Lavoro e Previdenza
Il giudice del lavoro interpreta l’ outsourcing.
Il giudice del lavoro interpreta
l’outsourcing.
Cassazione – Sezione lavoro –
sentenza 11 luglio-2 ottobre 2006, n. 21287
Presidente Mercurio – Relatore
D’Agostino
Pm Destro – conforme – Ricorrente
Adesini ed altri – Controricorrente Polimeri Europa Spa
Svolgimento del processo
La Corte di appello di
Caltanissetta con sentenza n. 17 del 9 aprile 2003, per quanto qui ancora
interessa, rigettava l’appello proposto dagli attuali ricorrenti avverso la
sentenza 26 settembre 2001 del Tribunale di Gela.
I lavoratori, tutti dipendenti di
imprese appaltatrici di lavori edili all’interno dello stabilimento
petrolchimico di Gela, avevano chiesto che venisse
dichiarata la sussistenza di un unico ed interrotto rapporto di lavoro con le
imprese appaltatrici e con le società committenti (Agip Petroli, Enichem e
Polimeri Europa) in quanto si era verificata una serie di cessioni di azienda;
in particolare sostenevano che dopo la cessazione dell’appalto con Comi Srl, in
data 22 aprile 2000, il ramo d’azienda prima affidato a quest’ultima società era
passato alle società del gruppo Eni che gestivano lo stabilimento,
petrolchimico (c.d. reinternalizzazione dei servizi) e che da queste il ramo di
azienda era stato di nuovo ceduto a terzi. In definitiva, i lavoratori
insistevano perché venisse riconosciuto il rapporto di
lavoro con le società del gruppo Eni ai sensi dell’articolo 2112 Cc
limitatamente al periodo successivo al 22 aprile 2000.
Il Tribunale aveva ritenuto la
sussistenza del trasferimento d’azienda tra l’impresa Trainito, la Trainito Appalti
Srl (ora Coed Srl) e la Comi
Srl e quindi la sussistenza di un unico rapporto di lavoro
tra i ricorrenti e le predette imprese fino al 29 giugno 2000, data del loro
licenziamento; aveva ritenuto invece non sussistente un trasferimento d’azienda
tra le imprese appaltatrici e le committenti; aveva escluso altresì il diritto
dei lavoratori all’indennità di mobilità previsto per il solo settore
industriale dall’articolo 7 della legge 223/91, perché l’attività espletata dai
lavoratori era inerente al settore edile e non a quello industriale.
La Corte di appello in via
preliminare riteneva che la domanda introduttiva fosse nulla per
indeterminatezza dei soggetti legittimati in quanto il ricorso non consentiva
di individuare né la singola posizione dei ricorrenti nei confronti delle
società committenti, né la singola posizione di queste ultime in relazione al
ramo d’azienda di cui si assumeva l’avvenuta
riacquisizione da parte delle società committenti.
Nel merito la Corte riteneva che la
domanda fosse infondata in quanto dagli atti di causa risultava che le società
del gruppo Eni avevano affidato in appalto alla Trainito
Appalti Srl (ora Coed Srl) attività di manutenzione di tipo edilizio
all’interno dello stabilimento petrolchimico e che tale appalto era stato successivamente
ceduto dalla soc. Trainito Appalti alla Comi Srl Riteneva pertanto la Corte che tale affidamento
non integrasse né una cessione di azienda né una esternalizzazione di servizi,
in quanto l’attività di manutenzione edilizia non era attività strumentale
dell’attività produttiva svolta all’interno dello stabilimento, né
corrispondeva ad una fase dell’attività di impresa, né costituiva un segmento
dell’intero ciclo produttivo. Osservava ancora la Corte che le imprese
appaltatrici si erano sempre avvalse di propri operai, tra i quali gli attuali
ricorrenti, che non sono mai stati alle dipendenze delle società committenti.
Riteneva infine la Corte di dover confermare la
sentenza del primo giudice laddove aveva respinto la domanda dei lavoratori
intesa ad ottenere l’indennità di mobilità ex articolo 7
legge 223/91, in quanto l’attivItà svolta dai lavoratori all’interno
dello stabilimento non era connessa al ciclo produttivo petrolchimico e non
poteva essere considerata attività inerente al settore industriale.
Per la cassazione di tale
sentenza i lavoratori in epigrafe hanno proposto ricorso sostenuto da due
motivi. Resistono con controricorso, illustrato con memoria, Eni Spa, polimeri Europa Spa, Syndial Spa, Raffineria di Geia Spa,
Snam Progetti Spa e Inps. Gli altri intimati non hanno svolto attività
difensiva.
Motivi della decisione
Con il primo motivo di ricorso i
lavoratori lamentano violazione dell’articolo 2112 Cc e dell’articolo 414 Cpc
nonché vizi di motivazione e censurano la sentenza impugnata per aver affermato
la nullità del ricorso introduttivo per la impossibilità
di individuare i legittimati attivi e passivi e per aver negato che nell’aprile
del 2000 vi era stato un trasferimento di azienda da Comi Srl alle imprese
committenti.
Quanto al primo profilo i
ricorrenti sostengono che la domanda introduttiva non presentava alcuna
incertezza in ordine ai soggetti del rapporto dedotto in causa, che erano da un
lato i lavoratori della Comi Srl e dall’altro le società del gruppo Eni
(Enichem Spa, Agip Petroli Spa e Polimeri Europa Spa) che avevano stipulato un
contratto di appalto con la Trainito Appalti, nel quale era
succeduta la Comi Srl.
Sostengono i ricorrenti che il dedotto trasferimento di azienda da Comi Srl
alle società del gruppo Eni non comportava alcuna difficoltà
nell’individuazione dei soggetti del rapporto in quanto deve ritenersi
ammissibile un rapporto di lavoro di singoli lavoratori con una pluralità di
datori di lavoro obbligati in via solidale.
Quanto al secondo profilo i
ricorrenti osservano che i tre contratti di appalto intercorsi tra Comi
(succeduta a Trainati Appalti) e le tre società presenti in modo stabile nel
petrolchimico (Enichem, Polimeri e Agip Petroli) prevedeva non solo la
manutenzione ordinaria di opere edili ma anche la posa in opera di ponteggi e
la costruzione di impianti. Con detti contratti, dunque, si era realizzata una
vera e propria cessione di un ramo di azienda in quanto parte del ciclo
produttivo, prima gestito direttamente, era stato ceduto all’impresa Trainito
Appalti. Venuti meno i tre contratti di appalto le tre società committenti
erano a loro volta divenute automaticamente cessionarie dello stesso segmento
produttivo in passato ceduto a Trainito Appalti.
Con il secondo motivo i
lavoratori denunciano violazione degli articoli 4,6, 7 e 24 della legge 223/91
e censurano la sentenza impugnata per aver negato il diritto dei ricorrenti
all’indennità di mobilità perché la
Comi svolgeva una attività che non
era connessa al ciclo produttivo petrolchimico e non era inerente al settore
industriale. Sostengono i ricorrenti che le norme sopra citate, in caso di
licenziamento collettivo, si applicano indipendentemente dall’appartenenza
dell’impresa, a un ciclo petrolchimico o a un settore industriale.
Il primo motivo di ricorso è
infondato.
I ricorrenti sostengono che
l’attività di manutenzione di tipo edilizio all’interno dello stabilimento
Petrolchimico di Gela, prima gestito direttamente dalle società del gruppo Eni,
costituisca un ramo di azienda; che tale attività sarebbe stata
“esternalizzata” con l’affidamento di tale servizio ad altre imprese con
contratto di appalto che costituisce in realtà una cessione di ramo di azienda;
che, una volta risolto il contratto di appalto, il
ramo di azienda in questione sarebbe stato riacquistato (reinternalizzato)
dalle società del gruppo Eni; che conseguentemente il rapporto di lavoro dei
ricorrenti sarebbe proseguito con le società committenti.
La Corte di appello ha respinto
la tesi difensiva dei lavoratori ed il dispositivo
della sentenza è conforme al diritto, per quanto la motivazione vada
opportunamente integrato e corretto.
È nato che il fenomeno c.d. di
“outsourcing” comprende tutte le possibili tecniche mediante le quali
un’impresa dismette la gestione diretta di alcuni segmenti dell’attività
produttiva e dei servizi estranei alle competenze di base (c.d. core business).
Ciò può fare, tra l’altro, sia appaltando a terzi l’espletamento del servizio,
sia cedendo un ramo di azienda. La scelta tra le varie alternative è rimessa
all’insindacabile valutazione dell’imprenditore, a norma dell’articolo 41
Costituzione. Sta di fatto che l’appalto di servizi e la cessione di ramo di
azienda sono contratti con caratteri giuridici nettamente distinti e non
confondibili.
Per cessione di ramo di azienda,
agli effetti dell’articolo 2112 Cc, si intende il trasferimento di un insieme
di elementi produttivi, personali e materiali, organizzati dall’imprenditore
per l’esercizio dell’attività, che si presentino prima del trasferimento come una entità dotata di autonoma ed unitaria organizzazione,
idonea al perseguimento dei fini dell’impresa e che conservi nel trasferimento
la propria identità (vedi Cassazione 206/04, 19842/03, 17207/02).
L’appalto di opere e servizi o di
manutenzione ordinaria degli impianti all’interno dello stabilimento,
consentita dall’articolo 3 della legge 1369/60, costituisce il contratto con il
quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari, con proprio
personale e con gestione a proprio rischio, il compimento all’interno di una azienda di un’opera o di un servizio verso un
corrispettivo in danaro (articolo 1655 Cc).
Con la cessione di un ramo di
azienda si ha dunque il trasferimento di un segmento dell’organizzazione
produttiva dotato di autonoma e persistente funzionalità. L’utilizzazione da
parte del cedente dei prodotti e dei servizi del segmento ceduto formerà
oggetto di distinto contratto con il cessionario.
Con l’appalto di opere e di
servizi, invece, il committente non dismette un segmento produttivo, ma si
avvale dei prodotti e dei sevizi che gli necessitano,
che gli sono forniti da altra impresa che li produce avvalendosi di una propria
organizzazione imprenditoriale.
Nella specie non è contestato che
le committenti hanno inteso stipulare con la soc. Trainito (e successivi
cessionari) un contratto di appalto per l’esecuzione di lavoro edili e per la
manutenzione edilizia all’interno del Petrolchimico. I ricorrenti non deducono,
neppure in ipotesi, la invalidità di tale contratto
per simulazione assoluta o relativa o per frode alla legge. Né allegano
l’errata utilizzazione nella contrattazione del nomen iuris di appalto in luogo
di quello effettivamente voluto di cessione.
Se la volontà delle parti
contraenti è stata, dunque, di stipulare un contratto di appalto di servizi, e
non vi è prova alcuna di un intento elusivo comune alle parti, non si vede come
tale contratto possa trasformarsi in un contratto di cessione di ramo di
azienda, che è una fattispecie del tutto diversa. Ne consegue che la
risoluzione del contratto di appalto non può aver avuto come conseguenza la
retrocessione alle società committenti di un ramo di azienda che non è stato
mai ceduto.
Pertanto non è suscettibile di
censura la sentenza impugnata che ha negato la sussistenza nella specie di un
contratto di cessione di azienda con successiva retrocessione alle società
committenti.
Una volta
escluso che nella fattispecie in esame sia configurabile una cessione di
ramo di azienda ex articolo 2212 Cc, resta assorbita ogni altra censura
sollevata dai ricorrenti con il motivo di ricorso in esame.
Infondato è anche il secondo
motivo di ricorso.
La Corte di appello ha respinto
la domanda subordinata dei lavoratori intesa ad ottenere il riconoscimento
dell’indennità di mobilità per il settore industriale
prevista dagli articoli 4, 6, 7 e 24 della legge 223/91, perché
l’attività svolta dai ricorrenti all’interno dello stabilimento non era
connessa al ciclo produttivo petrolchimico e non poteva essere considerata
attività inerente al settore industriale, bensì edile.
Sostengono i ricorrenti che gli
articoli 4, 6, 7 e 24 della legge 223/91 si applicano in caso di licenziamento
collettivo indipendentemente dall’appartenenza ad un settore industriale.
La Corte territoriale, una
volta riconosciuta la natura edile dell’attività svolta dalla società
appaltatrice, ha fatto corretta applicazione delle norme, poiché l’articolo 24 comma 3 della legge 223/91 stabilisce che
quanto previsto dall’articolo 4 e 5 si applica soltanto alle imprese di cui
all’articolo 16 comma 1, che espressamente esclude le imprese edili
dall’indennità di mobilità. Risulta peraltro che l’Inps ha liquidato ai
ricorrenti il trattamento speciale di disoccupazione previsto in favore dei
lavoratori del settore dell’edilizia.
Per tutte le considerazioni sopra
svolte il ricorso, dunque, deve essere respinto. Al rigetto consegue la
condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di cassazione in
favore dei resistenti costituiti, nella misura
liquidata
in dispositivo. Nulla deve disporsi invece per i resistenti che non hanno
svolto attività difensiva.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e
condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di cassazione in
favore dei resistenti costituiti che liquida, per ciascun resistente in euro
200 per esborsi ed in euro 1.000 per onorari, oltre spese
generali e accessori di legge. Nulla per le spese per i resistenti non
costituiti.