che intellettuale, in

quanto  spesso  essi  tendono ad isolarsi e a trascurare gli stili di

vita  piu’  appropriati.  Le  Campagne istituzionali di comunicazione

possono essere di grande aiuto anche in tal senso.

    L’anziano vive meglio nel proprio domicilio e nel contesto di una

famiglia.  Spesso,  tuttavia, la famiglia ha difficolta’ economiche e

logistiche  ad assistere in casa l’anziano che necessita di cure. E’,

quindi, necessario supportare la famiglia in questo compito.

    A  fronte  di  un fabbisogno stimato in circa 15 miliardi di euro

per  anno,  oggi  l’Italia  spende per l’assistenza sociale circa 6,5

miliardi  di euro. Tutti i Paesi del mondo occidentale hanno avuto il

problema  di  finanziare adeguatamente un settore dell’assistenza che

solo  30  anni  or sono era di dimensioni insignificanti, ma che ora,

con  l’allungamento  dell’aspettativa  media  di  vita, e’ in aumento

progressivo.  Oggi  nel Nord Italia quasi il 10% della popolazione ha

piu’  di  75  anni  (poco  meno  nel Sud del Paese) e sappiamo che la

disabilita’ in questa fascia di popolazione raggiunge il 30%.

    Anche  gli  altri Paesi europei sono intervenuti a sostegno della

non-autosufficienza,  con  modalita’  differenti. Tutte le modalita’,

tuttavia, come ben evidenziato da Costanzo Ranci (2001) nella ricerca

«L’assistenza   agli   anziani  in   Italia  e  in  Europa»,  sembrano

condividere,  pur  con  accentuazioni  ed enfasi diverse, il seguente

aspetto:  tentare  di combinare interventi di trasferimento monetario

alle  famiglie  con  l’erogazione  di  servizi  finali, allo scopo di

sostenere il lavoro familiare ed informale di cura (cash and care).

    Rispetto  ai  principali  Paesi  europei,  l’Italia ancora spicca

soprattutto  per l’assenza di un pensiero e di una proposta forti che

affrontino  il  problema  della  non-autosufficienza,  un problema di

dimensione  crescente,  che  tanto  disagio  provoca  a molte persone

anziane e disabili e alle loro famiglie.

    Occorre puntare pertanto a:

      rendere  piu’  efficace  ed  efficiente la gestione dei servizi

esistenti tramite l’introduzione di meccanismi competitivi;

      attribuire  maggiore  capacita’ di scelta ai beneficiari finali

dei servizi;

      sostenere   maggiormente   le   famiglie   che   si  incaricano

dell’assistenza;

      regolarizzare   e   stimolare  la  pluralita’  dell’offerta  di

servizi;

      sostenere la rete di assistenza informale ed il volontariato;

      sperimentare  nuove  modalita’  di  organizzazione  dei servizi

anche ricorrendo a collaborazioni con il privato;

      attivare  sistemi  di garanzia di qualita’ e adeguati controlli

per gli erogatori di servizi sociali e sanitari.

    2.2.2. Le sfide per il Servizio sanitario nazionale.

    Non  vi  e’  dubbio  che  il  Servizio  sanitario nazionale debba

prepararsi a soddisfare una domanda crescente di assistenza di natura

diversa da quella tradizionale e caratterizzata da nuove modalita’ di

erogazione,  basate  sui  principi  della  continuita’ delle cure per

periodi di lunga durata e dell’integrazione tra prestazioni sanitarie

e  sociali  erogate  in  ambiti  di cura molto diversificati tra loro

(assistenza continuativa integrata).

    Le  categorie  di  malati  interessate  a questo nuovo modello di

assistenza  sono  sempre piu’ numerose: pazienti cronici, anziani non

autosufficienti  o  affetti  dalle patologie della vecchiaia in forma

grave,   disabili,   malati  afflitti  da  dipendenze  gravi,  malati

terminali.

    Gli  obiettivi di questa assistenza sono la stabilizzazione della

situazione  patologica in atto e la qualita’ della vita dei pazienti,

raramente quelle della loro guarigione.

    Deve  pertanto svilupparsi, nel mondo sanitario, un nuovo tipo di

assistenza   basata   su  un  approccio  multidisciplinare,  volto  a

promuovere  i  meccanismi di integrazione delle prestazioni sociali e

sanitarie  rese  sia  dalle  professionalita’  oggi  presenti, sia da

quelle nuove da creare nei prossimi anni.

    Innanzitutto  e’ indispensabile che la continuita’ delle cure sia

garantita  tramite  la  presa  in  carico  del  paziente da parte dei

Servizi  e  delle  Istituzioni  allo  scopo  di  coordinare tutti gli

interventi  necessari  al superamento delle condizioni che ostacolano

il  completo inserimento nel tessuto sociale, quando possibile, o che

limitano la qualita’ della vita.

    A  tale  scopo i Servizi e le Istituzioni devono divenire nodi di

una  rete  di  assistenza  nella  quale  viene  garantita al paziente

l’integrazione dei servizi sociali e sanitari, nonche’ la continuita’

assistenziale  nel  passaggio  da  un nodo all’altro, avendo cura che

venga    ottimizzata  la  permanenza  nei  singoli  nodi  in  funzione

dell’effettivo  stato  di  salute.  Dovra’  essere,  di  conseguenza,

ridotta  la  permanenza  dei  pazienti  negli  Ospedali  per  acuti e

potenziata l’assistenza riabilitativa e territoriale.

    La gestione dei servizi in rete comporta che le Aziende Sanitarie

Locali  ed  i  Comuni  individuino le forme organizzative piu’ adatte

affinche’ le prestazioni sanitarie e sociali siano disponibili per il

paziente  in  modo  integrato.  Per  permettere  il  maggior recupero

raggiungibile  dell’autosufficienza  e  la  diminuzione della domanda

assistenziale,  gli  interventi  vanno  integrati, nei casi in cui e’

opportuno, con l’erogazione dell’assistenza protesica.

Gli obiettivi strategici:

    la  realizzazione  di  una  sorgente di finanziamento adeguata al

rischio di non autosufficienza della popolazione;

    la  realizzazione  di  reti  di  servizi di assistenza integrata,

economicamente compatibili, rispettose della dignita’ della persona;

    il corretto dimensionamento dei nodi della rete (ospedalizzazione

a   domicilio,   assistenza   domiciliare  integrata,  centri  diurni

integrati,   residenze   sanitarie   assistenziali   e   istituti  di

riabilitazione) in accordo con il loro effettivo utilizzo;

    la  riduzione del numero dei ricoveri impropri negli Ospedali per

acuti   e   la   riduzione  della  durata  di  degenza  dei  ricoveri

appropriati, grazie alla presenza di una rete efficace ed efficiente;

    il   miglioramento   della  autonomia  funzionale  delle  persone

disabili,  anche  in  relazione  alla  vita  familiare ed al contesto

sociale e lavorativo;

    l’introduzione  di  misure  che  possono prevenire o ritardare la

disabilita’  e  la non autosufficienza, che includono le informazioni

sugli stili di vita piu’ appropriati e sui rischi da evitare.

2.3. Garantire  e  monitorare la qualita’ dell’assistenza sanitaria e

delle tecnologie biomediche

    Un  obiettivo  importante  da  perseguire nell’ambito del diritto

alla salute e’ quello della qualita’ dell’assistenza sanitaria. E’ la

cultura  della qualita’ che rende efficace il sistema, consentendo di

attuare un miglioramento continuo, guidato dai bisogni dell’utente.

    Sempre  piu’  frequentemente  emerge  in  sanita’  l’intolleranza

dell’opinione  pubblica  verso disservizi ed incidenti, che originano

dalla  mancanza  di  un  sistema  di garanzia di qualita’ e che vanno

dagli  errori  medici  alle  lunghe  liste  d’attesa,  alle  evidenti

duplicazioni  di  compiti e servizi, alla mancanza di piani formativi

del  personale  strutturati e documentati, alla mancanza di procedure

codificate, agli evidenti sprechi.

    La  qualita’  in  sanita’  riguarda  un  insieme  di  aspetti del

servizio,  che  comprendono  sia  la  dimensione  tecnica, che quella

umana,  economica  e clinica delle cure e va perseguita attraverso la

realizzazione  di  una serie articolata di obiettivi, dalla efficacia

clinica,  alla  competenza  professionale  e  tecnica, all’efficienza

gestionale,   all’equita’  degli  accessi,  alla  appropriatezza  dei

percorsi terapeutici.

    Per  l’aspetto  umano,  e’  opportuno che venga misurata anche la

qualita’   percepita  da  parte  dei  pazienti,  che  rappresenta  un

importante indicatore della soddisfazione dell’utente.

Gli obiettivi strategici:

    promuovere,  divulgare  e  monitorare esperienze di miglioramento

della qualita’ all’interno dei servizi per la salute;

    coinvolgere  il  maggior  numero  di  operatori  in  processi  di

informazione e formazione sulla qualita’;

    valorizzare   la  partecipazione  degli  utenti  al  processo  di

definizione, applicazione e misurazione della qualita’;

    promuovere   la   conoscenza  dell’impatto  clinico,  tecnico  ed

economico  dell’uso  delle  tecnologie, anche con comparazione tra le

diverse Regioni italiane;

    mantenere e sviluppare banche dati sui dispositivi medici e sulle

procedure  diagnostico-terapeutiche ad essi associati, con i relativi

costi;

    attivare  procedure di bench-marking sulla base di dati attinenti

agli esiti delle prestazioni.

2.4. Potenziare i fattori di sviluppo (o «capitali») della sanita’

    Le  organizzazioni  complesse utilizzano tre forme di «capitale»:

umano,  sociale  e  fisico  in ordine di importanza. Questo concetto,

ripreso  recentemente  anche nel Piano Sanitario inglese, e’ in linea

con  il  pensiero espresso fin dalla meta’ del secolo scorso da Carlo

Cattaneo,  grande  filosofo  ed «economista pubblico». Nonostante gli

sforzi  compiuti,  nessuna  delle  tre risorse citate e’ stata ancora

valorizzata nella nostra sanita’ in misura sufficiente.

    Il  «capitale  umano»,  ossia il personale del Servizio sanitario

nazionale, e’ quello che presenta aspetti di maggiore delicatezza. La

Pubblica  amministrazione,  che  gestisce la maggior parte dei nostri

ospedali,  non  rivolge  sufficiente  attenzione alla motivazione del

personale  e alla promozione della professionalita’ e molti strumenti

utilizzati a questo scopo dal privato le sono sconosciuti.

    Solo  oggi  si  comincia  in  Italia  a  realizzare  un  organico

programma  di  aggiornamento  del  personale  sanitario.  Dal 2002 e’

diventata,  infatti, realta’ l’acquisizione dei crediti per tutti gli

operatori  sanitari  che  partecipano  agli  eventi autorizzati dalla

Commissione  Nazionale  per  l’Educazione  Medica  Continua. Ben piu’

importante,  secondo l’accordo del 20 dicembre 2001 con le Regioni, e

grazie  all’adesione  di varie organizzazioni e associazioni, inclusi

gli  Ordini delle Professioni Sanitarie, la Federazione dei Direttori

Generali delle Aziende Sanitarie e le Societa’ scientifiche italiane,

inizia  l’aggiornamento  aziendale,  che  prevede  un  impegno  delle

Aziende  Sanitarie  ad  attivare  postazioni  di  educazione  e corsi

aziendali per il personale, utilizzando anche la rete informatica.

    Un  personale  aggiornato  e’  garanzia,  per il malato, di buona

qualita’ delle cure, ma l’aggiornamento sistematico costituisce anche

un  potente  strumento  di  promozione  dell’autostima  del personale

stesso,  che  sa  di  migliorare  in  tal  modo  la  propria immagine

professionale  e  la  propria  credibilita’  verso  la collettivita’.

Ovviamente l’aggiornamento sistematico e’ solo uno degli strumenti di

valorizzazione  del personale. Operare in un sistema nel quale vi sia

certificazione  della qualita’ e’ un altro elemento di gratificazione

per gli operatori sanitari. Un ulteriore elemento e’ costituito da un

rapporto  di  lavoro  che  premi  la  professionalita’ ed il merito e

liberi  il  medico  da una serie di vincoli e limitazioni per rendere

piu’ efficace la sua opera.

    Altrettanto necessaria appare la valorizzazione della professione

infermieristica  e delle altre professioni sanitarie, per le quali si

impone la nascita di una nuova «cultura della professione», cosi’ che

il  ruolo  dell’infermiere sia ricondotto, nella percezione sia della

classe    medica    sia    dell’utenza,    all’autentico   fondamento

epistemologico del nursing. Il capitale sociale va inteso come quella

rete  di  relazioni  che  devono legare in un rapporto di partnership

tutti  i  protagonisti  del  mondo della salute impegnati nei settori

dell’assistenza,   del   volontariato   e   del   no   profit,  della

comunicazione,  dell’etica, dell’innovazione, della produzione, della

ricerca,  che  possono contribuire ad aumentare le risorse per l’area

del  bisogno  socio-sanitario, oggi largamente sottofinanziato. Tutta

questa  rete  sociale, grande patrimonio del vivere civile, e’ ancora

largamente da valorizzare ed e’ la cultura di questo capitale sociale

che  va prima di tutto sviluppata. L’altro punto da valorizzare e’ il

capitale   «fisico»  del  S.S.N.:  gli  investimenti  per  l’edilizia

ospedaliera e per le attrezzature risalgono per la maggior parte alla

legge  11 marzo 1988, n. 67 e molti dei fondi da allora impegnati non

sono  ancora stati utilizzati per una serie di difficolta’ incontrate

sia  dallo  Stato  sia  dalle  Regioni in fase di progettualita’ e di

realizzazioni.  E’  necessario  provvedere,  come  per  i LEA, ad una

manutenzione   continua   del   patrimonio  fisico,  partendo  da  un

monitoraggio   dello   stesso   perche’   il   sistema  possa  essere

effettivamente competitivo in termini di qualita’ dell’offerta.

Gli obiettivi strategici:

    dare piena attuazione alla Educazione Continua in Medicina;

    valorizzare   le  figure  del  medico  e  degli  altri  operatori

sanitari;

    garantire una costante manutenzione strutturale e tecnologica dei

presidi  sanitari  del  SSN, rilanciando il programma di investimenti

per  l’edilizia  sanitaria  e  per  le  attrezzature,  secondo quanto

stabilito dall’Accordo dell’8 agosto 2001;

    strutturare un piano di sviluppo della ricerca capace di attirare

anche gli investitori privati ed i ricercatori italiani e stranieri;

    alleggerire  le  strutture  pubbliche  ed  il  loro personale dai

vincoli  e  dalle  procedure  burocratiche  che limitano le capacita’

gestionali  e rallentano l’innovazione, consentendo loro una gestione

imprenditoriale finalizzata anche all’autofinanziamento;

    investire per il supporto dei valori sociali, intesi come cemento

della  societa’  civile  e  strumento per rapportare i cittadini alle

Istituzioni ed ai servizi sanitari pubblici e privati.

2.5. Realizzare una formazione permanente di alto livello in medicina

e sanita’

    L’Educazione   Continua   in  Medicina  (ECM),  vale  a  dire  la

formazione  permanente  nel  campo  delle professioni sanitarie, deve

rispondere   alla   esigenza   di  garantire  alla  collettivita’  il

mantenimento  della  competenza  professionale  degli operatori. Come

tale,  essa  si  configura  come  un  elemento di tutela dell’equita’

sociale e riassume in se’ i concetti di responsabilita’ individuale e

collettiva, insiti nell’esercizio di ogni attivita’ volta alla tutela

e alla promozione della salute della popolazione.

    Gia’ nel 1999 (Decreto Legislativo 19 giugno 1999, n. 229), e nel

2000  (Decreto  Ministeriale  5 luglio  2000) ne sono state delineate

l’infrastruttura  amministrativa, decisionale e politica, ed e’ stato

valorizzato  il  ruolo  sociale  della  formazione permanente, in una

situazione nella quale le iniziative, pur numerose, e prevalentemente

di  tipo  congressuale,  erano focalizzate quasi esclusivamente sulla

professione  medica,  interessando  le  altre  professioni  dell’area

sanitaria solo in maniera frammentaria.

    La  volontarieta’  era,  del resto, la caratteristica portante di

queste  iniziative:  nonostante  il  valore  spesso  molto elevato di

alcune  di esse, non e’ sempre stata data sufficiente importanza alla

dimensione  deontologica  della  formazione professionale, intesa non

solo  come un dovere di valorizzazione della propria professionalita’

e  di  autoarricchimento, ma anche come una responsabilita’ forte nei

riguardi della collettivita’.

    L’accordo  in  Conferenza  Stato-Regioni  del 20 dicembre 2001 ha

sancito,  in  maniera  positiva,  la  convergenza  di  interesse  tra

Ministero della Salute e Regioni nella pianificazione di un programma

nazionale   che,  partendo  dal  lavoro  compiuto  dalla  Commissione

Nazionale  per la Formazione Continua, si estenda capillarmente cosi’

da    creare    una    forte   coscienza   della   autoformazione   e

dell’aggiornamento   professionale   estesa   a  tutte  le  categorie

professionali impegnate nella sanita’.

    La  Commissione  Nazionale  per la Formazione Continua, istituita

nel  2000 e rinnovata il 1° febbraio 2002, ha affrontato innanzitutto

il  problema  dell’impostazione  ex novo del sistema della formazione

permanente e dell’aggiornamento sia sotto il profilo organizzativo ed

amministrativo   sia  sotto  quello  della  cultura  di  riferimento,

attraverso  confronti  nazionali  e  regionali con diversi attori del

sistema  sanitario:  cio’ ha portato alla attivazione di un programma

nazionale di formazione continua attivo dal gennaio 2002.

    Un  elemento caratterizzante del programma e’ la sua estensione a

tutte le professioni sanitarie, con una strategia innovativa rispetto

agli  altri  Paesi.  Il  razionale  sotteso  a  questo  approccio  e’

evidente: nel momento in cui si afferma la centralita’ del paziente e

muta   il   contesto   dell’assistenza,   con  la  nascita  di  nuovi

protagonisti  e  con  l’emergere  di  una  cultura  del  diritto alla

qualita’   delle   cure,  risulta  impraticabile  la  strada  di  una

formazione   elitaria,   limitata   ad   una   o  a  poche  categorie

professionali  e  diviene  obbligo  morale la garanzia della qualita’

professionale  estesa  trasversalmente  a  tutti  i  componenti della

equipe  sanitaria,  una utenza di oltre 800.000 addetti delle diverse

professioni sanitarie e tecniche.

    In  una  prospettiva  ancora  piu’  ampia, la formazione continua

potra’  diventare  uno  degli  strumenti  di  garanzia della qualita’

dell’esercizio professionale, divenendo un momento di sviluppo di una

nuova cultura della responsabilita’ e del giusto riconoscimento della

eccellenza professionale.

    Partendo  dalle  premesse culturali e sociali sopra delineate, il

programma si pone l’obiettivo di disegnare le linee strategiche della

formazione  continua,  nella  quale  i  contenuti  ed  i  fini  della

formazione  siano  interconnessi con gli attori istituzionali. E cio’

e’  particolarmente significativo per quanto concerne la ripartizione

tra   obiettivi    formativi  di  rilevanza  nazionale,  di  rilevanza

regionale e di libera scelta.

    Gli  obiettivi nazionali devono discendere, attraverso una intesa

tra  Ministero della salute e Regioni, dal presente Piano e stimolare

negli  operatori  una  nuova  attenzione alle dimensioni della salute

– in aggiunta a quelle della malattia – alla concretezza dei problemi

sanitari emergenti ed ai nuovi problemi di natura socio-sanitaria.

    Gli  obiettivi formativi di interesse regionale devono rispondere

alle  specifiche  esigenze formative delle amministrazioni regionali,

chiamate   ad   una   azione   piu’  capillare  legata  a  situazioni

epidemiologiche,  socio-sanitarie  e  culturali  differenti. Il ruolo

delle Regioni, nel campo della formazione sanitaria continua, diviene

cosi’  un ulteriore strumento per il pieno esercizio delle competenze

attribuite  dalla  Costituzione  alle  Regioni  stesse:  elemento  di

crescita  degli  operatori  sanitari,  di loro sensibilizzazione alle

realta’,  in  una  parola, di coerenza e di compliance della qualita’

professionale  con  le  specifiche  richieste  dei  cittadini  e  del

territorio.

    Infine,  gli  obiettivi formativi di libera scelta dell’operatore

sanitario  rappresentano  l’elemento  eticamente forse piu’ rilevante

della  nuova  formazione  permanente:  essi,  infatti,  si richiamano

direttamente  alla capacita’ dell’operatore di riconoscere le proprie

esigenze formative, ammettere i propri limiti e decidere di colmarli.

    Un   ulteriore   elemento   di   novita’   e’  rappresentato  dal

coinvolgimento  di  Ordini, Collegi e Associazioni professionali, non

solo  quali  attori  della  pianificazione della formazione, ma anche

quali  organismi di garanzia della sua aderenza agli standard europei

ed  internazionali.  Sotto  quest’ultimo  profilo,  attenzione dovra’

essere  posta  proprio  all’armonizzazione  tra  il sistema formativo

italiano  e  quello  europeo, in coerenza con i principi della libera

circolazione dei professionisti.

    Ancora,   le   Societa’   Scientifiche   dovranno  trovare  ampia

valorizzazione  nel  sistema  della  formazione continua, garanti non

solo  della solidita’ delle basi scientifiche degli eventi formativi,

ma anche della qualita’ pedagogica e della loro efficacia.

    Da  ormai  molti  anni  la  maggior  parte  delle Societa’ Medico

Scientifiche  Italiane si e’ riunita nella Federazione Italiana delle

Societa’  Medico  Scientifiche  (FISM),  che ha operato per dare agli

specialisti  italiani  un ruolo di interlocuzione con le Istituzioni,

inteso   primariamente   come   contributo   culturale  ed  operativo

all’identificazione  ed  allo  sviluppo  delle  attivita’ sanitarie e

mediche  nel Paese. Oggi le Societa’ Scientifiche hanno trovato pieno

riconoscimento  del loro ruolo per l’ECM, la cui organizzazione si e’

cosi’ arricchita di risorse culturali ed umane.

    Nel  sistema  che  si  sta  creando, dovra’ anche essere dedicata

attenzione  al  mondo  della  editoria,  sia cartacea che on-line, in

maniera  da  garantire  che  i prodotti immessi in circolazione siano

coerenti con le finalita’ del sistema formativo.

    Da  ultimo,  ma  non  meno importante, e’ il coinvolgimento degli

Istituti  di  Ricovero  e Cura a Carattere Scientifico, delle Aziende

Ospedaliere   e  delle  Universita’   nonche’  delle  altre  strutture

sanitarie  pubbliche  e  private: esse rappresentano la naturale sede

della  formazione  continua,  in  quanto  in  grado di offrire quella

«formazione  in  contesto  professionale»,  eminentemente  pratica ed

operativa,  senza  la  quale  la  formazione  continua rimane un mero

esercizio  cognitivo,  privo  di  qualsiasi  possibilita’ di ricaduta

concreta sulla qualita’ delle cure.

2.6. Promuovere l’eccellenza e riqualificare le strutture ospedaliere

    Per  molti  anni  l’ospedale  ha  rappresentato  nella sanita’ il

principale  punto di riferimento per medici e pazienti: realizzare un

Ospedale ha costituito per piccoli e grandi Comuni italiani un giusto

merito,  ed il poter accedere ad un Ospedale situato a breve distanza

dalla  propria  residenza  e’ diventato un elemento di sicurezza e di

fiducia  per la popolazione, che ha portato l’Italia a realizzare ben

1.440 Ospedali, di dimensioni e potenzialita’ variabili.

    Ancora fino agli anni ’70 gli strumenti diagnostici e terapeutici

dei  medici  e  degli  Ospedali  erano  relativamente  limitati:  non

esistevano  le  apparecchiature  sofisticate di oggi e quindi non era

necessario  disporre  di  superspecialisti.  Gli  importanti sviluppi

intervenuti  successivamente,  basta  citare  l’impetuoso  affermarsi

delle tecnologie sanitarie basate sulle bio-immagini, che ha visto il

progressivo  diffondersi  delle  ecografie,  TAC, NMR, e PET a fianco

della  radiologia  tradizionale  hanno  comportato  l’obsolescenza di

costosissime  apparecchiature nel giro di pochi anni. Negli ultimi 20

anni  e’  cambiata  la  tecnologia,  ed  e’  cambiata  la demografia:

l’aspettativa di vita e’ cresciuta fino a raggiungere i 76,0 anni per

gli  uomini  e  gli  82,4  anni  per le donne, cosicche’ la patologia

dell’anziano,  prevalentemente  di tipo cronico, sta progressivamente

imponendosi  su quella dell’acuto. Si sviluppa conseguentemente anche

il  bisogno  di  servizi  socio-sanitari,  in  quanto molte patologie

croniche  richiedono  non  solo  interventi  sanitari, ma soprattutto

servizi   per   la   vita  di  tutti  i  giorni,  la  gestione  della

non-autosufficienza, l’organizzazione del domicilio e della famiglia,

sulla  quale  gravano  maggiormente  i  pazienti  cronici.  Nasce  la

necessita’   di   portare  al  domicilio  del  paziente  le  cure  di

riabilitazione  e quelle palliative con assiduita’ e competenza, e di

realizzare  forme  di  ospedalizzazione  a  domicilio  con  personale

specializzato,  che  eviti al paziente di muoversi e di affrontare il

disagio di recarsi in Ospedale.

    Alla  luce  di  questo  nuovo  scenario  la nostra organizzazione

ospedaliera,  un  tempo  assai  soddisfacente,  necessita  oggi di un

ripensamento.

    Un  Ospedale  piccolo  sotto  casa  non e’ piu’ una sicurezza, in

quanto  spesso  non  puo’ disporre delle attrezzature e del personale

che consentono di attuare cure moderne e tempestive.

    Solo  se  si  sapra’  cogliere, con questa ed altre modalita’, il

cambiamento  ed  il nuovo che avanza in sanita’, se si sapra’ attuare

una  buona comunicazione con i cittadini per far loro capire come sia

necessario,   nel  loro  interesse,  assecondare  il  cambiamento  ed

adeguarvisi, se si sapra’ gestire il servizio pubblico con mentalita’

imprenditoriale  sara’  offerta  al  Paese una sanita’ piu’ efficace,

piu’  moderna  ed  anche economicamente piu’ vantaggiosa, modificando

una  realta’  che continua ad assorbire risorse per mantenere servizi

di limitata utilita’.

    E’ importante sottolineare che l’Italia recentemente, ha ritenuto

strategico  il collegamento in rete degli Ospedali di eccellenza e di

questi  con  gli  Ospedali  Italiani nel mondo. Si tratta di oltre 40

strutture   distribuite   nei   vari  Continenti,  con  le  quali  il

collegamento  offre  potenziali  vantaggi  in  quanto  contribuisce a

legare  le comunita’ italiane all’estero, ma che ha vantaggi evidenti

soprattutto  per  i  Paesi  africani  dove  esistono ben 20 strutture

italiane  per  le quali si puo’ ipotizzare la costruzione di una rete

verticale anziche’ orizzontale. Verticale nel senso che presso questi

Ospedali  si  puo’  realizzare un teleconsulto e un sistema educativo

via rete per l’aggiornamento del personale italiano che, a sua volta,

puo’  trasferire  queste  conoscenze  al personale locale, creando in

loco  le  capacita’  professionali  per  rendere  questi  Paesi  piu’

autonomi dal punto di vista sanitario.

Gli obiettivi strategici:

    sostenere  le  Regioni nel loro programma di ridisegno della rete

ospedaliera, con la finalita’ da un lato di convertire la funzione di

alcuni  Ospedali  minori  e di attivare la ospedalita’ a domicilio, e

dall’altro di realizzare Centri avanzati di Eccellenza;

    attivare,  da parte delle Regioni e dello Stato, una forte azione

di  comunicazione  con  la  popolazione,  tesa  a  chiarire  il senso

dell’operazione,  che  e’  quello  di  fornire  ai  cittadini servizi

ospedalieri  piu’  efficaci  e  piu’  moderni, riducendo i cosiddetti

viaggi  della  speranza  ed  i relativi disagi e costi, attivando nel

contempo  servizi  per  i  pazienti cronici ed alleviando il peso che

questi comportano per le rispettive famiglie;

    concordare  con  le  Regioni  una  metodologia  di  misura  della

qualita’ degli erogatori dei servizi sanitari.

2.7. Promuovere  il territorio quale primaria sede di assistenza e di

governo dei percorsi Sanitari e Socio-Sanitari

    Piu’   in   generale,  si  rende  evidente  la  necessita’  ormai

inderogabile  di organizzare meglio il territorio spostandovi risorse

e  servizi  che  oggi  ancora  sono  assorbiti dagli ospedali, in una

logica  di sanita’ ospedalocentrica che oggi non e’ piu’ sostenibile.

Ancora  una volta quindi l’attenzione si sposta sui MMG e pediatri di

libera  scelta,  ai  quali si deve pero’ chiedere di giocare un ruolo

maggiore che in passato.

    Il   nuovo   piano  Sanitario  Nazionale,  e’  lo  strumento  per

individuare  un  nuovo assetto dell’organizzazione della medicina nel

territorio.   I   problemi   economici,   le   liste  di  attesa,  il

sotto-utilizzo   e  l’utilizzo  improprio  di  risorse  nel  sistema,

impongono una reinterpretazione del rapporto territorio-ospedale.

    Il gradimento dei cittadini verso l’assistenza di base, consiglia

di  recuperare  a  pieno  questa risorsa riportandola al centro della

risposta  sanitaria  e  di  governo  dei  percorsi  sanitari. Cio’ in

raccordo con le altre presenze nel territorio.

    Questo  dovra’  uniformarsi con un governo unitario della Sanita’

nel   territorio,   espresso  nella  partecipazione  alle  scelte  di

programmazione,  che  dovra’ essere sintonizzato con gli obiettivi di

salute della programmazione e quindi premiare la professionalita’, la

qualita’   e   la   quantita’   di  lavoro,  nonche’  un  conseguente

riconoscimento nel sistema sanitario.

Obiettivo di questo riordino sono:

    la  garanzia  di una appropriata erogazione dei servizi a partire

dei LEA;

    il   mantenimento   nel   territorio   di   tutte   le  attivita’

ambulatoriali;

    un’efficace continuita’ assistenziale;

    la fornitura di attivita’ specialistiche;

    l’abbattimento delle liste d’attesa;

    la riduzione di ricoveri ospedalieri impropri;

    la attivazione dei percorsi assistenziali.

    L’obiettivo  prioritario  e’  la  realizzazione di un processo di

riordino  che  garantisca  un  elevato  livello di integrazione tra i

diversi  servizi  sanitari  e sociali, realizzato con il supporto del

medico dell’assistenza sanitaria di base. Un processo teso a fornire,

l’unitarieta’ tra prestazioni sanitarie e sociali, la continuita’ tra

azioni  di  cura  e  riabilitazione,  la  realizzazione  di  percorsi

assistenziali   integrati,   l’intersettorialita’  degli  interventi,

unitamente  al  conseguente  riequilibrio  di  risorse  finanziarie e

organizzative  in  rapporto  all’attivita’ svolta tra l’ospedale e il

territorio a favore di quest’ultimo.

    E’  noto  quanto sia importante il coordinamento degli interventi

ed  a  tale  scopo  individuare  nel territorio soluzioni innovative,

organizzative  e  gestionali per orientare diversamente la domanda di

prestazioni.

    Il  territorio  e’  sempre stato considerato erogatore di servizi

extra  ospedalieri,  oggi  e’  necessario indirizzare chiaramente una

nuova   e  razionale  offerta  di  prestazioni  sul  territorio,  che

configuri l’intervento ospedaliero come assistenza extra territoriale

sempre piu’ riservato alle patologie acute.

    E’  una  linea  che  inverte  il  tradizionale sistema di offerta

sanitaria   fondata  prioritariamente  sull’ospedale  che  attende  i

cittadini  ai  servizi,  a  favore  di  una  linea  che identifica il

territorio  quale soggetto attivo che intercetta il bisogno sanitario

e  si  fa  carico  in  modo  unitario  delle  necessita’  sanitarie e

socio-assistenziali dei cittadini.

2.7.-bis Potenziare i Servizi di Urgenza ed Emergenza

    Per  quanto  attiene  al  sistema  di emergenza-urgenza attivo in

Italia,  sono  state  emanate  nell’aprile  1996  le  Linee Guida che

forniscono  le  indicazioni  sui requisiti organizzativi e funzionali

della  rete  dell’emergenza e sulle Unita’ operative che compongono i

Dipartimenti  di  Urgenza ed Emergenza (DEA) di I e II livello. Sulla

base  di tali indicazioni il sistema dell’emergenza sanitaria risulta

costituito da:

      un  sistema  di  allarme  sanitario,  assicurato dalla centrale

operativa,  alla  quale  affluiscono tutte le richieste di intervento

sanitario  in  emergenza tramite il numero unico telefonico nazionale

(118);

      un  sistema territoriale di soccorso costituito da idonei mezzi

di soccorso distribuiti sul territorio;

      una  rete  di  servizi  e  presidi  ospedalieri, funzionalmente

differenziati e gerarchicamente organizzati.

    Relativamente  a  particolari  specialita’  le  Linee Guida sopra

citate   prevedono   l’elaborazione   di    successivi   documenti  di

approfondimento  sulla  gestione di tematiche specifiche. Tra queste,

le  Linee  Guida sulla chirurgia e microchirurgia della mano e quelle

sul  triage  intraospedaliero  sono  state approvate dalla Conferenza

Stato-Regioni  e  pubblicate  nella Gazzetta Ufficiale del 7 dicembre

2001  mentre  quelle  sull’Organizzazione  di un sistema integrato di

assistenza   ai   pazienti   traumatizzati   con   mielolesioni   e/o

cerebrolesioni  sono  state  pubblicate  nella Gazzetta Ufficiale del

24 giugno 2002.

    Il  miglioramento  dei  servizi  di  urgenza ed emergenza riveste

infine  un  particolare  rilievo  per  le Isole minori e le localita’

montane  disagiate,  per  le  quali  sono  stati  previsti  specifici

interventi  sia dall’Accordo sui Livelli Essenziali di Assistenza sia

dalla legge Finanziaria del 28 dicembre 2001, n. 448. Infatti, mentre

l’Accordo  garantisce  l’erogazione  delle  prestazioni  previste dai

livelli, con particolare riguardo a quelle di emergenza-urgenza, alle

popolazioni  delle  Isole minori e delle comunita’ montane disagiate,

la  legge  Finanziaria  facilita  il  reclutamento  del  personale da

impiegare a tale scopo.

Gli obiettivi strategici:

    riorganizzazione   strutturale   dei   Pronto   Soccorso   e  dei

Dipartimenti d’emergenza e accettazione;

    integrazione del territorio con l’Ospedale;

    integrazione   della  rete  delle  alte  specialita’  nell’ambito

dell’emergenza    per    la    gestione    del   malato   critico   e

politraumatizzato.

2.8. Promuovere  la  ricerca  biomedica e biotecnologica e quella sui

servizi sanitari

    La realizzazione degli obiettivi di salute dipende in larga parte

dai  risultati  della  ricerca,  in  quanto  il progresso scientifico

contribuisce in maniera determinante alla scoperta di nuove terapie e

procedure diagnostiche ed alla individuazione di nuovi procedimenti e

di  nuove  modalita’  organizzative nell’assistenza e nell’erogazione

dei servizi sanitari.

    Il  sostegno  della  ricerca  comporta  dei costi, ma determina a

lungo  termine  il vantaggio, anche economico, di ridurre l’incidenza

delle malattie, e di migliorare lo stato di salute della popolazione.

    Il  convincimento che le sfide piu’ importanti si possano vincere

soltanto  con  l’aiuto della ricerca e dei suoi risultati ci spinge a

considerare   il  finanziamento  della  ricerca  un  vero  e  proprio

investimento e la sua organizzazione un obiettivo essenziale.

    Alla  luce  di  tutto  questo  aver  mantenuto  la spesa pubblica

italiana  per  la  ricerca  tra  le piu’ basse in Europa, rispetto al

prodotto interno lordo nazionale, ha rappresentato un grave danno per

il  nostro  Paese.  Da piu’ parti si e’ elevato a questo proposito il

monito che, uscendo dalle difficolta’ economiche momentanee, l’Italia

debba  approntare  un  piano strategico di rilancio della ricerca che

inizi  con  l’attribuire a questo settore maggiori risorse pubbliche.

Tuttavia va anche ricordato che il rilancio della ricerca non dipende

solo dalla disponibilita’ di fondi pubblici.

    Per quanto riguarda la ricerca nell’ambito dell’Unione Europea e’

fondamentale  che  l’Italia  svolga  a  pieno  il ruolo che le spetta

nell’ambito   del   Sesto  Programma  Quadro  (2002-2006)  di  Azione

Comunitaria  di  Ricerca, Sviluppo Tecnologico e Dimostrazione per la

Realizzazione   dello   Spazio   Europeo  della  Ricerca,  dotato  di

importanti  risorse  finanziarie.  Cio’ non solo perche’ il Programma

Quadro  contribuira’  a  modificare  nell’arco di cinque anni in modo

radicale l’assetto della ricerca in Europa, ma anche perche’ l’Italia

ha  il  dovere  di  sviluppare  la ricerca a sostegno delle politiche

comunitarie   e  di  quelle  destinate  a  rispondere  alle  esigenze

emergenti.

Gli obiettivi strategici:

    la  semplificazione delle procedure amministrative e burocratiche

per la autorizzazione ed il finanziamento della ricerca;

    la  promozione  delle  collaborazioni e delle reti di scambio tra

ricercatori,  istituti  di  ricerca,  istituti  di cura, associazioni

scientifiche ed associazioni di malati;

    la  elaborazione dello studio di modelli che creino le condizioni

favorevoli per l’accesso alla ricerca e per favorire la mobilita’ dei

ricercatori tra le varie Istituzioni;

    la  promozione  delle  collaborazioni tra Istituzioni pubbliche e

private nel campo della ricerca;

    l’attivazione  di  strumenti di flessibilita’ e convenienza per i

ricercatori,  capaci  di  attirare  ricercatori  operanti all’estero,

inclusi  i  rapporti con i capitali e gli istituti privati italiani e

stranieri,  in  rapporto  di  partenariato  o di collaborazione senza

limiti burocratici eccessivi;

    l’attivazione  di  una  politica  che  renda  vantaggioso  per le

imprese  investire  nella ricerca in Italia, utilizzando modelli gia’

sperimentati negli altri Paesi;

    il  perseguimento  degli  obiettivi prioritari previsti dal sesto

Programma  Quadro  Comunitario  in tema di ITC, Biotecnologie e nuovi

materiali, nano e microtecnologie;

    il  perseguimento  degli  obiettivi  previsti dai quattro assi di

intervento previsti dal PNR.

2.9. Promuovere  gli  stili  di  vita  salutari,  la prevenzione e la

comunicazione pubblica sulla salute

    Le  conoscenze scientifiche attuali dimostrano che l’incidenza di

molte patologie e’ legata agli stili di vita.

    a) Oltre  ad  una  crescente  quota di popolazione in sovrappeso,

numerose  patologie  sono correlate, ad esempio, ad una alimentazione

non  corretta.  Tra queste, alcuni tipi di tumori, il diabete mellito

di   tipo  2,  le  malattie  cardiovascolari  ischemiche,  l’artrosi,

l’osteoporosi, la litiasi biliare, lo sviluppo di carie dentarie e le

patologie  da carenza di ferro e carenza di iodio. Una caratteristica

della  prevenzione  delle  malattie  connesse all’alimentazione e’ la

necessita’ di coinvolgere gran parte della popolazione e non soltanto

i  gruppi  ad  alto  rischio. La strategia di prevenzione deve essere

rivolta  pertanto  all’intera  popolazione,  presso  la quale occorre

diffondere  raccomandazioni  per una sana alimentazione in termini di

nutrienti,  di  scelta  di  profili  alimentari  salutari,  ma  anche

coerenti con le consuetudini, che tengano conto dei fattori culturali

e  socio-economici. L’accento va posto sulla lettura ed utilizzazione

della etichettatura nutrizionale, adottata per un numero crescente di

alimenti  preconfezionati,  che  puo’  facilitare  scelte  idonee  ed

indurre  il settore industriale a migliorare la qualita’ nutrizionale

degli alimenti prodotti.

    I  disturbi  del  comportamento  alimentare  (anoressia   nervosa,

bulimia,  altri  disturbi  del  comportamento alimentare) mostrano, a

partire  dagli  anni  ’70, un significativo incremento di incidenza e

prevalenza.  I  valori attuali di prevalenza in Italia nelle donne di

eta’  compresa  tra  i  12  e  i  25 anni (soggetti a rischio) sono i

seguenti (dati riguardanti solo le sindromi complete e non i disturbi

sub clinici): anoressia nervosa 0,3-0,5%; bulimia nervosa 1-3%; altri

disturbi del comportamento alimentare 6%.

    Un  problema che riveste un interesse prioritario e’ quello della

dieta  e  del  sovrappeso,  sul  quale  ha richiamato l’attenzione di

recente  il  Consiglio dei Ministri Europeo e per il quale si rimanda

all’apposito capitolo.

    Anche  su  questi  temi  vanno  attuate,  a  fini di prevenzione,

campagne  di  sensibilizzazione  anche  nella  scuola, nei consultori

adolescenziali e presso i medici di medicina generale.

    b) Nell’ambito  dell’adozione  di stili di vita sani, l’attivita’

fisica   riveste   un   ruolo   fondamentale.   Il  ruolo  protettivo

dell’esercizio  fisico  regolare  e’ stato dimostrato soprattutto nei

confronti  delle  patologie  cardiovascolari  e  cerebrovascolari, di

quelle  osteoarticolari  (in  particolare l’osteoporosi), metaboliche

(diabete),   della  performance  fisica  e  psichica  degli  anziani.

L’esercizio  fisico  regolare  aiuta  a controllare il peso corporeo,

riduce l’ipertensione arteriosa e la frequenza cardiaca ed aumenta il

benessere psicofisico.

    c) Il  fenomeno  del  tabagismo  e’  molto  complesso  sia  per i

risvolti  economici,  psicologici  e sociali sia, soprattutto, per la

pesante  compromissione  della  salute  e  della qualita’ di vita dei

cittadini,  siano  essi soggetti attivi (fumatori) o soggetti passivi

(non fumatori).

    Oggi  la comunita’ scientifica e’ unanime nel considerare il fumo

di   tabacco   la   principale   causa  di  morbosita’  e  mortalita’

prevenibile.  Infatti  e’ scientificamente dimostrato l’aumento della

mortalita’  nei fumatori rispetto ai non fumatori per molte neoplasie

quali  ad  esempio  il  tumore del polmone, delle vie aeree superiori

(labbra, bocca, faringe e laringe), della vescica e del pancreas.

    Il  fumo  e’  causa  anche  di  un  aumento  della mortalita’ per

affezioni  cardiovascolari,  aneurisma dell’aorta e broncopneumopatie

croniche ostruttive.

    Si  stima  che,  ad  oggi,  i  fumatori  nel  mondo siano circa 1

miliardo  e 100 mila, 1/3 della popolazione globale sopra i 15 anni e

1/3  di  questi siano donne. In Europa sono stati stimati 230 milioni

di fumatori, cioe’ circa il 30% dell’intera popolazione europea.

    In  Italia,  dalle indagini multiscopo dell’Istat risulta che nel

2000  la  percentuale  di  fumatori era pari al 24,1%: il 31,5% della

popolazione  maschile,  il 17,2% della popolazione femminile e ben il

21,3%  dei giovani tra i 14 e i 24 anni. I fumatori piu’ accaniti, in

termini  di  numero  medio  di  sigarette  fumate al giorno, sono gli

uomini con 16 sigarette al giorno contro le 12 delle donne.

    Nel  nostro Paese nel 1998 si sono verificati 570.000 decessi: il

15%  di  questi,  pari a 84.000 sono stati attribuiti al fumo, 72.000

nella popolazione maschile e 12.000 in quella femminile.

    Attualmente  il tumore al polmone e’ la decima causa di morte nel

mondo.  Alcuni  studi  predicono  che,  qualora  non si adottino piu’

concrete  politiche antifumo, il tumore al polmone sara’ nel 2020 tra

le prime 5 cause di morte al mondo.

    L’analisi  della  distribuzione  percentuale  dei  fumatori negli

ultimi 10 anni (1991-2000), che non mostra diminuzioni significative,

ci  induce  a  pensare  che  le  politiche intraprese finora dai vari

Governi  e  supportate  anche da Organizzazioni sopranazionali, quali

l’OMS, non hanno ottenuto i risultati attesi.

    La  normativa  nazionale  sul divieto di fumo nei locali pubblici

utilizzata  finora,  risulta  essere limitata ed inefficace nella sua

applicazione.   Il   divieto   di   fumo,  cosi’  come  regolamentato

sostanzialmente  dalla  legge  n.  584  dell’11 novembre 1975 e dalla

direttiva 14 dicembre 1995, non e’ sufficiente. Questa normativa, nel

tentativo  di  puntualizzare  i  luoghi  ove  e’  vietato fumare e di

affidare   il   rispetto   delle   norme  a  responsabili  sprovvisti

dall’autorita’   necessaria,   ha,  di  fatto,  creato  incertezze  e

difficolta’ che hanno vanificato lo sforzo del legislatore.

    Un  ulteriore  sviluppo normativo approvato in via definitiva dal

Parlamento  il 21 dicembre 2002 prevede l’applicazione del divieto di

fumo  a  tutti gli spazi confinati, ad eccezione di quelli adibiti ad

uso  privato  e  a  quelli  eventualmente  riservati  ai fumatori che

dovranno essere dotati di appositi dispositivi di ricambio d’aria per

tutelare la salute dei lavoratori addetti.

    Gli interventi legislativi, comunque, devono essere coniugati con

maggiori  e  piu’ incisive campagne di educazione ed informazione sui

danni  procurati dal fumo attivo e/o passivo, la cui efficacia potra’

essere  maggiore  se  verranno rivolte soprattutto ai giovani in eta’

scolare e alle donne in eta’ fertile.

    Una  campagna  indirizzata  ai  ragazzi  di 14 e 15 anni e’ stata

iniziata  nelle  scuole  dal  Ministero  della  Salute  e  da  quello

dell’Istruzione,  Universita’  e Ricerca scientifica con l’iniziativa

denominata   «Missione   Salute»   che   si   propone  di  supportare

l’educazione alla Salute nelle nostre scuole.

    In particolare per i giovani va tenuto conto che si e’ registrato

un abbassamento dell’eta’ in cui questi iniziano a fumare (15 anni) e

che  il  90%  dei  fumatori inizia a consumare sigarette prima dei 20

anni.  Inoltre,  se  si considera che l’iniziazione alle sigarette e’

fortemente  influenzata,  sia  nelle  ragazze  sia  nei  ragazzi,  da

pressioni  sociali, da bisogni psicologici, da condizionamenti legati

a  compagni  ed  amici  e  da  fattori familiari quali la presenza di

genitori  che  fumano, risulta evidente che un appropriato intervento

deve  essere  perseguito  con un adeguato comportamento di coloro che

rivestono  ruoli  percepiti  dai  ragazzi come carismatici, inclusi i

genitori,  gli  insegnanti,  gli  operatori  sanitari e i mass media.

Sara’  da  modificare  in particolare il modello proposto nei decenni

precedenti  che presentava il fumatore come un personaggio emancipato

e carismatico; al contrario la nuova politica adottata negli USA, che

attribuisce  al  fumatore un basso livello socio-culturale, e’ quella

che  piu’  si  avvicina alle realta’ e che meglio puo’ contrastare la

cultura del secolo scorso.

    Essendo  scientificamente  provata  la  correlazione  tra  fumo e

patologie  del  feto,  risulta di particolare rilievo l’intervento di

sensibilizzazione  destinato  alle donne in eta’ fertile. Infatti, ad

esempio, il deficit congenito di un arto, nel quale una parte o tutto

l’arto del feto puo’ non svilupparsi, e’ doppio nelle donne fumatrici

rispetto  alle non fumatrici. L’aborto spontaneo, si produce in quasi

4.000 donne su 100.000 che fumano e il rischio di gravidanza ectopica

e’  doppio  rispetto alle non fumatrici. I bambini di madri fumatrici

pesano  alla  nascita  in  media  150-200  grammi  in  meno. Le donne

fumatrici  sono piu’ soggette a fenomeni quali la placenta previa, il

distacco  di  placenta, le emorragie gestazionali, la rottura precoce

della membrana amniotica, le infezioni del liquido amniotico. Inoltre

alcuni studi dimostrano che l’esposizione dei neonati al fumo passivo

aumenta  il  rischio  di  SIDS  (Sudden  Infant Death Sindrome) ed in

particolare  e’  direttamente  proporzionale  al consumo di sigarette

fumate  dalla  madre  e al numero di sigarette fumate in presenza dei

neonati.

    d) La  riduzione dei danni sanitari e sociali causati dall’alcool

e’,   attualmente,  uno  dei  piu’  importanti  obiettivi  di  salute

pubblica,  che  la  gran parte degli Stati persegue per migliorare la

qualita’   della   vita   dei  propri  cittadini.  Numerose  evidenze

dimostrano  che  gli  individui  (ed  i  giovani  in particolare) che

abusano   dell’alcool   risultano   piu’   frequentemente  inclini  a

comportamenti ad alto rischio per se’ e per gli altri (quali guida di

autoveicoli  e lavoro in condizioni psico-fisiche inadeguate) nonche’

al fumo e/o all’abuso di droghe rispetto ai coetanei astemi. L’alcool

agisce  come  «ponte»  per gli individui piu’ giovani, rappresentando

una  delle  possibili  modalita’ di approccio a sostanze illegali, le

cui conseguenze spesso si estendono ben oltre la salute della persona

che  ne fa direttamente uso. Benche’ il consumo di bevande alcooliche

in  Italia  sia  andato  diminuendo  dal 1981, notevoli sforzi devono

essere  posti  in  essere  per  raggiungere  gli  obiettivi  adottati

dall’OMS  e,  in  particolare,  dall’Unione  Europea  con  la recente

approvazione di una specifica strategia per la riduzione dei pericoli

connessi all’alcool.

    Una  corretta  informazione  sui  problemi  della  salute,  sulle

malattie, e sui comportamenti e le soluzioni piu’ adatte a promuovere

lo  stato  di  salute  sta  alla  base  di  una  moderna societa’ del

benessere.  Molti  sono  infatti  gli  strumenti  che la scienza e la

tecnologia  moderna  mettono  a  disposizione della collettivita’ per

tutelare  le  condizioni  di  vita  e  di  salute.  Molti sono anche,

peraltro,  i  fattori  di  minaccia  per  la  salute, vecchi e nuovi,

dall’inquinamento  agli  errori  alimentari,  agli  abusi di sostanze

potenzialmente  dannose,  alla  mancata  prevenzione.  Anche sostanze

innocue  come  il  sale  da cucina, se assunto in quantita’ eccessive

possono   essere   causa   di   malattie   a   carico   dell’apparato

cardio-vascolare.

    Va  inoltre  sottolineata  l’importanza di sottoporsi a periodici

controlli  e  a test di screening consigliati per la diagnosi precoce

dei tumori nelle eta’ e con i tempi appropriati.

    Alcune  importanti informazioni di carattere sanitario non sono o

sono  scarsamente  accessibili ai pazienti. Questo e’, ad esempio, il

caso delle informazioni:

      sulle possibili terapie alternative per particolari malattie;

      sullo sviluppo di alcuni approcci terapeutici;

      sull’esito di alcune sperimentazioni cliniche;

      sulle  caratteristiche  delle  diverse strutture sanitarie e le

diverse possibilita’ di cura;

      sulle modalita’ di accesso alle cure.

    Le  informazioni  necessarie  ai  pazienti  per  orientarsi sulle

decisioni  in  materia  di  salute  dovrebbero essere fornite in modo

comprensibile  e  aggiornato.  Benche’  il  ruolo  del  medico  e del

farmacista   rimanga   fondamentale  nell’informare  i  pazienti,  e’

necessario  tenere  conto  del  fatto  che lo sviluppo della societa’

dell’informazione   offre   numerosi  altri  strumenti,  ivi  incluso

Internet,  il  cui  impatto  potrebbe  essere  altamente  benefico se

opportunamente  utilizzati.  In  effetti, esistono gia’ numerosi siti

web   che  forniscono  una  varieta’  di  informazioni  di  carattere

sanitario,  ma  la  qualita’  dell’informazione fornita non e’ sempre

soddisfacente ed, in alcuni casi, e’ addirittura fuorviante.

    Costituisce  un  obbligo  prioritario  per  il Servizio Sanitario

Nazionale  quello  di  fornire  ai  cittadini  corretti  strumenti di

informazione,   che  consentano  di  evitare  i  rischi,  di  attuare

comportamenti   salutari,   e   di   conoscere  e  saper  individuare

adeguatamente  ed  in  tempo  utile i possibili segnali di squilibrio

psicofisico e di malattia.

    Oltreche’  all’importanza della informazione sulla salute rivolta

ai   cittadini,   il   Servizio  Sanitario  Nazionale  deve  prestare

attenzione  anche  alle  opportunita’  dello sviluppo di una corretta

comunicazione   tra  cittadini  ed  Istituzioni.  Fino  ad  un recente

passato  il  rapporto  terapeutico era inteso quasi esclusivamente «a

senso  unico»,  nel  quale  le  informazioni  passavano dal medico, o

dall’operatore  sanitario,  al  paziente, o ai suoi familiari. In uno

stato  moderno,  nel  quale i cittadini possiedono livelli di cultura

piu’  elevati,  e  soprattutto ambiscono a partecipare attivamente ai

processi  sociali  ed  economici  che  li  riguardano,  la  relazione

bi-direzionale tra operatori e utenti e’ d’obbligo.

    Le Istituzioni sanitarie devono rispondere a numerose istanze sul

complesso  e  articolato tema della salute, moltiplicando in tal modo

la  quantita’  dei  temi  e  dei  messaggi,  che  rischiano  cosi’ di

disperdersi  in piu’ percorsi di comunicazione, non potendo avere una

sufficiente massa critica di risorse.

    Si  nota  inoltre su alcune tematiche di pubblico valore, oggetto

in  passato  di attivita’ comunicazionale, un mancato coordinamento a

livello   di  obiettivi  strategici  desiderati,  o  addirittura  una

sovrapposizione  degli  sforzi da parte di diversi enti, che anziche’

creare   valore   incrementale   alla   comunicazione   rischiano  di

indirizzare ai cittadini messaggi incoerenti o poco chiari.

    L’insieme  di  queste  considerazioni  evidenzia la necessita’ di

modificare  l’approccio  alla  comunicazione  istituzionale  in campo

sanitario   se   si  vuole  raggiungere  risultati  significativi  su

questioni di altissimo impatto.

Gli obiettivi strategici

    Occorre    orientare   l’attivita’  e  gli  impegni  del  Servizio

Sanitario  Nazionale  affinche’  esso  si muova nella direzione dello

sviluppo  di un sistema di monitoraggio e comunicazione per tutti gli

utenti,  effettivi  e  potenziali,  sugli  stili  di  vita   sani e la

prevenzione sanitaria.

    Cio’ implica la necessita’ di:

      acquisire gli elementi necessari per comprendere le esigenze di

informazione dei cittadini in tema di salute e di sanita’;

      avviare  un  processo  di  valutazione ed interpretazione della

domanda di salute;

      individuare  i nodi critici della comunicazione tra operatori e

utenti;

      mettere  a  fuoco  le  lacune  in  tema di capacita’ diffuse di

prevenzione;

      progettare una banca-dati di informazioni aggiornate sulla rete

dei servizi sanitari e socio-sanitari e sulle prestazioni offerte, ed

un   relativo   sistema   di   trasmissione   e  distribuzione  delle

informazioni;

      contribuire  al  consolidamento  di  una corretta cultura della

salute nel Paese;

      coinvolgere  soggetti  plurimi,  pubblici  e privati, in comuni

imprese ed iniziative di comunicazione ed informazione sulla salute e

la sanita’;

      portare   a   regime  un  piano  pluriennale  di  comunicazione

istituzionale sulla salute.

2.10. Promuovere    un    corretto   impiego   dei   farmaci   e   la

farmacovigilanza

    L’uso   razionale   dei   medicinali   rappresenta  un  obiettivo

prioritario  e strategico del Piano Sanitario Nazionale, per il ruolo

che il farmaco riveste nella tutela della salute.

    A  seguito dell’emanazione della legge 16 novembre 2001 n. 405, i

farmaci  rappresentano  uno dei settori piu’ avanzati di applicazione

del  processo di devoluzione di competenze alle Regioni, in un quadro

peraltro  di  garanzia  per  tutti  i cittadini di accesso ai farmaci

essenziali.

    L’attuazione   del   Programma   Nazionale  di  Farmacovigilanza,

costituisce  lo  strumento attraverso il quale valutare costantemente

il profilo di beneficio-rischio dei farmaci, e garantire la sicurezza

dei  pazienti  nell’assunzione  dei  medicinali.  Piu’  in  generale,

bisogna puntare sul buon uso del farmaco.

    In  tale  contesto,  si  inserisce  l’invio  a  tutte le famiglie

italiane  dell’opuscolo  «Pensiamo  alla salute. 20 regole per un uso

corretto  dei  farmaci»,  a  cura  del  Ministero  della Salute. Tale

iniziativa   intende  costituire  un  supporto  di  conoscenza  e  di

informazione per tutti i cittadini sul corretto ruolo dei farmaci nel

contesto della salute, mettendo in relazione l’uso dei medicinali con

l’attenzione a stili di vita adeguati.

    L’Italia   ritiene  necessario  l’aggiornamento  della  normativa

europea  in  materia  di  medicinali  e  a tal fine si adoperera’ per

mettere  a  punto  nuovi  sviluppi  basati sulla collaborazione degli

Stati membri e della Commissione Europea secondo quanto delineato dal

gruppo di lavoro ad alto livello su «Innovazione e disponibilita’ dei

medicinali»  (cosiddetto  gruppo  G-10 medicinali) che ha adottato 14

raccomandazioni  in  materia  di  politica  farmaceutica  relative ad

innovazione,  accessibilita’,  bench-marking, diritti di informazione

dei pazienti ed impatto dell’allargamento dell’U.E.

Gli obiettivi strategici

    Gli  obiettivi  strategici  nel  settore del buon uso del farmaco

possono essere cosi’ definiti:

      offrire  un  supporto  sistematico  alle Regioni sull’andamento

mensile della spesa farmaceutica, attraverso informazioni validate ed

oggettive,  che  consentano  un puntuale monitoraggio della spesa, la

valutazione  dell’appropriatezza  della  farmacoterapia  e  l’impatto

delle  misure  di  contenimento della spesa adottate dalle Regioni in

base alla citata legge n. 405 del 2001;

      attuare   il   Programma   Nazionale  di  Farmacovigilanza  per

assicurare  un sistema capace di evidenziare le reazioni avverse e di

valutare   sistematicamente   il  profilo  di  rischio-beneficio  dei

farmaci;

      porre il farmaco fra i temi nazionali dell’ECM;

      rafforzare  l’informazione  sui  farmaci rivolta agli operatori

sanitari e ai cittadini;

      promuovere l’appropriatezza delle prescrizioni e dei consumi;

      rilanciare  la  sperimentazione  clinica dei farmaci e il ruolo

dei comitati etici locali;

      assicurare  l’accesso agevole e rapido ai medicinali innovativi

per tutti i cittadini.

                            Parte Seconda

                       GLI OBIETTIVI GENERALI

3. La promozione della salute

    L’aumento  della  longevita’  in  Italia potra’ essere conseguito

soprattutto  attraverso  la diminuzione della mortalita’ per malattie

cardiovascolari, la riduzione della mortalita’ prematura per cancro e

una  migliore  prevenzione  degli  incidenti  e degli infortuni. Sono

numerose  in  Italia,  come  in  altri  Stati,  le cause di morte che

potrebbero  essere  prevenute  da  un  intervento  medico o di salute

pubblica  appropriato (morti evitabili). Un primo gruppo comprende le

malattie  per le quali i fattori etiologici sono stati identificati e

il cui impatto dovrebbe essere ridotto attraverso idonei programmi di

prevenzione   primaria.   Un   secondo  gruppo  include  le  malattie

neoplastiche   la  cui  diagnosi  precoce,  unitamente  alla  terapia

adeguata,  ha  dimostrato  di  aumentare  notevolmente  il  tasso  di

sopravvivenza  dei  pazienti.  Un  terzo  gruppo, piu’ eterogeneo, e’

formato da malattie associate a condizioni igieniche scarse, quali ad

esempio   l’epatite   virale   A,  e  da  altre  malattie  fortemente

influenzate  dall’efficienza del sistema sanitario nel provvedere una

diagnosi  corretta  e  un tempestivo trattamento appropriato. Secondo

alcune  stime recenti, vi sarebbero state in Italia nel 1998 circa 80

mila  morti  evitabili per il 57,7% mediante la prevenzione primaria,

per  il  9,9% attraverso diagnosi precoci e per la restante parte con

una  migliore  assistenza  sanitaria.  L’incremento  del numero delle

persone   anziane   pone   la   necessita’   di  promuovere  la  loro

partecipazione  alla  vita  sociale,  contrastando  l’emarginazione e

rafforzando  l’integrazione fra politiche sociali e sanitarie al fine

di assicurare l’assistenza domiciliare per evitare ogni volta che sia

possibile l’istituzionalizzazione.

3.1. Vivere a lungo, vivere bene

    L’aspettativa  di  vita  a  65  anni  in Italia ha evidenziato la

tendenza  ad un progressivo aumento a partire dal 1970 per entrambi i

sessi:  nel  corso degli anni fra il 1983 e il 1993, l’aspettativa di

vita  a 65 anni e’ aumentata di 2,3 anni per le femmine (+13,5%) e di

2  anni  per  i maschi (+14,5%). Nell’anno 2000 l’aspettativa di vita

alla  nascita e’ stata stimata essere pari a 82,4 anni per le donne e

a  76,0  anni per gli uomini. Tuttavia, l’aumento della longevita’ e’

un  risultato  valido  se  accompagnato  da  buona  salute e da piena

autonomia.   A   tale  scopo  e’  stato  sviluppato  il  concetto  di

«aspettativa   di  vita  sana  (o  esente  da  disabilita)».  I  dati

disponibili,  pur  limitati,  suggeriscono  che l’aspettativa di vita

esente  da  disabilita’,  sia  per  i  maschi  che per le femmine, si

avvicini  in Italia alla semplice aspettativa di vita maggiormente di

quanto non avvenga in altri Paesi.

    Secondo  gli obiettivi adottati nel 1999 dall’OMS (Organizzazione

Mondiale  della  Sanita) per gli Stati europei, ivi inclusa l’Italia,

entro l’anno 2020:

      vi dovrebbe essere un aumento, almeno del 20%, dell’aspettativa

di vita e di una vita esente da disabilita’ all’eta’ di 65 anni;

      vi  dovrebbe  essere  un  aumento,  di  almeno  il  50%,  nella

percentuale  di persone di 80 anni che godono di un livello di salute

che  permetta  loro  di  mantenere la propria autonomia e la stima di

se’.

3.2. Combattere le malattie

    3.2.1. Le malattie cardiovascolari e cerebrovascolari

    Le malattie cardiovascolari sono responsabili del 43% dei decessi

registrati  in  Italia  nel  1997,  per  il  31%  dovute  a patologie

ischemiche  del  cuore  e  per  il 28% ad accidenti cerebrovascolari.

Notevoli  differenze  si  registrano  in  diverse  parti d’Italia sia

nell’incidenza sia nella mortalita’ associata a queste malattie.

     I   principali   fattori  di  rischio  a  livello  individuale  e

collettivo  sono il fumo di tabacco, la ridotta attivita’ fisica, gli

elevati  livelli  di  colesterolemia  e  di pressione arteriosa ed il

diabete  mellito;  la  presenza  contemporanea   di due o piu’ fattori

moltiplica  il rischio di andare incontro alla malattia ischemica del

cuore e agli accidenti cardiovascolari.

    Per  quanto  riguarda  gli  interventi finalizzati alla riduzione

della letalita’ per malattie cardiovascolari e’ ormai dimostrato come

la mortalita’ ospedaliera per infarto acuto del miocardio, rispetto a

quanto  avveniva  negli  anni ’60 prima dell’apertura delle Unita’ di

Terapia  Intensiva  Coronaria  (UTIC),  sia notevolmente diminuita e,

dopo  l’introduzione  della  terapia  trombolitica,  si  sia  ridotta

ulteriormente.  Cio’  che  resta  invariata  nel tempo e’, invece, la

quota  di  pazienti  affetti  da  infarto miocardio acuto che muore a

breve   distanza   dall’esordio   dei   sintomi   prima  di  giungere

all’osservazione  di  un  medico.  Per quanto riguarda l’ictus (circa

110.000  cittadini  sono  colpiti  da  ictus ogni anno mentre piu’ di

200.000   sono  quelli  con  esiti  di  ictus  pregressi),  si  rende

indispensabile     riorganizzare    operativamente     e    promuovere

culturalmente  l’attenzione all’ictus cerebrale come emergenza medica

curabile.  E’  necessario, quindi, prevedere un percorso integrato di

assistenza   al   malato   che  renda  possibile  sia  un  intervento

terapeutico  in  tempi  ristretti  per evitare l’instaurarsi di danni

permanenti, e dall’altro canto un tempestivo inserimento del paziente

gia’  colpito  da  ictus  in  un  sistema  riabilitativo  che  riduca

l’entita’ del danno e favorisca il recupero funzionale.

    Per  contrastare  sia  le  malattie  cardiovascolari  sia  quelle

cerebrovascolari,  e’ molto importante intensificare gli sforzi nella

direzione della prevenzione primaria e secondaria, attraverso:

      la modificazione dei fattori di rischio quali fumo, inattivita’

fisica, alimentazione errata, ipertensione, diabete mellito;

      il trattamento con i farmaci piu’ appropriati.

    E’ necessario anche migliorare le attivita’ di sorveglianza degli

eventi acuti.

    L’obiettivo  adottato nel 1999 dall’Organizzazione Mondiale della

Sanita’  per  gli  Stati dell’Europa per l’anno 2020 e’ quello di una

riduzione  della  mortalita’  cardiovascolare in soggetti al di sotto

dei 65 anni di eta’ pari ad almeno il 40%.

    3.2.2. I tumori

    Il cancro costituisce la seconda causa di morte nel nostro Paese.

Nel  1998 i decessi per tumore sono stati circa 160.000, il 28% circa

della  mortalita’  complessiva. Il maggior numero assoluto di decessi

e’  attribuibile ai tumori polmonari, seguono quelli del colon-retto,

dello stomaco e della mammella.

    Si  stima  che  in Italia siano diagnosticati circa 270.000 nuovi

casi di tumore all’anno.

    L’incidenza  dei  tumori  nella  popolazione  italiana anziana e’

ancora  in aumento, mentre i tassi di incidenza, aggiustati per eta’,

sono  stimati  stabili.  Nei  dati  dei  Registri Tumori Italiani, il

tumore  del  polmone  e’  quello con il massimo livello di incidenza,

seguono i tumori della mammella, del colon-retto e dello stomaco.

    La   distribuzione   geografica   del   cancro   in    Italia   e’

caratterizzata  dall’elevata  differenza di incidenza e di mortalita’

fra grandi aree del Paese, in particolare fra Nord e Sud. In entrambi

i  sessi e per la maggior parte delle singole localizzazioni tumorali

ed  in  particolare  per i tumori a maggiore frequenza, il rischio di

ammalare  e’ molto superiore al Nord che al Sud del Paese. Nel 1997 i

tassi  standardizzati per eta’ della mortalita’ per cancro sono stati

per 1.000 abitanti pari a:

      uomini:  Nord-Ovest:  3,85; Nord-Est: 3,63; Centro: 3,35; Sud e

Isole: 3,03;

      donne:  Nord-Ovest:  1,93;  Nord-Est: 1,83; Centro: 1,76; Sud e

Isole: 1,57.

    La  sopravvivenza  in  presenza  della  malattia e’ costantemente

aumentata nel tempo, a partire dal 1978, anno dal quale si dispone di

dati.  L’incremento in Italia e’ stato il piu’ forte tra tutti quelli

osservati  nei  Paesi  europei.  Le probabilita’ di sopravvivenza a 5

anni, nell’ultimo periodo disponibile (pazienti diagnosticati fino al

1994),  sono  complessivamente  del 47% (39% negli uomini e 56% nelle

donne).  Nel  corso di 5 anni, rispetto alle osservazioni precedenti,

la  sopravvivenza  e’  migliorata  del 7% negli uomini e del 6% nelle

donne.

    La  differenza  tra  sessi  e’  dovuta  soprattutto  alla  minore

letalita’ dei tumori specifici della popolazione femminile.

    Il fumo e le abitudini alimentari scorrette (compreso l’eccessivo

consumo  di  alcool)  sono fattori di rischio riconosciuti, per molte

categorie  di  tumori,  con  peso  etiologico  variabile,  e  possono

spiegare  circa  i  2/3 di tutti i casi di tumore. Gli interventi per

contrastare  questi fattori, cui sono dedicati specifici capitoli del

presente Piano Sanitario, sono, quindi, di fondamentale importanza.

    La  diagnosi  precoce, che consenta la rimozione del tumore prima

della  diffusione  nell’organismo di cellule metastatiche, sarebbe in

via di principio, risolutiva almeno per i tumori solidi. Essa avrebbe

inoltre un riscontro quasi immediato nelle statistiche di mortalita’.

In  pratica la diagnosi precoce clinica puo’ non essere sufficiente a

salvare  la vita del paziente, anche se puo’ in molti casi allungarne

il  tempo di sopravvivenza e migliorarne la qualita’ della vita. Deve

essere  incentivato  e reso disponibile l’approfondimento diagnostico

anche  in  soggetti  con sintomi lievi e con basso potere predittivo,

con particolare attenzione alla popolazione anziana.

    Alle  persone  sane  vanno  proposti  solo  esami di screening di

comprovata  efficacia  nella  riduzione  del tasso di mortalita’ e di

morbilita’  dovute al cancro, che allo stato delle attuali conoscenze

sono il Paptest, la mammografia e la ricerca del sangue occulto nelle

feci.

    Tra   i  problemi  che  affliggono  l’erogazione  di  un’adeguata

assistenza  ai  cittadini  affetti   da  neoplasia maligna, oltre alla

mancanza  di  «ospedalizzazione  a  domicilio», vi e’ la scarsita’ di

adeguate  strutture  ospedaliere  specializzate  nel  trattamento del

cancro. Gli aspetti negativi di questa situazione sono essenzialmente

due:  1) la gran variabilita’ della casistica clinica non consente ai

tecnici  di focalizzare il loro interesse professionale alla diagnosi

e terapia di questa patologia; 2) la necessita’ di fronteggiare tutte

le  patologie e la limitatezza dei fondi disponibili non consentono a

tutti   di   acquisire  le  apparecchiature  necessarie  per  erogare

prestazioni adeguate (basta pensare alle poche Unita’ di Radioterapia

presenti sul territorio nazionale).

    L’oncologia  e’  una  disciplina  che  coinvolge  molti  enti con

diverso  interesse  principale,  perche’  non  essendo ancora nota la

causa  etiologica  e’  necessaria un’intensa attivita’ di ricerca che

comprende  la  ricerca di base, la ricerca cosiddetta traslazionale e

la ricerca clinica propriamente detta.

    Si  e’  pero’  venuta  a creare una situazione non bene definita,

perche’  questa  suddivisione  di  compiti  ha  confini molto sfumati

essenzialmente   per   la   mancanza  di  un  accordo  formale  sulla

suddivisione di compiti tra enti diversi.

    Sia   a  livello  nazionale sia a livello europeo sta per iniziare

una  discussione  su  questo  problema:  l’Unione Europea ha lanciato

un’iniziativa  definita  «European Cancer Research Iniziative» il cui

scopo  essenziale  e’  di aiutare la Commissione Europea a definire i

contenuti  della  parte oncologica del VI Programma Quadro. Nel corso

della  discussione  e’ pero’ emersa come prioritaria la necessita’ di

risolvere  i  problemi dei pazienti a livello individuale e di salute

pubblica.   La  proposta  formulata  dalle  Associazioni  Oncologiche

europee  e’  di definire un modello di centro oncologico cui dare tre

obiettivi prioritari:

      1) migliorare gli standard di prevenzione, diagnosi e terapia;

      2) favorire la parita’ tra pazienti e medici;

       3)  migliorare  l’accesso  alle strutture di diagnosi e cura in

Europa.

    3.2.3. Le cure palliative

    In  Italia muoiono ogni anno oltre 159.000 persone a causa di una

malattia  neoplastica  (Istat,  1998)  ed  il  90%  di esse (143.100)

necessita    di  cure  palliative  che  si  realizzano  attraverso  la

formulazione  e  l’offerta  di  un  piano  personalizzato  di cura ed

assistenza in grado di garantire la migliore qualita’ di vita residua

possibile  durante  gli ultimi mesi di vita al paziente stesso e alla

sua  famiglia.  Tale  fase, definita comunemente «fase terminale», e’

caratterizzata  per  la  persona malata da una progressiva perdita di

autonomia,  dal  manifestarsi  di sintomi fisici e psichici spesso di

difficile  e  complesso  trattamento, primo fra tutti il dolore, e da

una  sofferenza  globale,  che  coinvolge anche il nucleo familiare e

quello  amicale  e  tale  da  mettere  spesso  in crisi la rete delle

relazioni sociali ed economiche del malato e dei suoi cari.

    La  fase terminale non e’ caratteristica esclusiva della malattia

oncologica,  ma rappresenta una costante della fase finale di vita di

persone affette da malattie ad andamento evolutivo, spesso cronico, a

carico  di numerosi apparati e sistemi, quali quello respiratorio (ad

es.  insufficienza  respiratoria  refrattaria  in  persone affette da

malattie  polmonari  croniche),  cardio-circolatorio  (ad es. persone

affette  da  miocardiopatie dilatative), neurologico (ad es. malattie

degenerative  quali la sclerosi multipla), epatico (ad es. cirrosi) e

di  persone colpite da particolari malattie infettive, in primo luogo

l’A.I.D.S.

    Le  cure  palliative  si  rivolgono  ai  pazienti  colpiti da una

malattia  che  non  risponde  piu’  a  trattamenti specifici e la cui

diretta  conseguenza  e’  la  morte.  Il controllo del dolore e degli

altri  sintomi,  l’attenzione  agli  aspetti  psicologici,  sociali e

spirituali  e’,  quindi,  di  fondamentale importanza. Lo scopo delle

cure  palliative e’ il raggiungimento della migliore qualita’ di vita

possibile  per  i  pazienti  e  le  loro  famiglie. Alcuni interventi

palliativi  sono  applicabili  anche  precocemente  nel decorso della

malattia, in aggiunta al trattamento specifico.

    La  filosofia cui le cure palliative si ispirano, quindi, e’ tesa

a produrre azioni finalizzate al miglioramento della qualita’ di vita

del paziente.

    Esse:

      affermano  la  vita  e  considerano  il  morire  come un evento

naturale;

      non accelerano ne’ ritardano la morte;

      provvedono al sollievo dal dolore e dagli altri disturbi;

      integrano gli aspetti psicologici e spirituali dell’assistenza;

      aiutano i pazienti a vivere in maniera attiva fino alla morte;

      sostengono la famiglia durante la malattia e durante il lutto.

     La  maggior  parte delle regioni ha gia’ provveduto a definire la

programmazione  della rete degli interventi di cure palliative, anche

se  con modalita’ tra loro in parte differenti: molte hanno elaborato

programmi  regionali  specifici per le cure palliative ed altre hanno

inserito lo sviluppo delle cure palliative all’interno del piu’ vasto

programma  di  riorganizzazione  della rete di interventi domiciliari

sanitari,  socio-sanitari  ed  assistenziali  (rete  per  la  cura ed

assistenza domiciliare).

    Cio’  che  emerge e’ la necessita’ di un modello di intervento di

cure  palliative  flessibile  ed  articolabile  in  base  alle scelte

regionali,  ma che, garantisca in tutto il Paese la risposta ottimale

ai  bisogni  della  popolazione, sia a quelli dei malati sia a quelli

delle famiglie.

    La  necessita’  di  offrire  livelli assistenziali a complessita’

differenziata, adeguati alle necessita’ del malato, mutevoli anche in

modo rapido ed imprevedibile, rende necessario programmare un sistema

a  rete  che  offra  la  maggior  possibilita’  di  integrazione  tra

differenti  modelli  e  livelli  di  intervento  e tra i differenti e

numerosi soggetti professionali coinvolti.

    La  rete  deve essere composta da un sistema di offerta nel quale

la  persona  malata  e  la sua famiglia, ove presente, possano essere

guidati  e  coadiuvati  nel  percorso  assistenziale  tra  il proprio

domicilio, sede di intervento privilegiata ed in genere preferita dal

malato   e   dal   nucleo  familiare,  e  le  strutture  di  degenza,

specificamente   dedicate   al   ricovero/soggiorno  dei  malati  non

assistibili   presso   la   loro  abitazione.  La  rete  sanitaria  e

socio-sanitaria   deve   essere  strettamente  integrata  con  quella

socio-assistenziale,  al  fine  di offrire un approccio completo alle

esigenze della persona malata.

    Ai  fini  di  promuovere  la  diffusione delle cure palliative e’

necessario quindi:

      rivedere  alcuni  aspetti normativi riguardo all’uso di farmaci

antidolorifici,   migliorando   la   disponibilita’  degli  oppiacei,

semplificando la prescrizione medica, prolungando il ciclo di terapia

e rendendone possibile l’uso anche a casa del paziente;

      individuare precise Linee Guida in materia di terapia antalgica

per prevenire gli abusi ed orientare il medico nella prescrizione;

      implementare la rete assistenziale;

      attivare un sistema di valutazione;

      realizzare programmi di comunicazione e sensibilizzazione della

popolazione;

      sostenere specifici programmi di ricerca;

      promuovere  l’integrazione  nella rete di cure palliative delle

Organizzazioni  no-profit  operanti  in questo settore, attraverso la

valorizzazione delle Associazioni di Volontariato.

    3.2.4. Il diabete e le malattie metaboliche

    Le malattie metaboliche, in progressivo aumento anche in rapporto

con  l’innalzamento della vita media della popolazione, rappresentano

una causa primaria di morbilita’ e mortalita’ nel nostro Paese.

    Il diabete di tipo 1, dipendente da carenza primaria di insulina,

necessita  di  trattamento  specifico  insulinico  sostitutivo, ma la

gravita’  della  prognosi  e’  strettamente  legata  ad  una corretta

gestione,  da  parte  degli  stessi  pazienti, dello stile di vita in

generale e di quello alimentare in particolare.

    Pertanto e’ opportuno attivare:

      programmi  di prevenzione primaria e secondaria, in particolare

per  il diabete mellito in eta’ evolutiva, con l’obiettivo di ridurre

i  tassi  di  ospedalizzazione  ed  i tassi di menomazione permanente

(cecita’, amputazioni degli arti);

      strategie  per  migliorare  la  qualita’  di vita dei pazienti,

attraverso programmi di educazione ed informazione sanitaria.

    L’incidenza  del  diabete  di  tipo 2 (non dovuto alla carenza di

insulina,  cosiddetto  dell’adulto)  e’ in aumento in tutto il mondo,

sia  in  quello  occidentale  che nei Paesi in via di sviluppo, anche

perche’  la  diagnosi  viene  posta  in fase piu’ precoce rispetto al

passato.

    L’incremento  epidemico  dei  casi  di  obesita’,  d’altra parte,

rappresenta  di  per  se’  un’importante  fattore  di  rischio per la

comparsa clinica della malattia diabetica.

    Vi  e’  oggi  convincente evidenza che il counselling individuale

finalizzato  a  ridurre  il  peso  corporeo,  a  migliorare le scelte

alimentari  (riducendo  il  contenuto  di  grassi  totali e di grassi

saturi e aumentando il contenuto in fibre della dieta) e ad aumentare

l’attivita’  fisica,  riduce  il  rischio  di  progressione  verso il

diabete del 58% in 4 anni.

    Le   complicanze   del  diabete  sono  prevalentemente  a  carico

dell’apparato   cardiocircolatorio   e   possono  essere  decisamente

penalizzanti per la qualita’ e la durata della vita. In massima parte

possono  essere  prevenute  dalla diagnosi precoce, dal miglioramento

del  trattamento  specifico  e  da  programmi di educazione sanitaria

orientati   all’autogestione   della  malattia.  In  particolare,  la

riduzione  ed  il  controllo  del  peso  corporeo, oltre a ridurre il

rischio di comparsa clinica del diabete, contribuisce anche a ridurre

il   rischio   delle   sue   complicanze,  specie  quelle  di  eventi

cardiovascolari.

    L’OMS  ha posto come obiettivo per l’anno 2020 la riduzione di un

terzo dell’incidenza delle complicanze legate al diabete.

    Due  milioni  di italiani hanno dichiarato di soffrire di diabete

secondo   l’indagine   multiscopo   ISTAT   con  notevoli  differenze

geografiche di prevalenza autopercepita e questo dato e’ coerente con

la  rilevazione  della  rete  di osservatori cardiovascolari relativa

alla  distribuzione  della glicemia ed alla proporzione di diabetici.

E’  pero’  assai probabile che il numero di italiani diabetici, senza

sapere di esserlo, sia altrettanto alto.

    Una  strategia  di  educazione  comportamentale,  di  prevenzione

globale delle patologie metaboliche e di conseguenza della morbilita’

e  mortalita’  da  danno  vascolare  e cardiaco, non puo’ prescindere

dall’affrontare il problema del sovrappeso e dell’obesita’.

    L’obesita’  e’  la  seconda  causa  di morte prevenibile, dopo il

fumo. Nel mondo industrializzato, circa meta’ della popolazione e’ in

eccesso  di  peso.  In  Italia  negli ultimi dieci anni la prevalenza

dell’obesita’  e’  aumentata  del  50%  e questo e’ piu’ evidente nei

soggetti     in    eta’    pediatrica,    soprattutto   nelle   classi

socio-economiche  piu’  basse.  I  costi socio-sanitari dell’obesita’

hanno  superato, negli Stati Uniti, i 100 miliardi di dollari l’anno,

mentre  per  l’Italia,  i costi diretti dell’obesita’ sono stimati in

circa  23  miliardi  di  euro  l’anno. La maggior parte di tali costi

(piu’ del 60 %), e’ dovuta a ricoveri ospedalieri, ad indicare quanto

il sovrappeso e l’obesita’ siano i reali responsabili di una serie di

gravi   patologie   cardiovascolari,   metaboliche,  osteoarticolari,

tumorali  e  respiratorie  che  comportano una ridotta aspettativa di

vita ed un notevole aggravio per il Sistema Sanitario Nazionale.

    3.2.5 I Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA)

    I  Disturbi  del  Comportamento  Alimentare  (DCA) in particolare

l’anoressia  nervosa  e la bulimia nervosa, sono malattie mentali che

comportano gravi danni somatici, con un rischio di morte dodici volte

maggiore  di  quello  dei  soggetti  normali  della stessa eta’: essi

rappresentano  un problema socio-sanitario molto importante per tutti

i   Paesi   sviluppati,  e  quindi  anche  per  l’Italia.  A  livello

internazionale, gli studi di prevalenza, condotti su donne fra i 12 e

25   anni,  hanno  indicato  valori  compresi  tra  0.2  e  0.8%  per

l’anoressia nervosa e tra 0.5 e 1.5% per la bulimia nervosa.

    L’incidenza  dell’anoressia  nervosa  negli  ultimi  anni risulta

stabilizzata  su valori di 4-8 nuovi casi annui per 100.000 abitanti,

mentre  quella  della  bulimia  nervosa  risulta  in  aumento,  ed e’

valutata  in  9-12  nuovi  casi/anno. La maggior parte degli studi e’

stata  effettuata  in  paesi  anglosassoni  e  in  Italia  sono stati

rilevati dati sovrapponibili.

    Per  quanto attiene all’obesita’ e’ oramai dimostrato che nel suo

trattamento   l’intervento   di   ordine   psico-comportamentale   e’

fondamentale  nel  determinare il successo terapeutico, anche se deve

essere  ribadito  che  si  tratta  di una condizione definita su base

morfologica   ma   non   ancora   adeguatamente  inquadrata  su  base

psicopatologica.

    Lo  studio  e  la  cura  della  obesita’ e piu’ in generale della

Sindrome Metabolica, si intrecciano profondamente e indissolubilmente

con  lo  studio  e  la  cura  del comportamento alimentare e dei suoi

disturbi  (anoressia nervosa, bulimia nervosa, binge eating disorder,

night  eating  syndrome,  etc.)  per quanto suddetto e per almeno tre

altri motivi:

      per  tutte  queste  patologie  nessuna  cura e’ efficace se non

implica  un cambiamento profondo del comportamento alimentare e dello

stile di vita;

      cure  inadeguate  dell’obesita’ sono corresponsabili del grande

aumento dei disordini alimentari nel mondo contemporaneo;

      come   la   cura   dell’obesita’,   anche  quella  dei  DCA  e’

multidisciplinare   e   impone   la  collaborazione  tra  internisti,

nutrizionisti, psichiatri e psicologi.

    Sia   per   l’obesita’  che  per  i  disturbi  del  comportamento

alimentare  si  segnalano la gravissima insufficienza delle strutture

sanitarie,  l’inadeguatezza  della  formazione  attuale  di base e la

necessita’ di un approccio multidimensionale.

    La  lotta  all’obesita’  ed  ai DCA mira a diminuire il numero di

persone  che  si  ammalano di questi stati morbosi e ad aumentare, in

coloro  che  ne  sono  affetti,  la  probabilita’  di migliorare o di

sopravvivere  in  condizioni  soddisfacenti.  Le strategie si possono

articolare in aree che hanno caratteristiche e tempi di realizzazione

differenti: prevenzione primaria, prevenzione secondaria, assistenza,

formazione,   ricerca.   Queste  azioni  potranno  beneficiare  delle

informazioni ottenute attraverso gli strumenti epidemiologici, il cui

obiettivo prioritario e’ quello di:

      controllare  prevalenza  e  incidenza della SM, dell’obesita’ e

dei  DCA  con  lo  scopo  di identificare i casi secondo le categorie

previste  dall’OMS  e valutare il numero di nuovi malati in relazione

alla popolazione residente;

      individuare  i  soggetti  ad  alto  rischio per indirizzare con

maggiore precisione le politiche di intervento;

      valutare  l’efficacia  degli  interventi  mediante  controlli a

distanza di tempo.

    3.2.6. Le malattie respiratorie e allergiche

    Le  malattie polmonari croniche ostruttive hanno un grave impatto

sulla   qualita’   della  vita,  sulla  disabilita’,  sui  costi  per

l’assistenza  sanitaria, nonche’ sull’assenteismo dal lavoro in molti

Paesi  europei  ed  anche in Italia, anche se rispetto ad altri Paesi

europei,  l’Italia  mostra  un  tasso di mortalita’ al di sotto della

media dell’Unione Europea. In Italia, inoltre, il tasso di mortalita’

per  malattie croniche respiratorie, quasi interamente attribuibile a

bronchite  cronica  ed  enfisema  polmonare, mostra una tendenza alla

diminuzione,  che dovrebbe essere ulteriormente rafforzata attraverso

l’intensificazione  della  prevenzione  alle esposizioni ambientali e

occupazionali ed il miglioramento dei trattamenti terapeutici.

    La presenza di rinite allergica stagionale e perenne e’ invece in

costante  aumento  da  tempo e cosi’ pure l’asma allergica. I fattori

principali  alla  base  dell’aumento  della prevalenza delle malattie

allergiche  sono  l’inquinamento  intramurale  causato da acari della

polvere,  pelo  di gatto e miceti; il fumo di tabacco; l’inquinamento

atmosferico  causato  da  ozono, materiale particolato, NO2 e SO2; le

abitudini  alimentari; gli stili di vita (sempre piu’ tempo trascorso

in  ambienti  chiusi); le condizioni igieniche nonche’ l’introduzione

di nuove sostanze nei prodotti e nell’ambiente.

    Fra  le  altre  malattie  allergiche,  l’incidenza  cumulativa di

dermatite  atopica  prima  dei  7  anni  di eta’ e’ aumentata in modo

esponenziale  e  si  stima  che  essa  sia  pari  all’1%  circa nella

popolazione  generale.  Molto diffusa e’ anche la dermatite allergica

da  contatto  che si stima interessi circa l’1% della popolazione; il

nickel    e’    considerato    il   principale   responsabile   della

sensibilizzazione da contatto.

    La  diffusione  dell’asma  bronchiale  e’  un problema di sanita’

pubblica  rilevante  (l’asma  e’  malattia  sociale  riconosciuta dal

1999),  perche’  e’ la malattia cronica piu’ frequente tra i bambini,

per  i  quali  rappresenta  anche una causa importante di mortalita’,

nonostante i miglioramenti terapeutici.

    L’asma  richiede un approccio multidisciplinare, che comprende la

diagnosi   accurata,   l’educazione   dei   pazienti,  modifiche  del

comportamento,  l’individuazione  e  la  rimozione  delle  condizioni

scatenanti  l’attacco  di  asma, una appropriata terapia, e frequenti

controlli medici.

    Si  rende  necessario migliorare, tramite sistemi di sorveglianza

mirati, la conoscenza della epidemiologia dell’asma e delle patologie

allergiche  e  del ruolo etiologico di fattori genetici, personali ed

ambientali,  nonche’  dell’efficacia  dei  metodi  per  la  riduzione

dell’esposizione  agli  allergeni nell’ambiente e negli alimenti e la

valutazione  dell’impatto  di tali metodi sulla salute. E’ necessario

inoltre  promuovere  campagne  di  educazione  e  formazione  per  il

personale sanitario, per i pazienti e le loro famiglie.

    3.2.7. Le malattie reumatiche ed osteoarticolari

    Le   malattie  reumatiche  comprendono  un  variegato  numero  di

patologie,  caratterizzate  da  una  progressiva compromissione della

qualita’   della  vita  delle  persone  affette  per  la  perdita  di

autonomia,  per  i  disturbi  ed  i disagi lamentati ed a causa della

mancanza di significative aspettative di miglioramento o guarigione.

    Tali  patologie  rappresentano la piu’ frequente causa di assenze

lavorative  e  la  causa  del 27% circa delle pensioni di invalidita’

attualmente  erogate  in  Italia.  Il numero delle persone affette e’

stimato in circa 6 milioni, pari al 10% della popolazione generale.

    La  caratteristica  cronicita’ di queste malattie, la mancanza di

terapie  che  portino a favorevoli risoluzioni dei quadri clinici per

alcune   forme  gravi,  la  disabilita’  provocata,  con  progressiva

diminuzione  della  funzionalita’,   specie  a  carico  degli  arti  e

dell’apparato   locomotorio   e   la  conseguente  diminuzione  della

capacita’  lavorativa e del grado di autonomia delle persone affette,

nonche’  l’elevato  numero  degli individui colpiti, rappresentano ad

oggi i maggiori punti di criticita’.

    Le  azioni  prioritarie  riguardano  l’estensione  della diagnosi

precoce  della  malattia  ed  il  miglioramento  della prestazione di

fisioterapia   e  riabilitazione.  E’,  inoltre,  necessario  ridurre

l’impatto  dei  fattori  di  rischio  associati  a queste patologie e

sviluppare  nuovi  medicinali  per  il  trattamento. Anche l’efficace

prevenzione dell’osteoporosi rappresenta un obiettivo prioritario.

    L’osteoporosi   e’   una   patologia  del  metabolismo  osseo  di

prevalenza  e  incidenza  in  costante  incremento che rappresenta un

rilevante  problema  sanitario.  La malattia coinvolge un terzo delle

donne  tra i 60 e i 70 anni e due terzi delle donne dopo gli 80 anni,

e  si  stima  che il rischio di avere una frattura da osteoporosi sia

nella   vita   della   donna   del   40%  contro  un  15%  nell’uomo.

Particolarmente  temibile  e’  la  frattura  femorale  per  l’elevata

mortalita’  (dal 15 al 30%) e per le invalidanti complicanze croniche

ad  essa  associate.   I piu’ noti e importanti fattori di rischio per

l’osteoporosi   sono   la   presenza   di  fratture  patologiche  nel

gentilizio,  la  presenza  anamnestica di fratture da traumi di lieve

entita’,  la  menopausa precoce per le donne, l’amenorrea prolungata,

il  fumo, l’abuso di alcolici, la magrezza, l’uso di corticosteroidi,

il  malassorbimento  intestinale, alcune patologie endocrine. Nessuna

terapia  consente  di  recuperare  la  massa  ossea persa, ma solo di

bloccarne   la   progressione   riducendo  il  rischio  di  fratture.

Fondamentale  quindi e’ la prevenzione, con misure volte a migliorare

lo stile di vita alimentare e fisico nei soggetti giovani e anziani.

    3.2.8. Le malattie rare

    Le  malattie  rare  costituiscono  un  complesso  di  oltre  5000

patologie, spesso fatali o croniche invalidanti, che rappresentano il

10%  delle  patologie che affliggono l’umanita’. Malattie considerate

rare  nei Paesi occidentali sono, a volte, molto diffuse nei Paesi in

via  di  sviluppo. Nel programma di azione per la lotta alle malattie

rare, la Commissione Europea ha definito rare quelle patologie la cui

incidenza  non  e’  superiore  a  5  su  10.000 abitanti. L’80% delle

malattie rare, circa 4000, e’ di origine genetica, mentre il restante

20% sono acquisite, ma non per questo meno gravi e invalidanti.

    Per   la   loro   rarita’,  queste  malattie  sono  difficili  da

diagnosticare  e,  spesso,  sono  pochi  i Centri specializzati nella

diagnosi  e  nella  cura;  per  molte  di esse, inoltre, non esistono

ancora  terapie  efficaci. La scarsa incidenza delle patologie rare e

la  frammentazione  dei pazienti affetti da tali patologie in diversi

Centri  sono  un  ostacolo  alle  innovazioni  terapeutiche possibili

attraverso   studi   clinici   controllati.   Inoltre,  le  industrie

farmaceutiche, a causa del mercato limitato, hanno scarso interesse a

sviluppare  la ricerca e la produzione dei cosiddetti farmaci orfani,

potenzialmente utili per tali patologie.

    Le  malattie  rare, essendo croniche e invalidanti, rappresentano

un  importante  problema sociale. La loro scarsa conoscenza comporta,

per  coloro  che  ne  sono  affetti  e per i loro familiari, notevoli

difficolta’  nell’individuare i Centri specializzati nella diagnosi e

nella  cura,  e,  quindi,  accedere a eventuali trattamenti, peraltro

scarsamente disponibili.

    Cio’  rende  indispensabile  un intervento pubblico coordinato al

fine di ottimizzare le risorse disponibili.

    A  livello  della  Unione  Europea  le  malattie  rare sono state

oggetto   di   attenzione   con  l’approvazione  della  Decisione  N.

1295/1999/CE del 29 aprile 1999 il cui programma d’azione prevede:

      il   miglioramento   delle   conoscenze  sulle  malattie  rare,

incentivando  la  creazione  di una rete europea d’informazione per i

pazienti e le loro famiglie;

      la  formazione  e  l’aggiornamento degli operatori sanitari, al

fine di migliorare la diagnosi precoce;

      il  rafforzamento  della  collaborazione  internazionale tra le

organizzazioni    di    volontariato    e   professionali   impegnati

nell’assistenza;

      il  sostegno  del  monitoraggio delle malattie rare negli Stati

membri.

    Rispetto  a tali problematiche, il Decreto Ministeriale 18 maggio

2001,  n. 279, emanato in attuazione dell’art. 5, comma 1, lettera b)

del decreto legislativo 29 aprile 1998, n. 124, prevede:

      l’istituzione  di  una  rete  nazionale  dedicata alle malattie

rare, mediante la quale sviluppare azioni di prevenzione, attivare la

sorveglianza,  migliorare  gli  interventi volti alla diagnosi e alla

terapia,  promuovere  l’informazione e la formazione, ridurre l’onere

che  grava  sui  malati  e  sulle  famiglie. La rete e’ costituita da

presidi  accreditati,  appositamente  individuati  dalle  Regioni per

erogare prestazioni diagnostiche e terapeutiche;

      l’ottimizzazione  del  Registro  delle Malattie Rare, istituito

presso  l’Istituto  Superiore  di  Sanita’, per poter avere a livello

nazionale dati sulla prevalenza, incidenza e fattori di rischio delle

diverse malattie rare;

      la  definizione  di  47  gruppi  di  malattie  comprendenti 284

patologie  (congenite  e  acquisite)  ai  fini  dell’esenzione  dalla

partecipazione al costo delle prestazioni sanitarie correlate;

      la  promozione  di protocolli diagnostici e terapeutici comuni,

lo  sviluppo  delle  attivita’ di ricerca tese al miglioramento delle

conoscenze e la realizzazione di programmi di prevenzione.

    Infine  l’accordo  Stato-Regioni  siglato  in data 11 luglio 2002

promuove l’istituzione di un gruppo tecnico interregionale permanente

cui  partecipano  il Ministero della salute e l’Istituto Superiore di

Sanita’  per  il  coordinamento  ed  il  monitoraggio delle attivita’

assistenziali  per  le  malattie  rare,  al  fine  di  ottimizzare il

funzionamento  delle  reti  regionali e salvaguardare il principio di

equita’ dell’assistenza per tutti i cittadini.

3.2.9. Le malattie trasmissibili prevenibili con la vaccinazione

    Ottimi  risultati  si  sono  registrati recentemente in Italia in

termini   di   controllo   di  alcune  malattie  prevenibili  con  le

vaccinazioni. La difterite e’ stata eliminata e il nostro Paese ha da

poco  ricevuto  la  certificazione  ufficiale  di  eradicazione della

poliomielite. Il tetano colpisce quasi esclusivamente persone anziane

non   vaccinate.   L’epatite  B  e’  in  continuo  declino,  in  modo

particolare  nelle  classi  di eta’ piu’ giovani, interessate fin dal

1991 dalla vaccinazione universale.

    Non  mancano,  tuttavia, in Italia numerose malattie per le quali

e’  necessario un controllo piu’ efficace attraverso le vaccinazioni.

La  vaccinazione  contro  il morbillo (incidenza nel 1999 pari a 5,05

casi  su 100.000) e’ raccomandata, ma il livello stimato di copertura

di  immunizzazione  e’  ancora  il piu’ basso tra i Paesi dell’Europa

occidentale  (56% nel 1998), con profonde differenze tra aree diverse

del  Paese.  La  rosolia  e’  ancora frequente (incidenza di 5,76 per

100.000  nel 1998) e nel 1999 sono stati denunciati in Italia piu’ di

40.400  casi  di  parotite  (tasso  di  incidenza: 70,2 per 100.000),

nonostante l’esistenza del vaccino combinato per parotite, morbillo e

rosolia  (vaccino  MMR),  il  cui  uso  e’  pero’ volontario, sebbene

raccomandato.

    L’incidenza della pertosse e’ ancora elevata (circa 7 per 100.000

abitanti  nel 1999, anno in cui sono stati notificati 3.797 casi); la

vaccinazione  e’  volontaria  ma  il  livello  stimato  di  copertura

vaccinale  e’ stato piuttosto alto nel 1998 (87,9%, con un intervallo

tra 70,5% e 97,6%) nei bambini di 24 mesi di eta’.

    Per quanto l’incidenza di epatite B stia lentamente diminuendo in

Italia  (nel  1999  essa  e’  stata del 2,74 per 100.000), il livello

permane  ancora  fra  i  piu’  elevati  dell’Europa  occidentale;  la

vaccinazione  contro  l’epatite  B  e’  obbligatoria  in Italia per i

bambini  fin dal 1991 e la stima della copertura, osservata nel 1998,

e’  stata  a  livello  nazionale  del  90%,  con solo tre Regioni con

copertura inferiore al 90%.

    La  vaccinazione  contro  l’Haemophilus influenzae di tipo B puo’

anche  prevenire  forme  invasive  della  malattia  quali meningiti e

polmoniti.  La  vaccinazione in Italia e’ volontaria ed il livello di

copertura  vaccinale  e’  molto basso e non uniformemente distribuito

nelle diverse Regioni.

    L’influenza rappresenta ancora, in Italia, un’importante causa di

morte  per  patologia  infettiva,  e  nel corso di epidemie estese il

tasso  d’attacco  dell’infezione  puo’  variare  dal  5%  al 30%, con

conseguenti    importanti   ripercussioni   negative   sull’attivita’

lavorativa e sulla funzionalita’ dei servizi di pubblica utilita’, in

primo  luogo di quelli sanitari. La copertura vaccinale negli anziani

di  eta’  pari  o  superiore  a  64  anni non ha superato nel periodo

1999-2000 il 41% circa a livello nazionale.

    La recente disponibilita’ di efficaci vaccini contro la varicella

e  contro  le  infezioni invasive da pneumococco, consente l’avvio di

iniziative  mirate  di prevenzione vaccinale orientate alla riduzione

dell’incidenza di queste importanti patologie.

    Occorre  procedere con decisione nella direzione della attuazione

degli obiettivi adottati dall’OMS per questo gruppo di malattie:

      entro il 2007 il morbillo dovrebbe essere eliminato ed entro il

2010 tale eliminazione deve essere certificata in ogni Paese;

      entro  l’anno  2010 tutti i Paesi dovrebbero avere un’incidenza

inferiore ad 1 per 100.000 abitanti per parotite, pertosse e malattie

invasive causate da Haemophilus influenzae di tipo B.

    Essendo  disponibili per queste malattie vaccini efficaci, questi

risultati   possono   essere   conseguiti  attraverso  una  serie  di

iniziative  che consentano il raggiungimento di appropriate coperture

vaccinali. In tale quadro e’ anche importante:

      individuare  ed  effettuare  indagini  rapide  riguardanti  gli

eventi epidemici;

      sorvegliare  la  frequenza  di  eventi  avversi  associabili  a

vaccinazione;

      sorvegliare  le  infezioni  nosocomiali e quelle a trasmissione

iatrogena;

      controllare   le  patologie  infettive acquisite in occasioni di

viaggi;

      diffondere  le informazioni sulla frequenza e prevenzione delle

malattie infettive;

      partecipare    efficacemente   al   sistema   di   sorveglianza

epidemiologico  per il controllo delle malattie infettive dell’Unione

Europea;

      combattere  il  crescente  problema  della resistenza acquisita

alla   maggior  parte  degli  antibiotici  disponibili  da  parte  di

microrganismi  patogeni,  soprattutto batteri, con gravi implicazioni

sul  trattamento  delle malattie infettive. Apposite Linee Guida sono

state  adottate  dal  Consiglio  dell’Unione  Europea nel 2000 e 2001

sull’uso  prudente  degli antibiotici nella medicina umana e in altri

settori   per  minimizzare  gli  inconvenienti  derivanti  da  questa

situazione.

    Appare  nel prossimo futuro la possibilita’ di realizzare diversi

nuovi vaccini tra i quali due in particolare di grande rilevanza:

      1)  vaccini  anti-HIV. L’Istituto Superiore di Sanita’ (ISS) ha

recentemente  sviluppato  e  brevettato  un nuovo vaccino sia di tipo

preventivo  che  terapeutico.  Tale  vaccino  basato  sull’uso  della

proteina  regolatoria TAT o del suo DNA ha dato lusinghieri risultati

di protezione nelle scimmie. In base a questi risultati l’ISS insieme

ad  altri  Centri  clinici  nazionali iniziera’ in primavera i trials

clinici  di  fase I. Un secondo vaccino basato sull’uso di componenti

strutturali  (Env,  Gag)  del  virus e’ stato sviluppato e brevettato

dalla   Chiron   con   risultati   anche  essi  promettenti,  la  cui

sperimentazione   clinica   di   fase   I   iniziera’  entro  l’anno.

Recentemente  l’ISS  e  la  Chiron hanno realizzato un accordo per lo

sviluppo  di  un  vaccino combinato, che contenendo le tre componenti

(TAT,  Env,  Gag)  e’  destinato potenzialmente ad avere una maggiore

efficacia rispetto ai singoli componenti;

      2) vaccino anti-HPV. Si tratta di un vaccino terapeutico contro

il  carcinoma  della cervice uterina brevettato negli Stati Uniti che

inizia  prossimamente  il suo cammino sperimentale nella donna. Anche

per  questo  vaccino  l’Istituto Superiore di Sanita’ sta realizzando

rapporti di partenariato con i produttori.

    3.2.10. La  sindrome  da  immunodeficienza  acquisita (AIDS) e le

malattie a trasmissione sessuale

    In  Italia,  il  numero  cumulativo  di  casi  di  AIDS segnalati

dall’inizio  dell’epidemia ha raggiunto quota 50.000, ma a partire da

meta’  del  1996  si  e’  osservato un decremento nel numero di nuovi

casi,  dovuto  in parte all’effetto delle terapie anti-retrovirali ed

in  misura  minore  agli  effetti  della  prevenzione.  I  sistemi di

sorveglianza  delle  nuove  diagnosi  di  infezione da HIV, attivi in

alcune  Regioni  italiane,  suggeriscono  che  l’incidenza  di  nuove

infezioni  si  e’  stabilizzata  negli  ultimi anni e a differenza di

quanto  accadeva tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90

non tende piu’ alla diminuzione.

    Le  altre  malattie  a  trasmissione sessuale piu’ frequentemente

diagnosticate  in  Italia  sono  i  condilomi acuminati, le infezioni

genitali  non  specifiche  (uretriti  batteriche non gonococciche ne’

causate  da Clamidia), la sifilide latente e l’Herpes genitale. Altre

classiche  malattie  veneree,  come  gonorrea  e  sifilide primaria o

secondaria,   sono  rispettivamente  al  settimo  e  nono  posto  per

frequenza.

    Secondo  l’obiettivo  definito  dall’OMS nel 1999, ciascuno Stato

dovrebbe  attuare,  entro  l’anno  2015, una riduzione dell’incidenza

della mortalita’ e delle conseguenze negative dell’infezione da HIV e

delle altre malattie a trasmissione sessuale.

    A tal fine, le azioni prioritarie da attuare sono:

      il   miglioramento   della   sorveglianza  e  del  monitoraggio

dell’infezione da HIV;

      il  contrasto  della trasmissione dell’HIV e degli altri agenti

infettivi;

      il  miglioramento  della  qualita’  della  vita  delle  persone

infette da HIV;

      la   riduzione   di  comportamenti  sessuali  a  rischio  e  la

promozione  di campagne di promozione della salute specialmente nella

popolazione giovanile;

      lo  sviluppo  del vaccino con interventi a favore della ricerca

che prevedano il co-finanziamento pubblico-privato;

      il reinserimento sociale dei pazienti con infezione da HIV.

    L’inserimento  sociale  delle  persone  affette  da AIDS trattate

precocemente  e  la  cui  attesa  di  vita e’ molto prolungata, e’ un

problema  che  dovremo  affrontare  con  maggior energia nel prossimo

futuro.

    Queste  persone  infatti costruiscono ora un progetto di vita, in

quanto  la  loro sopravvivenza viene assicurata dai farmaci per molti

anni.  Il  progetto  di  vita comprende il completo reinserimento nel

mondo  del  lavoro  e della societa’ in genere. Per queste persone e’

quindi  necessario  sviluppare programmi di accompagnamento su questo

percorso con adeguati sostegni e misure utili allo scopo.