Lavoro e Previdenza

Friday 19 March 2004

Il lavoro a tempo parziale. Il Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali. CIRCOLARE n. 9/04 del 18 marzo 2004 – 5/26052/70/SUB-P.T.

Il lavoro a tempo parziale.

Il Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali CIRCOLARE n. 9/04 del 18 marzo 2004 – 5/26052/70/SUB-P.T.

1. Il sostegno legislativo al lavoro a tempo parziale

     Il decreto legislativo n. 276 del 10 settembre 2003 ha introdotto, con l’articolo 46 e in adempimento di quanto previsto all’articolo 3 della legge delega n. 30 del 2003, rilevanti modifiche alla disciplina del rapporto di lavoro a tempo parziale. Disciplina contenuta, come noto, nel decreto legislativo n. 61 del 2000, così come modificato dal decreto legislativo n. 100 del 2001.

     Come illustrato nella Relazione tecnica di accompagnamento al decreto n. 276 del 2003, le modifiche introdotte sono volte a favorire il ricorso a questa tipologia contrattuale, che in tutti i Paesi europei ha dimostrato di fornire occasione di lavoro di qualità rispetto a prestazioni flessibile o atipiche prive di tutele adeguate per i lavoratori, soprattutto per le fasce deboli altrimenti escluse dal mercato del lavoro (donne, giovani in cerca di prima occupazione e anziani). Tali modifiche sono attuate principalmente mediante una nuova regolamentazione degli strumenti di flessibilità del rapporto a tempo parziale, attraverso la valorizzazione del ruolo della autonomia collettiva e, in mancanza di questa, della autonomia individuale, fermo restando il rispetto di standard minimi di tutela del lavoratore secondo quanto previsto dalla direttiva 97/81/CE.

     Per facilitare la lettura della nuova disciplina del lavoro a tempo parziale, si allega alla presente circolare il testo consolidato del decreto legislativo n. 61 del 2000, così come modificato dal decreto legislativo n. 100 del 2001 e ora dal decreto legislativo n. 276 del 2003.

     Si ritiene, comunque, doveroso puntualizzare come il lavoro a tempo parziale largamente valorizzato dal legislatore comunitario, venga ancora utilizzato in Italia in misura ridotta rispetto agli altri paesi a causa di una regolamentazione eccessivamente rigida e formalistica che si è inteso superare con le nuove disposizioni contenute nel decreto legislativo 276. Pertanto, nel presupposto che la promozione del lavoro a tempo parziale passi necessariamente attraverso una notevole semplificazione normativa, la riforma Biagi agli incentivi normativi già previsti, ne aggiunge di nuovi -eliminando inutili appesantimenti burocratici e restituendo alla contrattazione collettiva e individuale piena operatività- al fine di valorizzare pienamente tutte le potenzialità dell’istituto e consentire allo stesso di contemperare impegni lavorativi e responsabilità familiari oltre a rappresentare un canale di accesso al mercato del lavoro regolare.

2. Ambito di applicazione e modalità tipologiche

     Le modifiche introdotte dal decreto legislativo n. 276 del 2003 non si applicano ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche per espressa previsione dell’articolo 3, comma 1, della legge n. 30 del 2003, nonché in base all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 276 del 2003. L’eventuale armonizzazione tra settore pubblico e settore privato, ipotizzata dall’articolo 86 dello stesso decreto legislativo n. 276 del 2003, è subordinata a un confronto tra Ministero della Funzione pubblica e organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche e impone un espresso intervento legislativo di modifica del quadro previgente. Le modifiche introdotte alla disciplina del decreto legislativo n. 61 del 2000 trovano dunque applicazione esclusivamente per il settore privato.

     In base all’articolo 46, comma 1, lettera q), del decreto legislativo n. 276 del 2003, che ha abrogato l’articolo 7 del decreto legislativo n. 61 del 2000, la disciplina del rapporto di lavoro a tempo parziale è ora integralmente applicabile al settore agricolo.

     Nel tentativo di estendere il più possibile il raggio di azione del nuovo lavoro a tempo parziale è possibile stipulare detto contratto anche con riferimento ad ogni ipotesi di contratto a termine. Sebbene il decreto non lo affermi espressamente, non si ravvisa, in linea di principio, neppure una incompatibilità tra il rapporto a tempo parziale e il contratto di apprendistato o di inserimento ove la peculiare articolazione dell’orario non sia di ostacolo al raggiungimento delle finalità – formative ovvero di adattamento delle competenze professionali – tipiche di questi contratti [1].

3. Definizioni

     L’articolo 1 del decreto legislativo n. 61 del 2000, che contiene la definizione di lavoro a tempo parziale, è stato modificato [2] alla lettera a) del comma 2 per adeguare le disposizioni in materia di lavoro a tempo parziale a quelle recentemente dettate in materia di orario di lavoro con il decreto legislativo n. 66 del 2003. E’ lavoro a tempo parziale il contratto con orario inferiore a quello normale, come definito dalle norme di legge e contratto collettivo. Più precisamente, il lavoro a tempo pieno è ora definito, attraverso il rinvio all’articolo 3, comma 1, del citato decreto legislativo n. 66 del 2003, come orario normale fissato in 40 ore settimanali ovvero il minor orario previsto dai contratti collettivi. Per quanto non esplicitamente richiamato deve intendersi come orario normale, ai sensi del comma 2 del citato articolo 3 del decreto legislativo n. 66 del 2003, anche quello stabilito dai contratti collettivi con riferimento alla durata media delle prestazioni lavorative per un periodo non superiore all’anno. Per l’individuazione dell’orario normale giornaliero, ex articolo 1, comma 2, lettera c), la contrattazione collettiva ben potrà dettare, ai sensi dell’articolo articolo 1, comma 3, una definizione specifica di tale orario che, ovviamente, avrà valore ai soli fini del lavoro a tempo parziale di tipo orizzontale.

     Rimangono, invece, invariate le altre definizioni contenute nel comma 2 del citato articolo 1 del decreto legislativo n. 61 del 2000.

     I contratti collettivi nazionali e territoriali stipulati da organizzazioni comparativamente più rappresentative, nonché i contratti collettivi aziendali, non più con la necessaria assistenza dei sindacati che hanno negoziato e sottoscritto il contratto nazionale applicato, possono stabilire le condizioni e le modalità della prestazione lavorativa nel rapporto di lavoro a tempo parziale. Permane la facoltà per i contratti collettivi nazionali di prevedere, per specifiche figure o livelli professionali, modalità particolari di attuazione della disciplina rimessa alla contrattazione collettiva [3].

     Tale disposizione consente, quindi, una regolamentazione differenziata riguardo ai contenuti applicativi degli aspetti demandati alla contrattazione ad esempio con riferimento al lavoro supplementare, clausole flessibili ed elastiche e via dicendo.

4. Forma e contenuto.

     Non è stata modificata la norma che disciplina la forma del contratto a tempo parziale. E’ pertanto richiesta la forma scritta ai soli fini della prova. Il contratto di lavoro a tempo parziale deve indicare puntualmente la durata della prestazione e la collocazione oraria della stessa con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all’anno. Tale ultima prescrizione può essere derogata solo ove le parti introducano nel contratto una clausola di tipo flessibile o di tipo elastico, che sono ammissibili nei limiti previsti dalla legge (vedi infra). Come vedremo successivamente, la mancanza di tali indicazioni non comporta, così come stabilito già dalla disciplina previgente, la nullità del contratto [4].

     L’articolo 85, comma 2, del decreto legislativo n. 276 del 2003 ha tuttavia abrogato l’obbligo, contenuto nell’articolo 2 del decreto legislativo n. 61 del 2000, di inviare alla Direzione provinciale del lavoro competente per territorio copia del contratto di lavoro a tempo parziale entro trenta giorni dalla sua stipulazione. Si ricorda, peraltro, l’obbligo generale di comunicare l’assunzione entro 5 giorni dalla stessa, previsto dall’articolo 9 bis, comma 2, del decreto legge n. 510 del 1996, convertito dalla legge n. 608 del 1996. Tale obbligo dovrà essere adempiuto contestualmente alla assunzione con l’entrata in vigore, subordinata all’emanazione del decreto interministeriale di cui all’articolo 4 bis, comma 7, del decreto legislativo n. 181 del 21 aprile 2000, della nuova formulazione dell’articolo 9 bis come modificato dall’articolo 6, comma 3 del decreto legislativo n. 297 del 2002 [5].

5. Modalità del rapporto di lavoro a tempo parziale

Lavoro supplementare

     Il lavoro supplementare è definito, ex articolo 1, comma 2, lettera e), come il lavoro reso oltre l’orario concordato nel contratto individuale entro il limite del tempo pieno.

     La nuova formulazione dell’articolo 3, comma 1, prevede espressamente che nel part-time di tipo orizzontale sia consentito il ricorso al lavoro supplementare e che il lavoro supplementare possa essere svolto in ogni ipotesi di contratto a tempo determinato.

     Ciò non esclude che il lavoro supplementare possa ipotizzarsi anche nel lavoro a tempo parziale di tipo verticale o misto, tutte le volte che la prestazione pattuita ai sensi dell’articolo 2, comma 2, sia inferiore all’orario normale settimanale.

     Nel lavoro a tempo parziale di tipo orizzontale, la regolamentazione del lavoro supplementare rimane affidata ai contratti collettivi stipulati dai soggetti individuati dall’articolo 1, comma 3, del decreto legislativo n. 61 del 2000, così come modificato dall’articolo 46, comma 1, lettera b). Rispetto alla precedente formulazione, è stato tuttavia eliminato il riferimento al contratto collettivo effettivamente applicato. Pertanto, può ritenersi che il datore di lavoro che applichi un contratto che non regolamenta il lavoro supplementare possa mutuare la regolamentazione contenuta in un contratto diverso da quello applicato.

     Alla autonomia collettiva è conseguentemente rimessa l’individuazione del numero massimo di ore di lavoro supplementare effettuabili, le causali nonché le conseguenze del superamento dei limiti massimi consentiti [6]. La nuova formulazione non predetermina il periodo di riferimento entro cui detti limiti massimi devono essere stabiliti, e non vincola le parti del contratto collettivo ad individuare causali di tipo oggettivo di ricorso al lavoro supplementare, di modo che possono essere previste anche causali di tipo soggettivo.

     In ipotesi di superamento dei limiti consentiti al lavoro supplementare il termine “conseguenze” deve essere interpretato nel senso che tali conseguenze non devono essere di natura necessariamente economica (per esempio riposi compensativi).

     L’articolo 46, comma 1, lettera i), del decreto legislativo n. 276 del 2003 ha, inoltre, abolito il comma 6 dell’articolo 3 del decreto legislativo n. 61 del 2000; conseguentemente è stata abrogata la disciplina legale sussidiaria che prevedeva, in caso di superamento dei limiti consentiti e in assenza di specifica previsione del contratto collettivo, una maggiorazione del 50 per cento sulla retribuzione oraria globale di fatto, nonché la previsione legale che attribuiva alla contrattazione collettiva la facoltà di regolamentare il consolidamento dell’orario di lavoro svolto in via non meramente occasionale.

     In presenza della regolamentazione collettiva non è necessario, in base alla esplicita previsione di legge, il consenso al lavoro supplementare da parte del lavoratore. L’eventuale rifiuto non può in ogni caso integrare un giustificato motivo di licenziamento.

Il venir meno del riferimento all’illecito disciplinare, contemplato dalla normativa previgente, deve essere interpretato nel senso che l’illegittimo rifiuto a rendere la prestazione supplementare può acquisire rilevanza disciplinare.

     In mancanza di regolamentazione collettiva il lavoro supplementare è comunque ammesso su base volontaria, ma è venuto meno, in forza dell’articolo 46, comma 1, lettera e) del decreto legislativo n. 276 del 2003, il limite del 10 per cento rispetto all’orario concordato, previsto dalla originaria formulazione dell’articolo 3, comma 2 del decreto legislativo n. 61 del 2000. In assenza di regolamentazione collettiva, e previo accordo individuale, il lavoro supplementare è pertanto ammesso senza limiti, fermo restando quello del tempo pieno.

     A fronte del principio di libertà della forma non è richiesto che il consenso, a differenza che per le ipotesi di lavoro flessibile ed elastico, sia prestato con una forma predeterminata. Pertanto, il consenso, oltre che essere manifestato per fatti concludenti, potrà essere anche preventivamente acquisito, ad esempio all’inizio del turno/settimana/mese.

     La necessità del consenso, per contro, comporta che il rifiuto, in questa ipotesi, non può costituire né giustificato motivo oggettivo di licenziamento né un fatto disciplinarmente rilevante.

     La disciplina legale non prevede una maggiorazione per il lavoro supplementare. I contratti collettivi hanno tuttavia facoltà di introdurre una maggiorazione per il lavoro supplementare sulla retribuzione oraria globale di fatto.

     I contratti collettivi possono stabilire che l’incidenza sugli istituti retributivi indiretti e differiti della retribuzione per le ore supplementari, sia applicata attraverso una maggiorazione forfetaria della retribuzione oraria globale di fatto.

     La nuova disciplina del lavoro supplementare è immediatamente applicabile. Riguardo alle discipline vigenti nei contratti collettivi, in considerazione della espressa abrogazione della disciplina transitoria introdotta dall’articolo 3, comma 15, del d.lgs. n. 61 del 2000, decadono tutte le clausole dei contratti collettivi (nazionali, territoriali o aziendali) vigenti alla entrata in vigore del d.lgs. n. 276 del 2003 incompatibili con la nuova disciplina di legge ovvero stipulate sul presupposto o, comunque, in applicazione della norma legale coeva. Verranno meno, di conseguenza, anche le clausole dei contratti individuali apposte in applicazione della disciplina collettiva oramai caducata.

Il lavoro straordinario

     Nel lavoro a tempo parziale di tipo verticale o misto è ammesso il ricorso al lavoro straordinario [7]. E’ possibile il ricorso al lavoro straordinario anche nella ipotesi in cui il rapporto a tempo parziale sia stipulato a termine[8].

     Il lavoro straordinario è disciplinato dalle regole vigenti, legali e contrattuali, per i lavoratori a tempo pieno. Sarà possibile il ricorso al lavoro straordinario solo ove il tempo pieno settimanale sia stato raggiunto. In caso contrario, la variazione in aumento dell’orario potrà essere gestita mediante il ricorso a clausole elastiche ovvero mediante il ricorso al lavoro supplementare.

     Come per i lavoratori a tempo pieno non è previsto alcun obbligo di forma per la richiesta di effettuazione di lavoro straordinario.

Clausole flessibili

     Nel contratto di lavoro a tempo parziale deve essere inserita una puntuale regolamentazione della collocazione oraria della prestazione con riferimento al giorno, alla settimana al mese o all’anno [9].

     Il datore di lavoro non può modificare unilateralmente la collocazione della prestazione lavorativa rispetto a quella contrattualmente stabilita. Le parti del contratto individuale hanno la facoltà di stipulare un patto, in forma scritta, avente ad oggetto una clausola flessibile [10]. Il patto può essere stipulato anche quando il rapporto di lavoro a tempo parziale è stipulato a termine [11].

     Il patto può essere stipulato contestualmente o successivamente all’assunzione [12]. Nella stipulazione di detto patto il lavoratore può chiedere di farsi assistere da un rappresentante sindacale in azienda da lui indicato [13].

     La regolamentazione del lavoro flessibile è demandata all’autonomia collettiva che individua le condizioni e le modalità di esercizio del potere unilaterale del datore di lavoro di variare la collocazione temporale della prestazione [14].

     La disciplina legale prevede in favore del lavoratore un preavviso di due giorni lavorativi [15]. Le parti, anche del contratto individuale, possono stabilire una diversa misura del preavviso ma non eliminarlo completamente.

     In caso di lavoro flessibile il lavoratore ha inoltre diritto a specifiche compensazioni. La determinazione della forma e della misura di tali compensazioni è rinviata alla autonomia collettiva tenuto conto che l’articolo 3, comma 1, lettera b), della legge delega n. 30 del 2003 prevede che sia comunque prevista una maggiorazione di carattere retributivo da riconoscere al lavoratore.

     La nuova formulazione del testo di legge non ripropone il requisito del contratto effettivamente applicato. Anche, in questa ipotesi, pertanto, può ritenersi che il datore di lavoro che applichi un contratto che non regolamenta il lavoro flessibile possa mutuare la regolamentazione contenuta in un contratto diverso da quello applicato. In tal caso, occorre tuttavia che il contratto individuale di lavoro indichi espressamente quale sia il contratto collettivo cui si intende far riferimento. E ciò per l’evidente esigenza di rendere edotto il lavoratore della disciplina contrattuale cui è assoggettato.

     In mancanza di una regolamentazione per via collettiva le parti possono, comunque accordarsi per lo svolgimento di lavoro flessibile [16] ma devono regolamentarne condizioni e modalità, nonché stabilire le forme e la misura della compensazione.

     Il rifiuto del prestatore di lavoro di stipulare la clausola flessibile non costituisce in ogni caso, e cioè anche indipendentemente dal fatto che esista o meno regolamentazione collettiva della materia, giustificato motivo di licenziamento [17].

     L’articolo 46 del decreto legislativo n. 276/2003, modificando il testo previgente, ha abolito la regolamentazione legale del diritto di ripensamento con cui era possibile per il prestatore di lavoro recedere dal patto di flessibilità [18].

     Infine, si sottolinea, che non integrano una ipotesi di clausola flessibile le previsioni dei contratti collettivi, stipulati dai soggetti individuati dall’art. 1, comma 3, del d.lgs. n. 61 del 2000 come modificato dall’art. 46, comma 1 d.lgs. n. 276 del 2003, che, nel determinare le modalità della prestazione lavorativa a tempo parziale, prevedano che la stessa possa essere programmata con riferimento a turni articolati su fasce orarie prestabilite di modo che ove tale indicazione sia recepita nel contratto individuale (per relationem) deve essere considerato soddisfatto il requisito della puntuale indicazione della collocazione temporale della prestazione con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all’anno ([19]).

Clausole elastiche

     L’articolo 46 del decreto legislativo n. 276 del 2003 ha introdotto, limitatamente al part-time verticale e misto, la facoltà per le parti del contratto di lavoro di stipulare una clausola elastica relativa cioè alla variazione in aumento della prestazione lavorativa. Tale clausola si differenzia dalla clausola flessibile perché non concerne dunque, semplicemente, la collocazione del monte ore concordato ma attiene invece alla possibilità – vietata dalla normativa previgente – di ampliare il numero di ore concordato.

     La clausola elastica è regolamentata dalla medesima disciplina prevista per la clausola flessibile ma all’autonomia collettiva è demandata, oltre che la regolamentazione delle condizioni e modalità di esercizio del potere datoriale di variare in aumento la prestazione lavorativa, anche l’individuazione dei limiti entro cui è legittimo il ricorso al lavoro elastico.

     In assenza di regolamentazione collettiva tali limiti devono essere previsti dalle parti del contratto individuale che stipulino il patto avente ad oggetto la clausola elastica.

     La clausola elastica determina un incremento definitivo della quantità della prestazione, a differenza dello straordinario o del supplementare ove si verifica un aumento temporaneo della prestazione, riferito ad ogni singola giornata nella quale viene richiesta una prestazione aggiuntiva. Tale incremento può ovviamente essere delimitato nel tempo e potrebbe anche essere solo eventuale.

6. La trasformazione del rapporto.

     Datore di lavoro e lavoratore possono accordarsi per trasformare il rapporto da tempo pieno a tempo parziale o viceversa. Il rifiuto da parte del lavoratore di trasformare il rapporto non integra in nessun caso un giustificato motivo di licenziamento [20].

     L’accordo con cui le parti stabiliscono la trasformazione del rapporto da tempo pieno a tempo parziale deve essere stipulato in forma scritta e deve essere convalidato davanti alla Direzione Provinciale del Lavoro competente per territorio non essendo più prevista la facoltà per il lavoratore di richiedere l’assistenza di un rappresentante sindacale in azienda da lui indicato [21]. L’atto di convalida ben può intervenire successivamente alla stipula dell’accordo e non presuppone la necessaria presenza del lavoratore.

     Nell’ ipotesi di trasformazione a tempo pieno di un rapporto a tempo parziale, così come nell’ipotesi di aumento o diminuzione definitivi della durata della prestazione dedotta nel contratto, non sono previsti obblighi di forma né di convalida in sede amministrativa.

     Si ricorda, peraltro, che l’articolo 4 bis, comma 5, del decreto legislativo n. 181 del 2000, come modificato dall’articolo 6, comma 1, del decreto legislativo n. 297 del 2002, la cui entrata in vigore è subordinata all’emanazione del decreto interministeriale di cui all’articolo 4 bis, comma 7, del decreto legislativo n. 181 del 21 aprile 2000, prevede l’obbligo di comunicare, entro cinque giorni, ai servizi competenti, la trasformazione del rapporto da tempo parziale a tempo pieno [22].

     La nuova disciplina legale del rapporto di lavoro a tempo parziale ha abolito il diritto legale di precedenza per la trasformazione del rapporto da tempo parziale a tempo pieno nell’ipotesi di nuove assunzioni a tempo pieno, per mansioni uguali o equivalenti in unità produttive site nello stesso ambito comunale [23]. Tale diritto, però, può essere inserito dalle parti nel contratto individuale [24].

     E’ rimasta invariata la precedente regolamentazione del diritto di precedenza nel passaggio da tempo pieno a tempo parziale eccezion fatta per il venir meno dell’obbligo legale, da parte del datore di lavoro, di motivare adeguatamente l’eventuale rifiuto a fronte di una specifica richiesta del lavoratore [25].

7. Computo dei lavoratori part time

     Ai fini delle disposizioni di legge e di contratto collettivo i lavoratori assunti con contratto di lavoro a tempo parziale devono essere computati nell’organico. aziendale in proporzione al tempo effettivo di lavoro. A tal fine dunque occorre considerare anche l’eventuale lavoro supplementare o quello prestato in virtù di clausole elastiche.

8. Sanzioni

     L’articolo 8, comma 1 del decreto legislativo n. 61 del 2000 è rimasto invariato coerentemente con il permanere del requisito della forma scritta esclusivamente a fini probatori.

     In difetto di prova, relativamente alla stipulazione del contratto di lavoro come contratto a tempo parziale, il lavoratore potrà chiedere che il rapporto di lavoro sia dichiarato a tempo pieno dalla data in cui la mancanza della forma scritta sia giudizialmente accertata, fermo restando il diritto alla retribuzione per la prestazione effettivamente resa nel periodo anteriore.

     L’articolo 46, comma 1, lettera r), del decreto legislativo n. 276 del 2003 ha modificato il secondo comma dell’articolo 8 del decreto legislativo n. 61 del 2000.

     La nuova formulazione ribadisce che l’assenza di indicazioni puntuali, relativamente alla collocazione e alla durata della prestazione lavorativa nel contratto a tempo parziale, non comporta la nullità dello stesso.

     Nell’ipotesi di mancata o imprecisa indicazione della durata, il lavoratore potrà agire per far dichiarare che il rapporto di lavoro è a tempo pieno dalla data della sentenza. Rimane il diritto alla retribuzione per la prestazione effettivamente eseguita ma il lavoratore ha diritto ad un equo risarcimento per il periodo anteriore alla sentenza.

     Nell’ipotesi in cui manchi o sia indeterminata la definizione della collocazione oraria questa potrà essere definita in giudizio.

     Come parametro si rinvia alle determinazioni dei contratti collettivi in materia di clausole elastiche o flessibili, in quanto utili a determinare la collocazione della prestazione. In mancanza dovrà tenersi conto delle responsabilità famigliari del lavoratore, della necessità che questi possa avere di integrare il reddito derivante dal rapporto a tempo parziale mediante lo svolgimento di altra attività lavorativa nonché delle esigenze organizzative del datore di lavoro. Anche in questa ipotesi, fermo restando il diritto alla retribuzione per la prestazione effettivamente resa, è previsto un ulteriore emolumento, a titolo di risarcimento del danno, da liquidarsi con valutazione equitativa, per il periodo anteriore alla sentenza. Si preserva la facoltà per le parti di introdurre successivamente clausole elastiche o flessibili.

     Le controversie relative alla mancanza della forma scritta, ovvero alla omessa o imprecisa indicazione della collocazione oraria della prestazione o della sua durata, possono essere risolte anche mediante le procedure di conciliazione e arbitrato previste dai contratti collettivi nazionali stipulati da organizzazioni comparativamente più rappresentative.

     L’articolo 46, comma 1, lettera s) del decreto legislativo n. 276 del 2003 ha inoltre introdotto nell’articolo 8 del decreto legislativo n. 61 del 2000 il comma 2 bis. In base a tale norma lo svolgimento del lavoro flessibile o elastico in violazione delle previsioni legali nonché, ove esistenti, di quelle contrattuali, attribuisce al lavoratore uno specifico diritto alla corresponsione di un ulteriore emolumento a titolo di risarcimento del danno.

     A fronte della nuova regolamentazione del diritto di precedenza nel passaggio da tempo parziale a tempo pieno, non più previsto per legge, ma eventualmente solo sulla base del contratto individuale, la sanzione prevista dall’articolo 8 comma 3, che prevede la corresponsione, in caso di violazione del diritto, di un risarcimento pari alla differenza fra l’importo della retribuzione percepita e quella che sarebbe stata corrisposta a seguito del passaggio nei sei mesi successivi, integra il contratto individuale qualora le parti, introducendo il diritto, abbiano omesso di predeterminare la conseguenza della sua violazione.

     A fronte dell’abrogazione dell’obbligo di comunicazione alla Direzione Provinciale del Lavoro deve ritenersi implicitamente abrogata anche la relativa sanzione prevista dal comma 4 dell’articolo 8 del decreto legislativo n. 61 del 2000.

     Per le violazioni antecedenti al 24 ottobre 2003, trova applicazione il principio di irretroattività delle leggi che prevedono sanzioni amministrative di cui all’articolo 1 della legge n. 689/1981. Ne consegue che, anche nel caso di emissione di ordinanza di ingiunzione, avente ad oggetto violazioni anteriori all’entrata in vigore della nuova disciplina, troveranno applicazione le sanzioni riferite alla violazione dell’obbligo di comunicazione alla Direzione Provinciale del Lavoro.

     A tal riguardo è significativa la decisione della Suprema Corte n. 16699 del 26 novembre 2002, la quale stabilisce che “in materia di illeciti amministrativi, l’adozione del principio di legalità, di irretroattività e di divieto di applicazione dell’analogia, risultante dall’articolo 1 della L. n. 689/1981, comporta l’assoggettamento della condotta considerata alla legge del tempo del suo verificarsi, con conseguente inapplicabilità della disciplina posteriore più favorevole”; inoltre la medesima pronuncia chiarisce che la nuova disciplina non opera “limitatamente ai rapporti non esauriti, per essere ancora in corso i relativi procedimenti, né in relazione alle violazioni commesse precedentemente, ma per le quali l’ordinanza ingiunzione è stata emessa dopo l’entrata in vigore della legge, atteso che l’ordinanza ingiunzione non è esercizio di un potere e provvedimento amministrativo costitutivo, ma atto puramente esecutivo, preordinato soltanto alla riscossione di un credito già per effetto della violazione commessa”.

8. Trasformazione del rapporto in favore di lavoratori affetti da patologie oncologiche.

     Il decreto legislativo n. 276 del 2003, valorizzando il ruolo del contratto di lavoro a tempo parziale come strumento per contemperare le esigenze di competitività delle imprese con le istanze di tutela del lavoratore, introduce anche una disciplina promozionale a favore dei lavoratori affetti da patologie oncologiche.

     L’articolo 46, comma 1, lettera t), del decreto ha infatti aggiunto al decreto legislativo n. 61 del 2000 l’articolo 12 bis, tipizzando una ipotesi speciale di trasformazione del rapporto in favore di lavoratori affetti da patologie oncologiche, per i quali residui una ridotta capacità lavorativa, anche a causa degli effetti invalidanti di terapie salvavita, accertata da una commissione medica istituita presso l’azienda unità sanitaria locale territorialmente competente, si prevede infatti il diritto alla trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in lavoro a tempo parziale verticale o orizzontale.

     La norma prevede, inoltre, che, a fronte della richiesta del lavoratore, il rapporto di lavoro a tempo parziale debba nuovamente essere trasformato in rapporto di lavoro a tempo pieno.

Allegato

testo consolidato D.Lgs 61/2000 [consultabile in Tax & Lex

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[1] Con riferimento all’utilizzo dell’orario di lavoro a tempo parziale nell’ambito del contratto di apprendistato o di formazione e lavoro si veda già la Circ. Min. Lav. n. 46/2001.

[2] Articolo 46, comma 1, lettera a), d.lgs. n. 276/2003.

[3] Articolo 1, comma 3, d.lgs. n. 61/2000 come modificato dall’articolo 46, comma 1, lettera b), d.lgs. n. 276/2003.

[4] Articolo 8, comma 2, d.lgs. n. 61/2000 così come modificato dall’articolo 46, comma 1, lettera r) del d.lgs. n. 276/2003.

[5] Cfr. Circ. Min. Lav. del 24 novembre 2003, n. 37.

[6] Articolo 3, comma 2, d.lgs. n. 61/2000 così come modificato dall’articolo 46, comma 1, lettera e) del d.lgs. n. 276/2003.

[7] Articolo 3, comma 5, d.lgs. n. 61/2000 così come modificato dall’articolo 46, comma 1, lettera i) del d.lgs. n. 276/2003.

[8 ]Articolo 3, comma 5, d.lgs. n. 61/2000 così come modificato dall’articolo 46, comma 1, lettera i) del d.lgs. n. 276/2003.

[9] Articolo 2, comma 2, d.lgs. n. 61/2000.

[10] Articolo 3, comma 7, d.lgs. n. 61/2000 così come modificato dall’articolo 46, comma 1, lettera j) del d.lgs. n. 276/2003 e articolo 3, comma 9, d.lgs. n. 61/2000 così come modificato dall’articolo 46, comma 1, lettera l) del d.lgs. n. 276/2003.

[11] Articolo 3, comma 10, d.lgs. n. 61/2000 così come modificato dall’articolo 46, comma 1, lettera m) del d.lgs. n. 276/2003.

[12] Articolo 3, comma 9, d.lgs. n. 61/2000 così come modificato dall’articolo 46, comma 1, lettera l) del d.lgs. n. 276/2003.

[13] Articolo 3, comma 9, d.lgs. n. 61/2000 così come modificato dall’articolo 46, comma 1, lettera l) del d.lgs. n. 276/2003.

[14] Articolo 3, comma 7, d.lgs. n. 61/2000 così come modificato dall’articolo 46, comma 1, lettera j) del d.lgs. n. 276/2003.

[15] Articolo 3, comma 8, d.lgs. n. 61/2000 così come modificato dall’articolo 46, comma 1, lettera k) del d.lgs. n. 276/2003.

[16] Articolo 8 ter, d.lgs. n. 61/2000 introdotto dall’articolo 46, comma 1, lettera s) del d.lgs. n. 276/2003.

[17] Articolo 3, comma 9, d.lgs. n. 61/2000 così come modificato dall’articolo 46, comma 1, lettera l) del d.lgs. n. 276/2003.

[18] Articolo 3, comma 10, d.lgs. n. 61/2000 ora modificato dall’articolo 46, comma 1, lettera l) del d.lgs. n. 276/2003 che esplicita la possibilità di inserire clausole flessibili ed elastiche nei contratti a termine.

[19] Cfr. Circ. Min.Lav. n. 37/93

[20] Articolo 5, comma 1, d.lgs. n. 61/2000 così come modificato dall’articolo 46, comma 1, lettera o) del d.lgs. n. 276/2003.

[21] Articolo 5, comma 1, d.lgs. n. 61/2000 così come modificato dall’articolo 46, comma 1, lettera o) del d.lgs. n. 276/2003.

[22] Cfr. Circ. Min. Lav. del 24 novembre 2003, n. 37.

[23 ]articolo 5, comma 2, d.lgs. n. 61/2000 così come modificato dall’articolo 46, comma 1, lettera o) del d.lgs. n. 276/2003.

[24] articolo 5, comma 2, d.lgs. n. 61/2000 così come modificato dall’articolo 46, comma 1, lettera o) del d.lgs. n. 276/2003.

[25] articolo 5, comma 3, d.lgs. n. 61/2000 così come modificato dall’articolo 46, comma 1, lettera o) del d.lgs. n. 276/2003.