Lavoro e Previdenza
Il Ministro della Pubblica Istruzione Roma 19 dicembre 2006 Prot. N. 1260/DIP/Segr. CIRCOLARE N. 72 OGGETTO: Procedimenti e sanzioni disciplinari nel comparto scuola. Linee di indirizzo generali.
Il Ministro della Pubblica
Istruzione Roma 19 dicembre 2006 Prot. N. 1260/DIP/Segr. CIRCOLARE N. 72
OGGETTO: Procedimenti e sanzioni disciplinari nel comparto scuola. Linee di
indirizzo generali.
A) Premessa.
La scuola dell’autonomia, com’è
noto, assume l’impegno e la responsabilità dell’apprendimento di ciascuno
studente e informa il suo operato alle regole della trasparenza, della
partecipazione e del rispetto dei singoli per sviluppare o rafforzare in ognuno
dei suoi attori – dal dirigente scolastico al personale amministrativo, tecnico
ed ausiliario, dai docenti agli alunni e alle loro famiglie – il senso
dell’appartenenza ad una comunità.
In essa
ognuno, con pari dignità e nella diversità dei ruoli, opera per garantire la
formazione alla cittadinanza, la realizzazione del diritto allo studio, lo
sviluppo delle potenzialità di ciascuno e il recupero delle situazioni di
svantaggio, in armonia con i principi sanciti dalla Costituzione e dalla
Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia stipulata a New York il 20
novembre 1989 e con i principi generali dell’ordinamento italiano.
La comunità scolastica,
interagendo con la più ampia comunità civile e sociale di cui è parte, fonda il
suo progetto e la sua azione educativa sulla qualità delle relazioni
insegnante-studente, contribuisce allo sviluppo della personalità dei giovani,
anche attraverso l’educazione alla legalità intesa non solo come rispetto delle
regole di convivenza democratica, ma anche dei doveri che ineriscono al ruolo e
alla funzione che ciascun soggetto è chiamato a svolgere all’interno della
comunità stessa.
A quest’ultimo riguardo, gli
studenti sono tenuti ad osservare i doveri sanciti dallo Statuto degli studenti
e delle studentesse, in particolare quelli contemplati negli articoli 3 e 4 del
D.P.R. 24 giugno 1998, n. 249, il personale scolastico quelli attinenti alla
deontologia professionale enucleati dalla legge e dai Contratti collettivi
nazionali di lavoro.
La scuola, quale primaria e
fondamentale istituzione pubblica, deve avere consapevolezza che i
comportamenti contrari a tali doveri costituiscono un grave vulnus dei principi
e dei valori sopra richiamati, poiché minano alla radice la possibilità di
realizzare con successo le finalità educative e formative poste a fondamento
della autonomia costituzionalmente garantita.
Ciò posto, occorre richiamare la
particolare attenzione di tutta l’Amministrazione scolastica circa la necessità
che gli strumenti di controllo, prevenzione e repressione dei comportamenti che
hanno rilevanza disciplinare siano utilizzati, in applicazione della normativa
vigente, con rigore, tempestività ed efficacia. Con riferimento
all’applicazione delle sanzioni disciplinari nei confronti
del
personale appartenente al comparto scuola, la Corte dei Conti, nell’ambito della relazione
sulla gestione dei procedimenti disciplinari da parte delle Amministrazioni
dello Stato, approvata con delibera n. 7 del 4 aprile 2006, ha evidenziato
alcuni aspetti di criticità che meritano la massima attenzione.
I rilievi attengono alla
necessità di assicurare il rispetto di termini, la continuità dell’azione
disciplinare, la coerenza delle varie fasi del procedimento, il corretto
bilanciamento dei contrapposti interessi connessi alle diverse situazioni
giuridiche coinvolte: da un lato, l’interesse dell’incolpato ad un giudizio
equo e ragionevole, dall’altro, l’interesse pubblico all’immagine e al buon
andamento della pubblica amministrazione, profilo quest’ultimo da tenere in particolare
e attenta considerazione quando oggetto di valutazione sono le condotte che
arrecano pregiudizio al prestigio della scuola e ai valori fondamentali
perseguiti dalla funzione educativa.
Su questi aspetti è opportuno
richiamare la responsabilità di tutti ad assumere un ruolo attivo nella ricerca
di misure organizzative e soluzioni gestionali idonee a consentire una migliore
efficienza ed efficacia dei procedimenti disciplinari.
Alle volte, la scarsa attenzione
riposta nell’osservanza dei requisiti formali che l’ordinamento pone a garanzia
del corretto svolgimento delle procedure, vanifica l’iniziativa disciplinare
anche in presenza di gravissime violazioni dei doveri
inerenti alla funzione esercitata.
A tale proposito, preme
nuovamente ricordare, in premessa, che la fissazione di un termine inferiore a
quello previsto perentoriamente dalle norme vigenti per la presentazione, da
parte dell’incolpato, delle tesi difensive rispetto alle infrazioni contestate
determina l’invalidità, spesso insanabile, della sanzione successivamente
adottata.
Del pari, il superamento dei
termini prescritti per l’attivazione e la conclusione del procedimento
disciplinare che consegue ad accertamento della responsabilità in sede penale,
di cui si dirà con maggior dettaglio più avanti.
È causa, infine, di illegittimità
l’esercizio dell’azione disciplinare da parte di un organo incompetente, che si
verifica quando ad agire sia, ad esempio, il dirigente dell’Ufficio scolastico
provinciale privo di specifica delega conferitagli dal direttore generale
dell’Ufficio scolastico regionale.
In questi, come anche in altri
casi, in cui a rilevare è invece l’inerzia dell’organo procedente che o non
riassume tempestivamente il procedimento a seguito di sentenza penale
irrevocabile di condanna, oppure giunge ad irrogare la sanzione dopo un
irragionevole lasso di tempo, ossia quando addirittura non è più percettibile
lo stesso disvalore della condotta illecita perseguita, si determina, di fatto,
la vanificazione dell’iniziativa disciplinare, con conseguenze assolutamente
riprovevoli per la comunità scolastica, oltre che sul piano della tutela
dell’immagine e del razionale utilizzo delle risorse impiegate nell’esercizio della
funzione disciplinare.
In altre parole, la rapidità
nell’adozione del provvedimento disciplinare, ferme restando le garanzie a
difesa del lavoratore, consente al provvedimento stesso di esplicare pienamente
la sua funzione sia sanzionatoria che riparatoria, funzione altrimenti
compromessa da una eccessiva durata dei procedimenti
in questione.
Nel ricercare la sanzione da
infliggere, sarebbe opportuno, comunque, tenere in debita considerazione anche
il grado di allarme sociale provocato dalla particolare gravità dei fatti per i
quali si procede, sempre nel rispetto dei principi fondamentali della
gradualità e proporzionalità.
In conclusione della premessa,
giova inoltre richiamare la massima attenzione sulla rilevanza che la corretta
gestione dei procedimenti disciplinari riveste non solo ai fini della
valutazione della dirigenza ai sensi degli articoli 21e 25 del D.Lgsl. 165/2001,
ma anche sotto il profilo della responsabilità penale, civile ed
amministrativa.
B) Il rispetto dei termini.
– Con riferimento ai termini per
presentare le difese, si rammenta che per
quanto
riguarda la censura e l’avvertimento scritto, il termine deve essere non
superiore a 10 giorni, ai sensi dell’articolo 101, comma 1, del D.P.R. n. 3/57, recante lo Statuto degli impiegati civili dello Stato,
come richiamato dall’articolo 507 del D.Lgsl. 297/94. Tale termine può essere
ridotto fino a due giorni per il personale docente a tempo determinato (cfr., articolo 538 del D.Lgsl. 297/94).
Per le altre sanzioni, il termine
è di 20 giorni dalla notifica della contestazione, se trattasi di personale
docente a tempo indeterminato; di 10 giorni, per quello a tempo determinato
(cfr., rispettivamente, l’articolo 105 del D.P.R.
3/57, che è richiamato dall’articolo 507 del D.Lgsl. 297/94, e l’articolo 538
del D.Lgsl. 297/94).
– Per quanto riguarda
i termini entro i quali va intrapresa e conclusa l’azione disciplinare, si
ritiene di fornire le seguenti precisazioni riepilogative, suddivise a seconda
delle diverse ipotesi:
1) Procedimenti disciplinari
originati da giudizio penale.
– qualora sia intervenuta
sentenza penale definitiva di condanna, i termini per iniziare ovvero
riassumere l’azione disciplinare, e per portare a termine il procedimento, per
tutte le categorie di personale, sono quelli dettati dall’art. 5, 4° comma della legge 27.3.01 n. 97, contenente le
"Norme sul rapporto tra procedimento penale e disciplinare ed effetti del
giudicato penale nei confronti dei dipendenti delle amministrazioni
pubbliche": rispettivamente, novanta giorni dalla comunicazione della
sentenza e i successivi centottanta giorni. Si rammenta che la Corte costituzionale, con
sentenza 21-24 giugno 2004, n. 186 (Gazz. Uff. 30 giugno 2004, n. 25 – Prima
serie speciale), ha dichiarato l’illegittimità del comma 3,
dell’articolo 10 della legge 97/2001, nella parte in cui prevede, per i fatti
commessi anteriormente alla data di entrata in vigore della legge medesima,
<>;
Ai fini di cui sopra, pertanto, è
indispensabile che le SS.LL. seguano l’evolversi dei
procedimenti penali, chiedendo periodicamente notizie all’Autorità Giudiziaria
competente, ed acquisendo agli atti, con tempestività, le relative sentenze.
Si reputa necessario rammentare,
in proposito, che i procedimenti penali pendenti nei confronti del personale
sospeso cautelarmente dal servizio devono essere seguiti anche quando il
personale stesso viene collocato a riposo (per
dimissioni volontarie, per anzianità, ecc.) in quanto il Consiglio di Stato,
con decisione n. 8 del 6.3.1997 ha stabilito che l’Amministrazione, al fine di
regolare gli effetti economici della sospensione cautelare, deve instaurare il
procedimento disciplinare "ancorché l’interessato sia cessato dal servizio
anteriormente al giudicato penale".
2) Procedimenti disciplinari non
originati da procedimenti penali.
In questi casi, con riferimento
particolare al personale docente, in mancanza di un termine espresso per
l’esercizio dell’azione, la contestazione degli addebiti va effettuata
"tempestivamente", e comunque entro un termine congruo in relazione
alle circostanze in cui l’Amministrazione è venuta a conoscenza
dell’infrazione.
Quando, poi, viene
disposta, per gravi motivi, la sospensione cautelare facoltativa, in
applicazione del combinato disposto degli artt. 506, 507 del D.Lvo 16.4.1995,
n. 297 e 92 del D.P.R. 10.1.1957, n. 3 il relativo procedimento disciplinare
deve essere instaurato – perentoriamente – entro il termine di quaranta giorni
dalla data in cui è stato comunicato il decreto di sospensione.
In materia disciplinare,
peraltro, è da considerarsi tuttora vigente per il personale docente quanto
previsto dall’art. 120 del D.P.R. 10.1.1957, n. 3. Tale norma prevede la
"estinzione del procedimento" quando siano
decorsi novanta giorni dall’ultimo atto "senza che nessun ulteriore atto
sia stato compiuto". Sul punto è utile ricordare che, per giurisprudenza
consolidata, il suddetto
termine
di perenzione, si interrompe ogniqualvolta, prima della sua scadenza, venga
adottato un atto, anche interno, proprio del procedimento disciplinare (ad
esempio, la richiesta di ulteriori atti ed informazioni all’Amministrazione da
parte del Consiglio di disciplina).
Si raccomanda, pertanto, la
scrupolosa osservanza dei termini previsti per la instaurazione,
il proseguimento e la conclusione del procedimento disciplinare.
C) La sospensione cautelare
Si è detto in premessa che il
rigore nell’attivazione degli strumenti disciplinari opera a salvaguardia dei
valori fondamentali connessi alla funzione educativa. Conseguentemente,
l’esigenza di tutelare il rapporto fiduciario che si instaura tra l’utente (o,
comunque, il destinatario dell’attività amministrativa) e le istituzioni
pubbliche, assume, nei confronti della comunità scolastica, una rilevanza
peculiare.
Tale legame, in
presenza di comportamenti contrari ai doveri d’ufficio che assumono
carattere di particolare gravità, rischia di essere incrinato laddove venisse
confermata la permanenza in servizio e la possibilità di agire di colui che di
tali addebiti è chiamato a rispondere.
In questi casi, al fine di
tutelare il "buon andamento" del servizio di istruzione, ai sensi
dell’art. 97 Cost., e dunque di assicurare massima
protezione ai beni interessi sottesi al regolare e corretto esercizio della
funzione educativa, l’ordinamento ha riconosciuto in capo all’Amministrazione
il potere di adottare, anche prima che sia esaurito o iniziato il procedimento
disciplinare, specifici provvedimenti di sospensione cautelare dall’esercizio
delle funzioni, nel rispetto delle garanzie che devono essere comunque
assicurate all’incolpato.
Ne segue che il procedimento di
sospensione cautelare viene in evidenza nelle ipotesi in cui, stanti la gravità
dei fatti accaduti ed il conseguente turbamento della comunità scolastica, si
configura la necessità e l’urgenza di adottare delle misure provvisorie in attesa di un puntuale accertamento dei fatti in sede di
procedimento penale e/o disciplinare. Il carattere di misura precauzionale –
interinale della sospensione cautelare, pertanto, porta ad escludere qualunque
assimilazione della stessa ad un
provvedimento
sanzionatorio, posto che, in ogni caso, la situazione da essa incisa, per
superiori motivi di interesse pubblico, è suscettibile di essere completamente
reintegrata, in caso di esito favorevole del procedimento penale o
disciplinare.
Si richiama, altresì, la
particolare attenzione delle SS.LL. sulla necessità
che l’adozione dei provvedimenti cautelari in questioni sia preceduta da una
puntuale verifica della sussistenza dei presupposti di legge, di seguito
richiamati, che rendono opportuno l’esercizio del potere di sospensione .
Esclusi i dipendenti appartenenti
ai ruoli del personale ATA, nei cui confronti valgono le disposizioni contenute
negli articoli 89 e seguenti del CCNL, Comparto scuola, vigente, per il
personale docente ed educativo la materia in questione
è disciplinata dagli articoli 91-99 del Testo unico degli impiegati civili
dello Stato, di cui al D.P.R. n. 3 del 1957, già citato, in virtù
dell’esplicito rinvio operato dall’articolo 506 del D.Lgsl. 297/94, nonché
dalla legislazione successiva applicabile a tutti i pubblici dipendenti.
Il legislatore individua due tipi
di intervento cautelare: la sospensione obbligatoria e quella facoltativa.
La sospensione è obbligatoria
quando:
– sia stata emessa dall’autorità
giudiziaria procedente una misura cautelare restrittiva della libertà personale
(art. 91, comma 1, seconda parte, D.P.R. n. 3/57, citato);
– il dipendente, ai sensi
dell’articolo 4, comma 1, della legge 97/2001, già
citata, sia stato condannato anche non definitivamente, e ancorché sia concessa
la sospensione condizionale della pena, per alcuni reati tassativamente
indicati: peculato, concussione, corruzione per un atto contrario ai doveri
d’ufficio, corruzione in atti giudiziari e corruzione di persona incaricata di pubblico
servizio.
In presenza
di queste fattispecie l’adozione del provvedimento cautelare è del tutto
svincolata da qualsiasi valutazione dell’Amministrazione che deve pertanto
comminarla al ricorrere delle circostanze obbiettive poste dalla norma. La Corte costituzionale, con
sentenza 22 aprile – 3maggio 2002, n. 145 (Gazz. Uff. 8 maggio 2002, n. 18
– Prima serie speciale), ha
dichiarato, tra l’altro, l’illegittimità del suddetto comma, nei sensi di cui
in motivazione, nella parte in cui dispone che la sospensione perda efficacia decorso il periodo di tempo pari a quello della
prescrizione del reato.
Con riferimento alle ipotesi di
sospensione cautelare obbligatoria giova, altresì, segnalare che ai sensi del
comma 5, dell’articolo 506, sopra richiamato, la sospensione cautelare doveva
essere disposta d’ufficio quando ricorreva uno dei
casi ostativi alla candidatura presso organi elettivi delle regioni e degli
enti locali, tassativamente contemplati dall’articolo 1, comma 1, della legge
18 gennaio 1992, n. 16. A
seguito dell’abrogazione di quest’ultima disposizione da
parte dell’articolo 274 del D.Lgsl. 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico
delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), in forza della
norma finale dettata dal successivo articolo 275, il richiamo deve oggi
intendersi
riferito
alle ipotesi individuate dall’articolo 15 del medesimo decreto legislativo.
La sospensione cautelare è invece
facoltativa in due casi:
– quando il dipendente è
sottoposto ad un procedimento penale per un reato particolarmente grave (art.
91, comma 1, prima parte, D.P.R. n. 3/57, citato);
– quando ricorrono gravi motivi,
indipendentemente dalla loro rilevanza penale, "anche prima che sia
esaurito o iniziato il procedimento disciplinare" (art. 92, comma 1,D.P.R. n. 3/57, cit.). La valutazione in ordine alla
gravità dei motivi è rimessa al prudente apprezzamento dell’organo competente ad adottare il provvedimento.
In entrambe le suddette ipotesi
di sospensione facoltativa, va compiuto un apprezzamento in merito all’interesse
pubblico concretamente configurabile ed alla valutazione se esso sia tale da richiedere l’allontanamento provvisorio del
dipendente dal servizio. È rilevante, in particolare, tenere conto sia della
natura di particolare gravità del reato, sia dell’opportunità di adottare il
relativo provvedimento con riguardo ai precedenti ed alla personalità del
dipendente ed all’interesse dei fruitori del servizio scolastico e
dell’Amministrazione stessa.
Deve comunque essere effettuata
una tempestiva e rigorosa valutazione nei seguenti casi:
a) nei confronti di chi è
imputato di reati (609 bis – violenza sessuale – e seguenti
del codice penale) in danno di minori affidati;
b) quando la gravità dei reati contestati
tende ad inficiare quel rapporto di fiducia intercorrente tra il dipendente e
l’Amministrazione tanto da non consentire più la prosecuzione di un corretto
rapporto di lavoro;
c) quando i fatti contestati
appaiono in evidente, palese contrasto con la funzione (dirigenziale, docente o
amministrativa) istituzionalmente espletata o come atti non conformi, in
maniera grave, ai doveri specifici inerenti alla funzione stessa.
L’interesse del dipendente
rimesso in libertà ad essere reintegrato in servizio, pertanto, deve essere
comparato con l’eventuale pregiudizio che la riammissione in servizio può
arrecare alla regolarità del servizio ed al prestigio della scuola.
Da ultimo,
alcuni chiarimenti in ordine all’individuazione degli organi competenti
in materia di sospensione cautelare obbligatoria e facoltativa.
La competenza ad
adottare i provvedimenti di sospensione cautelare obbligatoria è attribuita
<>, e <> (articolo 506, comma 2, D.Lgsl. 297/94, citato). La norma,
evidentemente, non tiene conto del nuovo assetto che il Ministero ha assunto
per effetto delle riforme intervenute alla fine degli anni novanta. In base
all’attuale organizzazione, pertanto, l’organo competente deve essere
individuato, per entrambi i casi, nel direttore generale dell’Ufficio
scolastico regionale o nel dirigente munito di specifica delega.
Ai sensi dell’articolo 506,
D.Lgsl. 297/94, citato, la sospensione cautelare facoltativa <<è disposta
dal Ministero della pubblica istruzione>>. Anche per tale ipotesi la
competenza è da ritenersi ormai attribuita al direttore generale dell’Ufficio
scolastico regionale o al dirigente munito di specifica delega.
Corre l’obbligo, infine, di
rammentare che il comma 4 del più volte citato art.
506 prevede una "norma di chiusura" volta a regolamentare quelle
ipotesi residuali in cui la necessità del provvedimento cautelare derivi da
"ragioni di particolare urgenza". In tali casi, in deroga alle regole
predette che individuano l’organo competente nel dirigente dell’ufficio
scolastico regionale (o di un dirigente da questi delegato),
"la sospensione cautelare può essere disposta dal direttore didattico o
dal preside" (leggasi dirigente scolastico) "sentito il collegio dei
docenti per il personale docente, salvo convalida da parte dell’autorità competente
cui il provvedimento dovrà essere immediatamente comunicato.
In mancanza di convalida entro il
termine di dieci giorni dall’adozione, il provvedimento
di
sospensione si intende revocato di diritto". Anche in questo caso, la
verifica della ricorrenza delle "ragioni di particolare urgenza",
deve essere oggetto di prudente ed attento apprezzamento .
D) Competenze del Direttore
generale dell’Ufficio scolastico regionale.
Ferme restando le considerazioni
appena svolte con riferimento all’adozione dei provvedimenti di sospensione
cautelare, le competenze circa l’irrogazione delle sanzioni disciplinari sono
regolate minutamente dal CCNL, Comparto scuola, vigente, per quanto riguarda il
personale ATA, e dalle norme cui il medesimo contratto rimanda nel caso già
accennato del personale docente, in cui si rinvia al decreto legislativo n.
297/94.
In particolare, per quanto
riguarda le sanzioni previste dall’art. 492, lettere d) ed e), del citato
decreto (sospensione per sei mesi con successiva utilizzazione in altri compiti
diversi dall’insegnamento e destituzione), il successivo art.
503, comma 2 prevede la competenza del Ministro, acquisito il parere
degli organi collegiali competenti.
Al riguardo, sentito anche
l’ufficio legislativo di questo Ministero, si ritiene che la disposizione del
citato art. 503, comma 2, sia da intendersi implicitamente superata per effetto
dell’entrata in vigore dell’art. 4, commi 1 e 2 , del
decreto legislativo n. 165/01, con il quale viene stabilito il principio che
agli organi di governo di ciascuna amministrazione spettano funzioni di
indirizzo politico-amministrativo, mentre è riservato ai dirigenti l’adozione
di tutti gli atti e provvedimenti amministrativi, ivi compresi, quindi, quelli
relativi alla gestione del rapporto di lavoro del personale di ciascuna
amministrazione. Pertanto, ferma la specifica disciplina contrattuale in tema
di sanzioni
disciplinari
per i dirigenti scolastici ed il personale ATA, la competenza ad irrogare le
sanzioni disciplinari al personale docente è attualmente attribuita solo agli
organi amministrativi, anche in relazione a quelle sanzioni disciplinari che la
normativa precedente al decreto legislativo 165/2001 rimetteva alla competenza
del Ministro.
Anche per le sanzioni, dunque, di
cui alle lettere d) ed e), dell’art. 492, del decreto legislativo 297/1994, la
competenza deve essere riconosciuta direttamente in capo al Direttore Generale
dell’Ufficio Scolastico Regionale che adotterà la sanzione, acquisito il parere
dell’organo collegiale competente.
E) Procedimenti penali ed
esercizio dell’azione disciplinare.
La Corte dei Conti ha rilevato
che, in diverse occasioni, ai procedimenti disciplinari instaurati
dall’Amministrazione sulla base di sentenze penali di condanna – anche per
fatti gravissimi – non conseguono sanzioni appropriate.
Una siffatta prassi causa, con
ogni evidenza, turbative particolarmente gravi nel mondo della Scuola, per le
caratteristiche del servizio scolastico, per la presenza in genere di minori, e
per la indubbia valenza formativa anche della stessa
condotta degli operatori del settore, da cui scaturisce l’esigenza di un’azione
delle autorità scolastiche, ad ogni livello, coerente con i principi etici e
sociali trasmessi.
I rilievi della predetta
Magistratura sono corredati da una lunga disamina, per diverse aggregazioni,
dei dati raccolti con il monitoraggio condotto annualmente, a partire dal 1995,
dall’Ufficio di controllo – mediante schede e questionari inoltrati a tutti gli
Uffici scolastici provinciali – e coordinato presso questo Ministero dal
Servizio di Controllo Interno.
Le osservazioni prospettate
rendono necessario richiamare l’attenzione sulla necessità, per l’avvenire, di
valutare – pur nel rispetto del principio di "gradualità e proporzionalità
della sanzione" – con maggiore tempestività, severità e rigore tutti quei
procedimenti disciplinari che in particolare trovano fondamento in sentenze
penali di condanna per reati di gravità tale da provocare nell’opinione
pubblica particolare allarme sociale, a partire dal puntuale esercizio del
potere di sospensione.
Con riferimento particolare ai
reati a sfondo sessuale, causa di evidente e legittima preoccupazione sociale
perché riferiti al mondo della scuola frequentato prevalentemente da alunni
minori, occorre evitare con la massima efficacia il rischio che i primari
interessi consistenti nella prevenzione, nel rigore verso i condannati, nella
vigilanza, nella certezza dei rimedi, possano essere conculcati o sacrificati
alla logica della tolleranza verso i dipendenti condannati.
Si sottolinea,
in proposito, che con legge n. 38 del 6.2.2006 avente ad oggetto:
"Disposizioni in materia di lotta contro lo sfruttamento sessuale dei
bambini e la pedopornografia anche a mezzo Internet", è stato previsto,
all’art. 5, l’emendamento dell’art. 600 septies del codice penale con
l’aggiunta, infine, del seguente comma: <>.
La valutazione operata dal
legislatore appare perentoria ed indefettibile, sancendo l’assoluta
incompatibilità della permanenza in servizio dei colpevoli dei reati collegati
alla sfera sessuale.
Da ciò consegue, quale effetto
ulteriore connesso all’applicazione della suddetta pena accessoria, il venir
meno della necessità di attivare il procedimento disciplinare.
A tal proposito, è opportuno
ricordare che il Consiglio di Stato, Sezione II, Commissione speciale per il
pubblico impiego, con parere n. 285/91 (divulgato dal Gabinetto dell’On.
Ministro a tutti gli Uffici periferici con nota n. 11506 del 15 febbraio 1993),
ha stabilito, in via generale, che la pena accessoria dell’interdizione
perpetua dai pubblici uffici <>.
Come previsto espressamente dal predetto articolo 5, tale normativa si applica anche nel
caso di patteggiamento per reati commessi nei confronti di persona che non ha
compiuto i diciotto anni.
Tanto premesso, appare utile
riproporre il quadro normativo-contrattuale che regola la materia per il
personale dirigente, docente ed educativo ed ATA.
Il capo IX del contratto
collettivo nazionale del Comparto Scuola 2002-2005 riguarda le norme
disciplinari del personale docente e del personale amministrativo, tecnico ed
ausiliario.
Per quanto riguarda il personale
docente, l’art. 88 – sezione I – del citato contratto rimanda, come già detto,
alle norme contenute nel Decreto Legislativo n. 297/94 e rinvia una nuova
definizione delle norme disciplinari alla negoziazione che dovrà essere
attivata nei 30 giorni successivi all’entrata in vigore della legge di riordino
degli organi collegiali.
La sezione II del suddetto capo
IX, agli articoli 89 e seguenti, regolamenta tutta la materia disciplinare del
personale ATA, prevedendo varie sanzioni che variano dal rimprovero verbale al
licenziamento senza preavviso. Le sanzioni sono inflitte dal dirigente
scolastico e dal Direttore Generale dell’Ufficio scolastico regionale a seconda della gravità dell’azione commessa.
Per il personale dirigente
scolastico dell’area V si applica il relativo contratto, il quale prevede che,
qualora dal procedimento di valutazione del dirigente emergano responsabilità
dirigenziali o comunque una valutazione non positiva, il dirigente può essere
sottoposto ai seguenti provvedimenti:
1) mutamento d’incarico
2) recesso unilaterale dell’Amministrazione.
1) Rapporto tra procedimento
penale e disciplinare (legge 27.3.2001 n.97)
Si ritiene opportuno, inoltre,
richiamare l’attenzione delle SS.LL. sulla necessità
di osservare scrupolosamente quanto statuito dalla Legge 27.3.2001, n. 97, già
citata.
Com’è noto, la suddetta Legge
prescrive che il dipendente:
– se rinviato a giudizio per i
reati di cui agli articoli 314, primo comma (Peculato), 317 (Concussione), 318
(Corruzione per un atto d’ufficio), 319 (Corruzione per un atto contrario ai
doveri di ufficio), 319 ter, 320 (Corruzione di persona incaricata di un
pubblico servizio) del codice penale – venga
trasferito in una sede diversa da quella in cui prestava servizio al momento
del fatto (art. 3, 1° comma, L. 97/2001, cit.);
– se condannato in I° grado per gli stessi reati, anche con sentenza non
passata in giudicato, debba essere sospeso cautelarmente dal servizio. La
sospensione deve essere revocata, viceversa, quando viene
pronunciata sentenza di proscioglimento o di assoluzione, anche non definitiva.
Inoltre, in applicazione
dell’art. 32-quinquies del codice penale, introdotto dall’art. 5, 2° comma della stessa Legge, la condanna definitiva alla
reclusione per un tempo non inferiore a tre anni comporta l’estinzione del
rapporto di impiego, per i suddetti delitti.
Da ultimo, si richiama
l’attenzione sugli artt. 652 e 653 c.p.p., come
modificati dalla legge n. 97/01, citata, per quanto riguarda l’efficacia di
giudicato, nel procedimento disciplinare, rispettivamente della sentenza irrevocabile
di assoluzione ovvero di condanna.
Si rammenta, infine, che la
previsione dell’art. 2 della più volte citata legge n.
97/2001, innovando la formulazione dell’art. 445, comma 1 secondo periodo, del
c.p.p., in correlazione alla precedente modifica all’art. 653, porta a
concludere per la equiparazione a condanna definitiva, ai fini dell’azione
disciplinare, della sentenza che applica la pena su richiesta (c.d.
patteggiamento). A tal proposito, occorre tenere presente che la Corte costituzionale, con
sentenza 10-25 luglio 2002, n. 394 (Gazz. Uff. 31 luglio 2002, n. 30 – Prima
serie speciale), ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del comma 1, dell’articolo 10 della legge 97/2001, nella
parte in cui prevede che gli articoli 1 e 2 della medesima legge <>.
2) Utilizzazione in compiti
diversi dall’insegnamento e sanzione espulsiva
La circostanza, per il personale
docente, che la misura della utilizzazione in compiti diversi – in aggiunta
alla sanzione della sospensione dall’insegnamento per sei mesi – sia prevista
dall’art. 496 del T.U. n. 297/94 solo in conseguenza di processi penali
conclusi con condanna irrevocabile o quanto meno confermata in grado di
appello, non esclude che, in presenza dei medesimi
presupposti con carattere di particolare gravità, il procedimento disciplinare
possa concludersi con la sanzione della destituzione.
Tanto, fermo restando quanto
sopra precisato circa la previsione dell’art. 5, 2°comma,
della legge n. 97/01.
3) Recidiva e riabilitazione.
Si richiama, altresì,
l’attenzione delle SS.LL. su quanto prescritto
dall’art. 499 del citato D.Lvo 297/1994, norma di portata generale applicabile
anche alle ipotesi di sanzione disciplinare non dipendente dalla commissione di
reati, che prevede – in caso di recidiva – l’inflizione della sanzione prevista
nella misura massima, ovvero l’aumento "sino ad un terzo" nel caso in
cui tale misura sia stata già irrogata.
Per quanto riguarda la
riabilitazione di cui al successivo art. 501, si ritiene che il relativo
provvedimento, previa acquisizione dei prescritti pareri sulla condotta del
dipendente, vada adottato dalle SS.LL..
In proposito, sarebbe opportuno
escludere – ad avviso di questo Ministero – qualsiasi automatismo.
Infatti, nel momento di esprimere
il necessario parere sulla istanza di riabilitazione di un dipendente in
precedenza condannato, e successivamente sanzionato con la "sospensione
per mesi sei", con utilizzazione in compiti diversi, per fatti di notevole
gravità, l’Amministrazione deve valutare con particolare attenzione tale
richiesta procedendo ad una comparazione tra l’interesse del docente ad essere
reintegrato e l’eventuale pregiudizio che la restituzione all’insegnamento può
arrecare alla regolarità del servizio ed al prestigio dell’istituzione
scolastica.
Detta valutazione dovrebbe
consistere in un rapporto che: 1) dichiari espressamente il carattere
temporaneo della incompatibilità del soggetto con i compiti propri del rapporto
educativo, che a suo tempo aveva motivato la sanzione; 2) riferisca circa il
ravvedimento del soggetto, che non può limitarsi alla prestazione di un
quinquennio di servizio senza demerito, ma dovrebbe tradursi in atti e
comportamenti concreti in relazione alla natura del reato per
cui vi fu condanna, ovvero essere attestata in rapporti di organismi
tecnicamente competenti (ad es. servizi sociali incaricati dal Giudice di sorveglianza).
In tale circostanza deve essere
anche valutato, in maniera approfondita, l’indice di pericolosità del
dipendente e, cioè, l’attitudine a reiterare comportamenti che possono mettere
a repentaglio l’incolumità dei discenti.
Nulla esclude, infatti, che
l’Amministrazione, in caso di valutazione negativa, possa rigettare la
richiesta di riabilitazione.
4) Rapporti tra procedimento
disciplinare, trasferimento per incompatibilità ambientale e dispensa dal
servizio.
Da ultimo, appare necessario richiamare
l’attenzione sulle ulteriori disfunzioni e inefficienze che può determinare, in
taluni casi, l’uso improprio del procedimento disciplinare in luogo degli
strumenti all’uopo predisposti dall’ordinamento.
Si tratta, in particolare, di
quelle fattispecie in cui a rilevare sono condotte del personale scolastico che
non integrano gli estremi dell’illecito disciplinare, bensì richiedono una
valutazione sulla capacità o idoneità a svolgere proficuamente la funzione,
oppure sull’opportunità di adottare d’ufficio un provvedimento di trasferimento
in sede diversa da quella in cui si presta servizio.
Gli strumenti utilizzabili sono
indicati dagli articoli 512, 468 e 469 del D.Lgsl. 297/94, più volte citato,
che disciplinano modalità procedurali e organi deputati all’adozione dei
provvedimenti, rispettivamente, di dispensa dal servizio per incapacità
didattica, inidoneità fisica o per persistente insufficiente rendimento e di
trasferimento per incompatibilità ambientale.
Sulla tematica in questione, e
anche sugli altri aspetti di maggiore complessità trattati nella presente
circolare, sono in atto specifici approfondimenti per fornire, con successive
comunicazioni, alle SS.LL. utili e tempestivi elementi
di supporto.
Le SS.LL. sono
pregate di dare massima diffusione alla presente ai dirigenti delle istituzioni
scolastiche che risiedono nei territori di competenza.
Firmato
IL MINISTRO
G. Fioroni