Enti pubblici
Il nuovo piano sanitario nazionale per il triennio 2003-2005 I parte.
Il nuovo piano sanitario nazionale per il triennio 2003-2005 I parte.
DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 23 maggio 2003
Approvazione del Piano sanitario nazionale 2003-2005.
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Visto l’art. 1, comma 5, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni, che demanda al Governo la predisposizione e l’adozione del Piano sanitario nazionale, sentite le Commissioni parlamentari competenti per materia e le Confederazioni sindacali maggiormente rappresentative, d’intesa con la Conferenza unificata di cui all’art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281;
Visto l’art. 8 del citato decreto legislativo n. 281 del 1997;
Vista la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3;
Visto il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri in data 29 novembre 2001, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 33 dell’8 febbraio 2002, recante individuazione dei livelli essenziali di assistenza, di cui all’art. 1, comma 6, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni;
Viste le osservazioni delle Regioni formulate dalla Conferenza dei presidenti delle regioni e delle Province autonome nella seduta della Conferenza Stato-Regioni del 20 giugno 2002;
Acquisito il parere delle Confederazioni sindacali maggiormente rappresentative;
Acquisito il parere delle competenti Commissioni parlamentari della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica;
Preso atto dell’intesa intervenuta nell’ambito della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, unificata con la Conferenza Stato-citta’ ed autonomie locali nella seduta del 15 aprile 2003;
Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 18 aprile 2003;
Sulla proposta del Ministro della salute, di concerto con i Ministri per gli affari regionali e dell’economia e delle finanze;
Decreta:
Art. 1.
1. E’ approvato il Piano sanitario nazionale 2003-2005 nel testo risultante dall’atto di intesa tra Stato e Conferenza unificata, di cui all’allegato.
Il presente decreto, previa registrazione da parte della Corte dei conti, sara’ pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.
Dato a Roma, addi’ 23 maggio 2003
CIAMPI
Berlusconi, Presidente del Consiglio dei Ministri
Sirchia, Ministro della salute
La Loggia, Ministro per gli affari regionali
Tremonti, Ministro dell’economia e delle finanze
Visto, il Guardasigilli: Castelli
Registrato alla Corte dei conti il 13 giugno 2003
Ufficio di controllo preventivo sui Ministeri dei servizi alla persona e dei beni culturali, registro n. 4, foglio n. 113
Allegato PIANO SANITARIO NAZIONALE 2003-2005
I N D I C E
il quadro di riferimento
|I nuovi scenari e i fondamenti del Servizio sanitario
1. |nazionale
———————————————————————
1.1. |Il primo Piano sanitario nazionale dopo il cambiamento
———————————————————————
1.1.1.|L’etica del sistema
———————————————————————
|Dalla sanita’ alla salute: la nuova visione ed i principi
1.2. |fondamentali
Parte Prima: I dieci progetti per la strategia del cambiamento
2. |I dieci progetti per la strategia del cambiamento
———————————————————————
|Attuare, monitorare e aggiornare l’accordo sui livelli
|essenziali ed appropriati di assistenza e ridurre le liste
2.1. |di attesa
———————————————————————
|Promuovere una rete integrata di servizi sanitari e sociali
|per l’assistenza ai malati cronici, agli anziani e ai
2.2. |disabili
———————————————————————
|La cronicita’, la vecchiaia, la disabilita’: una realta’
|della societa’ italiana che va affrontata con nuovi mezzi e
2.2.1. |strategie
———————————————————————
2.2.2. |Le sfide per il Servizio sanitario nazionale
———————————————————————
|Garantire e monitorare la qualita’ dell’assistenza sanitaria
2.3. |e delle tecnologie biomediche
———————————————————————
|Potenziare i fattori di sviluppo (o {capitali}) della
2.4. |sanita’
———————————————————————
|Realizzare una formazione permanente di alto livello in
2.5. |medicina e sanita’
———————————————————————
|Promuovere l’eccellenza e riqualificare le strutture
2.6. |ospedaliere
———————————————————————
|Promuovere il territorio quale primaria sede di assistenza e
2.7. |di governo dei percorsi sanitari e socio-sanitari
———————————————————————
2.7-bis.|Potenziare i Servizi di urgenza ed emergenza
———————————————————————
|Promuovere la ricerca biomedica e biotecnologica e quella
2.8. |sui servizi sanitari
———————————————————————
|Promuovere gli stili di vita salutari, la prevenzione e la
2.9. |comunicazione pubblica sulla salute
———————————————————————
|Promuovere un corretto impiego dei farmaci e la
2.10. |farmacovigilanza
Parte Seconda: Gli obiettivi generali
3. |La promozione della salute
———————————————————————
3.1. |Vivere a lungo, vivere bene
———————————————————————
3.2. |Combattere le malattie
———————————————————————
3.2.1. |Le malattie cardiovascolari e cerebrovascolari
———————————————————————
3.2.2. |I tumori
———————————————————————
3.2.3. |Le cure palliative
———————————————————————
3.2.4. |Il diabete, le malattie metaboliche
———————————————————————
3.2.5. |I disturbi del comportamento alimentare
———————————————————————
3.2.6. |Le malattie respiratorie e allergiche
———————————————————————
3.2.7. |Le malattie reumatiche ed osteoarticolari
———————————————————————
3.2.8. |Le malattie rare
———————————————————————
3.2.9. |Le malattie trasmissibili prevenibili con la vaccinazione
———————————————————————
|La sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS) e le
3.2.10.|malattie a trasmissione sessuale
———————————————————————
3.3. |Ridurre gli incidenti e le invalidita’
———————————————————————
3.4. |Sviluppare la riabilitazione
———————————————————————
3.5. |Migliorare la medicina trasfusionale
———————————————————————
3.6. |Promuovere i trapianti di organo
———————————————————————
4. |L’ambiente e la salute
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4.1. |I cambiamenti climatici e le radiazioni ultraviolette
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4.2. |L’inquinamento atmosferico
———————————————————————
4.2.1. |L’amianto
———————————————————————
4.2.2. |Il benzene
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4.3. |La carenza dell’acqua potabile e l’inquinamento
———————————————————————
4.4. |Le acque di balneazione
———————————————————————
4.5. |L’inquinamento acustico
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4.6. |I campi elettromagnetici
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4.7. |Lo smaltimento dei rifiuti
———————————————————————
|Pianificazione e risposta sanitaria in caso di eventi
4.8. |terroristici ed emergenze di altra natura
———————————————————————
4.9 |Salute e sicurezza nell’ambiente di lavoro
———————————————————————
5. |La sicurezza alimentare e la sanita’ veterinaria
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6. |La salute e il sociale
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6.1. |Le fasce di poverta’ e di emarginazione
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6.2. |La salute del neonato, del bambino e dell’adolescente
———————————————————————
6.3. |La salute mentale
———————————————————————
6.4. |Le tossicodipendenze
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6.5. |La sanita’ penitenziaria
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6.6. |La salute degli immigrati
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IL QUADRO DI RIFERIMENTO
1. I nuovi scenari e i fondamenti del Servizio sanitario nazionale
1.1. Il primo Piano sanitario nazionale dopo il cambiamento
Il Piano 2003-2005 e’ il primo ad essere varato in uno scenario
sociale e politico radicalmente cambiato.
La missione del Ministero della salute si e’ significativamente
modificata da «pianificazione e governo della sanita» a «garanzia
della salute» per ogni cittadino. Il Servizio sanitario nazionale e’
un importante strumento di salute, ma non e’ l’unico: infatti il
benessere psico-fisico si mantiene se si pone attenzione agli stili
di vita, evitando quelli che possono risultare nocivi.
Per quanto riguarda lo scenario politico-istituzionale, il
recente decentramento dei poteri dallo Stato alle Regioni sta
assumendo l’aspetto di una reale devoluzione. Il decentramento fa
parte da tempo degli obiettivi della sanita’ italiana ed era gia’
presente fra le linee ispiratrici della legge 23 dicembre 1978, n.
833, istitutiva del Servizio sanitario nazionale, come del riordino
degli anni ’90, nell’ambito del quale veniva riconosciuto alla
Regione un ruolo fondamentale nella programmazione, organizzazione e
gestione dei servizi sanitari.
La fase attuale rappresenta un ulteriore passaggio dal
decentramento dei poteri ad una graduale ma reale devoluzione,
improntata alla sussidiarieta’, intesa come partecipazione di diversi
soggetti alla gestione dei servizi, partendo da quelli piu’ vicini ai
cittadini.
Significativi passi in avanti sono stati realizzati con la
modifica del titolo V della Costituzione e, nella seconda meta’ del
2001, con l’Accordo tra Stato e Regioni (8 agosto 2001), alcuni punti
del quale sono stati recepiti con il successivo decreto attuativo,
convertito in legge (decreto-legge 18 settembre 2001, n. 347, e legge
16 novembre 2001, n. 405).
La legge costituzionale recante «Modifiche al titolo V della
parte seconda della Costituzione», varata dal Parlamento l’8 marzo
2001 e approvata in sede di referendum confermativo il 7 ottobre
2001, ha introdotto i principi della potesta’ di legislazione
concorrente dello Stato e delle Regioni e della potesta’
regolamentare delle Regioni in materia di sanita’.
Rientra nella competenza esclusiva dello Stato la «determinazione
dei Livelli Essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili
e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio
nazionale» (art. 117), definiti secondo quanto stabilito nel novembre
2001 a stralcio del Piano sanitario nazionale con le procedure
previste dal decreto-legge 18 settembre 2001, n. 347, convertito poi
nella legge 16 novembre 2001, n. 405, ferma restando la tutela della
salute che la Repubblica garantisce ai sensi dell’art. 32 della
Costituzione. In altri termini lo Stato formula i principi
fondamentali, ma non interviene sul come questi principi ed obiettivi
saranno attuati, perche’ cio’ diviene competenza esclusiva delle
Regioni.
Il ruolo dello Stato in materia di sanita’ si trasforma, quindi,
da una funzione preminente di organizzatore e gestore di servizi a
quella di garante dell’equita’ sul territorio nazionale.
In tale contesto i compiti del Ministero della salute saranno
quelli di:
garantire a tutti l’equita’ del sistema, la qualita’,
l’efficienza e la trasparenza anche con la comunicazione corretta ed
adeguata;
evidenziare le disuguaglianze e le iniquita’ e promuovere le
azioni correttive e migliorative;
collaborare con le Regioni a valutare le realta’ sanitarie e a
migliorarle;
tracciare le linee dell’innovazione e del cambiamento e
fronteggiare i grandi pericoli che minacciano la salute pubblica.
Nonostante i risultati raggiunti negli ultimi decenni siano
apprezzabili in termini di maggiore aspettativa di vita e di minore
prevalenza delle patologie piu’ gravi, ulteriori e piu’ avanzati
traguardi e miglioramenti vanno perseguiti nella qualificazione
dell’assistenza, nell’utilizzo piu’ razionale ed equo delle risorse,
nell’omogeneita’ dei livelli di prestazione e nella capacita’ di
interpretare meglio la domanda e i bisogni sanitari.
Inoltre, non va dimenticato che la popolazione anziana nel nostro
Paese e’ cresciuta e cresce di numero piu’ che in altri Paesi europei
e che e’ aumentato il peso delle risorse private investite nella
salute, sia da parte delle famiglie che del terzo settore e di altri
soggetti privati.
Al Piano sanitario nazionale e’ affidato il compito di delineare
gli obiettivi da raggiungere per attuare la garanzia costituzionale
del diritto alla salute e degli altri diritti sociali e civili in
ambito sanitario. Tali obiettivi si intendono conseguibili nel
rispetto dell’Accordo dell’8 agosto 2001, come integrato dalle leggi
finanziarie per gli anni 2002 e 2003 e nei limiti e in coerenza dei
programmati Livelli Essenziali di Assistenza di cui al decreto del
Presidente del Consiglio dei Ministri 29 novembre 2001 e successive
integrazioni.
Cio’ avviene, peraltro, in coerenza con l’Unione europea e le
altre Organizzazioni internazionali, quali l’Organizzazione Mondiale
della Sanita’ (OMS) e il Consiglio d’Europa, che elaborano in modo
sistematico gli obiettivi di salute e le relative strategie.
La competenza dell’Unione europea, in materia sanitaria, e’ stata
ulteriormente rafforzata dal Trattato di Amsterdam del 1997, entrato
in vigore nel 1999, secondo il quale il Consiglio dell’Unione
europea, deliberando con la procedura di co-decisione, puo’ adottare
provvedimenti per fissare i livelli di qualita’ e sicurezza per
organi e sostanze di origine umana, sangue ed emoderivati nonche’,
nei settori veterinario e fitosanitario, misure il cui obiettivo
primario sia la protezione della sanita’ pubblica.
Nel mese di settembre 2002 e’ entrato in vigore il nuovo
Programma di Azione Comunitario nel settore della sanita’ pubblica
2003-2008, che individua tra le aree orizzontali di azione
comunitaria:
la lotta contro i grandi flagelli dell’umanita’, le malattie
trasmissibili, quelle rare e quelle legate all’inquinamento;
la riduzione della mortalita’ e della morbilita’ correlate alle
condizioni di vita e agli stili di vita;
l’incoraggiamento ad una maggiore equita’ nella sanita’
dell’Unione europea (U.E.), da perseguire attraverso la raccolta,
analisi e distribuzione delle informazioni;
la reazione rapida a pericoli che minacciano la salute
pubblica;
la prevenzione sanitaria e la promozione della salute.
Anche in questo campo, con i commi secondo e quarto dell’art. 117
del novellato titolo V della Costituzione, alle Regioni sono state
affidate nuove competenze in materia comunitaria, sia nella fase
ascendente di formazione degli atti normativi comunitari sia
nell’attuazione ed esecuzione degli accordi internazionali e degli
atti dell’Unione europea.
Il ruolo del PSN e’ significativo in questa prospettiva, tenuto
conto anche della recente elaborazione della «strategia sociale»
comunitaria avviata dal Consiglio Europeo di Lisbona, proseguita con
quello di Nizza ed esplicitata dalla decisione n. 50/2002/CE del
Parlamento Europeo e del Consiglio del 7 dicembre 2001, che
istituisce un programma d’azione comunitaria per incoraggiare la
cooperazione tra gli Stati membri al fine di combattere
l’emarginazione sociale e, con la piu’ ampia accezione, di garantire
la coesione sociale in Europa.
Il Piano sanitario nazionale 2003-2005 tiene conto degli
obiettivi comunitari in tema di salute e del necessario coordinamento
con i programmi dell’Unione europea.
Per rispondere alle esigenze del nuovo scenario il PSN si
articola in due parti:
la prima specifica gli obiettivi strategici di salute;
la seconda individua le linee di sviluppo per gli altri
obiettivi generali di salute.
L’efficacia del Piano dipende dall’attuazione di una produttiva
cooperazione fra i diversi livelli di responsabilita’, e per quanto
di competenza, comuni e province, chiamati a:
trasformare gli obiettivi in progetti specifici e ad attuarli;
investire nella qualificazione delle risorse umane;
adottare soluzioni organizzative e gestionali innovative ed
efficaci;
adeguare gli standard quantitativi e qualitativi;
garantire i Livelli Essenziali di Assistenza su tutto il
territorio nazionale.
In questo senso e’ necessaria una impostazione intersettoriale
delle politiche per la tutela della salute, che contempli anche le
politiche sociali, ambientali ed energetiche, quelle del lavoro,
della scuola e dell’istruzione, delle politiche agricole e di quelle
produttive: la tutela della salute, pertanto, si persegue attraverso
una strategia coordinata di interventi delle diverse istituzioni per
rispondere pienamente ed in maniera specifica ai nuovi bisogni di
salute dei cittadini.
In sintesi, alla luce dei cambiamenti politici e giuridici
avvenuti e di quelli tuttora in corso, il presente Piano sanitario
nazionale 2003-2005 si configura come un documento di indirizzo e di
linea culturale, piu’ che come un progetto che stabilisce tempi e
metodi per il conseguimento degli obiettivi, in quanto questi aspetti
operativi rientrano nei poteri specifici delle Regioni, cui il
presente Piano e’ diretto e con le quali e’ stato costruito.
1.1.1. L’etica del sistema.
La necessita’ di garantire ai cittadini un sistema sanitario equo
diviene sempre piu’ urgente per il nostro Paese. L’equita’ dovrebbe
guidare le politiche sanitarie, ma nel dibattito e’ stata finora
sottovalutata, uscendo spesso perdente nel conflitto con
l’efficienza. Si sono create cosi’ diverse iniquita’ di sistema che
vanno dalle differenze quali-quantitative nei servizi erogati in
varie aree del Paese, alle disuniformi e lunghe liste d’attesa anche
per patologie che non possono aspettare, allo scarso rispetto per il
malato, agli sprechi e all’inappropriatezza delle richieste e delle
prestazioni, al condizionamento delle liberta’ di scelta dei malati,
alla insufficiente attenzione posta al finanziamento e all’erogazione
dei servizi per cronici ed anziani. Iniquita’ genera iniquita’ e le
lunghe liste di attesa innescano talvolta il sistema perverso della
raccomandazione, per cui il servizio puo’ risultare ottimo o
accettabile per una parte dei cittadini, ma non altrettanto buono per
altri.
Nel 1999 un gruppo di esperti anglosassoni, il cosiddetto Gruppo
di Tavistock, ha sviluppato alcuni principi etici di massima che si
rivolgono a tutti coloro che hanno a che fare con la sanita’ e la
salute e che, non essendo settoriali, si distinguono dai codici etici
elaborati dalle singole componenti del sistema (medici, enti).
Nel 2000 i cosiddetti 7 principi di Tavistock di seguito
riportati sono stati aggiornati e offerti alla considerazione
internazionale.
1) Diritti. I cittadini hanno diritto alla salute e alle azioni
conseguenti per la sua tutela.
2) Equilibrio. La cura del singolo paziente e’ centrale, ma anche
la salute e gli interessi della collettivita’ vanno tutelati. In
altri termini non si puo’ evitare il conflitto tra interesse dei
singoli e interesse della collettivita’. Ad esempio, la
somministrazione di antibiotici per infezioni minori puo’ giovare al
singolo paziente, ma nuoce alla collettivita’ perche’ aumenta la
resistenza dei batteri agli antibiotici.
3) Visione olistica del paziente, che significa prendersi cura
di tutti i suoi problemi e assicurargli continuita’ di assistenza
(dobbiamo sforzarci continuamente di essere ad un tempo specialisti e
generalisti).
4) Collaborazione degli operatori della sanita’ tra loro e con il
paziente, con il quale e’ indispensabile stabilire un rapporto di
partenariato: «Nulla che mi riguardi senza di me» e’ il motto del
paziente che dobbiamo rispettare (Maureen Bisognano, Institute of
Health Care Improvement, Boston).
5) Miglioramento. Non e’ sufficiente fare bene, dobbiamo fare
meglio, accettando il nuovo e incoraggiando i cambiamenti
migliorativi. Vi e’ ampio spazio per migliorare, giacche’ tutti i
sistemi sanitari soffrono di «overuse, underuse, misuse» delle
prestazioni (uso eccessivo, uso insufficiente, uso improprio).
6) Sicurezza. Il principio moderno di «Primum non nocere»
significa lavorare quotidianamente per massimizzare i benefici delle
prestazioni, minimizzarne i danni, ridurre gli errori in medicina.
7) Onesta’, trasparenza, affidabilita’, rispetto della dignita’
personale sono essenziali a qualunque sistema sanitario e a qualunque
rapporto tra medico e paziente.
Altri due principi che alcuni propongono di aggiungere ai 7
sopraelencati sono la responsabilizzazione di chi opera in sanita’ e
la libera scelta del paziente.
A questi principi il Piano sanitario nazionale intende ispirarsi,
proponendo azioni concrete e progressive per la loro attuazione, dal
momento che e’ compito dello Stato garantire ai cittadini i diritti
fondamentali sanciti dalla Costituzione.
1.2. Dalla sanita’ alla salute: la nuova visione ed i principi
fondamentali
La nuova visione della transizione dalla «sanita» alla «salute»
e’ fondata, in particolare, sui seguenti principi essenziali per il
Servizio sanitario nazionale, che rappresentano altresi’ i punti di
riferimento per l’evoluzione prospettata:
il diritto alla salute;
l’equita’ all’interno del sistema;
la responsabilizzazione dei soggetti coinvolti;
la dignita’ ed il coinvolgimento «di tutti i cittadini»;
la qualita’ delle prestazioni;
l’integrazione socio-sanitaria;
lo sviluppo della conoscenza e della ricerca;
la sicurezza sanitaria dei cittadini.
Il diritto alla salute e alle cure, indipendentemente dal
reddito, costituisce da tempo parte integrante dei principi che
costituiscono l’ossatura del patto sociale, ma non ha trovato fino ad
oggi attuazione sufficiente. Nella nuova visione, esso costituisce un
obiettivo prioritario. Pertanto e’ indispensabile, garantire i
Livelli Essenziali di Assistenza, concordati fra Stato e Regioni,
assicurare un’efficace prevenzione sanitaria e diffondere la cultura
della promozione della salute.
L’equita’ negli accessi ai servizi, nell’appropriatezza e nella
qualita’ delle cure e’ un fondamentale diritto da garantire. Troppo
spesso accade che, a parita’ di gravita’ ed urgenza, l’assistenza
erogata sia diversificata a seconda del territorio, delle
circostanze, delle carenze strutturali e organizzative e di altri
fattori. In particolare, e’ necessario ridurre al minimo la mobilita’
dei pazienti derivante dalla carenza nel territorio di residenza di
strutture sanitarie idonee a fornire le prestazioni di qualita’
richieste.
La responsabilizzazione piena dei soggetti e delle istituzioni
incaricati di organizzare ed erogare le prestazioni di cura e’
fondamentale per promuovere concreti percorsi di salvaguardia delle
garanzie. In questo senso va sviluppata la piena consapevolezza di
tutti, in relazione alla complessita’ dei bisogni, agli obblighi che
discendono dal patto costituzionale, alla sempre maggiore ampiezza
delle possibili risposte in termini professionali e tecnologici e
alla necessita’ di modulare gli interventi sulla base delle linee di
indirizzo comuni e degli obiettivi prioritari del sistema, nel
rispetto rigoroso delle compatibilita’ economiche.
La dignita’ e la partecipazione di tutti coloro che entrano in
contatto con i servizi e di tutti i cittadini costituisce nella nuova
visione della salute un principio imprescindibile, che comprende il
rispetto della vita e della persona umana, della famiglia e dei
nuclei di convivenza, il diritto alla tutela delle relazioni e degli
affetti, la considerazione e l’attenzione per la sofferenza, la
vigilanza per una partecipazione quanto piu’ piena possibile alla
vita sociale da parte degli ammalati e la cura delle relazioni umane
tra operatori ed utenti. Il cittadino e la sua salute devono essere
al centro del sistema, unitamente al rispetto dei principi etici e
bioetici per la tutela della vita, che sono alla base della
convivenza sociale.
La qualita’ delle prestazioni deve essere perseguita per il
raggiungimento di elevati livelli di efficienza ed efficacia
nell’erogazione dell’assistenza e nella promozione della salute. E’,
inoltre, necessario garantire l’equilibrio fra la complessita’ ed
urgenza delle prestazioni ed i tempi di erogazione delle stesse,
riducendo la lunghezza delle liste di attesa. La crescita e la
valorizzazione professionale degli operatori sanitari e’ un requisito
essenziale che deve essere assicurato tramite la formazione
permanente ed altri meccanismi di promozione.
L’integrazione tra i servizi sanitari e quelli sociali a livello
locale e’ indispensabile cosi’ come la collaborazione tra Istituzioni
e pazienti e la disponibilita’ delle cure specialistiche e
riabilitative domiciliari per i pazienti cronici, i malati terminali,
i soggetti deboli e coloro che non sono totalmente autosufficienti;
inoltre, e’ molto rilevante, sotto il profilo sociale, concorrere
allo sviluppo di forme di supporto ai familiari dei pazienti.
Lo sviluppo della conoscenza nel settore della salute, attraverso
la ricerca biomedica e sanitaria, e’ fondamentale per vincere le
nuove sfide derivanti, in particolare, dalle malattie attualmente non
guaribili, attraverso nuove procedure diagnostiche e terapie
efficaci.
La sicurezza sanitaria dei cittadini e’ stata messa in evidenza
in tutta la sua importanza anche dai recenti drammatici avvenimenti
connessi al terrorismo. La sanita’ di questi anni non puo’ quindi
prescindere dal comprendere tra gli elementi costitutivi della nuova
visione quello dello sviluppo di strategie e strumenti di gestione
dei rischi, di precauzione rispetto alle minacce, di difesa e
prevenzione, nonche’ ovviamente di cura degli eventuali danni.
Il raggiungimento di tutti i suddetti obiettivi necessita della
misurazione e della valutazione comparativa dei risultati ottenuti,
sul versante sia quantitativo sia qualitativo. Non e’ infatti
possibile assicurare pari dignita’ e pari trattamento a tutti gli
utenti senza disporre di strumenti per la verifica del lavoro fatto e
della qualita’ raggiunta nelle varie realta’. La soddisfazione degli
utenti e la loro corretta informazione, la qualita’ delle
prestazioni, i risultati ottenuti in termini clinici e sociali,
nonche’ il rapporto tra costi e risultati devono costituire una parte
significativa degli obiettivi da raggiungere e delle misurazioni e
valutazioni da effettuare in modo comparativo fra le diverse realta’
territoriali.
A seguire, in questa Parte prima, si descrivono le linee di
pensiero e di azione per l’attuazione dei progetti per la strategia
del cambiamento, mentre gli obiettivi generali del Servizio sanitario
nazionale sono trattati nella Parte seconda.
Parte Prima
I DIECI PROGETTI
PER LA STRATEGIA DEL CAMBIAMENTO
2. I dieci progetti per la strategia del cambiamento
2.1. Attuare, monitorare ed aggiornare l’accordo sui livelli
essenziali ed appropriati di assistenza e ridurre le liste di attesa
Il primo frutto concreto dell’Accordo stipulato tra il Governo e
le Regioni in materia sanitaria l’8 agosto 2001 e’ costituito dalla
definizione dei Livelli Essenziali di Assistenza, da assicurare e
garantire su tutto il territorio nazionale.
Tale definizione e’ costruita sui seguenti fondamentali principi:
il livello dell’assistenza erogata, per essere garantita, deve
poter essere misurabile tramite opportuni indicatori;
le prestazioni, che fanno parte dell’assistenza erogata, non
possono essere considerate essenziali se non sono appropriate;
l’appropriatezza delle prestazioni e’ collegata al loro
corretto utilizzo e non alla tipologia della singola prestazione,
fatte salve quelle poche considerate non strettamente necessarie;
gli indicatori di appropriatezza vengono calcolati ai diversi
livelli di erogazione del servizio (territorio, Ospedale, ambiente di
lavoro) e verificano la correttezza dell’utilizzo delle risorse
impiegate in termini di bilanciamento qualita-costi.
L’introduzione dei Livelli Essenziali di Assistenza costituisce
l’avvio di una nuova fase per la tutela sanitaria, in quanto per la
prima volta si da’ seguito all’esigenza, emersa da anni, di garantire
ai cittadini un servizio sanitario omogeneo in termini di quantita’ e
qualita’ delle prestazioni erogate e di individuare il corretto
livello di erogazione dei servizi resi.
La definizione dei LEA, prima con l’Accordo del 22 novembre 2001
poi con l’adozione degli stessi con il decreto del Presidente del
Consiglio dei Ministri del 29 novembre 2001, in attuazione dell’art.
6 della legge n. 405/2001 ha definito i confini a carico del SSN
utilizzando due concetti principali:
a) quello di servizi «essenziali», intesi come accettabili sul
piano sociale nonche’ tecnicamente appropriati ed efficaci, in quanto
fondati sulle prove di evidenza ed erogati nei modi economicamente
piu’ efficienti;
b) quello delle «liste negative» consistente nell’individuare
precisamente cio’ che non deve piu’ essere erogato con finanziamenti
a carico del SSN.
Il significato innovativo dell’introduzione dei LEA e’ consistito
nell’aver definito i diritti sanitari dei cittadini in modo
complessivo e non in termini residuali (anche per questo i LEA non
possono esser definiti come livelli minimi) e nell’aver introdotto
uno strumento per il governo dell’evoluzione del SSN e non un
semplice modo per ridimensionare la spesa.
La messa a punto di tale strumento tuttavia ha portato alla luce
alcune aree di complessita’ tra le quali si ritiene opportuno
segnalare le seguenti:
i) appropriatezza clinico-assistenziale e organizzativa che
richiede un processo continuo che va sostenuto sistematicamente da
parte del livello centrale, regionale, aziendale e professionale del
SSN per gli aspetti di relativa competenza, per migliorare l’impiego
delle risorse e la qualita’ dei servizi, anche in rapporto alla
introduzione di nuove tecnologie;
ii) integrazione socio-sanitaria che richiede di individuare
ulteriori fonti di finanziamento per le prestazioni che sono state
escluse totalmente o parzialmente dai LEA.
La definizione dei livelli di assistenza e’ un primo importante
passo di un percorso che richiede la verifica, sul territorio,
dell’effettiva erogazione degli stessi e dei relativi costi, a
garanzia dell’equita’ della tutela della salute sul territorio e
dell’efficienza del sistema.
In attuazione dell’accordo in materia di spesa sanitaria, sancito
dalla Conferenza Stato-Regioni l’8 agosto 2001, e’ stato istituito,
nell’ambito della Conferenza Stato-Regioni, il Tavolo di monitoraggio
e verifica sui LEA effettivamente erogati e sulla corrispondenza ai
volumi di spesa stimati e previsti, cui sono affidati i compiti
indicati ai punti 15 degli accordi Governo-Regioni dell’8 agosto
2001, 5.2 dell’accordo del 22 novembre 2001 sui LEA e lettera a)
dell’accordo del 14 febbraio 2002 sulle modalita’ di accesso alle
prestazioni diagnostiche e terapeutiche e indirizzi applicativi sulle
liste di attesa.
Nel tavolo di monitoraggio e verifica vengono anche definiti
specifici criteri di monitoraggio all’interno del sistema di garanzie
introdotto dall’art. 9 del decreto legislativo 18 febbraio 2000, n.
56, per assicurare trasparenza, confrontabilita’ e verifica
dell’assistenza erogata attraverso i LEA con un sistema di indicatori
essenziali, pertinenti e caratterizzati da dinamicita’ e
aggiornamento continuo.
L’accordo del 22 novembre 2001 prevede, inoltre, la costituzione
di un organismo nazionale ad hoc, cui affidare l’aggiornamento delle
prestazioni erogate sotto il profilo tecnico-scientifico, valutando
periodicamente quelle da mantenere, escludere o includere ex novo,
senza alterarne il profilo economico finanziario. Con la legge
15 giugno 2002, n. 112, tale organismo e’ stato individuato ed
istituito quale Commissione (C-LEA), per le attivita’ di valutazione
in relazione alle risorse definite, dei fattori scientifici,
tecnologici ed economici relativi alla definizione ed aggiornamento
dei LEA e delle prestazioni in esso contenute.
Con il collegato alla finanziaria 2003 e’ stata istituita una
Commissione unica per i dispositivi medici, cui e’ affidato un
compito di aggiornamento del repertorio dei dispositivi medici e di
classificazione dei prodotti in classi e sottoclassi specifiche con
l’indicazione del prezzo di riferimento. Attraverso tale
classificazione, anche ad integrazione di quanto previsto dalla
normativa comunitaria, si garantira’ un omogeneo sistema di
caratterizzazione qualitativa di dispositivi medici utilizzabili e si
porranno le basi per agevolare iniziative di ottimizzazioni delle
procedure di acquisto rispettose delle esigenze di qualita’ e
sicurezza dei prodotti.
Con i tre organismi sopra citati si realizza un organico sistema
di garanzia, articolato secondo il seguente schema:
il Tavolo di Monitoraggio e verifica dei Livelli essenziali di
assistenza effettivamente erogati ha il compito di verificarne la
corrispondenza con i volumi di spesa stimati e previsti, articolati
per fattori produttivi e responsabilita’ decisionali, al fine di
identificare i determinanti di tale andamento, a garanzia
dell’efficacia e dell’efficienza del Servizio sanitario nazionale;
la Commissione nazionale per la definizione e l’aggiornamento
dei LEA (C-LEA), garantisce, a parita’ di risorse impiegate, che
siano effettuati gli indispensabili interventi di manutenzione degli
elenchi delle prestazioni ricomprese nei LEA, proponendone
l’introduzione, la sostituzione o la cancellazione, con le procedure
previste dalla normativa vigente;
la Commissione unica per i dispositivi medici (CUD), garantisce
che l’utilizzo dei dispositivi medici nella varie tipologie di
prestazioni sia ispirato a criteri di qualita’ e sicurezza,
assicurando anche la congruita’ del prezzo.
Nell’ambito dell’accordo sui LEA, particolare importanza riveste
la questione della corretta gestione degli accessi e delle attese per
le prestazioni sanitarie, sottolineata piu’ volte anche dal
Presidente della Repubblica, e anch’essa obiettivo di primaria
importanza per il cittadino: il tempo di attesa rappresenta, da un
lato, la prima risposta che egli riceve dal sistema e, dall’altro, il
fondamentale principio di tutela dei diritti in tema di accesso alle
cure e di eguaglianza nell’ambito del Servizio sanitario.
Il diritto all’accesso alle prestazioni diagnostiche e
terapeutiche, in conseguenza di richieste appropriate, deve essere
messo in relazione, per i tempi e per i modi, con una ragionevole
valutazione della prestazione richiesta e della sua urgenza.
Per contribuire al miglioramento complessivo dell’efficienza
delle strutture e dell’accessibilita’ alle prestazioni sanitarie, e’
stato sottoscritto il recente accordo relativo alle attivita’ di
chirurgia di giorno (day surgery), che consente una diversificazione
dell’offerta sanitaria per i cittadini ed una maggiore appropriatezza
nell’utilizzo delle tipologie di assistenza.
Gli obiettivi strategici:
disporre di un consolidato sistema di monitoraggio dei Livelli
Essenziali di Assistenza, tramite indicatori che operino in modo
esaustivo a tutti e tre i livelli di verifica (ospedaliero,
territoriale e ambiente di lavoro), grazie anche all’utilizzo dei
dati elaborati dal Nuovo Sistema Informativo Sanitario;
rendere pubblici i valori monitorati dei tempi di attesa,
garantendo il raggiungimento del livello previsto;
costruire indicatori di appropriatezza a livello del territorio
che siano centrati sul paziente e non sulle prestazioni, come avviene
oggi;
diffondere i modelli gestionali delle Regioni e delle Aziende
Sanitarie in grado di erogare i Livelli Essenziali di Assistenza con
un corretto bilanciamento tra i costi e la qualita’ (bench-marking a
livello regionale ed aziendale);
promuovere i migliori protocolli di appropriatezza che verranno
via via sperimentati e validati ai diversi livelli di assistenza;
attivare tutte le possibili azioni capaci di garantire ai
cittadini tempi di attesa appropriati alla loro obiettiva esigenza di
salute, anche sulla base delle indicazioni presenti nell’Accordo
Stato-Regioni 11 luglio 2002.
2.2. Promuovere una rete integrata di servizi sanitari e sociali per
l’assistenza ai malati cronici, agli anziani e ai disabili
2.2.1. La cronicita’, la vecchiaia, la disabilita’: una realta’
della societa’ italiana che va affrontata con nuovi mezzi e strategie
Il mondo della cronicita’ e quello dell’anziano hanno delle
peculiarita’ che in parte li rendono assimilabili:
sono aree in progressiva crescita;
richiedono una forte integrazione dei servizi sanitari con
quelli sociali;
necessitano di servizi residenziali e territoriali finora non
sufficientemente disegnati e sviluppati nel nostro Paese;
hanno una copertura finanziaria insufficiente.
Piu’ che mai si rende necessario, innanzitutto, che si intervenga
in sede preventiva; prevenire in questo caso significa rallentare e
ritardare l’instaurarsi di condizioni invalidanti, che hanno in
comune un progressivo percorso verso la non-autosufficienza e quindi
verso la necessita’ di interventi sociali e sanitari complessi e
costosi. Per quanto riguarda i diversi approcci praticabili per la
prevenzione, essi sono di diversa natura: prevenzione primaria (stili
di vita salutari) e secondaria (diagnosi precoce di alcuni tipi di
tumore), nonche’ profilassi di particolari malattie. Le Regioni,
pienamente responsabili dell’assistenza sanitaria e della relativa
spesa, sanno che investire in prevenzione significa risparmiare gia’
nel medio termine; questa consapevolezza induce a ritenere che le
misure di prevenzione in questa area avranno in futuro uno sviluppo
maggiore che in passato.
Per gli anziani importante e’ la possibilita’ di mantenere una
vita attiva sia dal punto di vista fisico che intellettuale, in
quanto spesso essi tendono ad isolarsi e a trascurare gli stili di
vita piu’ appropriati. Le Campagne istituzionali di comunicazione
possono essere di grande aiuto anche in tal senso.
L’anziano vive meglio nel proprio domicilio e nel contesto di una
famiglia. Spesso, tuttavia, la famiglia ha difficolta’ economiche e
logistiche ad assistere in casa l’anziano che necessita di cure. E’,
quindi, necessario supportare la famiglia in questo compito.
A fronte di un fabbisogno stimato in circa 15 miliardi di euro
per anno, oggi l’Italia spende per l’assistenza sociale circa 6,5
miliardi di euro. Tutti i Paesi del mondo occidentale hanno avuto il
problema di finanziare adeguatamente un settore dell’assistenza che
solo 30 anni or sono era di dimensioni insignificanti, ma che ora,
con l’allungamento dell’aspettativa media di vita, e’ in aumento
progressivo. Oggi nel Nord Italia quasi il 10% della popolazione ha
piu’ di 75 anni (poco meno nel Sud del Paese) e sappiamo che la
disabilita’ in questa fascia di popolazione raggiunge il 30%.
Anche gli altri Paesi europei sono intervenuti a sostegno della
non-autosufficienza, con modalita’ differenti. Tutte le modalita’,
tuttavia, come ben evidenziato da Costanzo Ranci (2001) nella ricerca
«L’assistenza agli anziani in Italia e in Europa», sembrano
condividere, pur con accentuazioni ed enfasi diverse, il seguente
aspetto: tentare di combinare interventi di trasferimento monetario
alle famiglie con l’erogazione di servizi finali, allo scopo di
sostenere il lavoro familiare ed informale di cura (cash and care).
Rispetto ai principali Paesi europei, l’Italia ancora spicca
soprattutto per l’assenza di un pensiero e di una proposta forti che
affrontino il problema della non-autosufficienza, un problema di
dimensione crescente, che tanto disagio provoca a molte persone
anziane e disabili e alle loro famiglie.
Occorre puntare pertanto a:
rendere piu’ efficace ed efficiente la gestione dei servizi
esistenti tramite l’introduzione di meccanismi competitivi;
attribuire maggiore capacita’ di scelta ai beneficiari finali
dei servizi;
sostenere maggiormente le famiglie che si incaricano
dell’assistenza;
regolarizzare e stimolare la pluralita’ dell’offerta di
servizi;
sostenere la rete di assistenza informale ed il volontariato;
sperimentare nuove modalita’ di organizzazione dei servizi
anche ricorrendo a collaborazioni con il privato;
attivare sistemi di garanzia di qualita’ e adeguati controlli
per gli erogatori di servizi sociali e sanitari.
2.2.2. Le sfide per il Servizio sanitario nazionale.
Non vi e’ dubbio che il Servizio sanitario nazionale debba
prepararsi a soddisfare una domanda crescente di assistenza di natura
diversa da quella tradizionale e caratterizzata da nuove modalita’ di
erogazione, basate sui principi della continuita’ delle cure per
periodi di lunga durata e dell’integrazione tra prestazioni sanitarie
e sociali erogate in ambiti di cura molto diversificati tra loro
(assistenza continuativa integrata).
Le categorie di malati interessate a questo nuovo modello di
assistenza sono sempre piu’ numerose: pazienti cronici, anziani non
autosufficienti o affetti dalle patologie della vecchiaia in forma
grave, disabili, malati afflitti da dipendenze gravi, malati
terminali.
Gli obiettivi di questa assistenza sono la stabilizzazione della
situazione patologica in atto e la qualita’ della vita dei pazienti,
raramente quelle della loro guarigione.
Deve pertanto svilupparsi, nel mondo sanitario, un nuovo tipo di
assistenza basata su un approccio multidisciplinare, volto a
promuovere i meccanismi di integrazione delle prestazioni sociali e
sanitarie rese sia dalle professionalita’ oggi presenti, sia da
quelle nuove da creare nei prossimi anni.
Innanzitutto e’ indispensabile che la continuita’ delle cure sia
garantita tramite la presa in carico del paziente da parte dei
Servizi e delle Istituzioni allo scopo di coordinare tutti gli
interventi necessari al superamento delle condizioni che ostacolano
il completo inserimento nel tessuto sociale, quando possibile, o che
limitano la qualita’ della vita.
A tale scopo i Servizi e le Istituzioni devono divenire nodi di
una rete di assistenza nella quale viene garantita al paziente
l’integrazione dei servizi sociali e sanitari, nonche’ la continuita’
assistenziale nel passaggio da un nodo all’altro, avendo cura che
venga ottimizzata la permanenza nei singoli nodi in funzione
dell’effettivo stato di salute. Dovra’ essere, di conseguenza,
ridotta la permanenza dei pazienti negli Ospedali per acuti e
potenziata l’assistenza riabilitativa e territoriale.
La gestione dei servizi in rete comporta che le Aziende Sanitarie
Locali ed i Comuni individuino le forme organizzative piu’ adatte
affinche’ le prestazioni sanitarie e sociali siano disponibili per il
paziente in modo integrato. Per permettere il maggior recupero
raggiungibile dell’autosufficienza e la diminuzione della domanda
assistenziale, gli interventi vanno integrati, nei casi in cui e’
opportuno, con l’erogazione dell’assistenza protesica.
Gli obiettivi strategici:
la realizzazione di una sorgente di finanziamento adeguata al
rischio di non autosufficienza della popolazione;
la realizzazione di reti di servizi di assistenza integrata,
economicamente compatibili, rispettose della dignita’ della persona;
il corretto dimensionamento dei nodi della rete (ospedalizzazione
a domicilio, assistenza domiciliare integrata, centri diurni
integrati, residenze sanitarie assistenziali e istituti di
riabilitazione) in accordo con il loro effettivo utilizzo;
la riduzione del numero dei ricoveri impropri negli Ospedali per
acuti e la riduzione della durata di degenza dei ricoveri
appropriati, grazie alla presenza di una rete efficace ed efficiente;
il miglioramento della autonomia funzionale delle persone
disabili, anche in relazione alla vita familiare ed al contesto
sociale e lavorativo;
l’introduzione di misure che possono prevenire o ritardare la
disabilita’ e la non autosufficienza, che includono le informazioni
sugli stili di vita piu’ appropriati e sui rischi da evitare.
2.3. Garantire e monitorare la qualita’ dell’assistenza sanitaria e
delle tecnologie biomediche
Un obiettivo importante da perseguire nell’ambito del diritto
alla salute e’ quello della qualita’ dell’assistenza sanitaria. E’ la
cultura della qualita’ che rende efficace il sistema, consentendo di
attuare un miglioramento continuo, guidato dai bisogni dell’utente.
Sempre piu’ frequentemente emerge in sanita’ l’intolleranza
dell’opinione pubblica verso disservizi ed incidenti, che originano
dalla mancanza di un sistema di garanzia di qualita’ e che vanno
dagli errori medici alle lunghe liste d’attesa, alle evidenti
duplicazioni di compiti e servizi, alla mancanza di piani formativi
del personale strutturati e documentati, alla mancanza di procedure
codificate, agli evidenti sprechi.
La qualita’ in sanita’ riguarda un insieme di aspetti del
servizio, che comprendono sia la dimensione tecnica, che quella
umana, economica e clinica delle cure e va perseguita attraverso la
realizzazione di una serie articolata di obiettivi, dalla efficacia
clinica, alla competenza professionale e tecnica, all’efficienza
gestionale, all’equita’ degli accessi, alla appropriatezza dei
percorsi terapeutici.
Per l’aspetto umano, e’ opportuno che venga misurata anche la
qualita’ percepita da parte dei pazienti, che rappresenta un
importante indicatore della soddisfazione dell’utente.
Gli obiettivi strategici:
promuovere, divulgare e monitorare esperienze di miglioramento
della qualita’ all’interno dei servizi per la salute;
coinvolgere il maggior numero di operatori in processi di
informazione e formazione sulla qualita’;
valorizzare la partecipazione degli utenti al processo di
definizione, applicazione e misurazione della qualita’;
promuovere la conoscenza dell’impatto clinico, tecnico ed
economico dell’uso delle tecnologie, anche con comparazione tra le
diverse Regioni italiane;
mantenere e sviluppare banche dati sui dispositivi medici e sulle
procedure diagnostico-terapeutiche ad essi associati, con i relativi
costi;
attivare procedure di bench-marking sulla base di dati attinenti
agli esiti delle prestazioni.
2.4. Potenziare i fattori di sviluppo (o «capitali») della sanita’
Le organizzazioni complesse utilizzano tre forme di «capitale»:
umano, sociale e fisico in ordine di importanza. Questo concetto,
ripreso recentemente anche nel Piano Sanitario inglese, e’ in linea
con il pensiero espresso fin dalla meta’ del secolo scorso da Carlo
Cattaneo, grande filosofo ed «economista pubblico». Nonostante gli
sforzi compiuti, nessuna delle tre risorse citate e’ stata ancora
valorizzata nella nostra sanita’ in misura sufficiente.
Il «capitale umano», ossia il personale del Servizio sanitario
nazionale, e’ quello che presenta aspetti di maggiore delicatezza. La
Pubblica amministrazione, che gestisce la maggior parte dei nostri
ospedali, non rivolge sufficiente attenzione alla motivazione del
personale e alla promozione della professionalita’ e molti strumenti
utilizzati a questo scopo dal privato le sono sconosciuti.
Solo oggi si comincia in Italia a realizzare un organico
programma di aggiornamento del personale sanitario. Dal 2002 e’
diventata, infatti, realta’ l’acquisizione dei crediti per tutti gli
operatori sanitari che partecipano agli eventi autorizzati dalla
Commissione Nazionale per l’Educazione Medica Continua. Ben piu’
importante, secondo l’accordo del 20 dicembre 2001 con le Regioni, e
grazie all’adesione di varie organizzazioni e associazioni, inclusi
gli Ordini delle Professioni Sanitarie, la Federazione dei Direttori
Generali delle Aziende Sanitarie e le Societa’ scientifiche italiane,
inizia l’aggiornamento aziendale, che prevede un impegno delle
Aziende Sanitarie ad attivare postazioni di educazione e corsi
aziendali per il personale, utilizzando anche la rete informatica.
Un personale aggiornato e’ garanzia, per il malato, di buona
qualita’ delle cure, ma l’aggiornamento sistematico costituisce anche
un potente strumento di promozione dell’autostima del personale
stesso, che sa di migliorare in tal modo la propria immagine
professionale e la propria credibilita’ verso la collettivita’.
Ovviamente l’aggiornamento sistematico e’ solo uno degli strumenti di
valorizzazione del personale. Operare in un sistema nel quale vi sia
certificazione della qualita’ e’ un altro elemento di gratificazione
per gli operatori sanitari. Un ulteriore elemento e’ costituito da un
rapporto di lavoro che premi la professionalita’ ed il merito e
liberi il medico da una serie di vincoli e limitazioni per rendere
piu’ efficace la sua opera.
Altrettanto necessaria appare la valorizzazione della professione
infermieristica e delle altre professioni sanitarie, per le quali si
impone la nascita di una nuova «cultura della professione», cosi’ che
il ruolo dell’infermiere sia ricondotto, nella percezione sia della
classe medica sia dell’utenza, all’autentico fondamento
epistemologico del nursing. Il capitale sociale va inteso come quella
rete di relazioni che devono legare in un rapporto di partnership
tutti i protagonisti del mondo della salute impegnati nei settori
dell’assistenza, del volontariato e del no profit, della
comunicazione, dell’etica, dell’innovazione, della produzione, della
ricerca, che possono contribuire ad aumentare le risorse per l’area
del bisogno socio-sanitario, oggi largamente sottofinanziato. Tutta
questa rete sociale, grande patrimonio del vivere civile, e’ ancora
largamente da valorizzare ed e’ la cultura di questo capitale sociale
che va prima di tutto sviluppata. L’altro punto da valorizzare e’ il
capitale «fisico» del S.S.N.: gli investimenti per l’edilizia
ospedaliera e per le attrezzature risalgono per la maggior parte alla
legge 11 marzo 1988, n. 67 e molti dei fondi da allora impegnati non
sono ancora stati utilizzati per una serie di difficolta’ incontrate
sia dallo Stato sia dalle Regioni in fase di progettualita’ e di
realizzazioni. E’ necessario provvedere, come per i LEA, ad una
manutenzione continua del patrimonio fisico, partendo da un
monitoraggio dello stesso perche’ il sistema possa essere
effettivamente competitivo in termini di qualita’ dell’offerta.
Gli obiettivi strategici:
dare piena attuazione alla Educazione Continua in Medicina;
valorizzare le figure del medico e degli altri operatori
sanitari;
garantire una costante manutenzione strutturale e tecnologica dei
presidi sanitari del SSN, rilanciando il programma di investimenti
per l’edilizia sanitaria e per le attrezzature, secondo quanto
stabilito dall’Accordo dell’8 agosto 2001;
strutturare un piano di sviluppo della ricerca capace di attirare
anche gli investitori privati ed i ricercatori italiani e stranieri;
alleggerire le strutture pubbliche ed il loro personale dai
vincoli e dalle procedure burocratiche che limitano le capacita’
gestionali e rallentano l’innovazione, consentendo loro una gestione
imprenditoriale finalizzata anche all’autofinanziamento;
investire per il supporto dei valori sociali, intesi come cemento
della societa’ civile e strumento per rapportare i cittadini alle
Istituzioni ed ai servizi sanitari pubblici e privati.
2.5. Realizzare una formazione permanente di alto livello in medicina
e sanita’
L’Educazione Continua in Medicina (ECM), vale a dire la
formazione permanente nel campo delle professioni sanitarie, deve
rispondere alla esigenza di garantire alla collettivita’ il
mantenimento della competenza professionale degli operatori. Come
tale, essa si configura come un elemento di tutela dell’equita’
sociale e riassume in se’ i concetti di responsabilita’ individuale e
collettiva, insiti nell’esercizio di ogni attivita’ volta alla tutela
e alla promozione della salute della popolazione.
Gia’ nel 1999 (Decreto Legislativo 19 giugno 1999, n. 229), e nel
2000 (Decreto Ministeriale 5 luglio 2000) ne sono state delineate
l’infrastruttura amministrativa, decisionale e politica, ed e’ stato
valorizzato il ruolo sociale della formazione permanente, in una
situazione nella quale le iniziative, pur numerose, e prevalentemente
di tipo congressuale, erano focalizzate quasi esclusivamente sulla
professione medica, interessando le altre professioni dell’area
sanitaria solo in maniera frammentaria.
La volontarieta’ era, del resto, la caratteristica portante di
queste iniziative: nonostante il valore spesso molto elevato di
alcune di esse, non e’ sempre stata data sufficiente importanza alla
dimensione deontologica della formazione professionale, intesa non
solo come un dovere di valorizzazione della propria professionalita’
e di autoarricchimento, ma anche come una responsabilita’ forte nei
riguardi della collettivita’.
L’accordo in Conferenza Stato-Regioni del 20 dicembre 2001 ha
sancito, in maniera positiva, la convergenza di interesse tra
Ministero della Salute e Regioni nella pianificazione di un programma
nazionale che, partendo dal lavoro compiuto dalla Commissione
Nazionale per la Formazione Continua, si estenda capillarmente cosi’
da creare una forte coscienza della autoformazione e
dell’aggiornamento professionale estesa a tutte le categorie
professionali impegnate nella sanita’.
La Commissione Nazionale per la Formazione Continua, istituita
nel 2000 e rinnovata il 1° febbraio 2002, ha affrontato innanzitutto
il problema dell’impostazione ex novo del sistema della formazione
permanente e dell’aggiornamento sia sotto il profilo organizzativo ed
amministrativo sia sotto quello della cultura di riferimento,
attraverso confronti nazionali e regionali con diversi attori del
sistema sanitario: cio’ ha portato alla attivazione di un programma
nazionale di formazione continua attivo dal gennaio 2002.
Un elemento caratterizzante del programma e’ la sua estensione a
tutte le professioni sanitarie, con una strategia innovativa rispetto
agli altri Paesi. Il razionale sotteso a questo approccio e’
evidente: nel momento in cui si afferma la centralita’ del paziente e
muta il contesto dell’assistenza, con la nascita di nuovi
protagonisti e con l’emergere di una cultura del diritto alla
qualita’ delle cure, risulta impraticabile la strada di una
formazione elitaria, limitata ad una o a poche categorie
professionali e diviene obbligo morale la garanzia della qualita’
professionale estesa trasversalmente a tutti i componenti della
equipe sanitaria, una utenza di oltre 800.000 addetti delle diverse
professioni sanitarie e tecniche.
In una prospettiva ancora piu’ ampia, la formazione continua
potra’ diventare uno degli strumenti di garanzia della qualita’
dell’esercizio professionale, divenendo un momento di sviluppo di una
nuova cultura della responsabilita’ e del giusto riconoscimento della
eccellenza professionale.
Partendo dalle premesse culturali e sociali sopra delineate, il
programma si pone l’obiettivo di disegnare le linee strategiche della
formazione continua, nella quale i contenuti ed i fini della
formazione siano interconnessi con gli attori istituzionali. E cio’
e’ particolarmente significativo per quanto concerne la ripartizione
tra obiettivi formativi di rilevanza nazionale, di rilevanza
regionale e di libera scelta.
Gli obiettivi nazionali devono discendere, attraverso una intesa
tra Ministero della salute e Regioni, dal presente Piano e stimolare
negli operatori una nuova attenzione alle dimensioni della salute
– in aggiunta a quelle della malattia – alla concretezza dei problemi
sanitari emergenti ed ai nuovi problemi di natura socio-sanitaria.
Gli obiettivi formativi di interesse regionale devono rispondere
alle specifiche esigenze formative delle amministrazioni regionali,
chiamate ad una azione piu’ capillare legata a situazioni
epidemiologiche, socio-sanitarie e culturali differenti. Il ruolo
delle Regioni, nel campo della formazione sanitaria continua, diviene
cosi’ un ulteriore strumento per il pieno esercizio delle competenze
attribuite dalla Costituzione alle Regioni stesse: elemento di
crescita degli operatori sanitari, di loro sensibilizzazione alle
realta’, in una parola, di coerenza e di compliance della qualita’
professionale con le specifiche richieste dei cittadini e del
territorio.
Infine, gli obiettivi formativi di libera scelta dell’operatore
sanitario rappresentano l’elemento eticamente forse piu’ rilevante
della nuova formazione permanente: essi, infatti, si richiamano
direttamente alla capacita’ dell’operatore di riconoscere le proprie
esigenze formative, ammettere i propri limiti e decidere di colmarli.
Un ulteriore elemento di novita’ e’ rappresentato dal
coinvolgimento di Ordini, Collegi e Associazioni professionali, non
solo quali attori della pianificazione della formazione, ma anche
quali organismi di garanzia della sua aderenza agli standard europei
ed internazionali. Sotto quest’ultimo profilo, attenzione dovra’
essere posta proprio all’armonizzazione tra il sistema formativo
italiano e quello europeo, in coerenza con i principi della libera
circolazione dei professionisti.
Ancora, le Societa’ Scientifiche dovranno trovare ampia
valorizzazione nel sistema della formazione continua, garanti non
solo della solidita’ delle basi scientifiche degli eventi formativi,
ma anche della qualita’ pedagogica e della loro efficacia.
Da ormai molti anni la maggior parte delle Societa’ Medico
Scientifiche Italiane si e’ riunita nella Federazione Italiana delle
Societa’ Medico Scientifiche (FISM), che ha operato per dare agli
specialisti italiani un ruolo di interlocuzione con le Istituzioni,
inteso primariamente come contributo culturale ed operativo
all’identificazione ed allo sviluppo delle attivita’ sanitarie e
mediche nel Paese. Oggi le Societa’ Scientifiche hanno trovato pieno
riconoscimento del loro ruolo per l’ECM, la cui organizzazione si e’
cosi’ arricchita di risorse culturali ed umane.
Nel sistema che si sta creando, dovra’ anche essere dedicata
attenzione al mondo della editoria, sia cartacea che on-line, in
maniera da garantire che i prodotti immessi in circolazione siano
coerenti con le finalita’ del sistema formativo.
Da ultimo, ma non meno importante, e’ il coinvolgimento degli
Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico, delle Aziende
Ospedaliere e delle Universita’ nonche’ delle altre strutture
sanitarie pubbliche e private: esse rappresentano la naturale sede
della formazione continua, in quanto in grado di offrire quella
«formazione in contesto professionale», eminentemente pratica ed
operativa, senza la quale la formazione continua rimane un mero
esercizio cognitivo, privo di qualsiasi possibilita’ di ricaduta
concreta sulla qualita’ delle cure.
2.6. Promuovere l’eccellenza e riqualificare le strutture ospedaliere
Per molti anni l’ospedale ha rappresentato nella sanita’ il
principale punto di riferimento per medici e pazienti: realizzare un
Ospedale ha costituito per piccoli e grandi Comuni italiani un giusto
merito, ed il poter accedere ad un Ospedale situato a breve distanza
dalla propria residenza e’ diventato un elemento di sicurezza e di
fiducia per la popolazione, che ha portato l’Italia a realizzare ben
1.440 Ospedali, di dimensioni e potenzialita’ variabili.
Ancora fino agli anni ’70 gli strumenti diagnostici e terapeutici
dei medici e degli Ospedali erano relativamente limitati: non
esistevano le apparecchiature sofisticate di oggi e quindi non era
necessario disporre di superspecialisti. Gli importanti sviluppi
intervenuti successivamente, basta citare l’impetuoso affermarsi
delle tecnologie sanitarie basate sulle bio-immagini, che ha visto il
progressivo diffondersi delle ecografie, TAC, NMR, e PET a fianco
della radiologia tradizionale hanno comportato l’obsolescenza di
costosissime apparecchiature nel giro di pochi anni. Negli ultimi 20
anni e’ cambiata la tecnologia, ed e’ cambiata la demografia:
l’aspettativa di vita e’ cresciuta fino a raggiungere i 76,0 anni per
gli uomini e gli 82,4 anni per le donne, cosicche’ la patologia
dell’anziano, prevalentemente di tipo cronico, sta progressivamente
imponendosi su quella dell’acuto. Si sviluppa conseguentemente anche
il bisogno di servizi socio-sanitari, in quanto molte patologie
croniche richiedono non solo interventi sanitari, ma soprattutto
servizi per la vita di tutti i giorni, la gestione della
non-autosufficienza, l’organizzazione del domicilio e della famiglia,
sulla quale gravano maggiormente i pazienti cronici. Nasce la
necessita’ di portare al domicilio del paziente le cure di
riabilitazione e quelle palliative con assiduita’ e competenza, e di
realizzare forme di ospedalizzazione a domicilio con personale
specializzato, che eviti al paziente di muoversi e di affrontare il
disagio di recarsi in Ospedale.
Alla luce di questo nuovo scenario la nostra organizzazione
ospedaliera, un tempo assai soddisfacente, necessita oggi di un
ripensamento.
Un Ospedale piccolo sotto casa non e’ piu’ una sicurezza, in
quanto spesso non puo’ disporre delle attrezzature e del personale
che consentono di attuare cure moderne e tempestive.
Solo se si sapra’ cogliere, con questa ed altre modalita’, il
cambiamento ed il nuovo che avanza in sanita’, se si sapra’ attuare
una buona comunicazione con i cittadini per far loro capire come sia
necessario, nel loro interesse, assecondare il cambiamento ed
adeguarvisi, se si sapra’ gestire il servizio pubblico con mentalita’
imprenditoriale sara’ offerta al Paese una sanita’ piu’ efficace,
piu’ moderna ed anche economicamente piu’ vantaggiosa, modificando
una realta’ che continua ad assorbire risorse per mantenere servizi
di limitata utilita’.
E’ importante sottolineare che l’Italia recentemente, ha ritenuto
strategico il collegamento in rete degli Ospedali di eccellenza e di
questi con gli Ospedali Italiani nel mondo. Si tratta di oltre 40
strutture distribuite nei vari Continenti, con le quali il
collegamento offre potenziali vantaggi in quanto contribuisce a
legare le comunita’ italiane all’estero, ma che ha vantaggi evidenti
soprattutto per i Paesi africani dove esistono ben 20 strutture
italiane per le quali si puo’ ipotizzare la costruzione di una rete
verticale anziche’ orizzontale. Verticale nel senso che presso questi
Ospedali si puo’ realizzare un teleconsulto e un sistema educativo
via rete per l’aggiornamento del personale italiano che, a sua volta,
puo’ trasferire queste conoscenze al personale locale, creando in
loco le capacita’ professionali per rendere questi Paesi piu’
autonomi dal punto di vista sanitario.
Gli obiettivi strategici:
sostenere le Regioni nel loro programma di ridisegno della rete
ospedaliera, con la finalita’ da un lato di convertire la funzione di
alcuni Ospedali minori e di attivare la ospedalita’ a domicilio, e
dall’altro di realizzare Centri avanzati di Eccellenza;
attivare, da parte delle Regioni e dello Stato, una forte azione
di comunicazione con la popolazione, tesa a chiarire il senso
dell’operazione, che e’ quello di fornire ai cittadini servizi
ospedalieri piu’ efficaci e piu’ moderni, riducendo i cosiddetti
viaggi della speranza ed i relativi disagi e costi, attivando nel
contempo servizi per i pazienti cronici ed alleviando il peso che
questi comportano per le rispettive famiglie;
concordare con le Regioni una metodologia di misura della
qualita’ degli erogatori dei servizi sanitari.
2.7. Promuovere il territorio quale primaria sede di assistenza e di
governo dei percorsi Sanitari e Socio-Sanitari
Piu’ in generale, si rende evidente la necessita’ ormai
inderogabile di organizzare meglio il territorio spostandovi risorse
e servizi che oggi ancora sono assorbiti dagli ospedali, in una
logica di sanita’ ospedalocentrica che oggi non e’ piu’ sostenibile.
Ancora una volta quindi l’attenzione si sposta sui MMG e pediatri di
libera scelta, ai quali si deve pero’ chiedere di giocare un ruolo
maggiore che in passato.
Il nuovo piano Sanitario Nazionale, e’ lo strumento per
individuare un nuovo assetto dell’organizzazione della medicina nel
territorio. I problemi economici, le liste di attesa, il
sotto-utilizzo e l’utilizzo improprio di risorse nel sistema,
impongono una reinterpretazione del rapporto territorio-ospedale.
Il gradimento dei cittadini verso l’assistenza di base, consiglia
di recuperare a pieno questa risorsa riportandola al centro della
risposta sanitaria e di governo dei percorsi sanitari. Cio’ in
raccordo con le altre presenze nel territorio.
Questo dovra’ uniformarsi con un governo unitario della Sanita’
nel territorio, espresso nella partecipazione alle scelte di
programmazione, che dovra’ essere sintonizzato con gli obiettivi di
salute della programmazione e quindi premiare la professionalita’, la
qualita’ e la quantita’ di lavoro, nonche’ un conseguente
riconoscimento nel sistema sanitario.
Obiettivo di questo riordino sono:
la garanzia di una appropriata erogazione dei servizi a partire
dei LEA;
il mantenimento nel territorio di tutte le attivita’
ambulatoriali;
un’efficace continuita’ assistenziale;
la fornitura di attivita’ specialistiche;
l’abbattimento delle liste d’attesa;
la riduzione di ricoveri ospedalieri impropri;
la attivazione dei percorsi assistenziali.
L’obiettivo prioritario e’ la realizzazione di un processo di
riordino che garantisca un elevato livello di integrazione tra i
diversi servizi sanitari e sociali, realizzato con il supporto del
medico dell’assistenza sanitaria di base. Un processo teso a fornire,
l’unitarieta’ tra prestazioni sanitarie e sociali, la continuita’ tra
azioni di cura e riabilitazione, la realizzazione di percorsi
assistenziali integrati, l’intersettorialita’ degli interventi,
unitamente al conseguente riequilibrio di risorse finanziarie e
organizzative in rapporto all’attivita’ svolta tra l’ospedale e il
territorio a favore di quest’ultimo.
E’ noto quanto sia importante il coordinamento degli interventi
ed a tale scopo individuare nel territorio soluzioni innovative,
organizzative e gestionali per orientare diversamente la domanda di
prestazioni.
Il territorio e’ sempre stato considerato erogatore di servizi
extra ospedalieri, oggi e’ necessario indirizzare chiaramente una
nuova e razionale offerta di prestazioni sul territorio, che
configuri l’intervento ospedaliero come assistenza extra territoriale
sempre piu’ riservato alle patologie acute.
E’ una linea che inverte il tradizionale sistema di offerta
sanitaria fondata prioritariamente sull’ospedale che attende i
cittadini ai servizi, a favore di una linea che identifica il
territorio quale soggetto attivo che intercetta il bisogno sanitario
e si fa carico in modo unitario delle necessita’ sanitarie e
socio-assistenziali dei cittadini.
2.7.-bis Potenziare i Servizi di Urgenza ed Emergenza
Per quanto attiene al sistema di emergenza-urgenza attivo in
Italia, sono state emanate nell’aprile 1996 le Linee Guida che
forniscono le indicazioni sui requisiti organizzativi e funzionali
della rete dell’emergenza e sulle Unita’ operative che compongono i
Dipartimenti di Urgenza ed Emergenza (DEA) di I e II livello. Sulla
base di tali indicazioni il sistema dell’emergenza sanitaria risulta
costituito da:
un sistema di allarme sanitario, assicurato dalla centrale
operativa, alla quale affluiscono tutte le richieste di intervento
sanitario in emergenza tramite il numero unico telefonico nazionale
(118);
un sistema territoriale di soccorso costituito da idonei mezzi
di soccorso distribuiti sul territorio;
una rete di servizi e presidi ospedalieri, funzionalmente
differenziati e gerarchicamente organizzati.
Relativamente a particolari specialita’ le Linee Guida sopra
citate prevedono l’elaborazione di successivi documenti di
approfondimento sulla gestione di tematiche specifiche. Tra queste,
le Linee Guida sulla chirurgia e microchirurgia della mano e quelle
sul triage intraospedaliero sono state approvate dalla Conferenza
Stato-Regioni e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale del 7 dicembre
2001 mentre quelle sull’Organizzazione di un sistema integrato di
assistenza ai pazienti traumatizzati con mielolesioni e/o
cerebrolesioni sono state pubblicate nella Gazzetta Ufficiale del
24 giugno 2002.
Il miglioramento dei servizi di urgenza ed emergenza riveste
infine un particolare rilievo per le Isole minori e le localita’
montane disagiate, per le quali sono stati previsti specifici
interventi sia dall’Accordo sui Livelli Essenziali di Assistenza sia
dalla legge Finanziaria del 28 dicembre 2001, n. 448. Infatti, mentre
l’Accordo garantisce l’erogazione delle prestazioni previste dai
livelli, con particolare riguardo a quelle di emergenza-urgenza, alle
popolazioni delle Isole minori e delle comunita’ montane disagiate,
la legge Finanziaria facilita il reclutamento del personale da
impiegare a tale scopo.
Gli obiettivi strategici:
riorganizzazione strutturale dei Pronto Soccorso e dei
Dipartimenti d’emergenza e accettazione;
integrazione del territorio con l’Ospedale;
integrazione della rete delle alte specialita’ nell’ambito
dell’emergenza per la gestione del malato critico e
politraumatizzato.
2.8. Promuovere la ricerca biomedica e biotecnologica e quella sui
servizi sanitari
La realizzazione degli obiettivi di salute dipende in larga parte
dai risultati della ricerca, in quanto il progresso scientifico
contribuisce in maniera determinante alla scoperta di nuove terapie e
procedure diagnostiche ed alla individuazione di nuovi procedimenti e
di nuove modalita’ organizzative nell’assistenza e nell’erogazione
dei servizi sanitari.
Il sostegno della ricerca comporta dei costi, ma determina a
lungo termine il vantaggio, anche economico, di ridurre l’incidenza
delle malattie, e di migliorare lo stato di salute della popolazione.
Il convincimento che le sfide piu’ importanti si possano vincere
soltanto con l’aiuto della ricerca e dei suoi risultati ci spinge a
considerare il finanziamento della ricerca un vero e proprio
investimento e la sua organizzazione un obiettivo essenziale.
Alla luce di tutto questo aver mantenuto la spesa pubblica
italiana per la ricerca tra le piu’ basse in Europa, rispetto al
prodotto interno lordo nazionale, ha rappresentato un grave danno per
il nostro Paese. Da piu’ parti si e’ elevato a questo proposito il
monito che, uscendo dalle difficolta’ economiche momentanee, l’Italia
debba approntare un piano strategico di rilancio della ricerca che
inizi con l’attribuire a questo settore maggiori risorse pubbliche.
Tuttavia va anche ricordato che il rilancio della ricerca non dipende
solo dalla disponibilita’ di fondi pubblici.
Per quanto riguarda la ricerca nell’ambito dell’Unione Europea e’
fondamentale che l’Italia svolga a pieno il ruolo che le spetta
nell’ambito del Sesto Programma Quadro (2002-2006) di Azione
Comunitaria di Ricerca, Sviluppo Tecnologico e Dimostrazione per la
Realizzazione dello Spazio Europeo della Ricerca, dotato di
importanti risorse finanziarie. Cio’ non solo perche’ il Programma
Quadro contribuira’ a modificare nell’arco di cinque anni in modo
radicale l’assetto della ricerca in Europa, ma anche perche’ l’Italia
ha il dovere di sviluppare la ricerca a sostegno delle politiche
comunitarie e di quelle destinate a rispondere alle esigenze
emergenti.
Gli obiettivi strategici:
la semplificazione delle procedure amministrative e burocratiche
per la autorizzazione ed il finanziamento della ricerca;
la promozione delle collaborazioni e delle reti di scambio tra
ricercatori, istituti di ricerca, istituti di cura, associazioni
scientifiche ed associazioni di malati;
la elaborazione dello studio di modelli che creino le condizioni
favorevoli per l’accesso alla ricerca e per favorire la mobilita’ dei
ricercatori tra le varie Istituzioni;
la promozione delle collaborazioni tra Istituzioni pubbliche e
private nel campo della ricerca;
l’attivazione di strumenti di flessibilita’ e convenienza per i
ricercatori, capaci di attirare ricercatori operanti all’estero,
inclusi i rapporti con i capitali e gli istituti privati italiani e
stranieri, in rapporto di partenariato o di collaborazione senza
limiti burocratici eccessivi;
l’attivazione di una politica che renda vantaggioso per le
imprese investire nella ricerca in Italia, utilizzando modelli gia’
sperimentati negli altri Paesi;
il perseguimento degli obiettivi prioritari previsti dal sesto
Programma Quadro Comunitario in tema di ITC, Biotecnologie e nuovi
materiali, nano e microtecnologie;
il perseguimento degli obiettivi previsti dai quattro assi di
intervento previsti dal PNR.
2.9. Promuovere gli stili di vita salutari, la prevenzione e la
comunicazione pubblica sulla salute
Le conoscenze scientifiche attuali dimostrano che l’incidenza di
molte patologie e’ legata agli stili di vita.
a) Oltre ad una crescente quota di popolazione in sovrappeso,
numerose patologie sono correlate, ad esempio, ad una alimentazione
non corretta. Tra queste, alcuni tipi di tumori, il diabete mellito
di tipo 2, le malattie cardiovascolari ischemiche, l’artrosi,
l’osteoporosi, la litiasi biliare, lo sviluppo di carie dentarie e le
patologie da carenza di ferro e carenza di iodio. Una caratteristica
della prevenzione delle malattie connesse all’alimentazione e’ la
necessita’ di coinvolgere gran parte della popolazione e non soltanto
i gruppi ad alto rischio. La strategia di prevenzione deve essere
rivolta pertanto all’intera popolazione, presso la quale occorre
diffondere raccomandazioni per una sana alimentazione in termini di
nutrienti, di scelta di profili alimentari salutari, ma anche
coerenti con le consuetudini, che tengano conto dei fattori culturali
e socio-economici. L’accento va posto sulla lettura ed utilizzazione
della etichettatura nutrizionale, adottata per un numero crescente di
alimenti preconfezionati, che puo’ facilitare scelte idonee ed
indurre il settore industriale a migliorare la qualita’ nutrizionale
degli alimenti prodotti.
I disturbi del comportamento alimentare (anoressia nervosa,
bulimia, altri disturbi del comportamento alimentare) mostrano, a
partire dagli anni ’70, un significativo incremento di incidenza e
prevalenza. I valori attuali di prevalenza in Italia nelle donne di
eta’ compresa tra i 12 e i 25 anni (soggetti a rischio) sono i
seguenti (dati riguardanti solo le sindromi complete e non i disturbi
sub clinici): anoressia nervosa 0,3-0,5%; bulimia nervosa 1-3%; altri
disturbi del comportamento alimentare 6%.
Un problema che riveste un interesse prioritario e’ quello della
dieta e del sovrappeso, sul quale ha richiamato l’attenzione di
recente il Consiglio dei Ministri Europeo e per il quale si rimanda
all’apposito capitolo.
Anche su questi temi vanno attuate, a fini di prevenzione,
campagne di sensibilizzazione anche nella scuola, nei consultori
adolescenziali e presso i medici di medicina generale.
b) Nell’ambito dell’adozione di stili di vita sani, l’attivita’
fisica riveste un ruolo fondamentale. Il ruolo protettivo
dell’esercizio fisico regolare e’ stato dimostrato soprattutto nei
confronti delle patologie cardiovascolari e cerebrovascolari, di
quelle osteoarticolari (in particolare l’osteoporosi), metaboliche
(diabete), della performance fisica e psichica degli anziani.
L’esercizio fisico regolare aiuta a controllare il peso corporeo,
riduce l’ipertensione arteriosa e la frequenza cardiaca ed aumenta il
benessere psicofisico.
c) Il fenomeno del tabagismo e’ molto complesso sia per i
risvolti economici, psicologici e sociali sia, soprattutto, per la
pesante compromissione della salute e della qualita’ di vita dei
cittadini, siano essi soggetti attivi (fumatori) o soggetti passivi
(non fumatori).
Oggi la comunita’ scientifica e’ unanime nel considerare il fumo
di tabacco la principale causa di morbosita’ e mortalita’
prevenibile. Infatti e’ scientificamente dimostrato l’aumento della
mortalita’ nei fumatori rispetto ai non fumatori per molte neoplasie
quali ad esempio il tumore del polmone, delle vie aeree superiori
(labbra, bocca, faringe e laringe), della vescica e del pancreas.
Il fumo e’ causa anche di un aumento della mortalita’ per
affezioni cardiovascolari, aneurisma dell’aorta e broncopneumopatie
croniche ostruttive.
Si stima che, ad oggi, i fumatori nel mondo siano circa 1
miliardo e 100 mila, 1/3 della popolazione globale sopra i 15 anni e
1/3 di questi siano donne. In Europa sono stati stimati 230 milioni
di fumatori, cioe’ circa il 30% dell’intera popolazione europea.
In Italia, dalle indagini multiscopo dell’Istat risulta che nel
2000 la percentuale di fumatori era pari al 24,1%: il 31,5% della
popolazione maschile, il 17,2% della popolazione femminile e ben il
21,3% dei giovani tra i 14 e i 24 anni. I fumatori piu’ accaniti, in
termini di numero medio di sigarette fumate al giorno, sono gli
uomini con 16 sigarette al giorno contro le 12 delle donne.
Nel nostro Paese nel 1998 si sono verificati 570.000 decessi: il
15% di questi, pari a 84.000 sono stati attribuiti al fumo, 72.000
nella popolazione maschile e 12.000 in quella femminile.
Attualmente il tumore al polmone e’ la decima causa di morte nel
mondo. Alcuni studi predicono che, qualora non si adottino piu’
concrete politiche antifumo, il tumore al polmone sara’ nel 2020 tra
le prime 5 cause di morte al mondo.
L’analisi della distribuzione percentuale dei fumatori negli
ultimi 10 anni (1991-2000), che non mostra diminuzioni significative,
ci induce a pensare che le politiche intraprese finora dai vari
Governi e supportate anche da Organizzazioni sopranazionali, quali
l’OMS, non hanno ottenuto i risultati attesi.
La normativa nazionale sul divieto di fumo nei locali pubblici
utilizzata finora, risulta essere limitata ed inefficace nella sua
applicazione. Il divieto di fumo, cosi’ come regolamentato
sostanzialmente dalla legge n. 584 dell’11 novembre 1975 e dalla
direttiva 14 dicembre 1995, non e’ sufficiente. Questa normativa, nel
tentativo di puntualizzare i luoghi ove e’ vietato fumare e di
affidare il rispetto delle norme a responsabili sprovvisti
dall’autorita’ necessaria, ha, di fatto, creato incertezze e
difficolta’ che hanno vanificato lo sforzo del legislatore.
Un ulteriore sviluppo normativo approvato in via definitiva dal
Parlamento il 21 dicembre 2002 prevede l’applicazione del divieto di
fumo a tutti gli spazi confinati, ad eccezione di quelli adibiti ad
uso privato e a quelli eventualmente riservati ai fumatori che
dovranno essere dotati di appositi dispositivi di ricambio d’aria per
tutelare la salute dei lavoratori addetti.
Gli interventi legislativi, comunque, devono essere coniugati con
maggiori e piu’ incisive campagne di educazione ed informazione sui
danni procurati dal fumo attivo e/o passivo, la cui efficacia potra’
essere maggiore se verranno rivolte soprattutto ai giovani in eta’
scolare e alle donne in eta’ fertile.
Una campagna indirizzata ai ragazzi di 14 e 15 anni e’ stata
iniziata nelle scuole dal Ministero della Salute e da quello
dell’Istruzione, Universita’ e Ricerca scientifica con l’iniziativa
denominata «Missione Salute» che si propone di supportare
l’educazione alla Salute nelle nostre scuole.
In particolare per i giovani va tenuto conto che si e’ registrato
un abbassamento dell’eta’ in cui questi iniziano a fumare (15 anni) e
che il 90% dei fumatori inizia a consumare sigarette prima dei 20
anni. Inoltre, se si considera che l’iniziazione alle sigarette e’
fortemente influenzata, sia nelle ragazze sia nei ragazzi, da
pressioni sociali, da bisogni psicologici, da condizionamenti legati
a compagni ed amici e da fattori familiari quali la presenza di
genitori che fumano, risulta evidente che un appropriato intervento
deve essere perseguito con un adeguato comportamento di coloro che
rivestono ruoli percepiti dai ragazzi come carismatici, inclusi i
genitori, gli insegnanti, gli operatori sanitari e i mass media.
Sara’ da modificare in particolare il modello proposto nei decenni
precedenti che presentava il fumatore come un personaggio emancipato
e carismatico; al contrario la nuova politica adottata negli USA, che
attribuisce al fumatore un basso livello socio-culturale, e’ quella
che piu’ si avvicina alle realta’ e che meglio puo’ contrastare la
cultura del secolo scorso.
Essendo scientificamente provata la correlazione tra fumo e
patologie del feto, risulta di particolare rilievo l’intervento di
sensibilizzazione destinato alle donne in eta’ fertile. Infatti, ad
esempio, il deficit congenito di un arto, nel quale una parte o tutto
l’arto del feto puo’ non svilupparsi, e’ doppio nelle donne fumatrici
rispetto alle non fumatrici. L’aborto spontaneo, si produce in quasi
4.000 donne su 100.000 che fumano e il rischio di gravidanza ectopica
e’ doppio rispetto alle non fumatrici. I bambini di madri fumatrici
pesano alla nascita in media 150-200 grammi in meno. Le donne
fumatrici sono piu’ soggette a fenomeni quali la placenta previa, il
distacco di placenta, le emorragie gestazionali, la rottura precoce
della membrana amniotica, le infezioni del liquido amniotico. Inoltre
alcuni studi dimostrano che l’esposizione dei neonati al fumo passivo
aumenta il rischio di SIDS (Sudden Infant Death Sindrome) ed in
particolare e’ direttamente proporzionale al consumo di sigarette
fumate dalla madre e al numero di sigarette fumate in presenza dei
neonati.
d) La riduzione dei danni sanitari e sociali causati dall’alcool
e’, attualmente, uno dei piu’ importanti obiettivi di salute
pubblica, che la gran parte degli Stati persegue per migliorare la
qualita’ della vita dei propri cittadini. Numerose evidenze
dimostrano che gli individui (ed i giovani in particolare) che
abusano dell’alcool risultano piu’ frequentemente inclini a
comportamenti ad alto rischio per se’ e per gli altri (quali guida di
autoveicoli e lavoro in condizioni psico-fisiche inadeguate) nonche’
al fumo e/o all’abuso di droghe rispetto ai coetanei astemi. L’alcool
agisce come «ponte» per gli individui piu’ giovani, rappresentando
una delle possibili modalita’ di approccio a sostanze illegali, le
cui conseguenze spesso si estendono ben oltre la salute della persona
che ne fa direttamente uso. Benche’ il consumo di bevande alcooliche
in Italia sia andato diminuendo dal 1981, notevoli sforzi devono
essere posti in essere per raggiungere gli obiettivi adottati
dall’OMS e, in particolare, dall’Unione Europea con la recente
approvazione di una specifica strategia per la riduzione dei pericoli
connessi all’alcool.
Una corretta informazione sui problemi della salute, sulle
malattie, e sui comportamenti e le soluzioni piu’ adatte a promuovere
lo stato di salute sta alla base di una moderna societa’ del
benessere. Molti sono infatti gli strumenti che la scienza e la
tecnologia moderna mettono a disposizione della collettivita’ per
tutelare le condizioni di vita e di salute. Molti sono anche,
peraltro, i fattori di minaccia per la salute, vecchi e nuovi,
dall’inquinamento agli errori alimentari, agli abusi di sostanze
potenzialmente dannose, alla mancata prevenzione. Anche sostanze
innocue come il sale da cucina, se assunto in quantita’ eccessive
possono essere causa di malattie a carico dell’apparato
cardio-vascolare.
Va inoltre sottolineata l’importanza di sottoporsi a periodici
controlli e a test di screening consigliati per la diagnosi precoce
dei tumori nelle eta’ e con i tempi appropriati.
Alcune importanti informazioni di carattere sanitario non sono o
sono scarsamente accessibili ai pazienti. Questo e’, ad esempio, il
caso delle informazioni:
sulle possibili terapie alternative per particolari malattie;
sullo sviluppo di alcuni approcci terapeutici;
sull’esito di alcune sperimentazioni cliniche;
sulle caratteristiche delle diverse strutture sanitarie e le
diverse possibilita’ di cura;
sulle modalita’ di accesso alle cure.
Le informazioni necessarie ai pazienti per orientarsi sulle
decisioni in materia di salute dovrebbero essere fornite in modo
comprensibile e aggiornato. Benche’ il ruolo del medico e del
farmacista rimanga fondamentale nell’informare i pazienti, e’
necessario tenere conto del fatto che lo sviluppo della societa’
dell’informazione offre numerosi altri strumenti, ivi incluso
Internet, il cui impatto potrebbe essere altamente benefico se
opportunamente utilizzati. In effetti, esistono gia’ numerosi siti
web che forniscono una varieta’ di informazioni di carattere
sanitario, ma la qualita’ dell’informazione fornita non e’ sempre
soddisfacente ed, in alcuni casi, e’ addirittura fuorviante.
Costituisce un obbligo prioritario per il Servizio Sanitario
Nazionale quello di fornire ai cittadini corretti strumenti di
informazione, che consentano di evitare i rischi, di attuare
comportamenti salutari, e di conoscere e saper individuare
adeguatamente ed in tempo utile i possibili segnali di squilibrio
psicofisico e di malattia.
Oltreche’ all’importanza della informazione sulla salute rivolta
ai cittadini, il Servizio Sanitario Nazionale deve prestare
attenzione anche alle opportunita’ dello sviluppo di una corretta
comunicazione tra cittadini ed Istituzioni. Fino ad un recente
passato il rapporto terapeutico era inteso quasi esclusivamente «a
senso unico», nel quale le informazioni passavano dal medico, o
dall’operatore sanitario, al paziente, o ai suoi familiari. In uno
stato moderno, nel quale i cittadini possiedono livelli di cultura
piu’ elevati, e soprattutto ambiscono a partecipare attivamente ai
processi sociali ed economici che li riguardano, la relazione
bi-direzionale tra operatori e utenti e’ d’obbligo.
Le Istituzioni sanitarie devono rispondere a numerose istanze sul
complesso e articolato tema della salute, moltiplicando in tal modo
la quantita’ dei temi e dei messaggi, che rischiano cosi’ di
disperdersi in piu’ percorsi di comunicazione, non potendo avere una
sufficiente massa critica di risorse.
Si nota inoltre su alcune tematiche di pubblico valore, oggetto
in passato di attivita’ comunicazionale, un mancato coordinamento a
livello di obiettivi strategici desiderati, o addirittura una
sovrapposizione degli sforzi da parte di diversi enti, che anziche’
creare valore incrementale alla comunicazione rischiano di
indirizzare ai cittadini messaggi incoerenti o poco chiari.
L’insieme di queste considerazioni evidenzia la necessita’ di
modificare l’approccio alla comunicazione istituzionale in campo
sanitario se si vuole raggiungere risultati significativi su
questioni di altissimo impatto.
Gli obiettivi strategici
Occorre orientare l’attivita’ e gli impegni del Servizio
Sanitario Nazionale affinche’ esso si muova nella direzione dello
sviluppo di un sistema di monitoraggio e comunicazione per tutti gli
utenti, effettivi e potenziali, sugli stili di vita sani e la
prevenzione sanitaria.
Cio’ implica la necessita’ di:
acquisire gli elementi necessari per comprendere le esigenze di
informazione dei cittadini in tema di salute e di sanita’;
avviare un processo di valutazione ed interpretazione della
domanda di salute;
individuare i nodi critici della comunicazione tra operatori e
utenti;
mettere a fuoco le lacune in tema di capacita’ diffuse di
prevenzione;
progettare una banca-dati di informazioni aggiornate sulla rete
dei servizi sanitari e socio-sanitari e sulle prestazioni offerte, ed
un relativo sistema di trasmissione e distribuzione delle
informazioni;
contribuire al consolidamento di una corretta cultura della
salute nel Paese;
coinvolgere soggetti plurimi, pubblici e privati, in comuni
imprese ed iniziative di comunicazione ed informazione sulla salute e
la sanita’;
portare a regime un piano pluriennale di comunicazione
istituzionale sulla salute.
2.10. Promuovere un corretto impiego dei farmaci e la
farmacovigilanza
L’uso razionale dei medicinali rappresenta un obiettivo
prioritario e strategico del Piano Sanitario Nazionale, per il ruolo
che il farmaco riveste nella tutela della salute.
A seguito dell’emanazione della legge 16 novembre 2001 n. 405, i
farmaci rappresentano uno dei settori piu’ avanzati di applicazione
del processo di devoluzione di competenze alle Regioni, in un quadro
peraltro di garanzia per tutti i cittadini di accesso ai farmaci
essenziali.
L’attuazione del Programma Nazionale di Farmacovigilanza,
costituisce lo strumento attraverso il quale valutare costantemente
il profilo di beneficio-rischio dei farmaci, e garantire la sicurezza
dei pazienti nell’assunzione dei medicinali. Piu’ in generale,
bisogna puntare sul buon uso del farmaco.
In tale contesto, si inserisce l’invio a tutte le famiglie
italiane dell’opuscolo «Pensiamo alla salute. 20 regole per un uso
corretto dei farmaci», a cura del Ministero della Salute. Tale
iniziativa intende costituire un supporto di conoscenza e di
informazione per tutti i cittadini sul corretto ruolo dei farmaci nel
contesto della salute, mettendo in relazione l’uso dei medicinali con
l’attenzione a stili di vita adeguati.
L’Italia ritiene necessario l’aggiornamento della normativa
europea in materia di medicinali e a tal fine si adoperera’ per
mettere a punto nuovi sviluppi basati sulla collaborazione degli
Stati membri e della Commissione Europea secondo quanto delineato dal
gruppo di lavoro ad alto livello su «Innovazione e disponibilita’ dei
medicinali» (cosiddetto gruppo G-10 medicinali) che ha adottato 14
raccomandazioni in materia di politica farmaceutica relative ad
innovazione, accessibilita’, bench-marking, diritti di informazione
dei pazienti ed impatto dell’allargamento dell’U.E.
Gli obiettivi strategici
Gli obiettivi strategici nel settore del buon uso del farmaco
possono essere cosi’ definiti:
offrire un supporto sistematico alle Regioni sull’andamento
mensile della spesa farmaceutica, attraverso informazioni validate ed
oggettive, che consentano un puntuale monitoraggio della spesa, la
valutazione dell’appropriatezza della farmacoterapia e l’impatto
delle misure di contenimento della spesa adottate dalle Regioni in
base alla citata legge n. 405 del 2001;
attuare il Programma Nazionale di Farmacovigilanza per
assicurare un sistema capace di evidenziare le reazioni avverse e di
valutare sistematicamente il profilo di rischio-beneficio dei
farmaci;
porre il farmaco fra i temi nazionali dell’ECM;
rafforzare l’informazione sui farmaci rivolta agli operatori
sanitari e ai cittadini;
promuovere l’appropriatezza delle prescrizioni e dei consumi;
rilanciare la sperimentazione clinica dei farmaci e il ruolo
dei comitati etici locali;
assicurare l’accesso agevole e rapido ai medicinali innovativi
per tutti i cittadini.
Parte Seconda
GLI OBIETTIVI GENERALI
3. La promozione della salute
L’aumento della longevita’ in Italia potra’ essere conseguito
soprattutto attraverso la diminuzione della mortalita’ per malattie
cardiovascolari, la riduzione della mortalita’ prematura per cancro e
una migliore prevenzione degli incidenti e degli infortuni. Sono
numerose in Italia, come in altri Stati, le cause di morte che
potrebbero essere prevenute da un intervento medico o di salute
pubblica appropriato (morti evitabili). Un primo gruppo comprende le
malattie per le quali i fattori etiologici sono stati identificati e
il cui impatto dovrebbe essere ridotto attraverso idonei programmi di
prevenzione primaria. Un secondo gruppo include le malattie
neoplastiche la cui diagnosi precoce, unitamente alla terapia
adeguata, ha dimostrato di aumentare notevolmente il tasso di
sopravvivenza dei pazienti. Un terzo gruppo, piu’ eterogeneo, e’
formato da malattie associate a condizioni igieniche scarse, quali ad
esempio l’epatite virale A, e da altre malattie fortemente
influenzate dall’efficienza del sistema sanitario nel provvedere una
diagnosi corretta e un tempestivo trattamento appropriato. Secondo
alcune stime recenti, vi sarebbero state in Italia nel 1998 circa 80
mila morti evitabili per il 57,7% mediante la prevenzione primaria,
per il 9,9% attraverso diagnosi precoci e per la restante parte con
una migliore assistenza sanitaria. L’incremento del numero delle
persone anziane pone la necessita’ di promuovere la loro
partecipazione alla vita sociale, contrastando l’emarginazione e
rafforzando l’integrazione fra politiche sociali e sanitarie al fine
di assicurare l’assistenza domiciliare per evitare ogni volta che sia
possibile l’istituzionalizzazione.
3.1. Vivere a lungo, vivere bene
L’aspettativa di vita a 65 anni in Italia ha evidenziato la
tendenza ad un progressivo aumento a partire dal 1970 per entrambi i
sessi: nel corso degli anni fra il 1983 e il 1993, l’aspettativa di
vita a 65 anni e’ aumentata di 2,3 anni per le femmine (+13,5%) e di
2 anni per i maschi (+14,5%). Nell’anno 2000 l’aspettativa di vita
alla nascita e’ stata stimata essere pari a 82,4 anni per le donne e
a 76,0 anni per gli uomini. Tuttavia, l’aumento della longevita’ e’
un risultato valido se accompagnato da buona salute e da piena
autonomia. A tale scopo e’ stato sviluppato il concetto di
«aspettativa di vita sana (o esente da disabilita)». I dati
disponibili, pur limitati, suggeriscono che l’aspettativa di vita
esente da disabilita’, sia per i maschi che per le femmine, si
avvicini in Italia alla semplice aspettativa di vita maggiormente di
quanto non avvenga in altri Paesi.
Secondo gli obiettivi adottati nel 1999 dall’OMS (Organizzazione
Mondiale della Sanita) per gli Stati europei, ivi inclusa l’Italia,
entro l’anno 2020:
vi dovrebbe essere un aumento, almeno del 20%, dell’aspettativa
di vita e di una vita esente da disabilita’ all’eta’ di 65 anni;
vi dovrebbe essere un aumento, di almeno il 50%, nella
percentuale di persone di 80 anni che godono di un livello di salute
che permetta loro di mantenere la propria autonomia e la stima di
se’.
3.2. Combattere le malattie
3.2.1. Le malattie cardiovascolari e cerebrovascolari
Le malattie cardiovascolari sono responsabili del 43% dei decessi
registrati in Italia nel 1997, per il 31% dovute a patologie
ischemiche del cuore e per il 28% ad accidenti cerebrovascolari.
Notevoli differenze si registrano in diverse parti d’Italia sia
nell’incidenza sia nella mortalita’ associata a queste malattie.
I principali fattori di rischio a livello individuale e
collettivo sono il fumo di tabacco, la ridotta attivita’ fisica, gli
elevati livelli di colesterolemia e di pressione arteriosa ed il
diabete mellito; la presenza contemporanea di due o piu’ fattori
moltiplica il rischio di andare incontro alla malattia ischemica del
cuore e agli accidenti cardiovascolari.
Per quanto riguarda gli interventi finalizzati alla riduzione
della letalita’ per malattie cardiovascolari e’ ormai dimostrato come
la mortalita’ ospedaliera per infarto acuto del miocardio, rispetto a
quanto avveniva negli anni ’60 prima dell’apertura delle Unita’ di
Terapia Intensiva Coronaria (UTIC), sia notevolmente diminuita e,
dopo l’introduzione della terapia trombolitica, si sia ridotta
ulteriormente. Cio’ che resta invariata nel tempo e’, invece, la
quota di pazienti affetti da infarto miocardio acuto che muore a
breve distanza dall’esordio dei sintomi prima di giungere
all’osservazione di un medico. Per quanto riguarda l’ictus (circa
110.000 cittadini sono colpiti da ictus ogni anno mentre piu’ di
200.000 sono quelli con esiti di ictus pregressi), si rende
indispensabile riorganizzare operativamente e promuovere
culturalmente l’attenzione all’ictus cerebrale come emergenza medica
curabile. E’ necessario, quindi, prevedere un percorso integrato di
assistenza al malato che renda possibile sia un intervento
terapeutico in tempi ristretti per evitare l’instaurarsi di danni
permanenti, e dall’altro canto un tempestivo inserimento del paziente
gia’ colpito da ictus in un sistema riabilitativo che riduca
l’entita’ del danno e favorisca il recupero funzionale.
Per contrastare sia le malattie cardiovascolari sia quelle
cerebrovascolari, e’ molto importante intensificare gli sforzi nella
direzione della prevenzione primaria e secondaria, attraverso:
la modificazione dei fattori di rischio quali fumo, inattivita’
fisica, alimentazione errata, ipertensione, diabete mellito;
il trattamento con i farmaci piu’ appropriati.
E’ necessario anche migliorare le attivita’ di sorveglianza degli
eventi acuti.
L’obiettivo adottato nel 1999 dall’Organizzazione Mondiale della
Sanita’ per gli Stati dell’Europa per l’anno 2020 e’ quello di una
riduzione della mortalita’ cardiovascolare in soggetti al di sotto
dei 65 anni di eta’ pari ad almeno il 40%.
3.2.2. I tumori
Il cancro costituisce la seconda causa di morte nel nostro Paese.
Nel 1998 i decessi per tumore sono stati circa 160.000, il 28% circa
della mortalita’ complessiva. Il maggior numero assoluto di decessi
e’ attribuibile ai tumori polmonari, seguono quelli del colon-retto,
dello stomaco e della mammella.
Si stima che in Italia siano diagnosticati circa 270.000 nuovi
casi di tumore all’anno.
L’incidenza dei tumori nella popolazione italiana anziana e’
ancora in aumento, mentre i tassi di incidenza, aggiustati per eta’,
sono stimati stabili. Nei dati dei Registri Tumori Italiani, il
tumore del polmone e’ quello con il massimo livello di incidenza,
seguono i tumori della mammella, del colon-retto e dello stomaco.
La distribuzione geografica del cancro in Italia e’
caratterizzata dall’elevata differenza di incidenza e di mortalita’
fra grandi aree del Paese, in particolare fra Nord e Sud. In entrambi
i sessi e per la maggior parte delle singole localizzazioni tumorali
ed in particolare per i tumori a maggiore frequenza, il rischio di
ammalare e’ molto superiore al Nord che al Sud del Paese. Nel 1997 i
tassi standardizzati per eta’ della mortalita’ per cancro sono stati
per 1.000 abitanti pari a:
uomini: Nord-Ovest: 3,85; Nord-Est: 3,63; Centro: 3,35; Sud e
Isole: 3,03;
donne: Nord-Ovest: 1,93; Nord-Est: 1,83; Centro: 1,76; Sud e
Isole: 1,57.
La sopravvivenza in presenza della malattia e’ costantemente
aumentata nel tempo, a partire dal 1978, anno dal quale si dispone di
dati. L’incremento in Italia e’ stato il piu’ forte tra tutti quelli
osservati nei Paesi europei. Le probabilita’ di sopravvivenza a 5
anni, nell’ultimo periodo disponibile (pazienti diagnosticati fino al
1994), sono complessivamente del 47% (39% negli uomini e 56% nelle
donne). Nel corso di 5 anni, rispetto alle osservazioni precedenti,
la sopravvivenza e’ migliorata del 7% negli uomini e del 6% nelle
donne.
La differenza tra sessi e’ dovuta soprattutto alla minore
letalita’ dei tumori specifici della popolazione femminile.
Il fumo e le abitudini alimentari scorrette (compreso l’eccessivo
consumo di alcool) sono fattori di rischio riconosciuti, per molte
categorie di tumori, con peso etiologico variabile, e possono
spiegare circa i 2/3 di tutti i casi di tumore. Gli interventi per
contrastare questi fattori, cui sono dedicati specifici capitoli del
presente Piano Sanitario, sono, quindi, di fondamentale importanza.
La diagnosi precoce, che consenta la rimozione del tumore prima
della diffusione nell’organismo di cellule metastatiche, sarebbe in
via di principio, risolutiva almeno per i tumori solidi. Essa avrebbe
inoltre un riscontro quasi immediato nelle statistiche di mortalita’.
In pratica la diagnosi precoce clinica puo’ non essere sufficiente a
salvare la vita del paziente, anche se puo’ in molti casi allungarne
il tempo di sopravvivenza e migliorarne la qualita’ della vita. Deve
essere incentivato e reso disponibile l’approfondimento diagnostico
anche in soggetti con sintomi lievi e con basso potere predittivo,
con particolare attenzione alla popolazione anziana.
Alle persone sane vanno proposti solo esami di screening di
comprovata efficacia nella riduzione del tasso di mortalita’ e di
morbilita’ dovute al cancro, che allo stato delle attuali conoscenze
sono il Paptest, la mammografia e la ricerca del sangue occulto nelle
feci.
Tra i problemi che affliggono l’erogazione di un’adeguata
assistenza ai cittadini affetti da neoplasia maligna, oltre alla
mancanza di «ospedalizzazione a domicilio», vi e’ la scarsita’ di
adeguate strutture ospedaliere specializzate nel trattamento del
cancro. Gli aspetti negativi di questa situazione sono essenzialmente
due: 1) la gran variabilita’ della casistica clinica non consente ai
tecnici di focalizzare il loro interesse professionale alla diagnosi
e terapia di questa patologia; 2) la necessita’ di fronteggiare tutte
le patologie e la limitatezza dei fondi disponibili non consentono a
tutti di acquisire le apparecchiature necessarie per erogare
prestazioni adeguate (basta pensare alle poche Unita’ di Radioterapia
presenti sul territorio nazionale).
L’oncologia e’ una disciplina che coinvolge molti enti con
diverso interesse principale, perche’ non essendo ancora nota la
causa etiologica e’ necessaria un’intensa attivita’ di ricerca che
comprende la ricerca di base, la ricerca cosiddetta traslazionale e
la ricerca clinica propriamente detta.
Si e’ pero’ venuta a creare una situazione non bene definita,
perche’ questa suddivisione di compiti ha confini molto sfumati
essenzialmente per la mancanza di un accordo formale sulla
suddivisione di compiti tra enti diversi.
Sia a livello nazionale sia a livello europeo sta per iniziare
una discussione su questo problema: l’Unione Europea ha lanciato
un’iniziativa definita «European Cancer Research Iniziative» il cui
scopo essenziale e’ di aiutare la Commissione Europea a definire i
contenuti della parte oncologica del VI Programma Quadro. Nel corso
della discussione e’ pero’ emersa come prioritaria la necessita’ di
risolvere i problemi dei pazienti a livello individuale e di salute
pubblica. La proposta formulata dalle Associazioni Oncologiche
europee e’ di definire un modello di centro oncologico cui dare tre
obiettivi prioritari:
1) migliorare gli standard di prevenzione, diagnosi e terapia;
2) favorire la parita’ tra pazienti e medici;
3) migliorare l’accesso alle strutture di diagnosi e cura in
Europa.
3.2.3. Le cure palliative
In Italia muoiono ogni anno oltre 159.000 persone a causa di una
malattia neoplastica (Istat, 1998) ed il 90% di esse (143.100)
necessita di cure palliative che si realizzano attraverso la
formulazione e l’offerta di un piano personalizzato di cura ed
assistenza in grado di garantire la migliore qualita’ di vita residua
possibile durante gli ultimi mesi di vita al paziente stesso e alla
sua famiglia. Tale fase, definita comunemente «fase terminale», e’
caratterizzata per la persona malata da una progressiva perdita di
autonomia, dal manifestarsi di sintomi fisici e psichici spesso di
difficile e complesso trattamento, primo fra tutti il dolore, e da
una sofferenza globale, che coinvolge anche il nucleo familiare e
quello amicale e tale da mettere spesso in crisi la rete delle
relazioni sociali ed economiche del malato e dei suoi cari.
La fase terminale non e’ caratteristica esclusiva della malattia
oncologica, ma rappresenta una costante della fase finale di vita di
persone affette da malattie ad andamento evolutivo, spesso cronico, a
carico di numerosi apparati e sistemi, quali quello respiratorio (ad
es. insufficienza respiratoria refrattaria in persone affette da
malattie polmonari croniche), cardio-circolatorio (ad es. persone
affette da miocardiopatie dilatative), neurologico (ad es. malattie
degenerative quali la sclerosi multipla), epatico (ad es. cirrosi) e
di persone colpite da particolari malattie infettive, in primo luogo
l’A.I.D.S.
Le cure palliative si rivolgono ai pazienti colpiti da una
malattia che non risponde piu’ a trattamenti specifici e la cui
diretta conseguenza e’ la morte. Il controllo del dolore e degli
altri sintomi, l’attenzione agli aspetti psicologici, sociali e
spirituali e’, quindi, di fondamentale importanza. Lo scopo delle
cure palliative e’ il raggiungimento della migliore qualita’ di vita
possibile per i pazienti e le loro famiglie. Alcuni interventi
palliativi sono applicabili anche precocemente nel decorso della
malattia, in aggiunta al trattamento specifico.
La filosofia cui le cure palliative si ispirano, quindi, e’ tesa
a produrre azioni finalizzate al miglioramento della qualita’ di vita
del paziente.
Esse:
affermano la vita e considerano il morire come un evento
naturale;
non accelerano ne’ ritardano la morte;
provvedono al sollievo dal dolore e dagli altri disturbi;
integrano gli aspetti psicologici e spirituali dell’assistenza;
aiutano i pazienti a vivere in maniera attiva fino alla morte;
sostengono la famiglia durante la malattia e durante il lutto.
La maggior parte delle regioni ha gia’ provveduto a definire la
programmazione della rete degli interventi di cure palliative, anche
se con modalita’ tra loro in parte differenti: molte hanno elaborato
programmi regionali specifici per le cure palliative ed altre hanno
inserito lo sviluppo delle cure palliative all’interno del piu’ vasto
programma di riorganizzazione della rete di interventi domiciliari
sanitari, socio-sanitari ed assistenziali (rete per la cura ed
assistenza domiciliare).
Cio’ che emerge e’ la necessita’ di un modello di intervento di
cure palliative flessibile ed articolabile in base alle scelte
regionali, ma che, garantisca in tutto il Paese la risposta ottimale
ai bisogni della popolazione, sia a quelli dei malati sia a quelli
delle famiglie.
La necessita’ di offrire livelli assistenziali a complessita’
differenziata, adeguati alle necessita’ del malato, mutevoli anche in
modo rapido ed imprevedibile, rende necessario programmare un sistema
a rete che offra la maggior possibilita’ di integrazione tra
differenti modelli e livelli di intervento e tra i differenti e
numerosi soggetti professionali coinvolti.
La rete deve essere composta da un sistema di offerta nel quale
la persona malata e la sua famiglia, ove presente, possano essere
guidati e coadiuvati nel percorso assistenziale tra il proprio
domicilio, sede di intervento privilegiata ed in genere preferita dal
malato e dal nucleo familiare, e le strutture di degenza,
specificamente dedicate al ricovero/soggiorno dei malati non
assistibili presso la loro abitazione. La rete sanitaria e
socio-sanitaria deve essere strettamente integrata con quella
socio-assistenziale, al fine di offrire un approccio completo alle
esigenze della persona malata.
Ai fini di promuovere la diffusione delle cure palliative e’
necessario quindi:
rivedere alcuni aspetti normativi riguardo all’uso di farmaci
antidolorifici, migliorando la disponibilita’ degli oppiacei,
semplificando la prescrizione medica, prolungando il ciclo di terapia
e rendendone possibile l’uso anche a casa del paziente;
individuare precise Linee Guida in materia di terapia antalgica
per prevenire gli abusi ed orientare il medico nella prescrizione;
implementare la rete assistenziale;
attivare un sistema di valutazione;
realizzare programmi di comunicazione e sensibilizzazione della
popolazione;
sostenere specifici programmi di ricerca;
promuovere l’integrazione nella rete di cure palliative delle
Organizzazioni no-profit operanti in questo settore, attraverso la
valorizzazione delle Associazioni di Volontariato.
3.2.4. Il diabete e le malattie metaboliche
Le malattie metaboliche, in progressivo aumento anche in rapporto
con l’innalzamento della vita media della popolazione, rappresentano
una causa primaria di morbilita’ e mortalita’ nel nostro Paese.
Il diabete di tipo 1, dipendente da carenza primaria di insulina,
necessita di trattamento specifico insulinico sostitutivo, ma la
gravita’ della prognosi e’ strettamente legata ad una corretta
gestione, da parte degli stessi pazienti, dello stile di vita in
generale e di quello alimentare in particolare.
Pertanto e’ opportuno attivare:
programmi di prevenzione primaria e secondaria, in particolare
per il diabete mellito in eta’ evolutiva, con l’obiettivo di ridurre
i tassi di ospedalizzazione ed i tassi di menomazione permanente
(cecita’, amputazioni degli arti);
strategie per migliorare la qualita’ di vita dei pazienti,
attraverso programmi di educazione ed informazione sanitaria.
L’incidenza del diabete di tipo 2 (non dovuto alla carenza di
insulina, cosiddetto dell’adulto) e’ in aumento in tutto il mondo,
sia in quello occidentale che nei Paesi in via di sviluppo, anche
perche’ la diagnosi viene posta in fase piu’ precoce rispetto al
passato.
L’incremento epidemico dei casi di obesita’, d’altra parte,
rappresenta di per se’ un’importante fattore di rischio per la
comparsa clinica della malattia diabetica.
Vi e’ oggi convincente evidenza che il counselling individuale
finalizzato a ridurre il peso corporeo, a migliorare le scelte
alimentari (riducendo il contenuto di grassi totali e di grassi
saturi e aumentando il contenuto in fibre della dieta) e ad aumentare
l’attivita’ fisica, riduce il rischio di progressione verso il
diabete del 58% in 4 anni.
Le complicanze del diabete sono prevalentemente a carico
dell’apparato cardiocircolatorio e possono essere decisamente
penalizzanti per la qualita’ e la durata della vita. In massima parte
possono essere prevenute dalla diagnosi precoce, dal miglioramento
del trattamento specifico e da programmi di educazione sanitaria
orientati all’autogestione della malattia. In particolare, la
riduzione ed il controllo del peso corporeo, oltre a ridurre il
rischio di comparsa clinica del diabete, contribuisce anche a ridurre
il rischio delle sue complicanze, specie quelle di eventi
cardiovascolari.
L’OMS ha posto come obiettivo per l’anno 2020 la riduzione di un
terzo dell’incidenza delle complicanze legate al diabete.
Due milioni di italiani hanno dichiarato di soffrire di diabete
secondo l’indagine multiscopo ISTAT con notevoli differenze
geografiche di prevalenza autopercepita e questo dato e’ coerente con
la rilevazione della rete di osservatori cardiovascolari relativa
alla distribuzione della glicemia ed alla proporzione di diabetici.
E’ pero’ assai probabile che il numero di italiani diabetici, senza
sapere di esserlo, sia altrettanto alto.
Una strategia di educazione comportamentale, di prevenzione
globale delle patologie metaboliche e di conseguenza della morbilita’
e mortalita’ da danno vascolare e cardiaco, non puo’ prescindere
dall’affrontare il problema del sovrappeso e dell’obesita’.
L’obesita’ e’ la seconda causa di morte prevenibile, dopo il
fumo. Nel mondo industrializzato, circa meta’ della popolazione e’ in
eccesso di peso. In Italia negli ultimi dieci anni la prevalenza
dell’obesita’ e’ aumentata del 50% e questo e’ piu’ evidente nei
soggetti in eta’ pediatrica, soprattutto nelle classi
socio-economiche piu’ basse. I costi socio-sanitari dell’obesita’
hanno superato, negli Stati Uniti, i 100 miliardi di dollari l’anno,
mentre per l’Italia, i costi diretti dell’obesita’ sono stimati in
circa 23 miliardi di euro l’anno. La maggior parte di tali costi
(piu’ del 60 %), e’ dovuta a ricoveri ospedalieri, ad indicare quanto
il sovrappeso e l’obesita’ siano i reali responsabili di una serie di
gravi patologie cardiovascolari, metaboliche, osteoarticolari,
tumorali e respiratorie che comportano una ridotta aspettativa di
vita ed un notevole aggravio per il Sistema Sanitario Nazionale.
3.2.5 I Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA)
I Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA) in particolare
l’anoressia nervosa e la bulimia nervosa, sono malattie mentali che
comportano gravi danni somatici, con un rischio di morte dodici volte
maggiore di quello dei soggetti normali della stessa eta’: essi
rappresentano un problema socio-sanitario molto importante per tutti
i Paesi sviluppati, e quindi anche per l’Italia. A livello
internazionale, gli studi di prevalenza, condotti su donne fra i 12 e
25 anni, hanno indicato valori compresi tra 0.2 e 0.8% per
l’anoressia nervosa e tra 0.5 e 1.5% per la bulimia nervosa.
L’incidenza dell’anoressia nervosa negli ultimi anni risulta
stabilizzata su valori di 4-8 nuovi casi annui per 100.000 abitanti,
mentre quella della bulimia nervosa risulta in aumento, ed e’
valutata in 9-12 nuovi casi/anno. La maggior parte degli studi e’
stata effettuata in paesi anglosassoni e in Italia sono stati
rilevati dati sovrapponibili.
Per quanto attiene all’obesita’ e’ oramai dimostrato che nel suo
trattamento l’intervento di ordine psico-comportamentale e’
fondamentale nel determinare il successo terapeutico, anche se deve
essere ribadito che si tratta di una condizione definita su base
morfologica ma non ancora adeguatamente inquadrata su base
psicopatologica.
Lo studio e la cura della obesita’ e piu’ in generale della
Sindrome Metabolica, si intrecciano profondamente e indissolubilmente
con lo studio e la cura del comportamento alimentare e dei suoi
disturbi (anoressia nervosa, bulimia nervosa, binge eating disorder,
night eating syndrome, etc.) per quanto suddetto e per almeno tre
altri motivi:
per tutte queste patologie nessuna cura e’ efficace se non
implica un cambiamento profondo del comportamento alimentare e dello
stile di vita;
cure inadeguate dell’obesita’ sono corresponsabili del grande
aumento dei disordini alimentari nel mondo contemporaneo;
come la cura dell’obesita’, anche quella dei DCA e’
multidisciplinare e impone la collaborazione tra internisti,
nutrizionisti, psichiatri e psicologi.
Sia per l’obesita’ che per i disturbi del comportamento
alimentare si segnalano la gravissima insufficienza delle strutture
sanitarie, l’inadeguatezza della formazione attuale di base e la
necessita’ di un approccio multidimensionale.
La lotta all’obesita’ ed ai DCA mira a diminuire il numero di
persone che si ammalano di questi stati morbosi e ad aumentare, in
coloro che ne sono affetti, la probabilita’ di migliorare o di
sopravvivere in condizioni soddisfacenti. Le strategie si possono
articolare in aree che hanno caratteristiche e tempi di realizzazione
differenti: prevenzione primaria, prevenzione secondaria, assistenza,
formazione, ricerca. Queste azioni potranno beneficiare delle
informazioni ottenute attraverso gli strumenti epidemiologici, il cui
obiettivo prioritario e’ quello di:
controllare prevalenza e incidenza della SM, dell’obesita’ e
dei DCA con lo scopo di identificare i casi secondo le categorie
previste dall’OMS e valutare il numero di nuovi malati in relazione
alla popolazione residente;
individuare i soggetti ad alto rischio per indirizzare con
maggiore precisione le politiche di intervento;
valutare l’efficacia degli interventi mediante controlli a
distanza di tempo.
3.2.6. Le malattie respiratorie e allergiche
Le malattie polmonari croniche ostruttive hanno un grave impatto
sulla qualita’ della vita, sulla disabilita’, sui costi per
l’assistenza sanitaria, nonche’ sull’assenteismo dal lavoro in molti
Paesi europei ed anche in Italia, anche se rispetto ad altri Paesi
europei, l’Italia mostra un tasso di mortalita’ al di sotto della
media dell’Unione Europea. In Italia, inoltre, il tasso di mortalita’
per malattie croniche respiratorie, quasi interamente attribuibile a
bronchite cronica ed enfisema polmonare, mostra una tendenza alla
diminuzione, che dovrebbe essere ulteriormente rafforzata attraverso
l’intensificazione della prevenzione alle esposizioni ambientali e
occupazionali ed il miglioramento dei trattamenti terapeutici.
La presenza di rinite allergica stagionale e perenne e’ invece in
costante aumento da tempo e cosi’ pure l’asma allergica. I fattori
principali alla base dell’aumento della prevalenza delle malattie
allergiche sono l’inquinamento intramurale causato da acari della
polvere, pelo di gatto e miceti; il fumo di tabacco; l’inquinamento
atmosferico causato da ozono, materiale particolato, NO2 e SO2; le
abitudini alimentari; gli stili di vita (sempre piu’ tempo trascorso
in ambienti chiusi); le condizioni igieniche nonche’ l’introduzione
di nuove sostanze nei prodotti e nell’ambiente.
Fra le altre malattie allergiche, l’incidenza cumulativa di
dermatite atopica prima dei 7 anni di eta’ e’ aumentata in modo
esponenziale e si stima che essa sia pari all’1% circa nella
popolazione generale. Molto diffusa e’ anche la dermatite allergica
da contatto che si stima interessi circa l’1% della popolazione; il
nickel e’ considerato il principale responsabile della
sensibilizzazione da contatto.
La diffusione dell’asma bronchiale e’ un problema di sanita’
pubblica rilevante (l’asma e’ malattia sociale riconosciuta dal
1999), perche’ e’ la malattia cronica piu’ frequente tra i bambini,
per i quali rappresenta anche una causa importante di mortalita’,
nonostante i miglioramenti terapeutici.
L’asma richiede un approccio multidisciplinare, che comprende la
diagnosi accurata, l’educazione dei pazienti, modifiche del
comportamento, l’individuazione e la rimozione delle condizioni
scatenanti l’attacco di asma, una appropriata terapia, e frequenti
controlli medici.
Si rende necessario migliorare, tramite sistemi di sorveglianza
mirati, la conoscenza della epidemiologia dell’asma e delle patologie
allergiche e del ruolo etiologico di fattori genetici, personali ed
ambientali, nonche’ dell’efficacia dei metodi per la riduzione
dell’esposizione agli allergeni nell’ambiente e negli alimenti e la
valutazione dell’impatto di tali metodi sulla salute. E’ necessario
inoltre promuovere campagne di educazione e formazione per il
personale sanitario, per i pazienti e le loro famiglie.
3.2.7. Le malattie reumatiche ed osteoarticolari
Le malattie reumatiche comprendono un variegato numero di
patologie, caratterizzate da una progressiva compromissione della
qualita’ della vita delle persone affette per la perdita di
autonomia, per i disturbi ed i disagi lamentati ed a causa della
mancanza di significative aspettative di miglioramento o guarigione.
Tali patologie rappresentano la piu’ frequente causa di assenze
lavorative e la causa del 27% circa delle pensioni di invalidita’
attualmente erogate in Italia. Il numero delle persone affette e’
stimato in circa 6 milioni, pari al 10% della popolazione generale.
La caratteristica cronicita’ di queste malattie, la mancanza di
terapie che portino a favorevoli risoluzioni dei quadri clinici per
alcune forme gravi, la disabilita’ provocata, con progressiva
diminuzione della funzionalita’, specie a carico degli arti e
dell’apparato locomotorio e la conseguente diminuzione della
capacita’ lavorativa e del grado di autonomia delle persone affette,
nonche’ l’elevato numero degli individui colpiti, rappresentano ad
oggi i maggiori punti di criticita’.
Le azioni prioritarie riguardano l’estensione della diagnosi
precoce della malattia ed il miglioramento della prestazione di
fisioterapia e riabilitazione. E’, inoltre, necessario ridurre
l’impatto dei fattori di rischio associati a queste patologie e
sviluppare nuovi medicinali per il trattamento. Anche l’efficace
prevenzione dell’osteoporosi rappresenta un obiettivo prioritario.
L’osteoporosi e’ una patologia del metabolismo osseo di
prevalenza e incidenza in costante incremento che rappresenta un
rilevante problema sanitario. La malattia coinvolge un terzo delle
donne tra i 60 e i 70 anni e due terzi delle donne dopo gli 80 anni,
e si stima che il rischio di avere una frattura da osteoporosi sia
nella vita della donna del 40% contro un 15% nell’uomo.
Particolarmente temibile e’ la frattura femorale per l’elevata
mortalita’ (dal 15 al 30%) e per le invalidanti complicanze croniche
ad essa associate. I piu’ noti e importanti fattori di rischio per
l’osteoporosi sono la presenza di fratture patologiche nel
gentilizio, la presenza anamnestica di fratture da traumi di lieve
entita’, la menopausa precoce per le donne, l’amenorrea prolungata,
il fumo, l’abuso di alcolici, la magrezza, l’uso di corticosteroidi,
il malassorbimento intestinale, alcune patologie endocrine. Nessuna
terapia consente di recuperare la massa ossea persa, ma solo di
bloccarne la progressione riducendo il rischio di fratture.
Fondamentale quindi e’ la prevenzione, con misure volte a migliorare
lo stile di vita alimentare e fisico nei soggetti giovani e anziani.
3.2.8. Le malattie rare
Le malattie rare costituiscono un complesso di oltre 5000
patologie, spesso fatali o croniche invalidanti, che rappresentano il
10% delle patologie che affliggono l’umanita’. Malattie considerate
rare nei Paesi occidentali sono, a volte, molto diffuse nei Paesi in
via di sviluppo. Nel programma di azione per la lotta alle malattie
rare, la Commissione Europea ha definito rare quelle patologie la cui
incidenza non e’ superiore a 5 su 10.000 abitanti. L’80% delle
malattie rare, circa 4000, e’ di origine genetica, mentre il restante
20% sono acquisite, ma non per questo meno gravi e invalidanti.
Per la loro rarita’, queste malattie sono difficili da
diagnosticare e, spesso, sono pochi i Centri specializzati nella
diagnosi e nella cura; per molte di esse, inoltre, non esistono
ancora terapie efficaci. La scarsa incidenza delle patologie rare e
la frammentazione dei pazienti affetti da tali patologie in diversi
Centri sono un ostacolo alle innovazioni terapeutiche possibili
attraverso studi clinici controllati. Inoltre, le industrie
farmaceutiche, a causa del mercato limitato, hanno scarso interesse a
sviluppare la ricerca e la produzione dei cosiddetti farmaci orfani,
potenzialmente utili per tali patologie.
Le malattie rare, essendo croniche e invalidanti, rappresentano
un importante problema sociale. La loro scarsa conoscenza comporta,
per coloro che ne sono affetti e per i loro familiari, notevoli
difficolta’ nell’individuare i Centri specializzati nella diagnosi e
nella cura, e, quindi, accedere a eventuali trattamenti, peraltro
scarsamente disponibili.
Cio’ rende indispensabile un intervento pubblico coordinato al
fine di ottimizzare le risorse disponibili.
A livello della Unione Europea le malattie rare sono state
oggetto di attenzione con l’approvazione della Decisione N.
1295/1999/CE del 29 aprile 1999 il cui programma d’azione prevede:
il miglioramento delle conoscenze sulle malattie rare,
incentivando la creazione di una rete europea d’informazione per i
pazienti e le loro famiglie;
la formazione e l’aggiornamento degli operatori sanitari, al
fine di migliorare la diagnosi precoce;
il rafforzamento della collaborazione internazionale tra le
organizzazioni di volontariato e professionali impegnati
nell’assistenza;
il sostegno del monitoraggio delle malattie rare negli Stati
membri.
Rispetto a tali problematiche, il Decreto Ministeriale 18 maggio
2001, n. 279, emanato in attuazione dell’art. 5, comma 1, lettera b)
del decreto legislativo 29 aprile 1998, n. 124, prevede:
l’istituzione di una rete nazionale dedicata alle malattie
rare, mediante la quale sviluppare azioni di prevenzione, attivare la
sorveglianza, migliorare gli interventi volti alla diagnosi e alla
terapia, promuovere l’informazione e la formazione, ridurre l’onere
che grava sui malati e sulle famiglie. La rete e’ costituita da
presidi accreditati, appositamente individuati dalle Regioni per
erogare prestazioni diagnostiche e terapeutiche;
l’ottimizzazione del Registro delle Malattie Rare, istituito
presso l’Istituto Superiore di Sanita’, per poter avere a livello
nazionale dati sulla prevalenza, incidenza e fattori di rischio delle
diverse malattie rare;
la definizione di 47 gruppi di malattie comprendenti 284
patologie (congenite e acquisite) ai fini dell’esenzione dalla
partecipazione al costo delle prestazioni sanitarie correlate;
la promozione di protocolli diagnostici e terapeutici comuni,
lo sviluppo delle attivita’ di ricerca tese al miglioramento delle
conoscenze e la realizzazione di programmi di prevenzione.
Infine l’accordo Stato-Regioni siglato in data 11 luglio 2002
promuove l’istituzione di un gruppo tecnico interregionale permanente
cui partecipano il Ministero della salute e l’Istituto Superiore di
Sanita’ per il coordinamento ed il monitoraggio delle attivita’
assistenziali per le malattie rare, al fine di ottimizzare il
funzionamento delle reti regionali e salvaguardare il principio di
equita’ dell’assistenza per tutti i cittadini.
3.2.9. Le malattie trasmissibili prevenibili con la vaccinazione
Ottimi risultati si sono registrati recentemente in Italia in
termini di controllo di alcune malattie prevenibili con le
vaccinazioni. La difterite e’ stata eliminata e il nostro Paese ha da
poco ricevuto la certificazione ufficiale di eradicazione della
poliomielite. Il tetano colpisce quasi esclusivamente persone anziane
non vaccinate. L’epatite B e’ in continuo declino, in modo
particolare nelle classi di eta’ piu’ giovani, interessate fin dal
1991 dalla vaccinazione universale.
Non mancano, tuttavia, in Italia numerose malattie per le quali
e’ necessario un controllo piu’ efficace attraverso le vaccinazioni.
La vaccinazione contro il morbillo (incidenza nel 1999 pari a 5,05
casi su 100.000) e’ raccomandata, ma il livello stimato di copertura
di immunizzazione e’ ancora il piu’ basso tra i Paesi dell’Europa
occidentale (56% nel 1998), con profonde differenze tra aree diverse
del Paese. La rosolia e’ ancora frequente (incidenza di 5,76 per
100.000 nel 1998) e nel 1999 sono stati denunciati in Italia piu’ di
40.400 casi di parotite (tasso di incidenza: 70,2 per 100.000),
nonostante l’esistenza del vaccino combinato per parotite, morbillo e
rosolia (vaccino MMR), il cui uso e’ pero’ volontario, sebbene
raccomandato.
L’incidenza della pertosse e’ ancora elevata (circa 7 per 100.000
abitanti nel 1999, anno in cui sono stati notificati 3.797 casi); la
vaccinazione e’ volontaria ma il livello stimato di copertura
vaccinale e’ stato piuttosto alto nel 1998 (87,9%, con un intervallo
tra 70,5% e 97,6%) nei bambini di 24 mesi di eta’.
Per quanto l’incidenza di epatite B stia lentamente diminuendo in
Italia (nel 1999 essa e’ stata del 2,74 per 100.000), il livello
permane ancora fra i piu’ elevati dell’Europa occidentale; la
vaccinazione contro l’epatite B e’ obbligatoria in Italia per i
bambini fin dal 1991 e la stima della copertura, osservata nel 1998,
e’ stata a livello nazionale del 90%, con solo tre Regioni con
copertura inferiore al 90%.
La vaccinazione contro l’Haemophilus influenzae di tipo B puo’
anche prevenire forme invasive della malattia quali meningiti e
polmoniti. La vaccinazione in Italia e’ volontaria ed il livello di
copertura vaccinale e’ molto basso e non uniformemente distribuito
nelle diverse Regioni.
L’influenza rappresenta ancora, in Italia, un’importante causa di
morte per patologia infettiva, e nel corso di epidemie estese il
tasso d’attacco dell’infezione puo’ variare dal 5% al 30%, con
conseguenti importanti ripercussioni negative sull’attivita’
lavorativa e sulla funzionalita’ dei servizi di pubblica utilita’, in
primo luogo di quelli sanitari. La copertura vaccinale negli anziani
di eta’ pari o superiore a 64 anni non ha superato nel periodo
1999-2000 il 41% circa a livello nazionale.
La recente disponibilita’ di efficaci vaccini contro la varicella
e contro le infezioni invasive da pneumococco, consente l’avvio di
iniziative mirate di prevenzione vaccinale orientate alla riduzione
dell’incidenza di queste importanti patologie.
Occorre procedere con decisione nella direzione della attuazione
degli obiettivi adottati dall’OMS per questo gruppo di malattie:
entro il 2007 il morbillo dovrebbe essere eliminato ed entro il
2010 tale eliminazione deve essere certificata in ogni Paese;
entro l’anno 2010 tutti i Paesi dovrebbero avere un’incidenza
inferiore ad 1 per 100.000 abitanti per parotite, pertosse e malattie
invasive causate da Haemophilus influenzae di tipo B.
Essendo disponibili per queste malattie vaccini efficaci, questi
risultati possono essere conseguiti attraverso una serie di
iniziative che consentano il raggiungimento di appropriate coperture
vaccinali. In tale quadro e’ anche importante:
individuare ed effettuare indagini rapide riguardanti gli
eventi epidemici;
sorvegliare la frequenza di eventi avversi associabili a
vaccinazione;
sorvegliare le infezioni nosocomiali e quelle a trasmissione
iatrogena;
controllare le patologie infettive acquisite in occasioni di
viaggi;
diffondere le informazioni sulla frequenza e prevenzione delle
malattie infettive;
partecipare efficacemente al sistema di sorveglianza
epidemiologico per il controllo delle malattie infettive dell’Unione
Europea;
combattere il crescente problema della resistenza acquisita
alla maggior parte degli antibiotici disponibili da parte di
microrganismi patogeni, soprattutto batteri, con gravi implicazioni
sul trattamento delle malattie infettive. Apposite Linee Guida sono
state adottate dal Consiglio dell’Unione Europea nel 2000 e 2001
sull’uso prudente degli antibiotici nella medicina umana e in altri
settori per minimizzare gli inconvenienti derivanti da questa
situazione.
Appare nel prossimo futuro la possibilita’ di realizzare diversi
nuovi vaccini tra i quali due in particolare di grande rilevanza:
1) vaccini anti-HIV. L’Istituto Superiore di Sanita’ (ISS) ha
recentemente sviluppato e brevettato un nuovo vaccino sia di tipo
preventivo che terapeutico. Tale vaccino basato sull’uso della
proteina regolatoria TAT o del suo DNA ha dato lusinghieri risultati
di protezione nelle scimmie. In base a questi risultati l’ISS insieme
ad altri Centri clinici nazionali iniziera’ in primavera i trials
clinici di fase I. Un secondo vaccino basato sull’uso di componenti
strutturali (Env, Gag) del virus e’ stato sviluppato e brevettato
dalla Chiron con risultati anche essi promettenti, la cui
sperimentazione clinica di fase I iniziera’ entro l’anno.
Recentemente l’ISS e la Chiron hanno realizzato un accordo per lo
sviluppo di un vaccino combinato, che contenendo le tre componenti
(TAT, Env, Gag) e’ destinato potenzialmente ad avere una maggiore
efficacia rispetto ai singoli componenti;
2) vaccino anti-HPV. Si tratta di un vaccino terapeutico contro
il carcinoma della cervice uterina brevettato negli Stati Uniti che
inizia prossimamente il suo cammino sperimentale nella donna. Anche
per questo vaccino l’Istituto Superiore di Sanita’ sta realizzando
rapporti di partenariato con i produttori.
3.2.10. La sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS) e le
malattie a trasmissione sessuale
In Italia, il numero cumulativo di casi di AIDS segnalati
dall’inizio dell’epidemia ha raggiunto quota 50.000, ma a partire da
meta’ del 1996 si e’ osservato un decremento nel numero di nuovi
casi, dovuto in parte all’effetto delle terapie anti-retrovirali ed
in misura minore agli effetti della prevenzione. I sistemi di
sorveglianza delle nuove diagnosi di infezione da HIV, attivi in
alcune Regioni italiane, suggeriscono che l’incidenza di nuove
infezioni si e’ stabilizzata negli ultimi anni e a differenza di
quanto accadeva tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90
non tende piu’ alla diminuzione.
Le altre malattie a trasmissione sessuale piu’ frequentemente
diagnosticate in Italia sono i condilomi acuminati, le infezioni
genitali non specifiche (uretriti batteriche non gonococciche ne’
causate da Clamidia), la sifilide latente e l’Herpes genitale. Altre
classiche malattie veneree, come gonorrea e sifilide primaria o
secondaria, sono rispettivamente al settimo e nono posto per
frequenza.
Secondo l’obiettivo definito dall’OMS nel 1999, ciascuno Stato
dovrebbe attuare, entro l’anno 2015, una riduzione dell’incidenza
della mortalita’ e delle conseguenze negative dell’infezione da HIV e
delle altre malattie a trasmissione sessuale.
A tal fine, le azioni prioritarie da attuare sono:
il miglioramento della sorveglianza e del monitoraggio
dell’infezione da HIV;
il contrasto della trasmissione dell’HIV e degli altri agenti
infettivi;
il miglioramento della qualita’ della vita delle persone
infette da HIV;
la riduzione di comportamenti sessuali a rischio e la
promozione di campagne di promozione della salute specialmente nella
popolazione giovanile;
lo sviluppo del vaccino con interventi a favore della ricerca
che prevedano il co-finanziamento pubblico-privato;
il reinserimento sociale dei pazienti con infezione da HIV.
L’inserimento sociale delle persone affette da AIDS trattate
precocemente e la cui attesa di vita e’ molto prolungata, e’ un
problema che dovremo affrontare con maggior energia nel prossimo
futuro.
Queste persone infatti costruiscono ora un progetto di vita, in
quanto la loro sopravvivenza viene assicurata dai farmaci per molti
anni. Il progetto di vita comprende il completo reinserimento nel
mondo del lavoro e della societa’ in genere. Per queste persone e’
quindi necessario sviluppare programmi di accompagnamento su questo
percorso con adeguati sostegni e misure utili allo scopo.