Penale

Monday 19 June 2006

Il dolo nell’ omicidio preterintenzionale

Il dolo nellomicidio preterintenzionale.

     REPUBBLICA ITALIANA

                    IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

                LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

                        SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FOSCARINI Bruno – Presidente

Dott. ROTELLA Mario – Consigliere

Dott. NAPPI Aniello – Consigliere

Dott. FUMO Maurizio – Consigliere

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

                         SENTENZA

sul ricorso proposto da H.A.A., nato il … avverso la sentenza del 25/10/2004 della Corte d’Assise d’Appello di Milano;

visti gli atti, la sentenza ed il procedimento;

udita in publica udienza la relazione fatta dal Consigliere Dr. Rotella Mario;

udite le conclusioni di rigetto del Sostituto Procuratore Generale, Dr. Salzano F. e di manifesta infondatezza della   questione di illegittimita’ costituzionale;

udito il difensore, Avv. R. M.

                               PREMESSO

1 – La Corte di Assise di Appello di Milano ha confermato la condanna inflitta ad H.A.A. dal GUP di Milano, con generiche e diminuente di rito, ad anni 4 e mesi 6 di reclusione, ai sensi  dell’art. 584 cp, per avere cagionato il 4.5.99 la morte di E.D. per tromboembolia polmonare massiva da frattura pelvica (sx), colpendola ripetutamente con schiaffi e calci in data 28.4.99.

La sentenza ricostruisce che il 28 aprile, secondo le testimonianze acquisite, l’imputata, vista la E. seduta per via su una panchina con tre amiche, si avvicinava sorridendo e, datole improvvisamente uno schiaffo, l’afferrava per i capelli e la strattonava piu’ volte. Nel “parapiglia” seguito, per l’intervento delle altre donne, l’offesa cadeva in terra e la H. continuava a colpirla a calci, tra l’altro uno alla parte destra dell’inguine. 

Il movente di questo suo comportamento era dovuto all’insulto, che sosteneva di aver subito dall’E., per non aver  provveduto a restituirle la somma prestatale di L. 220.000.

Alla E., trasportata in ospedale, veniva riscontrato tra l’altro il trauma di cui imputazione, che le immobilizzava l’arto

inferiore sinistro. Dimessa, con prognosi di gg. 30-35, era trovata morta in casa 6 giorni dopo.

Il C.T. in sede di autopsia, presente quello per l’imputata, concludeva per il nesso causale dell’embolia mortale con il trauma pelvico.

Il perito, di seguito nominato dal GIP, confermava.

Con l’atto di appello la difesa contestava l’assenza di prova che la E. fosse stata spinta in terra dall’imputata, e che la

formazione trombotica, cui si rapporta il decesso, fosse dovuta al trauma fratturativo.

La sentenza ha risposto che la E. e’ caduta a terra, a seguito della colluttazione originata dalla H., che continuato a colpirla tra l’altro con un calcio, che ha cagionato la frattura da cui e’ scaturito l’evento. Ha aggiunto che non era necessaria la previsione dell’evento, altrimenti rilevante ai sensi dell’art. 61 c.p., n. 3.

Il ricorso denuncia:

1) Vizio di motivazione sul nesso causale: il trauma alla branca ileo-pubica sx e’ derivato dalla caduta, non dal calcio,  che concerne la parte destra dell’inguine, e dunque vi e’ travisamento della prova decisiva;

2) Mancata pronuncia di sentenza a norma dell’art. 129 c.p.p., posto che il piu’ grave evento non era prevedibile, e per la configurazione del reato secondo dottrina e giurisprudenza prevalenti e’ necessario il dolo misto a colpa, nonostante  taluna decisione di segno contrario;  e  solleva: 

3) Questione di illegittimita’ dell’art. 584 c.p. ai sensi dell’art.27 Cost., se la norma e’ intesa nel senso di implicare  attribuzione dell’evento piu’ grave a titolo di responsabilita’ obiettiva.

Ritenuto:

1 – Il 2^ e 3^ motivo concernono la premessa normativa, e sono infondati.

1.1 – Il delitto di cui all’art. 584 c.p. ha un titolo proprio ed esclusivo di responsabilita’.

L’art. 42 c.p., fondando la regola di responsabilita’ nel dolo, prevede quali eccezioni il delitto preterintenzionale e  colposo. E infine afferma che la legge determina i casi in cui l’evento e’ posto altrimenti a carico dell’agente come conseguenza della sua condotta.

Va percio’ escluso che l’omicidio preterintenzionale sia punibile a titolo di dolo e responsabilita’ obiettiva insieme.

Si era ritenuto che lo fosse per dolo misto a colpa (cfr. Cass., Sez. 5^ n. 10994/1981, rv. 151265; 9294/83 – 161038; 4836/85 – 169259; 2634/93 – 194325). 

Ma questa Corte (Sez. 5^, n.13114/02, P.G. in proc. Izzo, rv. 222054), giusta lettera della norma incriminatrice, afferma che l’elemento psicologico dell’omicidio preterintenzionale e’ costituito unicamente dalla volonta’ di infliggere percosse o provocare lesioni.

Per intendere la ratio normativa, va innanzitutto osservato che l’art.43 c.p. costruisce l’elemento psicologico quale  causalita’ morale, in parallelo a quella materiale (art. 40 c.p.), fondandola sul rapporto tra intenzione, costituita da volonta’ e previsione del risultato della condotta, ed evento conseguente alla stessa condotta.

Definendo il delitto doloso secondo l’intenzione, l’articolo pone la regola di responsabilita’ nella corrispondenza dell’evento, da cui dipende l’esistenza del reato, all’intenzione di risultato.

La corrispondenza permane nel delitto preterintenzionale, nel quale e’ superata solo dalla maggior gravita’ dell’evento.

La corrispondenza e’ invece esclusa nel delitto colposo nel quale l’evento, seppure preveduto, e’ in contrasto con il  risultato intenzionale. Ed e’ per questa ragione che l’art. 43 c.p., detta quali parametri di causalita’ morale (“quando  l’evento … si verifica a causa di …”) la negligenza, l’imprudenza, l’imperizia o l’inosservanza di norme da parte dell’agente.

Ciascun parametro si rapporta alla categoria logica di prevedibilita’ dell’evento da cui dipende l’esistenza del reato, come conseguenza della condotta, e serve a dimostrare superabile dall’agente l’inconsapevolezza dell’esigenza di  diverso comportamento. 

Tanto basta. 

Percio’, se nel delitto colposo si agisce nonostante la previsione dell’evento, l’art. 61 c.p., n. 3 prevede un’aggravante:

la possibilita’ cognitiva e’ superata dalla consapevolezza.

La tassativa limitazione dell’aggravante al delitto colposo conferma che la previsione dell’evento da cui dipende l’esistenza del reato e’ componente necessaria e non circostanziale nel delitto preterintenzionale, come in quello doloso. 

Il sistema dunque significa che quanto al delitto preterintenzionale, la disposizione dell’art.43 assorbe la prevedibilità di evento piu’ grave nell’intenzione di risultato, per il quale parametri di negligenza, imprudenza o imperizia, men che  d’inosservanza di norme, sono assolutamente irrilevanti.

E’ per esempio incontroverso che l’essere l’agente privo di conoscenze mediche, tali da consentirgli di prevedere l’evoluzione nell’evento morte del risultato lesivo intenzionale, non pone questione di imperizia, pur a fronte di  complessa ricostruzione medico – legale del nesso causale.

La ragione evidente e’ che chi agisce con dolo di delitto di percosse o lesioni per definizione puo’ prevedere l’evento piu’ grave del risultato voluto, indipendentemente dai parametri che servono a qualificare la colpa. 

Il rischio del verificarsi della morte e’ implicito nell’offesa dell’incolumita’ personale, tant’e’ che se l’agente prevede l’evento morte, il delitto e’ secondo l’intenzione, e va qualificato omicidio volontario.

Difatti, come si e’ premesso, la piena corrispondenza dell’intenzione, intesa previsione e volonta’ di risultato, all’evento conseguito alla condotta, integra dolo generico del delitto di cui all’art.575 c.p..

E, secondo diritto vivente, e’ irrilevante che alla previsione dell’evento si associ l’opzione di risultato meno grave perche’, agendo, si vuole anche quello piu’ grave, secondo causalita’ naturale della propria condotta (dolo eventuale o indiretto). Tanto, paradossalmente, riconosce proprio la giurisprudenza del doppio elemento psicologico.

L’errore ermeneutico e’ dunque dovuto al travisamento della categoria (idea) di prevedibilita’, per la colpa (concetto), che e’ una specie del genere elemento psicologico. Ma se la prevedibilita’ va codificata in un carattere (negligenza, imprudenza, etc.) necessario del delitto colposo, perche’ l’evento si verifica contro l’intenzione, questa necessita’ non   esiste nel delitto preterintenzionale, a fronte dell’intenzione del risultato della condotta.

1.2 – A riprova strutturale, l’elemento psicologico dell’omicidio preterintenzionale e’ unico, perche’ ad esso corrisponde  un solo evento, da cui dipende l’esistenza del reato.

Tanto trova conferma, oltre che nella lettera della norma incriminatrice in rapporto al dettato dell’art. 15 c.p., nelle  norme sul concorso di reati. Si ritorni alla lettera delle norma.

Secondo l’art. 584 c.p., la condotta consiste in atti diretti a commettere taluno dei delitti di cui agli artt. 581o 582 c.p.,

mentre l’evento cagionato, da cui dipende l’esistenza del delitto, e’ la morte. 

Per diritto vivente (giurisprudenza  costante da Cass. 13.10.64, Viti in CPMA 65,488 e v. Sez. 5^, 4793/88, CED rv. 178180) la lettera significa sufficiente il tentativo di percosse, men che di lesione, per la punibilita’ a titolo di omicidio preterintenzionale (se per es. ad un atto aggressivo, che non attinga il corpo dell’offeso, segua un infarto).

Orbene, se l’agente ha voluto un evento minore omogeneo, quale conseguenza della condotta ai sensi dell’art. 581 o 582 c.p., la progressivita’ del delitto di cui all’art. 584 c.p., implica, giusta la regola dell’art. 15 c.p., assorbimento del delitto sussidiario di cui all’art. 581 o 582 c.p..

Proprio il riferimento all’art.586 c.p., la cui disposizione parallela e’ tratta a conforto dalla teoria del “doppio elemento

psicologico”, lo conferma.

L’art.586 c.p., disciplina un delitto “contro l’intenzione”, perche’ l’evento mortale, o anche solo lesivo si badi (e v. oltre, dove si osserva perche’ non e’ previsto anche il delitto di lesione preterintenzionale), e’ conseguenza non voluta di un delitto doloso non sussidiario.

La disposizione si fonda dunque, al contrario di quella di cui all’art. 584 c.p., sulla disomogeneita’ dell’evento lesivo o mortale, rispetto al risultato prefigurato e voluto dall’agente, tant’e’ che rinvia all’art. 83 c.p., che disciplina l’aberrazione e a sua volta stabilisce bensi’ che l’agente risponda a titolo di colpa del delitto qualificato dall’evento diverso, quando il fatto e’ preveduto come delitto colposo, ma conferma il concorso di reati, se l’agente ha cagionato  anche l’evento voluto.

L’art. 586 c.p., dunque, non si rifa’ alla regola dell’art. 15 c.p., ma a quella del concorso di reati, perche’ i due eventi eterogenei, ovvero rapportabili a norme che disciplinano diversa materia, implicano ciascuno un proprio elemento psicologico.

Viceversa l’art. 584 c.p., non richiede un ulteriore elemento psicologico oltre il dolo di delitto sussidiario, perche’ l’evento da cui dipende l’esistenza del reato progressivo e’ unico.

1.3 – Per concludere sul perche’ la prevedibilita’ non assurge a carattere distinto dell’omicidio preterintenzionale, e’ necessario verificare il rapporto con la realta’ fenomenica.

Orbene, si e’ visto, l’esperienza dimostra che il rischio di evento omogeneo piu’ grave e’ insito nel danno o pericolo che si arreca alla persona  fisica.

E nel sistema l’interesse primario, che accomuna i beni essenziali della persona, e’ complessivamente tutelato in ragione dell’idea (categoria) di inevitabilita’ dell’evento piu’ grave, conseguente al processo naturale attivato con la condotta umana. 

Si tratta della stessa idea per cui la legge afferma in via generale che la causalita’ umana non e’ esclusa da cause concorrenti precedenti, simultanee o sopravvenute, indipendenti dall’azione (art. 41 c.p.).

Su questa premessa si rifletta innanzitutto sul perche’ la legge non prevede il delitto di lesione preterintenzionale: il delitto di percosse e quello di lesione concernono oltre che lo stesso interesse, lo stesso bene incolumita’. Percio’ se, percuotendo una persona, dalla condotta scaturisce un processo morboso (per es. da trauma), il delitto va qualificato ai sensi dell’art. 582 c.p., e, in ipotesi di maggior gravita’, progressivamente aggravato ai sensi dell’art. 583 c.p..

La ratio di questa disciplina e’ incontestata sul piano obiettivo e psicologico.

Ma la vita, che si rapporta bensi’ allo stesso interesse, costituisce quel bene diverso ed omogeneo, sulla cui tutela s’incentra tutto il sistema  penale. E, fermo che se si usa violenza fisica alla persona per cagionare sofferenza o malattia, non si e’ per definizione in grado di potere escludere che cause indipendenti dalla condotta, seppure ignote al momento di agire, possano concorrere a cagionare la morte, e’ evidente perche’ il sistema, per sorreggere la disciplina

dell’unica ipotesi di delitto preterintenzionale di cui all’art. 584 c.p., disciplina una specie autonoma di responsabilita’  morale nell’art. 43 c.p..

E’ questa la ragione per cui, in caso di omicidio preterintenzionale, il giudice non deve verificare se l’evento morte fosse prevedibile secondo un parametro legale, dettato per la colpa, ma solo se l’agente ha agito con il dolo di cui all’art. 581 o 582 c.p..

La prevedibilita’ dell’evento piu’ grave è assorbita nell’intenzione di risultato del delitto contro la persona fisica, mentre la speculazione teorica del doppio elemento psicologico, pone la disciplina normativa fuori della realta’.

1.4 – E’ pertanto singolare che la motivazione della sentenza impugnata concluda che la previsione dell’evento non e’  necessaria, altrimenti nella specie sarebbe stata contestata l’aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 3 esclusa in concreto. In tal modo travisa che l’aggravante si applica solo ai delitti colposi, e non  puo’ essere applicata all’omicidio preterintenzionale, ed autorizza l’argomentazione infondata del ricorso.

All’evidenza  era sufficiente la risposta gia’ resa che la H. aveva di certo voluto offendere l’incolumita’ personale della E., per dimostrare corretta l’inferenza della sua responsabilita’ a titolo di omicidio preterintenzionale per la  morte

cagionata.

2 – Il ricorso e’ infine giunto a contestare l’illegittimita’ dell’art.584 c.p., in rapporto all’art.27 Cost.. 

La verifica dell’equivoco dialettico, in cui e’ gia’ incorso in passato questo Giudice di diritto, a cui altrimenti si rifa’ altrimenti il ricorso, dimostra la manifesta infondatezza della questione.

Questa Corte aveva difatti gia’ ritenuto manifestamente infondata la questione di illegittimita’ costituzionale, proprio    con l’affermazione che la giurisprudenza configura la preterintenzione come dolo misto a colpa (Cass. Sez. 5^, n. 2634/93, rv. 194325, cit).

Sennonche’ la difesa non ha osservato che, motivandola, tradisce l’equivoco spiegando che l’evento non si rapporta a  responsabilita’ oggettiva, ma ad una prevedibilita’ di minimo profilo.

In tal modo ammette implicitamente che non si e’ in presenza dei parametri posti dall’art.43 c.p., circa il delitto colposo, che concernono l’intenzione diretta ad altro risultato della condotta, percio’ contro l’evento. 

Ma non trae l’implicazione realistica che la prevedibilita’ dell’evento piu’ grave e’ in caso di delitto preterintenzionale   categoria irrilevante per la struttura dell’elemento psicologico, assorbita nel dolo di percosse o lesioni.

Orbene, l’art. 27 Cost., non trascura affatto che il disvalore del reato e’ segnato oltre che dal nesso di causalita’ tra condotta ed evento (art. 40 c.p.), dal rapporto dell’elemento psicologico con lo stesso evento (art. 43 c.p.).

E’ quanto si evince dall’ordinanza 152/84 e dalla sentenza 364/88 del Giudice di legittimita’ (menzionate da Cass.  13114/02, cit.). In questi provvedimenti si afferma che l’art. 27 Cost., comma  1, propugnando il principio di responsabilita’ personale, esclude quella per fatto di terzi (e percio’ stesso gia’ riconosce come centrale del

sistema penale il rapporto causale dell’evento con la condotta dell’agente) e non contiene tassativo divieto di responsabilita’ oggettiva (art. 42 c.p., comma u.), perche’ il precetto va combinato quello di cui al comma con il 3 (che si occupa dell’emenda del reo).

Per quanto interessa la responsabilita’ morale ai sensi dell’art. 584 c.p., quest’ultima non rileva come concessiva perche’, conclude il Giudice di legittimita’, e’ l’insieme degli elementi costitutivi di ciascun reato a significarne la ragione di incriminazione ed il metro di punibilita’.

Spetta dunque a questa Corte, per il suo compito nomofilattico, volto alla realizzazione del diritto vivente, spiegare la  ragione di incriminazione, e affermare che nel caso non entra minimamente in giuoco la responsabilita’ obiettiva, men che la colpa, bensi’ solo il dolo di evento minore, che assorbe la prevedibilita’ dell’evento omogeneo piu’ grave.

La ratio dell’art. 584 c.p., risulta insomma conforme al dettato costituzionale, in quanto si fonda sul rapporto dell’elemento psicologico di un delitto preveduto e voluto contro l’incolumita’, con l’evento morte come conseguenza percio’ stesso prevedibile della condotta.

3 – Passando alle questioni di premessa di fatto della sentenza impugnata, il 1^ motivo e’ infondato, al di la’ della lettera della motivazione, che pure afferma: “la frattura e’ derivata non dalla caduta, ma dal violento calcio inflitto alla vittima gia’ per terra”.

Questa frase a prima vista collega gratuitamente il trauma pelvico fratturativo, che immobilizzava l’arto inferiore sinistro della E., da cui e’ scaturita la morte, al calcio da lei ricevuto in terra a destra nell’inguine, come pure riferito (pag. 2).

L’asserto denuncia un travisamento, che e’ bensi’ evidente, ma irrilevante.

La frase difatti va letta nel contesto ricostruttivo, che riassume nella frase precedente a quella censurata, quanto esposto in dettaglio dalla sentenza di 1^ grado, con il rilievo che se la donna (di eta’ avanzata) “e’ caduta a seguito  del parapiglia, tale parapiglia e’ stato cagionato dall’imputata”. Ed e’ incontestato dal ricorso che la H. l’aveva repentinamente percossa, afferrata per i capelli e strattonata, ed ha continuato nella sua azione violenta con calci, tra cui quello all’inguine, quando e’ caduta in terra nel parapiglia, seguito al tentativo delle altre donne presenti di fermarla nella sua azione violenta.

Ne segue per quanto interessa che la caduta, men che rapportabile a fatto di terzi, non e’ ritenuta estranea alla condotta dell’imputata dai Giudici di entrambi i gradi di merito, bensi’ dovuta proprio all’azione incriminata. 

Essi non hanno percio’ rilevato alcun elemento di segno contrario idoneo ad escludere il nesso causale, posto che  l’anziana persona offesa, prima di essere aggredita con violenza da lei e di cadere durante il  “parapiglia”  sorto  per

fermarla,  ovvero consecutivo all’azione, era seduta e sicura sulla panchina.

Pertanto il ragionamento complessivo si sottrae alla censura di manifesta illogicita’ (contraddittorieta’ o mancanza di  motivazione che si voglia).

Resta l’ultima questione, secondo la quale la Corte di merito individuando, quale causa dell’evento, un tipico atto diretto a ledere  (art.  582  c.p.)  e non invece, come  correttamente avrebbe dovuto fare, un insieme di atti diretti ad indurre un altro soggetto a desistere da una condotta gia’ oppressiva dell’offesa (art. 610 c.p.), ha ritenuto sussistente il reato di cui all’art. 584 c.p., in luogo della fattispecie prevista e punita dall’art. 586 c.p..

L’argomento  e’  non  consentito  per l’implicazione di valutazione alternativa che prospetta in questa sede.

Secondo la ricostruzione di fatto delle sentenze, l’intento offensivo dell’incolumita’ sino a livello di lesione e’ dimostrato dall’insieme della condotta violenta contro la persona, attestato a partire dallo schiaffo e dell’afferrare la  donna per i capelli a finire proprio con quel calcio peraltro non unico, quale che fosse il movente della condotta.

Ed e’ anche manifestamente infondato.

Se i Giudici di merito avessero ritenuto che l’agente aveva anche lo scopo rilevante di costringere l’offesa ad un non fare, si sarebbero trovati in presenza di concorso di reati, non alla necessita’ di qualificare diversamente lo stesso fatto, insopprimibili gli estremi di delitto di lesione in rapporto al piu’ grave evento cagionato. Il richiamo all’art. 586 c.p., posto a suffragio dal ricorso, percio’ implica altro travisamento  degli estremi di reato, stavolta non avallato da alcuna giurisprudenza.

                               

   P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Cosi’ deciso in Roma, il 8 marzo 2006.

Depositato in Cancelleria il 14 aprile 2006