Enti pubblici

Friday 18 July 2003

IL DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA 2004-2007 (II parte). Approvato dal Consiglio dei ministri del 16.7.2003.

IL DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA 2004-2007 (II parte). Approvato dal Consiglio dei ministri del 16.7.2003

III.3.1 Il quadro programmatico territoriale

L’azione del Governo a favore del Mezzogiorno mira ad accrescere la produttività

e la competitività dell’area, dando piena e forte attuazione al Quadro Comunitario di

Sostegno, agli Accordi di Programma Quadro e alle decisioni assunte in sede di Legge

Finanziaria 2003 e nel CIPE del 9 maggio 2003 (cfr. par. IV.2). Accelerazione della

spesa in conto capitale per infrastrutture materiali e immateriali; rafforzamento

istituzionale; miglioramento della qualità dei progetti e dei servizi: sono questi i tre

strumenti con cui il Governo intende concorrere alla crescita della produttività e della

competitività e conseguire, nella seconda metà del decennio, il duplice obiettivo di:

!” una crescita del Mezzogiorno stabilmente al di sopra di quella media

europea da metà decennio;

!” un aumento del suo tasso di attività verso il 60 per cento a fine decennio.

Nel periodo 2004-2007, il contributo diretto alla crescita del PIL proveniente da

investimenti pubblici e privati sarebbe elevato, e pari a circa 1,8 per cento medio annuo.

Gli effetti economici del programma di investimento pubblico dipendono dal successo

dell’operazione di capacity building nelle amministrazioni pubbliche, soprattutto

regionali. I risultati positivi raggiunti al riguardo in molte Regioni del Mezzogiorno

confortano circa la conseguibilità degli obiettivi; ma il ritardo di alcune Regioni, i tempi

necessari per la realizzazione dei progetti con maggiore qualità e impatto sulla

produttività e le difficoltà di riorientare a favore del Sud una quota adeguata di spesa

ordinaria, assieme al permanere di un ciclo depresso, suggeriscono di contenere il

profilo con cui gli obiettivi programmatici vengono raggiunti.

Il tasso di crescita del Mezzogiorno potrebbe arrivare al 3 per cento nel 2005, per

crescere poi gradualmente verso il 4 per cento nella seconda metà del decennio, quando

l’effetto sulla produttività del miglioramento in atto nelle istituzioni pubbliche e nella

qualità delle infrastrutture e dei servizi potrà essere pieno. Nella media dei prossimi

quattro anni la crescita sarebbe di circa 1 punto percentuale superiore a quella del resto

del Paese, con un contributo medio annuo alla crescita nazionale pari a 0,8 punti

percentuali. Rispetto alla media europea, la crescita del Mezzogiorno presenterebbe un

eccesso positivo a partire dal 2005.

Dal punto di vista della quantità di risorse finanziarie pubbliche, tre sono le

condizioni di questo scenario (cfr. par IV.2): alimentazione di nuove risorse nazionali

aggiuntive nei Fondi per le aree sottoutilizzate adeguato, in termini di PIL, ai valori

degli anni scorsi e flusso di nuove risorse di cofinanziamento nazionale coerente con il

profilo programmatico di spesa dei fondi comunitari; pieno utilizzo di tali risorse

aggiuntive, nazionali e comunitarie; destinazione al Mezzogiorno, in termini sia di

competenza che di cassa, del 30 per cento di tutte le risorse ordinarie per spese in conto

capitale, sostenute sia dalla pubblica amministrazione e dagli enti esterni appartenenti

alla componente allargata del settore pubblico, sia dai soggetti attuatori dei progetti di

infrastrutturazione del Paese. È quest’ultimo, sulla base dei risultati recenti, l’obiettivo

quantitativo più delicato, a cui volgere il massimo di azione. I nuovi e circostanziati

impegni annuali assunti dal Ministero delle Infrastrutture a partire dal 2004

nell’attuazione del Programma infrastrutture strategiche costituiscono un segno

concreto di questo cambio di passo.

Tali requisiti finanziari sono riassunti in un quadro programmatico finanziario

unico. La quota di spesa in conto capitale (ordinaria e aggiuntiva) destinata al

Mezzogiorno dalla Pubblica Amministrazione (cfr. Figura III.3), dopo il previsto1

assestamento, in parte “contabile”, del 2002 dovuto alla frenata degli incentivi (per

motivi ciclici e di indispensabile aggiustamento normativo, cfr. Riquadro “Il credito

d’imposta, investimenti e occupazione” del cap. IV) e all’anticipo di investimenti

pubblici nell’anno precedente (connesso alla chiusura del ciclo comunitario 1994-99),

tornerebbe a crescere già nel 2003, grazie all’accelerazione della spesa dei fondi

aggiuntivi, comunitari e nazionali. L’obiettivo del 45 per cento verrebbe raggiunto negli

anni finali del periodo.

Ai requisiti quantitativi dello scenario programmatico si affiancano, con pari se

non maggiore importanza, quelli qualitativi. Assunzione, secondo gli indirizzi già

stabiliti, di provvedimenti in merito alla piena attuazione e, ove necessario, alla

riprogrammazione degli interventi del Quadro Comunitario di Sostegno e degli Accordi

di Programma Quadro; accelerazione della modernizzazione e degli incrementi di

efficienza nelle Amministrazioni regionali -oggi responsabili di gran parte degli

interventi- soprattutto in quelle meno reattive all’azione in corso, anche attraverso il più

intenso ricorso a meccanismi premiali e sanzionatori legati all’utilizzo di risorse

aggiuntive; interventi per una maggiore efficienza ed efficacia degli incentivi secondo

gli indirizzi specificati nel cap. IV.5: sono questi i principali impegni programmatici di

questo documento a cui è legato il conseguimento degli obiettivi di crescita e

III.4 Il quadro programmatico di finanza pubblica

Il quadro programmatico di finanza pubblica per gli anni 2004-2007, è stato

costruito partendo da un anno base fortemente condizionato dal peggioramento della

congiuntura economica che si è riflesso in uno scostamento dell’indebitamento netto

delle Amministrazioni pubbliche, rispetto all’obiettivo fissato per il 2003 di 0,8 decimi

di punto, già rilevato nell’Aggiornamento della Relazione Previsionale e

Programmatica.

Gli obiettivi finanziari per il quadriennio vengono ricollocati tenendo conto delle

nuove ipotesi di crescita economica e dei vincoli di stabilità. La previsione sconta,

inoltre, gli effetti delle riforme del mercato del lavoro, del fisco e della previdenza.

La strategia del Governo si basa sulla volontà di sostituire progressivamente i

provvedimenti a carattere straordinario con misure strutturali. Un terzo della manovra

finanziaria prevista per il 2004 dovrà essere assicurato da misure a carattere

permanente; la proporzione aumenta a due terzi l’anno successivo fino alla completa

sostituzione delle misure una tantum nel 2006.

Nel quadriennio 2004-2007 l’indebitamento netto si riduce progressivamente fino

a raggiungere il pareggio di bilancio nel 2007. In particolare per l’anno 2004, l’obiettivo

dell’indebitamento è fissato all’1,8 per cento del PIL, con un miglioramento rispetto al

tendenziale di circa l’1,3 per cento.

La manovra finanziaria per il 2004, quantificata in un importo complessivo di

circa 16 miliardi di euro, comprenderà misure strutturali per circa 5,5 miliardi di euro e

misure one-off per circa 10 miliardi di euro.

Le misure strutturali si concentreranno: dal lato delle entrate, su interventi di

contrasto all’evasione e al sommerso; dal lato delle spese, su interventi di riduzione di

regimi speciali di favore, sull’applicazione del patto di stabilità interno in coerenza con

le prescrizioni europee, sulla razionalizzazione degli acquisti di beni e servizi da parte

delle Pubbliche Amministrazioni, sulla entrata a regime del Piano Europeo di Azione

per la crescita. Le misure one-off per il 2004-2005 si concentreranno sul settore

immobiliare e del real estate.

Per gli anni successivi l’indebitamento viene fissato secondo un profilo

decrescente fino a raggiungere il pareggio di bilancio nel 2007.

L’avanzo primario è previsto crescere progressivamente dal 2004 fino a

raggiungere livelli in linea con gli obiettivi di risanamento finanziario.

L’indebitamento netto corretto per gli effetti del ciclo mostra una tendenza

progressivamente discendente pari a uno 0,5 per cento all’anno, passando dall’1,8 per

cento nel 2003 all’1,3 per cento nel 2004, allo 0,8 per cento nel 2005 e raggiungendo il

“close to balance” (0,3 per cento) nel 2006.

La dinamica del rapporto debito pubblico/PIL mostra una regolare discesa in virtù

degli interventi programmatici, sia strutturali che una tantum, anche se il passo di

riduzione del rapporto risulta rallentato rispetto al profilo riportato nel Documento di

Programmazione presentato nel 2002.

Le ragioni di tale dinamica sono ravvisabili, principalmente, nell’andamento della

crescita economica, non solo ritardata nel tempo, ma anche quantitativamente rivista al

ribasso, alla luce delle difficoltà macro-economiche che caratterizzano lo scenario

mondiale.

Infatti, già per il 2003 si stima un PIL nominale inferiore di oltre l’1,6 per cento

rispetto al valore programmatico del DPEF 2003-2006. La riduzione del denominatore

non comporta ripercussioni negative sul numeratore (come sarebbe stato lecito

aspettarsi nella misura di un altro 0,5 per cento) solo perché queste sono state più che

ammortizzate dalle misure adottate nell’anno in corso, fra cui spiccano le sanatorie

fiscali. Ciò nonostante, a fine 2003 il rapporto debito /PIL difficilmente potrà scendere

al di sotto del 105,6 per cento, contro il 104,5 per cento stimato un anno fa.

Nel 2004, si prevede un PIL nominale inferiore, rispetto alla stima del luglio

2002, di oltre 35.500 milioni di euro; tale riduzione non solo si ripercuote direttamente

sul denominatore del rapporto, ma determina altresì un peggioramento sul numeratore

per minori entrate tributarie, valutabile in oltre 10.000 milioni di euro: la somma di

questi due effetti porta, nel solo 2004, ad un peggioramento del rapporto in termini di

PIL di 3,6 punti percentuali. Se si somma il peggioramento di livello di fine 2003 (+1,1

per cento di PIL) a questo 3,6 per cento si arriva ad un maggior livello del debito pari al

4,7 per cento (comunque inferiore al potenziale che si sarebbe registrato in assenza delle

sopracitate misure del 2003). Tutto ciò spiega la distanza delle nuove stime

programmatiche rispetto al profilo di discesa indicato lo scorso anno che prevedeva un

rapporto debito/PIL sotto la soglia del 100 per cento già nel 2004.

La dinamica esposta, cumulandosi negli anni successivi, consentirà al rapporto di

collocarsi al di sotto del 100 per cento nel 2006.

Il profilo di discesa del debito sarà assicurato da un lato dall’adozione di misure

correttive, permanenti o temporanee, aventi effetto sul fabbisogno e sul debito (e, in

taluni casi, quali la vendita di immobili, anche sull’indebitamento netto), ma anche da

una ripresa delle privatizzazioni, accompagnata ad un vasto programma di

valorizzazione e messa a frutto degli attivi, anche attraverso la loro cessione a soggetti

esterni alla Pubblica Amministrazione. Tale programma sarà attuato nel pieno rispetto

delle regole contabili previste dallo schema del SEC 95, in modo che le autorità

comunitarie, Eurostat in primo luogo, concordino con la classificazione adottata, tanto

per la corretta attribuzione ai settori istituzionali dei diversi soggetti coinvolti nel

processo quanto per la contabilizzazione delle singole operazioni.

III.5 Gli obiettivi del semestre italiano di presidenza dell’Unione Europea

III.5.1 Le azioni per la crescita europea

La “Strategia di Lisbona” definisce il programma che l’Unione deve realizzare per

conseguire l’obiettivo strategico di rendere l’economia europea più moderna, flessibile e

integrata, aperta alla ricerca e alle nuove tecnologie, capace di offrire ai cittadini europei

migliori opportunità di lavoro. Costruendo sui risultati conseguiti dalle precedenti

Presidenze e sulle iniziative dei Consigli europei di primavera, la Presidenza italiana

intende concentrarsi su alcuni aspetti particolari.

L’economia europea è cresciuta negli ultimi tre anni ad un ritmo marcatamente

inferiore al suo potenziale, occorre pertanto aprire una nuova fase nella politica

economica europea che ponga un forte accento sulla crescita e che ripristini la fiducia

delle imprese e degli investitori. Riprendendo gli obiettivi iniziali del Piano Delors, è

necessario e possibile intervenire lanciando un’”Azione Europea per la Crescita”, che

definisca, a livello europeo, una nuova scala di priorità degli investimenti pubblici nei

settori delle infrastrutture materiali e, in prospettiva, anche immateriali (capitale umano,

ricerca e tecnologia), ponendo l’enfasi sugli investimenti – trans-nazionali e nazionali –

finanziabili sul mercato. Occorre inoltre promuovere formule innovative di

finanziamento senza gravare sulle finanze pubbliche nazionali o comunitarie,

sviluppando uno strumento finanziario europeo, che si basi sulla capacità di

indebitamento e sul “know-how” della Banca Europea per gli Investimenti. Andrà in

particolare aumentata la capacità di leva sul mercato, attraverso strumenti come: la

fornitura di garanzie per progetti PPP, la partecipazione in fondi di investimento

infrastrutturali e di “project financing”, nonché le operazioni di finanza strutturata.

Il potenziamento infrastrutturale dell’Europa ampliata attraverso un concreto

rilancio dei progetti sulle Grandi Reti Transeuropee è quanto mai urgente per tener

conto dell’allargamento e favorire l’integrazione tra vecchi e nuovi Stati membri, ma

anche per eliminare gli ostacoli e le strozzature che provocano effetti distorsivi al

funzionamento del mercato interno. In tale ambito, occorre intensificare gli sforzi e dare

la massima priorità alle iniziative – previste dal Libro bianco sulla politica comune dei

trasporti all’orizzonte del 2010 – per lo sviluppo di una rete europea di trasporti

integrata ed efficiente in termini di qualità e sostenibilità, promovendo l’intermodalità e

formule innovative di finanziamento destinate a valorizzare tutte le possibili sinergie tra

risorse pubbliche e private, comunitarie e nazionali mobilitabili per nuovi investimenti

infrastrutturali. Analogamente la Presidenza italiana intende dare impulso allo sviluppo

delle reti dell’energia e dei trasporti, attraverso l’apertura al mercato e il completamento

dei collegamenti mancanti, in modo da aumentare l’efficienza e ridurre i costi per le

imprese e i cittadini. La compatibilità ambientale e la sicurezza di tutti i modi di

trasporto diverranno sempre più elementi fondamentali della politica delle infrastrutture.

Consapevole del contributo alla competitività ed all’efficienza dell’economia dato da

mercati delle comunicazioni elettroniche sempre più competitivi e convergenti e da

servizi digitali sempre più diffusi, la Presidenza italiana si adopererà per lo sviluppo

delle reti di comunicazione e per far avanzare il processo di crescita di nuove tecnologie

e servizi, che dovrà procedere in parallelo con il rafforzamento degli aspetti di sicurezza

delle reti ed un’efficace protezione dei dati personali.

AZIONE EUROPEA PER LA CRESCITA

Le reti transeuropee TEN svolgono un ruolo cruciale nel sostegno alla crescita e

all’innalzamento del suo potenziale di lungo periodo. L’attuale tasso di investimento in

TEN è insufficiente per realizzare il programma di priorità stabilito negli anni passati. I

lavori del gruppo Van Miert hanno mostrato come, con investimenti annui pari a 25

miliardi di euro, ci vogliono circa 20 anni per realizzare un sistema moderno di

interconnessioni nel settore dei trasporti e dell’energia. È necessario, quindi,

accelerare il volume di investimenti e portarlo sui livelli inizialmente fissati dal Piano

Delors. Questo implica un aumento di investimenti in infrastrutture dell’ordine di 0,5-1

punto percentuale del PIL.

Larga parte dei ritardi nella realizzazione delle reti può essere imputata alla

carenza di risorse finanziarie. La particolare natura di questi investimenti richiede,

infatti, una forte partecipazione pubblica e i bilanci nazionali e quello comunitario

offrono spazi di manovra limitati.

Altri fattori contribuiscono a spiegare le ragioni dei ritardi, tra questi: la

mancanza di un ordine comune di priorità (soprattutto per i progetti transfrontalieri), le

complessità tecniche e amministrative dei progetti. Il Gruppo di lavoro Van Miert ha

esaminato queste difficoltà; sulla base di queste la Commissione dovrà presentare

proposte concrete per il loro superamento. Questo lavoro dovrà essere anche esteso sui

progetti relativi a infrastrutture immateriali nei settori della ricerca e sviluppo, della

formazione, dell’alta tecnologia.

La BEI è stata uno dei principali finanziatori delle TEN (100 miliardi di euro di

prestiti approvati di cui 75 miliardi già firmati). Il suo ruolo deve essere ulteriormente

sviluppato in modo da meglio soddisfare il fabbisogno finanziario. Quattro strumenti

principali – alcuni nuovi, altri già esistenti – potrebbero essere utilizzati perché la BEI

possa offrire un forte e flessibile contributo.

Questi strumenti sono:

Prestiti senior: la BEI potrebbe aumentare il finanziamento corrente di TEN,

dando priorità ai progetti che consentono di superare le principali strozzature del

sistema di trasporto, attraverso titoli a scadenza molto lunga (che potrebbe essere

estesa fino a 35 anni in alcuni casi) e con periodi di grazia. Le implicazioni di queste

operazioni per il prossimo aumento di capitale della BEI andranno considerate.

Garanzie: la BEI potrebbe fornire garanzie per il finanziamento di progetti

privati e di partenrship pubblico privato (PPP), compresi progetti a lungo termine, che

hanno un merito di credito. Perché queste garanzie BEI siano pienamente efficaci

bisognerà affrontare tempestivamente la ques tione della loro ponderazione per il

rischio assegnandogli valore 0.

Strumenti di capitale di rischio e assimilati (Equity and quasi equity/mezzanine

contributions): la BEI potrebbe considerare di investire in fondi di investimento in

infrastrutture per fornire strumenti di capitale di rischio e assimilati per progetti PPP e

progetti di finanziamento in modo da aumentare il livello delle risorse finanziarie

disponibili per finanziare gli investimenti del settore privato in progetti infrastrutturali

prioritari. I fondi sosterrebbero il capitale di SPV e project companies e fornirebbero

finanziamenti per lo start up e studi di fattibilità. Questo schema permetterebbe alle

SPV di raccogliere fondi addizionali e così di svolgere un ruolo moltiplicatore.

Lo sportello per la finanza strutturata (SFF): strumento già esistente che permette

di finanziare progetti a più elevato rischio, potrebbe essere attivato per coprire, più che

nel passato, prestiti o altri strumenti per progetti prioritari. I finanziamenti attraverso

l’SFF interesserebbero soprattutto le operazioni che hanno un particolare valore

aggiunto e un effetto catalizzatore all’interno di una data struttura finanziaria in modo

da accelerare la realizzazione del progetto.

Cartolarizzazione: una SPV sponsorizzata e organizzata dalla BEI in

coordinamento con gli stati membri o autorità di trasporto nazionale potrebbe

comprare portafogli di prestiti dalle istituzioni finanziarie internazionali,

cartolarizzarle e emettere titoli AAA sul mercato. Questa operazione libererebbe risorse

nuove liberando capitale delle istituzioni finanziarie di origine.

La presidenza italiana intende proporre al Consiglio Ecofin di affidare mandato

alla Commissione e alla BEI di presentare una proposta che, tenendo conto dei lavori

del gruppo Van Miert, individui i progetti prioritari TEN da finanziare e un

meccanismo finanziario fondato sugli strumenti illustrati sopra. La proposta dovrà

essere valutata alla fine del semestre dal Consiglio europeo.

Sono stati compiuti notevoli progressi in materia di occupazione, ma il

raggiungimento dell’obiettivo fissato a Lisbona, cioè un tasso di occupazione del 70 per

cento entro il 2010, richiederà profonde riforme strutturali, volte alla piena occupazione

e ad una maggiore produttività e qualità del lavoro. I mercati del lavoro dell’Unione

devono diventare più flessibili (anche attraverso una maggiore diffusione di programmi

di istruzione e di formazione permanente), così da estendere le possibilità di

occupazione e consentire tempestivi adattamenti alle mutevoli condizioni economiche.

La creazione di nuovi e migliori posti di lavoro richiede l’utilizzo integrato di tutti gli

strumenti – comunitari e nazionali – previsti dalla Strategia europea per l’occupazione.

In tale quadro la Task force per l’occupazione guidata da Wim Kok darà certamente un

contributo decisivo. Dal canto loro gli Stati membri devono intraprendere riforme

sostanziali dei sistemi fiscali e previdenziali, accrescere gli incentivi all’occupazione e

alla partecipazione al mercato del lavoro riducendo le differenze tra uomini e donne su

tale mercato.

La diffusione di una nuova consapevolezza in tema di dimensione sociale deve

poi superare schemi obsoleti a vantaggio di una partecipazione di soggetti pubblici e

privati alla edificazione di una società equa ed efficiente. In tale contesto, il

perseguimento della solidarietà e della coesione sociale ed intergenerazionale deve

accompagnarsi ad una valorizzazione della responsabilità sociale delle imprese, al

contributo della famiglia nel quadro della lotta all’esclusione sociale e ad altre misure

quali l’emersione dell’economia “sommersa” e la promozione della dimensione

regionale nell’ambito delle strategie in favore della occupazione.

Occorre inoltre rispondere – a livello europeo – alla sfida posta

dall’invecchiamento della popolazione realizzando riforme dei regimi previdenziali e

pensionistici volte a renderli finanziariamente sostenibili e mantenendo un elevato

livello di protezione sociale. La Presidenza italiana – d’intesa con la successiva

Presidenza irlandese e nella prospettiva del Consiglio europeo della primavera 2004 –

darà il suo contributo.

Lo sviluppo della competitività resta la chiave di volta per il conseguimento degli

obiettivi di crescita e creazione di impieghi enunciati a Lisbona. La Presidenza italiana è

consapevole della crescente interdipendenza tra i vari fattori economici e giuridicoistituzionali

nonché dell’esigenza di utilizzare – sia a livello dell’Unione che degli Stati

membri- strumenti in grado di garantire l’organizzazione di un mercato realmente

aperto e competitivo basato sulla conoscenza, lo sviluppo industriale e la sempre più

estesa diffusione e diversificazione del settore dei servizi. A tal fine risulterà cruciale il

sostegno alle piccole e medie imprese (attraverso l’attuazione in modo innovativo della

Carta Europea delle Piccole Imprese ed un aumento degli investimenti in ricerca ed

innovazione ad esse destinati) che costituiscono l’asse portante dell’economia europea

ed il principale motore per la creazione di posti di lavoro.

La ricerca e le tecnologie di punta sono un elemento fondamentale per il

conseguimento degli obiettivi di crescita. Occorre quindi creare le condizioni

appropriate per la R&S in modo che l’UE possa avanzare concretamente verso il

traguardo del 3 per cento del PIL per gli investimenti nella ricerca. Deve essere

promosso un ambiente favorevole allo sviluppo dell’imprenditorialità, specie tra i

giovani. La Presidenza italiana attribuirà grande priorità alla valorizzazione del capitale

umano nel quadro di un’”Europa del sapere e della conoscenza” e svilupperà azioni in

materia di e-Government e per la mobilità di studenti e ricercatori, nonché di sostegno

nei confronti dei centri di ricerca europei.

Un mercato interno dinamico e pienamente funzionante è essenziale per la

produttività e la crescita, ancor più in un’Unione allargata. Occorre aprire e integrare

effettivamente i mercati europei anche nel settore dei servizi migliorando il contesto

regolamentare e assicurando un’adeguata tutela del consumatore ed il mantenimento di

servizi pubblici universali. La riforma degli strumenti della concorrenza – i controlli

antitrust delle fusioni e dei cartelli – deve essere completata e i mercati che presentano

asimmetrie o alterazioni devono essere ricondotti all’equilibrio.

Il tema della sostenibilità ambientale costituisce ormai una risorsa economica ed

un potente fattore di impulso all’innovazione, al risparmio energetico, al recupero per

fini turistici e culturali di aree e territori sotto utilizzati. Gli obiettivi di sostenibilità

fungeranno da catalizzatori per l’innovazione e la modernizzazione in settori chiave

quali l’energia e i trasporti e promuoveranno nuovi investimenti in tecnologie pulite per

consentire un’utilizzazione più efficace delle risorse. In questo quadro, la Presidenza

italiana ha orientato il suo programma nella direzione dell’integrazione della

dimensione ambientale nelle strategie dello sviluppo e della crescita economica della

“Grande Europa”.

L’attuazione del “Piano d’Azione per i Servizi Finanziari”, appare urgente in

modo da garantire che l’integrazione del mercato europeo si sviluppi in un contesto di

stabilità e nell’ambito di un livello di regolamentazione adeguato a garantire la migliore

tutela degli investitori, tenendo presenti le scadenze previste dal “Piano” e l’imminente

conclusione della legislatura comunitaria.

La crescita economica della zona euro costituirà ovviamente una priorità della

Presidenza italiana. In tale quadro resta centrale, così come ribadito dal Consiglio

Europeo, il rispetto delle regole del gioco e l’impegno verso finanze pubbliche sane e

sostenibili in tutti gli Stati membri, anche per fronteggiare – in aderenza al Patto di

Stabilità e crescita – le fluttuazioni del ciclo economico. Non va trascurato il fatto che la

credibilità internazionale dell’Euro resta legata alla capacità di sviluppo dell’economia

europea che deve completare rapidamente i processi di modernizzazione,

liberalizzazione ed efficienza dei pubblici servizi. Proseguirà lo sforzo di

coordinamento delle politiche fiscali sia in materia di imposizione diretta e indiretta sia

in tema di collaborazione tra le amministrazioni finanziarie degli Stati membri.

La politica agricola comune rimane fondamentale nella costruzione comunitaria,

dato che l’agricoltura è un settore strategico e con profonde e delicate incidenze sugli

assetti socio-economici degli Stati europei. Si tratta di continuare il processo di riforma

che mira a rendere il sostegno all’agricoltura finanziariamente sostenibile per il

contribuente comunitario e compatibile con l’esigenza di una maggiore apertura del

mercato nel quadro dei negoziati multilaterali. Si tratta di correggere ulteriormente le

disfunzioni produttivistiche dei sistemi di sostegno finora attuati promuovendo

l’orientamento alla qualità e alle produzioni biologiche e tipiche – come richiesto dai

consumatori – e conferendo il giusto rilievo alle finalità ambientali. La Presidenza

italiana intende operare, anche attraverso le organizzazioni di mercato, per una politica

comune sempre più vicina alle esigenze dei consumatori (donde l’assoluta centralità

della sicurezza alimentare) che chiedono prodotti sicuri e di qualità.

Anche le politiche di coesione devono restare un pilastro fondamentale della

costruzione comunitaria, come espressione della solidarietà che lega i membri

dell’Unione. Il terzo Rapporto della Commissione, atteso per fine anno, fornirà gli

elementi concreti sui quali impostare la riforma della coesione e delineare la

programmazione 2007-2013 relativa all’Unione ampliata. La Presidenza italiana, sulla

scorta del Memorandum presentato nel dicembre 2002, intende mantenere alto il

dibattito sulla centralità delle azioni strutturali, quali strumenti per accrescere la

competitività delle regioni e per raggiungere l’obiettivo di maggiore sviluppo e di

benessere generalizzato per tutte le aree dell’Unione. In questo quadro particolare

attenzione dovrà essere data alla concentrazione degli interventi, alla semplificazione

delle procedure, alla sussidiarietà e all’integrazione delle diverse azioni e delle diverse

politiche in modo da aumentarne l’efficacia.

RIFORMA DELLA POLITICA DI COESIONE COMUNITARIA E IMPATTO

DELL’ALLARGAMENTO SULLE AREE AMMISSIBILI ALL’OBIETTIVO 1

NEL 2007-2013

La politica di coesione comunitaria è la seconda voce del bilancio dell’Unione

europea, con 212 miliardi di euro nel periodo 2000-06, dopo la politica agricola (circa

298 miliardi di euro). Nell’ambito della politica di coesione comunitaria, l’Italia riceve

complessivamente 30 miliardi di euro, di cui 22 destinati alle sei Regioni del Sud

attualmente ammissibili al cosiddetto obiettivo 1 (Basilicata, Calabria, Campania,

Puglia, Sardegna, Sicilia). Dal 2004 saranno negoziate tra gli Stati Membri dell’UE le

nuove regole della politica di coesione per la fase 2007-13. Tale riforma è necessaria

per conseguire una forte semplificazione delle procedure, maggiore sussidiarietà e

massima efficacia degli interventi. Sulla base delle stime più aggiornate e ove fosse

applicato, in una Unione a 25 Paesi, l’attuale criterio di ammissibilità per le regioni

obiettivo 1 (PIL pro capite regionale in parità dei poteri d’acquisto inferiore al 75 per

cento della media comunitaria), circa il 90 per cento dell’attuale popolazione italiana

obiettivo 1 continuerebbe a beneficiare di tale sostegno nel periodo 2007–2013, rispetto

a meno del 50 per cento della Spagna e a quote inferiori per Grecia, Germania e Regno

Unito. Ovviamente i risultati delle simulazioni sono esposti a due rischi: a) quelli

impliciti in ogni stima di dati futuri in un quadro di profonda incertezza sulla crescita

dell’UE e sullo sviluppo delle aree più arretrate; b) quelli legati alla forte volatilità

nelle misure del PIL pro-capite, specie se corrette per i poteri di acquisto. L’Italia, con

anticipo rispetto agli altri paesi europei, ha costruito una forte posizione negoziale. Il

Secondo Memorandum italiano sulla riforma della politica di coesione comunitaria

2007-13 – approvato da Amministrazioni centrali, Regioni, Enti locali e parti

economiche e sociali – è stato trasmesso alla Commissione europea nel dicembre 2002

(cfr. Quinto Rapporto DPS, gennaio 2003). La riflessione che ha condotto

all’elaborazione del Secondo Memorandum ha sempre tenuto presente il fatto che

l’Italia è oggi – e lo sarà sempre più in futuro – un contribuente netto al bilancio

comunitario. Opportune garanzie sulla qualità, sulla concentrazione degli interventi

comunitari, e sulla loro semplificazione, risultano pertanto decisive per poter

concordare la dimensione finanziaria della politica di coesione nella fase 2007-13. In

questo quadro, obiettivo dell’Italia, oltre ad assicurare alle proprie regioni sia i mezzi

finanziari che le regole comunitarie su cui è basata la nuova politica (cfr. cap. IV.3), è

promuovere la competitività dei territori dell’Unione attraverso investimenti in

infrastrutture, materiali e immateriali. Aiuti di Stato a finalità regionale potranno

svolgere una funzione complementare e limitata nel tempo, evitando che essi siano

impiegati dai diversi paesi per politiche aggressive a somma negativa. Ulteriori

obiettivi sono: accrescere la quota delle risorse comunitarie destinate alle aree

arretrate dei vecchi e nuovi Stati Membri; rafforzare la responsabilità delle Regioni

nella scelta delle priorità; sviluppare le reti regionali e riequilibrare l’azione

comunitaria a favore dell’area mediterranea e dei Balcani. L’Italia ospiterà, nel

quadro delle attività della presidenza dell’UE, una riunione informale dei ministri

responsabili della politica di coesione, che si svolgerà a Roma il 3 ottobre prossimo ed

esaminerà con particolare attenzione il rapporto tra politica di coesione e competitività

europea.

III.5.2 Integrazione commerciale e nuove vie dello sviluppo

L’allargamento dell’Unione Europea intensificherà le relazioni commerciali

dell’Italia con i paesi in via di adesione, già notevolmente cresciute nel corso degli

ultimi anni, in particolare per le regioni adriatiche del centro nord e la Lombardia (cfr.

par.I.3).

GRADO DI INTEGRAZIONE COMMERCIALE DELLE REGIONI ITALIANE

CON I PAESI DELL’EUROPA CENTRALE E ORIENTALE CANDIDATI

ALL’ALLARGAMENTO

Le relazioni commerciali tra l’Italia e i paesi dell’Europa centro-orientale

candidati all’allargamento2 sono diventate più intense negli ultimi anni. Esse

riguardano, per le esportazioni italiane verso questi Paesi, il 6,7 per cento del totale

nazionale nel 2002 (5,2 per cento nel 2000); per le nostre importazioni dagli stessi

Paesi, sempre nel 2002, il 5,3 per cento del totale nazionale (4,2 per cento nel 2000). Le

merci sono scambiate principalmente con la Romania (1,4 per cento delle esportazioni

nazionali e 1,5 per cento delle importazioni nazionali), con la Polonia (1,6 per cento

delle esportazioni e 0,9 per cento delle importazioni), con l’Ungheria (1 e 0,7 per

cento); con la Repubblica Ceca, con la Slovacchia, con la Bulgaria e con la Slovenia

la quota è in media dello 0,5 per cento. Gli scambi con Estonia, Lettonia e Lituania

sono pressoché nulli.

L’intensificarsi degli scambi con i paesi candidati si è tradotto in un crescente

avanzo commerciale a favore dell’Italia, pari a 4,2 miliardi di euro nel 2002, più che

doppio rispetto a quello registrato a metà degli anni novanta, per contro il saldo

commerciale nei confronti della UE diventa negativo a partire dal 2000.

Per misurare eventuali effetti di sostituzione cui le merci italiane sono esposte in

seguito alla competitività crescente esercitata dai Paesi candidati sul mercato europeo,

si deve tener conto dell’andamento della quota delle importazioni della UE dall’Italia e

dai Paesi in via d’adesione. L’attenzione deve essere rivolta specialmente a quei settori

tradizionali di specializzazione del nostro Paese, a contenuto tecnologico modesto e a

elevata intensità di lavoro.

2 I Paesi in questione sono: Estonia, Lituania, Lettonia, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia

Ungheria, Romania e Bulgaria. Questi ultimi due paesi non entreranno nell’Unione a partire dal 2004.

I settori tradizionali dell’interscambio con l’Europa dell’Est, sono quelli

dell’industria manifatturiera, che nel 2002 rappresentano circa il 97 per cento delle

nostre esportazioni verso l’Unione Europea. In questi settori si registra da parte

dell’Italia una perdita di quote di mercato, che in parte vengono assorbite dai Paesi

candidati: nel 2000, per il settore dell’abbigliamento l’Italia esportava in Europa il 7,8

per cento, contro l’11,8 per cento del 1995, mentre la quota delle importazioni dai

Paesi in via d’adesione aumenta al 10,1 per cento dall’8,5 per cento.

D’altro canto l’area centro-orientale dell’Europa rappresenta, anche

storicamente, un importante mercato di sbocco non solo per l’Italia ma anche per gli

altri Paesi della UE, fra tutti Germania e Francia. È un’area quindi nella quale si

svolgerà una difficile competizione, nella quale attualmente prevalgono quei Paesi,

come la Germania, che per vicinanza geografica e livello tecnologico dei prodotti

esportati, beneficiano delle maggiori opportunità, avvalendosi anche di una

delocalizzazione produttiva effettuata in misura significativa dalle sue imprese in

quell’area, al fine di sfruttare il vantaggio dei minori costi di produzione.

Il nostro Paese, che pure negli anni novanta ha avviato un analogo processo di

delocalizzazione in alcuni paesi dell’area centro-orientale, deve tuttavia rafforzare,

segnatamente nella fascia delle piccole e medie imprese (PMI), l’efficienza e la

capacità innovativa del sistema produttivo, rafforzamento che può essere assicurato da

consistenti investimenti pubblici nella ricerca e nei servizi di rete.

Poiché le PMI sono concentrate regionalmente, una quota rilevante dello

scambio italiano verso i paesi in via d’adesione è detenuta dalle regioni adriatiche del

Centro-Nord, assieme alla Lombardia. La concentrazione in tali regioni mostra il ruolo

fondamentale svolto dalla cooperazione interregionale, sia a livello comunitario che

bilaterale, centrata sulle regioni e sulle organizzazioni locali di natura sia pubblica sia

privata.

Dal lato delle esportazioni, nel 2002 gli scambi commerciali più considerevoli

con i Paesi candidati all’allargamento sono intrattenuti dalla Lombardia, che assorbe

circa il 27,1 per cento delle esportazioni nazionali verso tali paesi, seguita da Veneto

(20,9 per cento), Piemonte (11,3 per cento) ed Emilia Romagna (10,8 per cento).

Tuttavia, il totale degli scambi dipende dalla dimensione della regione oltre che dalla

geografica. Le regioni specializzate, indipendentemente dalla loro

dimensione, sono individuate da una elevata quota di scambi con i Paesi candidati

rispetto al totale regionale.

.

Una situazione analoga si presenta per le importazioni dai Paesi dell’Europa

Centro Orientale. Le regioni che attraggono maggiormente i prodotti provenienti da

tali Paesi sono Lombardia e Veneto, ambedue più del 25 per cento delle importazioni

nazionali da Est, seguite da Piemonte ed Emilia Romagna. Le regioni che invece

presentano quote di importazioni dai Paesi dell’Europa Centro Orientale sul totale

regionale superiori alla media nazionale e sono quindi specializzate nelle importazioni:

Friuli Venezia Giulia (16,7 per cento delle proprie importazioni provengono dai Paesi

dell’Est), seguita da Marche, Veneto e Basilicata, mentre in coda alla graduatoria si

collocano (sotto il 2 per cento) la Calabria e le due isole.

Il saldo commerciale con questi Paesi, positivo a livello nazionale (circa 4.200

milioni di Euro), è risultato negativo solo per Liguria, Molise e Puglia.

L’integrazione commerciale con i Paesi dell’Europa Centro-orientale, è dunque

fortemente eterogenea a livello regionale. L’interscambio potrà giovare della crescita

delle infrastrutture di trasporti a livello internazionale e, segnatamente, per il Nord

Italia gli scambi con i Paesi dell’Est potranno essere sostenuti dal completamento del

corridoio paneuropei d’interesse per l’Italia. (cfr. Riquadro corridoi 5 e 8)

La maggiore pressione competitiva derivante dall’avvio della libera circolazione

delle merci con i paesi dell’Europa orientale e centrale potrà, infatti, essere

controbilanciata dalla creazione di nuovo commercio legato alla piena integrazione dei

mercati. Lo sviluppo delle relazioni commerciali può essere favorito

dell’ammodernamento delle infrastrutture di trasporto. In particolare, per l’Italia, è

cruciale valorizzare la sua posizione geografica di ponte tra il sud est europeo e il resto

del continente. È necessario, quindi, fare progressi nella realizzazione dei corridoi

intermodali paneuropei; i corridoi 5 e 8 e le loro connessioni con il corridoio 10.

Lo sviluppo degli investimenti in infrastrutture materiali e immateriali il cui

finanziamento non vada ad aggravare le finanze pubbliche nazionali o comunitarie ma

che sia assicurato dal mercato rappresenta per l’Italia un obiettivo fondamentale nel

prossimo negoziato sulle nuove regole della politica di coesione comunitaria. La

promozione della competitività dei paesi dell’Unione passa attraverso questa iniziativa

che prevede un aumento degli investimenti in infrastrutture dell’ordine di 0,5-1 per

cento del PIL europeo all’anno.Aiuti di Stato a finalità regionale potranno svolgere,

infatti, solo una funzione complementare e limitata nel tempo.

I CORRIDOI 5 E 8, PONTE FRA L’ECONOMIA ITALIANA E I PAESI DELL’EST

EUROPA

I corridoi paneuropei assumono fondamentale importanza in relazione

all’ampliamento dello spazio economico europeo e l’Italia deve essere presente nel

definire modi e tempi di realizzazione dei corridoi di interesse indiretto (quale il

corridoio 10) non meno che dei corridoi di interesse diretto (corridoi 5 e 8), dentro e

fuori dai confini nazionali. L’allargamento dell’Unione Europea ha già avuto, e

continuerà ad avere, fra le altre conseguenze, uno spostamento del baricentro dei

traffici commerciali in Europa verso nord-est. L’Italia è in grado di compensare tale

allontanamento a condizione che si valorizzi la sua la posizione geografica di ponte fra

il Sud-Est Europeo e il resto del continente sviluppando i corridoi intermodali

paneuropei (i corridoi 5 e 8 e le loro connessioni con il corridoio 10). Se lo sviluppo

economico del Paese non dipende certo dai volumi dei flussi stradali e ferroviari che

transiteranno lungo le tratte italiane dei corridoi, è indubbio, però, che

l’ammodernamento dei collegamenti stradali e ferroviari con l’Est è la condizione

necessaria per cogliere i benefici attesi dalla progressiva integrazione di economie

diverse ma tendenzialmente convergenti, quali sono le economie degli attuali paesi UE

e dei paesi dell’Est Europa. Dei dieci corridoi paneuropei, quelli sui quali si sono fatti

meno progressi e dove permangono colli di bottiglia che scoraggiano l’intensificarsi

delle relazioni, sono proprio i due corridoi di maggior interesse per l’Italia e già parte

del traffico fra paesi della UE e l’Est si è spostato a nord delle Alpi (circa 20 milioni di

tonnellate di merci all’anno, di cui 2/3 su strada e 1/3 per ferrovia).

I due corridoi di interesse italiano (Corridoio 5 stradale e ferroviario Venezia –

Trieste – Ljubljiana – Budapest- Kiev, per un totale di 1.600 km; Corridoio 8 stradale e

ferroviario, con terminali a Bari e Brindisi, collegati per traghetti al porto

ammodernato di Durazzo, e da lì a – Skopje – – Sofia – Burgas – Varna, sul Mar Nero,

per un totale di 1.300 km). Questi due corridoi concorrono con gli altri otto

all’ampliamento dello spazio economico europeo ed entrano nello stesso tempo in

competizione con essi nel disegnare le vie principali degli scambi con i Paesi

dell’allargamento. Cooperano ed entrano in concorrenza dunque fra loro la via Baltica

(corridoio 1); i collegamenti tra Germania, Ucraina e Russia, attraverso la Polonia

(corridoi 2 e 3); i corridoi balcanici, che partono dalla Germania (corridoio 4, fino ad

Istanbul, la via fluviale del Danubio, corridoio 7), dall’Austria (corridoio 10) e

dall’Italia (corridoio 5, con vari settori paralleli, anche fino a Kiev; corridoio 8, dalle

sponde dell’Adriatico fino alla Bulgaria ).

Figura 1 – I corridoi paneuropei.

La politica dei corridoi è prioritaria per l’Italia quanto più la valenza

infrastrutturale del collegamento amplia le potenzialità di sviluppo delle relazioni

economiche e istituzionali. Per riequilibrare la posizione del Sistema Italia nell’Europa

allargata è necessario adottare una strategia mirata agendo sul piano politico non

meno che su quello economico-finanziario. Occorre ricercare delle intese con gli Stati

vicini, sviluppare una stretta collaborazione fra le rispettive amministrazioni e

opportuni scambi bilaterali (gemellaggi etc.). Sarà anche necessario, sul piano

economico-finanziario, offrire l’appoggio italiano, nei tavoli multilaterali e in sede

europea, ai progetti diretti al completamento dei collegamenti stradali e ferroviari

dell’Italia con l’Est Europa, e coordinare in modo più efficace i finanziamenti bilaterali

italiani, e le iniziative di partenariato pubblico-privato, nel settore dei trasporti nei

Balcani.

IV – LA STRATEGIA PER LE AREE SOTTOUTILIZZATE: UN MEZZOGIORNO COMPETITIVO

IV.1 Tendenze e obiettivi programmatici

È dalle aree sottoutilizzate del Paese, soprattutto del Mezzogiorno, che può venire

il massimo contributo all’aumento del potenziale di crescita. A questo obiettivo è rivolta

una politica mirata che all’impegno ordinario dello Stato aggiunge interventi finanziari

con fondi comunitari e con risorse nazionali.

Fatti e politica economica: tre “più” del Mezzogiorno

Assicurare una crescita economica accelerata al Mezzogiorno è la condizione

necessaria per un più alto e duraturo sviluppo dell’intera economia nazionale. Nel

Mezzogiorno si concentrano infatti risorse umane, naturali e culturali e agglomerazioni

produttive non sufficientemente valorizzate. I margini di aumento dell’occupazione e

della produttività, principale volano di crescita, sono assai elevati. L’aumento della

produttività e della competitività deve essere obiettivo unitario delle forze economiche e

sociali più innovative e capaci del Mezzogiorno e della politica economica, nazionale e

regionale. È questa la condizione per raggiungere i due obiettivi che ha oggi la politica

economica per il Mezzogiorno:

!” una crescita stabilmente al di sopra di quella media europea da metà decennio;

!” un aumento del tasso di attività verso il 60 per cento a fine decennio.

Valori effettivi Valori programmatici

Fonte: elaborazioni MEF – Dipartimento per le Politiche di Sviluppo (DPS)

Negli ultimi tre anni, il Mezzogiorno è cresciuto a un ritmo medio annuo ancora al

di sotto delle potenzialità, ma superiore a quello del Centro Nord (di circa 4 decimi di

punto). Le caratteristiche della moderata ripresa del processo di convergenza è chiarita

dalle analisi ora disponibili per ripartizioni assai fini (784 aree) del territorio che

superano le tradizionali e ingannevoli ripartizioni amministrative (cfr. Riquadro “Il

Mezzogiorno (e il Centro nord) a più velocità”). Alla lieve convergenza fra macro-aree

corrispondono crescenti divaricazioni dello sviluppo al loro interno e all’interno delle

singole regioni, confermando l’accentuata natura locale dei vantaggi comparati che

determinano maggiore produttività, competitività e sviluppo e la improprietà di letture

dello sviluppo in termini di “assi di propagazione”. Per quanto riguarda la produttività,

nel contesto di una modesta dinamica media nazionale, l’analisi territoriale mostra,

soprattutto nel Mezzogiorno (che muove spesso da livelli ancora assai modesti),

l’esistenza di molte aree con una crescita significativa, segno della robustezza dei

processi di sviluppo in atto.

Sono questi risultati che confortano la scelta di una politica economica

radicalmente lontana dal passato. Non più un’azione incentrata su sussidi e aiuti a

pioggia che, nel tentativo di compensare la carenza di servizi pubblici, finiscono spesso

per distorcere le convenienze e mortificare soprattutto le agglomerazioni imprenditoriali

che più hanno scommesso sullo sviluppo. Ma una politica centrata su tre “più” legata

alle potenzialità dei singoli territori: più e migliori infrastrutture materiali (reti, impianti,

attrezzature per le comunicazioni, trasporti, acqua, smaltimento di rifiuti) e immateriali

(ricerca, società dell’informazione e accumulazione di capitale umano) fra loro

integrate, in grado di produrre servizi locali di qualità; più capacità ed efficienza delle

amministrazioni pubbliche e della rete istituzionale, pubblica e privata, che, attraverso

la cooperazione di diversi livelli di governo, guida la realizzazione di quelle

infrastrutture e di quei servizi; più certezza e complementarietà degli aiuti di Stato ai

progetti locali di sviluppo.

È una politica dove al centro nazionale ed europeo compete di assumersi la

responsabilità degli indirizzi strategici (quali assi di comunicazione privilegiare, di quali

conoscenze garantire la diffusione, quali obiettivi economici, sociali e ambientali

privilegiare, quali sistemi di regole stabilire, ecc.), ai governi regionali compete gran

parte delle decisioni programmatiche e di allocazione territoriale delle risorse, ai

governi locali compete il disegno dei progetti e la ricerca delle relative alleanze

territoriali. Si tratta di un governo cooperativo dello sviluppo fra più livelli di

amministrazione che trova da alcuni anni una forte applicazione sia nel Mezzogiorno sia

nel Centro Nord.

Sono queste le azioni capaci di accrescere la produttività e quindi la competitività

dei sistemi produttivi locali e quindi, a un tempo, di promuovere investimenti endogeni

e di attrarre investimenti dall’esterno.

Risultati significativi in termini di accelerazione della spesa, di miglioramento

delle capacità delle pubbliche amministrazioni e di avvio di progetti di qualità sono stati

conseguiti durante il 2002-2003 sulla base degli indirizzi del DPEF 2002-2006 e sono

riassunti nel Riquadro ” Azioni e risultati conseguiti da Governo e Regioni nel

Mezzogiorno e nelle altre aree sottoutilizzate”. L’azione in corso dovrà essere

ulteriormente rafforzata nel prossimo triennio lungo le linee di seguito riassunte.

Più e migliori infrastrutture materiali e immateriali

L’accelerazione degli investimenti pubblici in infrastrutture di qualità, materiali e

immateriali, dovrà proseguire con forza. Il volume di spesa in conto capitale destinato a

investimenti per infrastrutture materiali e immateriali nel 2000 era, in termini procapite,

ancora inferiore a quello del Centro-Nord (451 euro contro 486), e fortemente

squilibrato rispetto alla spesa, sempre pro-capite, per trasferimenti di capitale (437 euro

contro 297 nel Centro-Nord).

Lo sforzo si dovrà concentrare in alcuni comparti dove permangono forti ritardi e

carenze o dove sono ora possibili risultati significativi di impatto sulla produttività delle

imprese. Il riferimento di priorità è al settore idrico e allo smaltimento dei rifiuti, alla

fornitura di energia elettrica e di servizi di trasporto, in particolare ferroviari, al

sostegno della ricerca e della società dell’informazione, alla riqualificazione e

potenziamento dei servizi delle città, ai sistemi integrati per l’attrazione turistica.

Condizione indispensabile per tale politica è un volume di risorse definito, certo,

allocato in modo flessibile agli usi più efficaci. È quanto avviene con il Quadro

Comunitario di Sostegno grazie al governo rigoroso della sua attuazione da parte di

Governo centrale e Regioni. È quanto può ora realizzarsi anche per i fondi aggiuntivi

nazionali grazie al sistema dei due Fondi per le aree sottoutilizzate, istituiti con Legge

Finanziaria. 2003 (art. 60 e 61) e poi resi operativi con la delibera CIPE n.16 del 9

maggio 2003. Si tratta della risorsa nazionale che, in attuazione dell’art.119 comma 5, si

affianca ora al Fondo comunitario, avviando un’importante convergenza tra

programmazioni comunitaria e nazionale. (cfr. par IV.2)

Al fine di raggiungere un volume medio annuo di spesa in conto capitale destinato

al Mezzogiorno prossimo al 45 per cento del totale, comprensivo del contributo fornito

dalle risorse comunitarie e da quelle ordinarie, è indispensabile mantenere nelle

prossime Leggi Finanziarie uno stanziamento di nuove risorse aggiuntive nazionali

adeguato in termini di PIL.

È altresì indispensabile centrare gli obiettivi annuali di spesa per i fondi

aggiuntivi nazionali e comunitari, come si è fatto per questi ultimi nel 2002, e come si

potrà fare ora anche con quelli nazionali, grazie al nuovo sistema di monitoraggio

introdotto dal CIPE.

Questi interventi sulle risorse aggiuntive devono essere accompagnati da una più

forte azione sulle risorse ordinarie. È necessario agire con ancora maggiore

determinazione, soprattutto da parte del CIPE, sui soggetti responsabili per grandi

interventi (Ferrovie dello Stato, Anas, etc.) e su singoli Ministeri di spesa

(Infrastrutture, Ricerca, etc.) affinché rispettino l’obiettivo programmatico generale di

destinare al Mezzogiorno il 30 per cento del complesso delle risorse ordinarie per spese

in conto capitale. Si tratta di tutte le spese sostenute sia dalla Pubblica amministrazione

e dagli enti esterni appartenenti alla componente allargata del settore pubblico, sia dai

soggetti attuatori dei progetti di infrastrutturazione del Paese. È questa la condizione

necessaria per assicurare l’addizionalità dei fondi comunitari e nazionali. Un importante

passo in questa direzione è contenuto nei puntuali impegni di spesa assunti dal

Ministero delle Infrastrutture per l’attuazione della Legge obiettivo, nel documento

“Programma Infrastrutture strategiche” allegato a questo DPEF.

Dovrà infine essere rafforzato l’impegno intrapreso con le decisioni del CIPE del

maggio 2003 di accrescere progressivamente la quota di spesa in conto capitale

destinata a investimenti pubblici in infrastrutture materiali e immateriali e non a

incentivi.

Sarà in particolare necessario garantire: a) l’effettiva realizzazione, senza

slittamenti, dei progetti già decisi, quali, ad esempio, quelli inseriti nel Piano di priorità

delle Ferrovie dello Stato approvato dal CIPE il 29 settembre 2002; b) la maggiore

efficienza degli Enti attuatori degli interventi, attraverso la piena applicazione dei

metodi propri della programmazione comunitaria (premialità e sanzioni) già estesi ad

altri strumenti di intervento quali gli Accordi di Programma Quadro; c) il

conseguimento anche per il Mezzogiorno dei risultati fissati in questo stesso documento

per l’attuazione della Legge obiettivo (dove si prevede, ad esempio, che nel 2004 circa

il 50 per cento dei lavori sia realizzato nel Mezzogiorno).

Più capacità e efficienza delle istituzioni del Mezzogiorno

Uno sforzo progettuale di tale ampiezza richiede di proseguire con determinazione

nelle azioni di ammodernamento delle istituzioni del Mezzogiorno.

Si tratta, in primo luogo, di perseverare nel rafforzamento della “capacità” delle

Amministrazioni pubbliche, specie delle Regioni che hanno oggi la massima

responsabilità nella programmazione e attuazione degli interventi. Per scegliere e poi

realizzare le infrastrutture necessarie ai territori, per produrre servizi pubblici utili a

cittadini e imprese, occorre una Pubblica Amministrazione “capace” di comprendere i

fabbisogni prioritari di cittadini e imprese, di progettare (e/o fare progettare), di affidare

in concorrenza ai privati la realizzazione di infrastrutture e la produzione di servizi, di

redigere bandi, di scrivere e fare rispettare regole, di verificare risultati, di proporre

rapidamente decisioni, nonché di concorrere a definire le regole e a porre le condizioni

per la creazione di mercati concorrenziali dei servizi pubblici.

Il rinnovamento deve investire con forza anche quelle Amministrazioni centrali e

regionali che (come evidenziano le recenti conclusioni del Comitato di Sorveglianza del

Quadro Comunitario di Sostegno 2000-06) mostrano resistenze al cambiamento (cfr.

par.IV.4).

Il rinnovamento istituzionale deve poi estendersi ad altri due piani. Il piano

politico, con una forte assunzione diretta di responsabilità per gli interventi aggiuntivi

da parte di vertici stabili dei governi regionali e locali. Il piano del partenariato

economico e sociale, con un coinvolgimento sia nel processo decisionale, per

l’identificazione delle priorità praticabili, sia nella fase di attuazione.

Più complementarietà e certezza degli incentivi

Le azioni per la compensazione attraverso incentivi degli svantaggi di

localizzazione, oggi ancora necessarie in presenza di divari di convenienza assai

marcati, devono il più possibile essere integrate con l’intervento per il miglioramento

delle condizioni di contesto.

In questa direzione si dovrà proseguire lungo gli indirizzi fissati con la delibera

CIPE del 9 maggio 2003 e sollecitati dalle parti economiche e sociali. (cfr. IV.5)

Il riordino degli incentivi è stato avviato per quelli pienamente automatici, quali il

credito di imposta per gli investimenti e quello per l’occupazione: sottraendo il primo ai

rischi di arbitrarietà e inefficacia che ne inficiavano il disegno e dando certezza ai flussi

finanziari; ridisegnando parzialmente e rifinanziando il secondo con ampie risorse. Il

riordino potrà ora proseguire fra l’altro con: la rapida sperimentazione e, se valutata

positivamente dal CIPE, la piena attuazione del nuovo strumento dei “contratti di

localizzazione” rivolti ad attrarre investimenti dall’esterno; il governo coerente dei Patti

territoriali, ora regionalizzati, e dei Progetti Integrati Territoriali (PIT), destinati

all’imprenditoria endogena e con una dominante componente infrastrutturale, da parte

delle Regioni; l’estensione del riordino ai contratti d’area; l’appropriata revisione degli

strumenti valutativi, come la L. 488/92 con la previsione di un ruolo nuovo delle

banche.

Il ruolo di mercati più concorrenziali

L’intensificazione della concorrenza nei grandi servizi di rete, nei servizi locali di

pubblica utilità, nei servizi pubblici e privati per le imprese, è condizione necessaria

affinché la politica di offerta esplichi i suoi effetti.

Particolare rilievo riveste la qualità dei servizi finanziari e l’accesso al credito da

parte delle imprese, specie di quelle giovani e innovative oggi spesso costrette a fare

affidamento su fondi propri o su servizi pubblici. (cfr. par. IV.5)

Per le infrastrutture legate all’approvvigionamento e alla depurazione delle acque,

la realizzazione delle condizioni necessarie a un accorpamento delle gestioni nel settore

delle risorse idriche e della pianificazione degli investimenti per dimensioni territoriali

ottimali – ottenuta anche attraverso gli incentivi posti nel QCS – consente, per la prima

volta in Italia, con l’avvio delle gare per la concessione della gestione, l’ingresso di

soggetti imprenditoriali capaci di garantire servizi di qualità.

Nel prosieguo del capitolo vengono approfonditi alcuni aspetti di queste linee

direttrici dell’azione pubblica per lo sviluppo del Sud.

IL MEZZOGIORNO E IL CENTRO NORD A PIÙ VELOCITÀ

Conti nazionali e dati sull’occupazione mostrano che il processo di convergenza

del Mezzogiorno rispetto al resto del paese è tornato ad avviarsi tra gli anni novanta e

il decennio in corso, seppure in modo lieve. Le nuove informazioni a livello territoriale

molto disaggregato (Sistemi Locali del Lavoro, SLL1) sul periodo 1996-2000, prodotte

grazie al progetto Istat-Dipartimento per le Politiche Sviluppo “Informazione statistica

territoriale e settoriale per le politiche strutturali 2001-2008″ 2, confermano ora che

questo fenomeno non è omogeneo, è il risultato di una performance assai positiva di

una parte delle aree del Mezzogiorno (presenti in tutte le regioni), ed è caratterizzato

anche da elevate crescite della produttività.

Nel 2000, dei 365 SLL meridionali, solo 9 presentavano un livello di reddito

(valore aggiunto a prezzi correnti) pro capite maggiore della media italiana ( pari a

18,7 mila euro); nel Centro Nord erano 187 su 419. Nel periodo 1996-2000, il 55 per

cento dei SLL del Mezzogiorno (201 su 365) ha avuto un tasso di crescita superiore a

quello medio nazionale (3,8 per cento); nel Centro-Nord tali aree sono il 39 per cento

(163 su 419).

In entrambe le parti del Paese vi sono dunque SLL che crescono a tassi elevati,

così come in entrambe permangono situazioni di stagnazione. Nel complesso, la

convergenza al Sud si concentra in Campania, Basilicata e Calabria, ma aree di veloce

sviluppo sono presenti anche nelle altre regioni.

Ai primi posti della graduatoria nazionale del reddito pro-capite per l’anno 2000

troviamo: nel Nord-Ovest i sistemi locali di Milano (con 33,8 mila euro pro-capite) di

Imperia e Brescia (con circa 28 mila euro), nel Nord-Est, con valori oltre 31,9 mila

euro, i sistemi di Canazei, Badia (turismo) e Sassuolo (materiali da costruzione); nel

Centro, con valori tra i 24 e i 27 mila euro, Portoferraio (urbano), Fabriano (made in

Italy), e Roma. Relativamente al Mezzogiorno, oltre al sistema locale di Melfi (mezzi di

trasporto) che con 25 mila euro di valore aggiunto pro-capite si posiziona al di sopra

anche di molte aree del Centro-Nord, il secondo sistema più importante per la

ripartizione è quello di Arzachena (turismo), con circa 23 mila euro, seguito da Capri

(turismo), L’Aquila (apparecchi radiotelevisivi), Matera (urbano) e Chieti (made in

Italy) con oltre 20 mila euro. Sotto tale soglia, ma al di sopra della media nazionale,

figurano Nuoro, Ragusa e Foggia4.

Al di sotto del dato nazionale troviamo sistemi con dimensioni molto variabili fra

di loro. Si hanno, ad esempio, SLL con valori intorno a 8-10 mila euro, quali

Castelforte (Lazio), Porlezza (Lombardia), Roccastrada (Toscana), Santa Maria

Maggiore (Piemonte), e sistemi con valori intorno a 5-6 mila euro, quali Verzino

(Calabria), Sannicandro Garganico (Puglia), Montano Antilia (Campania), San

Giorgio Lucano (Basilicata), Mazzarino (Sicilia) e Bono (Sardegna).

3 Si conferma così una tendenza colta in OECD, “Territorial Outlook, 2001 Edition”.

4 I SLL sono stati classificati dall’Istituto Nazionale di Statistica, in base alla specializzazione produttiva prevalent e a partire dai dati sulle unità locali del censimento intermedio del 1996, in 11 tipologie: urbani, estrattivi, turistici, del made in Italy, del tessile, del cuoio e della pelletteria, dell’occhialeria, dei materiali da costruzione, dei mezzi di trasporto, degli apparecchi radiotelevisivi, senza specializzazione.

Il miglioramento dei livelli di reddito pro-capite corrisponde in primo luogo a

una ripresa dell’occupazione.

Nel periodo 1996-2000 il tasso di occupazione generico (occupazione totale su

popolazione complessiva) è passato in Italia da 38,5 a 40,05: rispetto a tale aumento

medio, 117 SLL del Mezzogiorno (32 per cento del totale) presentano una crescita

superiore alla media, 179 nel Centro Nord (43 per cento del totale). Anche in questo

caso si osserva una diversificazione di performance a macchia di leopardo (Figura 2).

5 Il tasso di occupazione specifico ( calcolato cioè sulla popolazione attiva – anni 15-64) è passato nello

stesso periodo da 50,9 a 53,5 (e nel 2002 raggiunge quota 55,4).

La dinamica dell’occupazione non spiega per intero i differenziali di crescita né

nel Mezzogiorno né nel Centro Nord. La dinamica della produttività svolge infatti un

ruolo rilevante.

Nel contesto di una dinamica mediamente modesta e insoddisfacente della

produttività del lavoro6 (2,8 per cento di crescita media annua – del valore aggiunto

per occupato a prezzi correnti7 – nel quadriennio), si osserva infatti, specialmente nel

Sud, una ripresa di produttività in molte aree, anche nelle regioni mediamente più

arretrate (Figura 3). La produttività è cresciuta più della media nazionale nel

complesso del periodo in 206 SLL del Sud (56 per cento del totale) e 192 nel Centro-

Nord (46 per cento del totale).

6 Non è possibile ricostruire con questo dettaglio territoriale una misura della produttività che tenga conto

anche dell’apporto del capitale.

7 La variazione media annua dei valori a prezzi costanti (1995) sempre per lo stesso periodo è stata

dell’1,2 per cento.

In conclusione, l’esame per Sistemi locali del lavoro mostra una geografia dello

sviluppo molto articolata e inedita rispetto alla percezione comune.

Alla riduzione del divario fra le macro-aree si accompagna una forte

diversificazione della performance, regione per regione, al di fuori dei presunti “assi

geografici di sviluppo” (o di crisi). In molte aree in forte crescita (del Mezzogiorno e

del Centro Nord) a crescere sopra la media è anche, se non soprattutto, la produttività,

che in molte aree del Mezzogiorno mostra risultati significativi.

Occorrerà verificare con approfondite analisi se e in quale modo questa

“geografia a macchia” dello sviluppo derivi da capacità locali di progettazione dei

soggetti privati e pubblici o da altri fattori.

AZIONI E RISULTATI CONSEGUITI DA GOVERNO E REGIONI NEL

MEZZOGIORNO E NELLE ALTRE AREE SOTTOUTILIZZATE

I- Accelerazione e qualificazione degli investimenti in infrastrutture materiali e

immateriali

!” Raggiungimento e superamento (circa 97 per cento) dell’obiettivo originario di

utilizzo di almeno il 95 per cento dei fondi comunitari per il Mezzogiorno del

Programma 1994-99; risultati non così elevati per il Centro Nord.

!” Raggiungimento al 100 per cento del livello minimo di spesa fissato dall’Unione

europea per il 2002 per il Programma 2000-2006, senza alcuna perdita di

risorse per l’Italia.

!” Preparazione della revisione di metà periodo del Programma comunitario

2000-2006 attraverso: due ricognizioni di autovalutazione da parte delle

Regioni; analisi e seminari tecnici partenariali sui Progetti integrati territoriali;

Forum regionali con le parti economiche e sociali; studi mirati, fra l’altro, su

città, strumenti di incentivazione, trasporti.

!” Rispetto da parte di tutte le Regioni del Mezzogiorno e del Centro Nord e delle

Amministrazioni centrali del target fissato dalla delibera CIPE 36/2002 relativo

alla programmazione nell’ambito degli Accordi di Programma Quadro (APQ)

di almeno il 60 per cento di tutte le risorse per le aree sottoutilizzate assegnate

dal CIPE nel precedente triennio. Tra ottobre 2002 e giugno 2003 sono stati

sottoscritti 35 nuovi APQ, con un incremento del 43,2 per cento rispetto agli

Accordi sottoscritti dal febbraio ’99 al settembre 2002. L’ammontare

complessivo di risorse CIPE programmato in tali APQ è pari a 5.178 miliardi di

euro.

!” Rispetto da parte delle Regioni del Mezzogiorno e del Centro Nord della

scadenza del 31 dicembre 2002 per la presentazione di progetti e relativi

cronoprogrammi di attuazione da inserire in APQ e finanziare con le risorse

della delibera CIPE 36/2002.

!” Costruzione (nella Legge Finanziaria 2003, artt.60 e 61) e avvio (con delibere

CIPE 9 maggio 2003) del meccanismo innovativo dei Fondi unici nazionali per

le aree sottoutilizzate al fine di: concentrare e dare unitarietà programmatica e

finanziaria all’insieme degli interventi aggiuntivi nazionali; assicurare

flessibilità e tempestività nell’uso delle risorse, liberando quelle

“immobilizzate” su strumenti inefficienti o inefficaci; finanziare in modo

equilibrato i diversi strumenti di incentivazione, mirandone l’utilizzo.

!” Incremento da circa il 40 a circa il 60 per cento della quota di fondi per le aree

sottoutilizzate assegnata a investimenti pubblici.

!” Introduzione (con delibere CIPE) e attuazione di meccanismi premiali e

sanzionatori di incentivo alla spesa tempestiva dei fondi degli APQ e degli altri

strumenti finanziati con i fondi aggiuntivi nazionali.

!” Finanziamento (delibera CIPE n.17/2003) e avvio di un Piano d’Azione per la

valutazione e il rafforzamento del sistema di monitoraggio degli APQ e dei

Programmi cofinanziati con i fondi strutturali europei (20 Meuro) e interventi

per rendere effettivamente operativo il sistema di monitoraggio.

!” Definizione di impegni progettuali verificabili di enti attuatori pubblici quali

Ferrovie dello Stato e Anas, per l’attuazione dell’obiettivo di destinare il 30 per

cento delle risorse ordinarie al Mezzogiorno.

!” Assegnazione al Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca scientifica

(MIUR) di circa 350 Meuro per attività di ricerca nel Mezzogiorno;

assegnazione al Ministro per l’Innovazione e le Tecnologie di 140 Meuro per

interventi di sviluppo della società dell’informazione; destinazione direttamente

alle Regioni e Province autonome del Centro Nord di 117 Meuro per la ricerca;

destinazione programmatica di ulteriori 140 Meuro a obiettivi di ricerca nel

Mezzogiorno per iniziative da individuare in partenariato fra MIUR, Ministero

dell’Economia e Finanze, Regioni e parti economiche e sociali

II. – Rafforzamento della capacità delle pubbliche amministrazioni

!” Assegnazione nel marzo 2003 dei premi finanziari a Regioni e Amministrazioni

Centrali in base al meccanismo di incentivazione e misurazione della

performance (premialità) nell’ambito dei Fondi comunitari.

!” Realizzazione da parte delle Regioni del Mezzogiorno, anche grazie al suddetto

meccanismo di premialità, della diffusione del controllo interno di gestione nelle

amministrazioni, degli sportelli unici per le imprese, e dei servizi per l’impiego

sul territorio oltre all’attivazione e all’accresciuta operatività delle Agenzie

regionali per l’ambiente.

!” Incentivazione, anche attraverso la premialità, della definizione e della messa in

opera di regole per il funzionamento di mercati concorrenziali dei servizi

pubblici (acqua, rifiuti, energie, ecc…).

!” Completamento della costruzione del sistema dei Nuclei di Valutazione e

Verifica (in 11 Amministrazioni centrali e in 19 Regioni). Contestuale

costituzione formale della Rete dei nuclei alla fine di ottobre 2002 da parte della

Conferenza Stato-Regioni.

!” Disciplina con delibera CIPE n.143/2002 delle modalità e delle procedure per

l’avvio a regime del sistema del Codice Unico di Progetto che consentirà

l’identificazione univoca ed efficiente di tutti i progetti di investimento pubblico.

III – Certezza e complementarietà degli incentivi

!” Integrale ridisegno delle norme sui crediti d’imposta per gli investimenti (art.62

della Legge Finanziaria 2003) al fine di dare certezza di spesa, eliminare i gravi

margini di arbitrarietà esistenti nella normativa assicurando attraverso

controlli la concentrazione dell’intervento su richieste pienamente legittime,

concentrare in gran parte le agevolazioni nel Mezzogiorno.

!” Aggiornamento della disciplina del credito d’imposta per l’occupazione e suo

prolungamento temporale, con rifinanziamento fino al 2006 per nuove

assunzioni disposte dal 1 gennaio 2003.

!” Avvio come progetto pilota del Contratto di localizzazione per l’attrazione di

investimenti dall’esterno, capace di combinare l’apporto di incentivi mirati con

quelli di pacchetti infrastrutturali e di semplificazione amministrativa.

!” Accordo con le Regioni e approvazione della regionalizzazione dei patti, con

l’adozione di criteri di selettività.

IV – Rafforzamento della posizione negoziale italiana per il futuro della politica di

coesione comunitaria

!” Redazione e presentazione nel dicembre 2002 alla Commissione Europea, ai 15

Paesi dell’UE e ai 10 candidati all’adesione del secondo Memorandum sulla

riforma della politica regionale di coesione comunitaria, condiviso con tutte le

Amministrazioni centrali e regionali del Paese e con le parti economiche e

sociali. Il Memorandum definisce i punti cardine intorno ai quali si articolerà la

posizione italiana nel negoziato europeo sul futuro della politica regionale post-

2006 sia per il Mezzogiorno sia per il Centro Nord (cfr. Riquadro – La riforma

della politica di coesione).

!” Affidamento, da parte della UE e in via bilaterale, e realizzazione di attività di

assistenza alle politiche regionali in Paesi dell’allargamento.

IV.2 La quantità e l’utilizzo delle risorse finanziarie per gli investimenti pubblici

Le risorse finanziarie destinate allo sviluppo e segnatamente agli investimenti

pubblici sono definite nel Quadro finanziario unico, la cui sintesi è presentata nel cap.III

(figura III. ). Tale quadro, già alla base delle previsioni economiche e finanziarie

formulate nei Documenti di programmazione economica finanziaria degli ultimi anni,

consente l’integrazione delle fonti finanziarie ordinarie e aggiuntive di provenienza

nazionale e comunitaria. L’integrazione finanziaria è la condizione ineludibile per

garantire il rispetto degli impegni nazionali di addizionalità e aggiuntività della spesa e

per conseguire l’obiettivo di una quota di spesa in conto capitale destinata al

Mezzogiorno pari al 45 per cento di quella nazionale da metà decennio.

Tale quadro assume, in primo luogo, la piena realizzazione, secondo quanto già

avvenuto nel 2002, degli obiettivi di spesa dei fondi comunitari e del relativo

cofinanziamento nazionale. Il profilo di spesa di tali fondi, sia a livello aggregato sia a

livello di singole misure, è peraltro sottoposto a verifica nell’ambito del processo di

riprogrammazione che si completerà nel febbraio 2004.

Il quadro assume, in secondo luogo, un progressivo rispetto della regola del 30 per

cento di investimenti a Sud a valere sulle risorse ordinarie comunque messe a

disposizione delle Amministrazioni pubbliche, degli enti che realizzano infrastrutture

(quali Ferrovie dello Stato e Anas) o di soggetti attuatori di progetti di

infrastrutturazione del Paese. Tale impegno dovrà essere sostenuto da opportune

decisioni politiche e amministrative. Va in questa direzione (ed è scontato nel quadro)

l’impegno assunto dal Ministero delle Infrastrutture e Trasporti in sede di attuazione

della Legge obiettivo in questo stesso DPEF, con la previsione puntuale di un

cronogramma annuale di spesa nel Mezzogiorno e nelle altre aree del Paese e per

singoli interventi: secondo tale trasparente impegno, la quota di spesa nel Mezzogiorno

potrà salire da valori assai modesti nell’anno in corso a circa il 50 per cento nel 2004

(grazie all’accelerazione di opere di comunicazione in Calabria, Basilicata e Puglia e di

opere idriche), per restare poi stabilmente al di sopra del 30 per cento (anche grazie

all’apporto di risorse aggiuntive, in parte da finalizzare).

A queste due fonti si aggiungono le risorse per le aree sottoutilizzate. Il quadro

finanziario unico sconta in questo caso, oltre al rifinanziamento adeguato in termini di

PIL, la realizzazione degli impegni annui di spesa che le Amministrazioni beneficiarie

hanno assunto in attuazione delle delibere Cipe 9 maggio 2003 (cfr. oltre).

Le risorse per le aree sottoutilizzate

Il sistema dei due Fondi MEF e MAP per le aree sottoutilizzate (85 per cento

Mezzogiorno e 15 per cento Centro Nord), istituiti con gli articoli 60 e 61 della legge

finanziaria 2003, consente la realizzazione di una strategia unitaria di impiego delle

risorse nazionali per il riequilibrio economico-sociale e l’applicazione del nuovo

principio di flessibilità nel loro utilizzo.

Con la Legge Finanziaria 2003 i Fondi sono stati alimentati da un volume di

nuove risorse pari a 8.925 milioni di euro, cui si aggiungono 4.091 milioni di euro per il

credito d’imposta e 1.433 milioni di euro per il bonus occupazione, per un totale di

14.449 milioni di euro.

La delibera CIPE 9/5/2003, di allocazione delle risorse ha dato concreta

applicazione alla logica dei Fondi, trasferendo, tra l’altro, 265 milioni di euro dal Fondo

MEF al Fondo MAP e introducendo un metodo operativo di classificazione delle risorse

assegnate negli scorsi anni, in base al “grado di impegno”, che consentirà successive

rimodulazioni sia fra gli strumenti sia fra i due Fondi.

Le nuove risorse sono ripartite, per il triennio 2003-2005, assicurando un

riequilibrio, all’interno dell’alimentazione aggiuntiva, a favore degli investimenti

pubblici in infrastrutture materiali e immateriali (5.279 milioni di euro), garantendo

altresì il finanziamento di tre distinte categorie di strumenti di incentivazione (cfr. par.

IV.5) per complessivi 8.215 milioni di euro.

Le previsioni di spesa assunte per il 2003 dalle Amministrazioni e dagli altri

soggetti attuatori sono confermate, in base agli impegni trasmessi al CIPE dopo la

delibera e alle decisioni che il CIPE stesso si appresta a prendere, nell’importo di circa

8,2 miliardi di euro. Al fine di perseguire un più rapido raggiungimento dei risultati si è

introdotto un monitoraggio cogente, che sarà accompagnato da meccanismi premiali o

sanzionatori.

Per il periodo 2004-07 la spesa in conto capitale per il Mezzogiorno dovrebbe

crescere al ritmo del 6,4 per cento all’anno. La componente ordinaria aumenterebbe più

di quella aggiuntiva in considerazione del progressivo raggiungimento del target di una

destinazione al Sud del 30 per cento della spesa delle Amministrazioni pubbliche.

L’incidenza della spesa in conto capitale sul PIL raggiungerebbe per il M ezzogiorno il

7,9 per cento – 1,2 punti percentuali superiore a quella del periodo 2000-03. Pur in

presenza di persistenti vincoli di finanza pubblica, lo sviluppo del Mezzogiorno potrà

così avvalersi di una quota di spesa in conto capitale che raggiunge il 45 per cento del

totale negli ultimi anni del periodo.

IV.3. La qualità degli investimenti attraverso la cooperazione tra Regioni e Stato

centrale

Le risorse destinate al Sud e alle aree sottoutilizzate del Centro Nord sono rivolte

prioritariamente ad aumentare la dotazione di infrastrutture, mediante due strumenti di

programmazione economico-finanziari: gli Accordi di Programma Quadro (APQ)

attuativi delle Intese istituzionali di programma e i Programmi operativi previsti dal

Quadro Comunitario di Sostegno. Entrambe finanziano opere che saranno realizzate

nell’arco temporale del presente documento di programmazione.

Si tratta di strumenti di programmazione coperti finanziariamente, in gran parte

attraverso risorse aggiuntive nazionali e comunitarie, e che non finanziano idee

progettuali o generiche tipologie di opere, bensì interventi puntuali di infrastrutturazione

materiali o immateriali.

IV.3.1 Gli Accordi di Programma Quadro

Lo stato di avanzamento degli Accordi

Al Sud sono 48 gli APQ al momento sottoscritti, per un valore complessivo di

fondi pubblici pari a poco meno di 19 miliardi di euro, di cui circa il 43 per cento

coperto con risorse aggiuntive comunitarie (23 per cento) e nazionali (20 per cento). Gli

interventi programmati riguardano principalmente le reti viarie, ferroviarie e gli

areoporti (11 miliardi di euro), nonché le infrastrutture idriche (3,6 miliardi di euro).

Nel periodo 1999-2002, gli APQ prevedevano di realizzare al Sud opere per circa

5,1 miliardi di euro; in base all’ultima verifica tale importo risulta ridotto di oltre la

metà (57 per cento) rispetto alle previsioni, mostrando la scarsa qualità delle previsioni

inizialmente formulate dagli enti attuatori e inducendo il Governo ad adottare, d’intesa

con le Regioni, importanti provvedimenti di rafforzamento dello strumento.

I provvedimenti del Governo

Nel biennio 2002-2003, al fine di assicurare celerità e qualità alla realizzazione

delle opere, il Governo ha stabilito che debbano essere finanziati prioritariamente gli

interventi con uno status progettuale più avanzato e che le opere incluse nella Legge

Obiettivo siano inserite negli APQ per monitorarne l’avanzamento.

Il CIPE, con la delibera di riparto delle risorse per le aree sottoutilizzate adottata

nel 2003, ha incrementato dal 40 al 60 per cento la quota di risorse destinata alle

infrastrutture rispetto agli incentivi alle imprese, rendendo nel contempo più flessibile la

gestione dei fondi nazionali che allocano le risorse alle due predette tipologie di

investimento pubblico.

Infine, secondo quanto previsto nel Patto per l’Italia e nel DPEF 2003-2006, il

CIPE, nella seduta del 9 maggio ha stanziato 100 milioni di euro per il rafforzamento

del sistema di monitoraggio degli investimenti pubblici, di cui circa il 20 per cento

destinato all’adeguamento delle strutture amministrative e tecniche, soprattutto

regionali, preposte alle attività di gestione e verifica degli interventi previsti negli APQ.

Molteplici sono gli interventi completabili nel prossimo quadriennio che, per

dimensione o impatto sull’offerta di servizi a cittadini e imprese, possono concorrere a

imprimere un salto alla crescita del Sud ( a titolo meramente esemplificativo, cfr. tavola

IV.2). I miglioramenti nel sistema di monitoraggio consentiranno di verificare con

tempestività l’insorgere di ostacoli attuativi.

IV.3.2 Il Quadro Comunitario di Sostegno

A oltre tre anni dall’avvio del QCS 2000-2006 i risultati che si profilano nelle

Regioni del Mezzogiorno beneficiarie degli interventi dei fondi strutturali comunitari

possono essere così sintetizzati:

!”il pieno raggiungimento dell’obiettivo di spesa fissato per il 31 dicembre 2002,

senza perdita di risorse comunitarie;

!”un forte (ma non omogeneo) miglioramento della capacità istituzionale che ha

determinato in alcuni settori di intervento (segnatamente acqua, rifiuti, politiche

del lavoro), grazie anche all’utilizzo di appropriati meccanismi premiali, una

intensa accelerazione delle riforme sin qui inattuate;

!”la completa definizione, in tutte le Regioni, di Strategie regionali di intervento in

alcuni settori chiave (Ricerca e Innovazione, Società dell’informazione,

Trasporti) la cui ricaduta sarà assai forte sull’intera programmazione della

Regione.

La prima generazione di progetti finanziata consiste soprattutto in “progetti

coerenti” (ossia in progetti non disegnati allo scopo ma compatibili con gli obiettivi

strategici), necessari a garantire, secondo un metodo che nel ciclo di programmazione

1994-99 è stato applicato con successo da Spagna e Irlanda, l’accelerazione finanziaria

iniziale del programma. Questa scelta ha consentito di avviare nel frattempo una

seconda generazione di progetti e interventi disegnati ex novo, che arriva ora in

attuazione e a cui è affidato l’impatto più significativo sulle condizioni socioeconomiche

del Mezzogiorno. Grazie anche alla creazione delle necessarie condizioni

istituzionali, è quindi possibile ritenere che sul finire del 2004, con un anno di ritardo

rispetto alle originarie previsioni, il Programma potrà iniziare a produrre effetti

apprezzabili sulla produttività e sulla crescita. L’integrazione degli interventi con quelli

finanziati attraverso gli APQ con risorse aggiuntive nazionali e con quelli a carico di

risorse ordinarie, rafforza tale prospettiva. (a titolo meramente esemplificativo, cfr.

tavola IV.3)

La valutazione complessivamente soddisfacente dei risultati raggiunti sotto il

profilo della creazione delle condizioni istituzionali e del programma comunitario,

dovrà tuttavia essere confortata dalla capacità delle Regioni e delle Amministrazioni

centrali, soprattutto di quelle dove permangono ritardi (cfr. Conclusioni del Comitato di

Sorveglianza tenuto il 2 luglio 2003), di attuare in pieno i processi di modernizzazione .

Per rafforzare il percorso in questa direzione un ruolo importante svolge la

revisione di metà percorso, prevista dai regolamenti comunitari. Nei primi mesi del

2004 essa dovrà portare a riorientare la strategia e a riprogrammare le risorse, qualora

mutamenti di contesto lo dovessero suggerire, ovvero si evidenziassero rallentamenti o

battute d’arresto nell’attuazione.

Tavola IV.3 – Alcuni interventi contenuti nel QCS 2000-2006

Il nostro Paese si è preparato con forte impegno a questa fase. Con largo anticipo,

rispetto a tutti gli altri Stati membri, è stata avviata la valutazione intermedia per tutti i

programmi operativi e per il QCS nel suo ins ieme: con due esercizi di analisi

autovalutativa già effettuati su tutti i programmi operativi, è stata condotta, sulla base di

una metodologia condivisa, una ricognizione a sistematica di tutti gli elementi che

qualificano l’attuazione (governance degli interventi, stato di attuazione finanziaria,

coerenza strategica). Con questo metodo, assolutamente innovativo e già riproposto in

altri paesi dalla Commissione europea come “buona pratica”, si è fortemente

accresciuto il livello di consapevolezza in merito alle criticità/potenzialità di ciascun

asse, settore e programma operativo e i risultati sono stati condivisi con il partenariato

economico e sociale a livello nazionale e regionale.

L’analisi finora effettuata ha evidenziato che:

!”non emergono criticità sistematiche a livello di QCS, le cui indicazioni

strategiche per asse e settore risultano quindi confermate;

!”vi sono tuttavia differenze anche significative tra i settori di intervento e

soprattutto tra le Regioni, nella capacità di mantenere il percorso entro la rotta

prestabilita, rispettandone appieno gli obiettivi quantitativi e qualitativi.

In questo contesto, massimo sarà l’impegno per conseguire l’obiettivo di spesa di

fine 2003, nella consapevolezza che una conferma dei successi già registrati su questo

fronte rafforzi anche la posizione negoziale dell’Italia nel processo di definizione del

futuro delle politiche di coesione, valorizzando così l’emblematico lavoro di

partenariato che ha portato alla definizione del Memorandum (cfr. Riquadro “Riforma

della politica di coesione comunitaria e impatto dell’allargamento sulle aree ammissibili

all’obiettivo 1 nel 2007-2013″, cap. III).

IV.4 Modernizzazione e rafforzamento delle capacità delle amministrazioni

pubbliche

Requisito fondamentale per dare qualità alla spesa pubblica in conto capitale e

conseguire pienamente l’obiettivo di sviluppo delle aree sottoutilizzate è il

rafforzamento istituzionale delle Amministrazioni pubbliche sia nel Centro Nord sia,

soprattutto, nel Mezzogiorno.

Sia nell’ambito del Quadro Comunitario di Sostegno, sia, più di recente,

nell’ambito degli Accordi di Programma Quadro e in generale dell’utilizzo dei fondi

aggiuntivi nazionali, sono state avviate iniziative di rinnovamento della PA, che oggi

consentono per taluni processi di raccogliere primi risultati in termini di crescita della

“capacità/competenza” delle Amministrazioni centrali e delle Regioni. Tale processo si

è frequentemente accompagnato, con importanti sinergie, con altri due processi di

rafforzamento istituzionale: l’assunzione diretta di responsabilità da parte dei vertici

politici regionali e locali in merito alla programmazione e all’uso delle risorse

aggiuntive; il coinvolgimento e il rafforzamento a livello locale del partenariato

economico e sociale.

Amministrare, gestire, controllare in modo efficiente e motivato

Significativi sono stati i progressi ottenuti nella modernizzazione organizzativa

delle Regioni del Mezzogiorno attraverso il meccanismo della riserva di premialità del 6

per cento definita dal QCS 2000-2006, che nel marzo 2003 si è concluso con la

assegnazione di premi e sanzioni (cfr. sito del Dipartimento delle Politiche di Sviluppo,

www.tesoro.it). Alla luce di ciò, con le delibere CIPE del 3 maggio 2002 e del 9

maggio 2003, è stata disposta l’estensione dei metodi premiali anche nell’ambito dei

fondi nazionali per lo sviluppo. Una logica non dissimile è sottesa ai meccanismi

previsti nella “regionalizzazione” dei Patti territoriali per l’individuazione delle migliori

performance e delle situazioni di sofferenza (cfr. par. IV.5).

Particolare rilievo hanno la qualità e la formazione delle risorse umane della PA.

Muovendo dai risultati ottenuti nella costituzione di strutture di valutazione e verifica

nelle Regioni e nelle Amministrazioni centrali, si dovrà ora dare rapida attuazione e

forte incisività alle attività della “Rete dei nuclei di valutazione e verifica” per

rafforzare la diffusione e l’innovatività dei metodi e delle conoscenze. Andrà fatto

ulteriore e forte ricorso ai meccanismi premiali e sanzionatori legati all’utilizzo delle

risorse aggiuntive, anche per assicurare incrementi di efficienza nella produzione di

servizi pubblici di primaria importanza da parte delle Regioni.

La cooperazione istituzionale nell’ambito delle politiche di sviluppo

Le riforme costituzionali in atto hanno nel complesso rafforzato compiti e

funzioni delle Regioni e delle Autonomie locali e reso più trasparente l’attribuzione

delle responsabilità normative, finanziarie e attuative ai vari livelli di governo, con la

permanenza di molte competenze concorrenti, quali, tra le altre, le politiche di sviluppo

e di coesione. Il crescente ricorso da parte di Regioni e Amministrazioni centrali allo

strumento dell’Accordo di Programma Quadro mostra come la cooperazione verticale e

orizzontale – sul piano tecnico per la selezione degli interventi, per l’individuazione

delle risorse finanziarie, ecc – sia indispensabile. È significativo che le Regioni del

Centro Nord ricorrano all’APQ anche quando gli interventi siano finanziati con risorse

ordinarie.

Funzioni di diffusione delle conoscenze e di condivis ione delle decisioni tra

amministrazioni centrali e regionali vengono assolte dal Comitato di Sorveglianza del

Quadro Comunitario di Sostegno. È in quella sede che, ogni sei mesi, con la

partecipazione delle parti economiche e sociali, vengono assunte le principali decisioni

di indirizzo del programma.

È necessario dare continuità e permanenza a tutti questi processi.

In luoghi di tradizionale cooperazione tra amministrazioni centrali, quali il CIPE,

si è stabilita una rinnovata attitudine al dialogo interistituzionale per procedere alla

ripartizione concertata di risorse, alla definizione di regole e di strategie. Il raccordo con

la Conferenza Stato-Regioni e con la Conferenza unificata per l’assunzione di decisioni

che vedono coinvolti i diversi livelli di governo (come le delibere di riparto dei fondi

aree sottoutilizzate) è prassi rodata, che dà alle decisioni finali non solo maggiore

consenso, ma più elevato contenuto tecnico e capacità di impatto.

Progettare e realizzare progetti

Già da tempo si è addivenuti alla definizione di regole di programmazione e

progettazione con accentuazione della verifica qualitativa sulla fase realizzativa del

progetto.

Un obiettivo intermedio di tale linea strategica è consistito nello spostare

gradualmente l’attenzione dagli impegni di spesa (come era stato a lungo il caso del

QCS 1994-99) alla spesa effettiva sia nei programmi comunitari (QCS 2000-2006) , sia

nella programmazione delle risorse aggiuntive nazionali, vengono ora fissati obiettivi di

spesa, sottoposti a regolare monitoraggio. In questa direzione va il “Progetto

Monitoraggio” approvato dal CIPE nella delibera del 9 maggio 2003 che dovrà trovare

forte attuazione. In questa stessa direzione va anche l’attuazione della Legge obiettivo

che con il documento allegato al DPEF fissa ora obiettivi di spesa annui, per opera e per

area del territorio, al cui rispetto sarà legato il giudizio sull’operato amministrativo e

politico.

Valutare e apprendere

Per la costruzione di capacità di valutazione dell’azione pubblica interna alla

amministrazione si sono avviati molti processi di sistema e condotte iniziative

specifiche.

La collaborazione con l’ISTAT ha consentito di produrre più articolate statistiche

territoriali e di ridurre il ritardo nella disponibilità degli indicatori macroeconomici

territoriali: oggi, cittadini, imprese e istituzioni possono conoscere le valutazioni

ufficiali sull’andamento del PIL regionale con pochi mesi di ritardo sulla fine dell’anno

di riferimento; occorrevano quasi tre anni fino a poco tempo fa. L’impegno si è

recentemente intensificato al fine di fornire dati ufficiali sui conti territoriali per

ripartizioni a soli tre mesi di distanza dalla diffusione del dato nazionale; fino a

pochissimo tempo fa, era impossibile per due-tre anni (e poi solo con forte

approssimazione) conoscere il riparto territoriale della spesa in conto capitale del Paese

e quindi monitorare i risultati delle scelte di politica economica.

Sulla base delle indicazioni della Legge Finanziaria 2003 e delle decisioni del

CIPE, dovranno essere sottoposti a valutazione alcuni degli strumenti che assorbono il

massimo di risorse per incentivi al fine di assumere decisioni di finanziamento in modo

più informato non solo in base all’efficienza finanziaria, ma anche all’efficacia

dell’intervento.

Concorrere alla creazione e alla tutela di mercati concorrenziali dei servizi

pubblici

Anche grazie all’introduzione di meccanismi premiali (previsti nella riserva del

QCS 2000-2006), sono stati raggiunti risultati di rilievo nelle riforme settoriali relative

ai servizi idrico integrato e dei rifiuti, con la previsione di meccanismi concorrenziali

per la gestione privata su mandato del soggetto pubblico. L’impegno in questa direzione

dovrà rafforzarsi.

IV.5 Incentivi, marketing territoriale e credito

Incentivi e strumenti di sviluppo locale nelle aree sotto-utilizzate

Il riordino già avviato nel sistema degli incentivi alle imprese e degli strumenti di

sviluppo locale mirerà ad informarli ancora più decisamente ai criteri della selettività,

della premialità e della valutazione, che sovrintendono alla generalità delle politiche in

favore delle aree sotto-utilizzate. Obiettivo di tale revisione è una generale

semplificazione dei regimi di aiuto nell’ottica di migliorarne efficienza ed efficacia.

L’attuazione di questi principi è in piena armonia con l’obiettivo della riduzione

degli aiuti di Stato e il loro riorientamento verso finalità di tipo orizzontale (ricerca,

innovazione, etc.) cui gli Stati membri si sono impegnati al Consiglio Europeo di

Stoccolma. La diminuzione dell’ammontare complessivo degli aiuti in Italia è peraltro

già in atto, come documentato dallo “State Aid Scoreboard” della Commissione

Europea. Il rapporto segnala infatti, negli ultimi anni, una riduzione nel livello

complessivo degli aiuti pari allo 0,3 per cento del PIL (da 1,3 a 1 per cento)8. I criteri

della selettività, della premialità e della valutazione possono ulteriormente agevolare un

parziale e graduale “rientro” delle politiche di aiuto9, con effetti complessivi positivi per

il Mezzogiorno.

A fronte di perduranti divari di redditività degli investimenti in diverse aree del

Paese, restano tuttavia indispensabili interventi per la compensazione degli svantaggi

localizzativi, che saranno tanto più efficaci quanto più risulteranno complementari alle

azioni volte al miglioramento del contesto in cui operano i fattori produttivi.

La delibera del CIPE del 9 maggio 2003, recependo anche le sollecitazioni

provenienti dalle parti economiche e sociali, ha fissato una ripartizione in tre tipologie

dei diversi strumenti di incentivazione presenti nei due Fondi, con l’obiettivo di

garantire a ciascuno un finanziamento unitario ed equilibrato:

a) automatici, principalmente per ridurre il costo del capitale e del lavoro (credito

d’imposta generale e bonus occupazione);

8 La riduzione è pari allo 0,24 per cento (da 0,61 per cento nel periodo 1997-99 a 0,37 nel periodo 1999-

01) se si considerano gli aiuti al netto di agricoltura pesca e trasporti).

9 Si veda in proposito il “Secondo Memorandum italiano sulla riforma della politica regionale di coesione

comunitaria” disponibile sul sito uffi ciale del Dipartimento per le Politiche di Sviluppo

(www.dps.tesoro.it).

b) a bando e valutazione, per compensare le difficoltà di approvvigionamento sul

mercato del credito soprattutto delle piccole e medie imprese e delle micro-imprese

(bandi 488, prestito d’onore e franchising, imprenditorialità giovanile);

c) discrezionali e negoziali, volti a rafforzare l’imprenditoria locale o ad attrarre

investimenti dall’esterno attivando, con metodi negoziali, accordi in territori

predeterminati (contratti di programma e di filiera, Patti territoriali, contratti d’area).

Per quanto riguarda gli strumenti automatici, il riordino promosso dalla Legge

Finanziaria 2003 per porre rimedio ai grandi limiti degli strumenti è stato di recente

completato, come illustra in dettaglio il Riquadro che segue.

IL CREDITO D’IMPOSTA: INVESTIMENTI ED OCCUPAZIONE

La mancata previsione di un’istanza preventiva nella formulazione originaria

dell’art. 8 della L. n. 388/2000, istitutiva del credito di imposta per gli investimenti, ha

determinato due gravi conseguenze: l’impossibilità da parte dell’Amministrazione, per

l’assenza delle necessarie informazioni, di effettuare una verifica preventiva e

successiva sulla veridicità e fondatezza dei crediti richiesti in compensazione; la

contemporanea imprevedibilità degli effetti degli stessi sull’economia e sulla finanza

pubblica, in assenza di una conosciuta e vincolante tempistica degli investimenti.

A questi limiti si è posto rimedio con adeguati interventi correttivi, introdotti nel

corso del 2002, anche sopportando il costo di una temporanea situazione di incertezza.

Gli interventi hanno previsto la definizione dei mezzi di copertura, l’obbligo di

un’istanza preventiva e uno stringente percorso temporale per l’esecuzione degli

investimenti programmati. L’Amministrazione è stata ora messa in grado di effettuare

opportuni controlli e verifiche sugli investimenti oggetto delle agevolazioni, in modo da

aumentare l’efficacia dello strumento senza alterarne l’automaticità e di assicurare,

ove necessario, gli adeguati finanziamenti integrativi.

L’inclusione dello strumento fra le misure agevolative finanziate con i Fondi per

le aree sottoutilizzate, oltre a migliorarne l’integrazione e a riequilibrarne l’incidenza,

consente inoltre di utilizzare i meccanismi flessibili di allocazione delle risorse propri

dei Fondi. Tale possibilità sarà appropriatamente utilizzata per consentire, una volta

conclusi i controlli, di corrispondere in tempi ragionevoli ai diritti effettivamente

acquisiti dalle imprese.

Per il credito d’imposta per l’occupazione, importanti interventi di ridefinizione

hanno dato certezza alle imprese e al lavoro in relazione alla possibilità di favorire le

assunzioni aggiuntive, anche negli anni futuri.

Per l’intero territorio nazionale è stata prevista una disponibilità finanziaria

annua di 125 Meuro. L’incremento della parte di contributo aggiuntiva (300 euro

mensili) specificatamente prevista per le aree del Mezzogiorno (con la contestuale

riduzione a 100 euro mensili della quota destinata all’intero territorio nazionale) e la

previsione di una riserva di risorse esclusivamente destinate alla copertura di tale

contribuzione integrativa ha rafforzato la capacità dello strumento di creare vantaggi

di localizzazione nelle aree con maggiore disponibilità di forza lavoro inoccupata.

Per la copertura della contribuzione integrativa il CIPE, garantendo un importo

superiore all’impegno minimo assunto nella dichiarazione del 31 ottobre 2002, ha

assegnato risorse per 350, 600 e 850 milioni di euro rispettivamente per il 2003, per il

2004 e per il 2005, un analogo livello di disponibilità dovrà essere assicurato per

l’anno 2006.

Con la regionalizzazione dei Patti territoriali, questi sono passati sotto la diretta

responsabilità delle Regioni, che potranno indirizzarne le scelte in modo coerente con

altri strumenti di sviluppo locale, quali ad esempio i PIT. Un primo studio condotto su

un numero ristretto di Patti territoriali con buona capacità di spesa ha consentito di

verificare che tale strumento, in presenza di condizioni di elevata concertazione, forte

competenza tecnica e leadership politica, può produrre effetti positivi sul contesto. La

regionalizzazione è stata accompagnata dall’introduzione di criteri di selettività che

saranno ora estesi a tutte le esperienze pattizie. I Patti territoriali vengono così valutati

secondo indicatori di performance che esprimono, sia la qualità della selezione

originaria delle iniziative incluse, sia la capacità di queste ultime di realizzare gli

investimenti. È previsto un definanziamento per i patti che, trascorso un biennio dalla

disponibilità delle risorse pubbliche, non avranno erogato almeno il 25 per cento delle

risorse o avviato almeno il 50 per cento delle iniziative.

Con questo recupero di un ruolo pieno di indirizzo da parte delle Regioni, gli

strumenti di sviluppo locale in senso stretto come Patti territoriali e PIT, che si

caratterizzano per la concertazione con le parti private, potranno meglio operare per la

produzione di beni collettivi; gli incentivi a singole imprese potranno sempre più avere

un ruolo minoritario e sussidiario; le Regioni potranno concentrarsi sulla fornitura di

servizi di rete (comunicazioni, azioni di sistema per il commercio, il turismo e

l’industria, etc.) congruenti e necessarie per il successo dei progetti locali.

Nell’ambito degli strumenti discrezionali e negoziali, la prospettiva dei contratti

di programma dipende dall’esito dell’analisi valutativa chiesta dal CIPE al Ministero

delle Attività Produttive e dai risultati del Progetto Pilota sulla localizzazione produttiva

di cui al paragrafo che segue. Quanto ai contratti d’area, che vedono un tasso di

realizzazione finanziaria assai modesta (30 per cento circa) il processo di valutazione e

riordino dovrà estendersi urgentemente anche a essi.

Per quanto riguarda gli strumenti a bando e valutazione, essi dovranno essere

sottoposti a un riordino che dia maggiore certezza alle imprese, preveda un ruolo nuovo

delle banche. Importanti indicazioni potranno venire dall’Indagine conoscitiva sul

sistema industriale italiano della Commissione Attività Produttive della Camera dei

Deputati e dalla riforma prevista a livello comunitario che mira a privilegiare gli aiuti

alle piccole e medie imprese per attività di ricerca e di innovazione.

Marketing Territoriale e contratto di localizzazione

Fino ad oggi l’Italia nel suo complesso ha captato una quota degli Investimenti

diretti esteri assai ridotta (1,3 per cento del PIL nel 2001, la quota più bassa dell’intera

area UE10) e il Mezzogiorno ha ottenuto su questo terreno risultati ancor meno

lusinghieri. Tuttavia in questa area del Paese esistono sistemi economici locali che

competono anche in modo aggressivo sui mercati internazionali,11 spesso offrendo

riconoscibili vantaggi localizzativi. Un efficace piano di marketing territoriale impone

dunque un mutamento di prospettiva ed una concentrazione degli sforzi sui

“Mezzogiorni” dove massima è la possibilità di valorizazione.

È quanto mira a fare il programma operativo di marketing territoriale e il

parallelo avvio del Progetto Pilota di Localizzazione, entrambi affidati alla

responsabilità di Sviluppo Italia.

In particolare il contratto di localizzazione, che sarà avviato in via sperimentale e

sottoposto a dicembre alla valutazione del Cipe, costituirà un test per affiancare alla

componente classica di sussidio il completamento dell’infrastrutturazione materiale e

immateriale dell’area prescelta e l’assunzione di azioni per dare celerità all’azione

amministrativa. L’Accordo di Programma Quadro, nel quale si sostanzia il contratto di

localizzazione, è lo strumento che darà cogenza e verificabilità all’intervento.

Credito

La perdurante difficoltà nell’approvvigionarsi sul mercato dei capitali da parte

delle imprese meridionali, soprattutto di piccole dimensioni, è testimoniata dalle attuali

condizioni del mercato del credito nel Mezzogiorno.

Dalla seconda metà degli anni ’90, le banche operanti nel Mezzogiorno hanno

mostrato una tendenza al contenimento dei costi, al miglioramento della qualità

dell’attivo e della redditività del capitale. Tale riorganizzazione, generalmente orientata

alla “rete” e alla raccolta e comportando per converso un accentramento delle funzioni

corporate, non ha favorito il rafforzamento dei rapporti fiduciari tra banca e impresa.

Gli effetti del riassetto del sistema bancario meridionale non sembrano ancora

esplicarsi in una significativa riduzione dei divari di trattamento esistenti tra le imprese

localizzate nelle regioni meridionali e quelle del Centro-Nord. Il differenziale nei tassi

di interesse, stimato nell’ordine di 1,6 punti percentuali, secondo studi recenti potrebbe

essere imputato per 0,7 punti al maggiore peso nel Mezzogiorno delle piccole imprese e

dei prenditori individuali e alle caratteristiche settoriali delle imprese affidate; e per 0,9

punti a un’effettiva maggiore rischiosità ascrivibile a diseconomie esterne12.

Peraltro nel corso degli ultimi anni, le sofferenze nel Mezzogiorno si sono ridotte

drasticamente: tra il marzo 1998 e il dicembre 2002, il rapporto tra sofferenze e

impieghi relativo ai prestiti concessi alle società non finanziarie e alle famiglie

produttrici si è pressoché dimezzato (dal 27,3 per cento al 14,7 per cento), benché

rimanga molto significativa la distanza con i valori dello stesso indicatore nel Centro-

Nord, passato dall’8,4 per cento del 1998 al 4 per cento del 2002.

Il grado di finanziarizzazione dell’economia meridionale appare comunque assai

modesto, come testimoniato dal livello degli impieghi alle società non finanziarie e alle

famiglie produttrici rispetto al PIL, dove il divario fra le due aree del Paese è molto

forte (ancorchè in parte spiegato dalla più alta quota di sofferenze del Sud, non incluse

nel numeratore)

Si tratta in sintesi di un quadro complesso, le cui criticità il Governo intende

affrontare promuovendo: l’aggregazione, la capitalizzazione, l’organizzazione e il ruolo

dei consorzi di garanzia fidi; il riequilibrio (anche attraverso fondi di garanzia e altre

forme di ingegneria finanziaria) della struttura finanziaria delle imprese (riduzione

dell’incidenza dei debiti a breve a fronte di un più corretto ricorso al medio/lungo

termine), nonché la promozione del capitale di rischio; la condivisione, tra banche e

imprese, dei benefici connessi alla riduzione di asimmetria informativa scaturente dal

coinvolgimento degli istituti di credito nelle istruttorie delle agevolazioni pubbliche; un

più ampio ricorso a mix di aiuti che comprendano interventi sotto forma di mutuo.

V – UN ACCORDO PER RIFORME, COMPETITIVITÀ, SVILUPPO ED EQUILIBRIO FINANZIARIO

Dal quadro che emerge dai capitoli precedenti, risultano evidenti gli effetti del

ciclo economico internazionale ed europeo e il loro impatto sull’economia italiana.

Il quadro di finanza pubblica è conseguentemente complesso, tanto per effetto

delle minori prospettive di crescita, quanto per effetto delle regole concordate in sede

europea, regole che prevedono una riduzione annuale del deficit strutturale pari allo 0,5

per cento del PIL.

Questa è la logica che sta alla base dei quadri di finanza pubblica contenuti in

questo DPEF. Il Governo è consapevole della necessità di garantire il massimo di

stabilità finanziaria, su cui basare una strategia di sviluppo.

Il Patto per l’Italia è stato fondamentale per la definizione e la difesa dei grandi

interessi del Paese. Occorre continuare su questa strada, confermando e realizzando gli

impegni sottoscritti, individuando nuovi obbiettivi di sviluppo che, una volta realizzati,

potranno rendere meno stringenti gli stessi vincoli finanziari. Anche il recente “Patto

per la competitività” siglato da CGIL, CISL, UIL e Confindustria dimostra la possibilità

di trovare ampie convergenze lungo questa strada. È evidente che il punto di arrivo deve

essere un “Accordo per Riforme, Competitività, Sviluppo ed Equilibrio finanziario “

che coinvolga tutte le forze sociali e produttive e tutti i livelli istituzionali, per definire

le priorità e individuare le risorse necessarie per farvi fronte.

Di nuovo si ripresenta il legame tra riforme strutturali e sviluppo, perché le

riforme strutturali consentono di creare maggiori risorse e garantiscono quella

credibilità che costituisce la migliore garanzia per la sostenibilità di medio e lungo

periodo delle finanze pubbliche.

Occorrono un serio dialogo sociale, un forte atto di responsabilità da parte di tutte

le forze sociali e dei vari livelli istituzionali anche tenuto conto di quanto previsto nelle

intese interministeriali del 20 giugno 2002 e nella legge 131/2003 per coniugare

riforme, competitività e sviluppo.

Prima dell’inizio della sessione di bilancio, il Governo aprirà dunque un “Tavolo”

di confronto con le parti sociali e le autonomie locali, che si articolerà in tavoli settoriali

dedicati ai singoli problemi, per arrivare alla definizione di questo “Accordo” che dovrà

essere posto alla base della prossima legge finanziaria.

Questo DPEF rappresenta dunque l’avvio di un percorso, alla fine del quale

saranno individuate le priorità necessarie per coordinare riforme, sviluppo, competitività

e risorse finanziarie.

Alcune di queste linee di indirizzo sono state individuate nei programmi delle

singole Amministrazioni, programmi che saranno posti a base dell’apertura del

confronto sociale ed istituzionale.

I temi da discutere sono:

– la definizione di una nuova politica industriale ed energetica per incrementare la

competitività del Paese, promuovere la maggiore dimensione e la internazionalizzazione

delle imprese, consolidare il tessuto delle piccole e medie imprese, accrescere gli

investimenti interni e la forza di attrazione di quelli esteri, garantire la sicurezza degli

approvvigionamenti energetici, diversificandone le fonti ed abbattendone i differenziali

di costo;

– la realizzazione di infrastrutture (trasporti e logistica, telecomunicazioni, sistemi

idrici) per collegarci con il resto dell’Europa e ridurre progressivamente tanto il

differenziale tra il nostro e gli altri paesi europei, quanto i differenziali esistenti tra le

diverse parti del territorio nazionale;

– l’attuazione delle linee guida per la politica scientifica e tecnologica, assicurando

il sostegno finanziario e normativo all’innovazione ed alla ricerca sia pubblica che

privata, valorizzando il ruolo dell’Università per il raggiungimento degli obiettivi

prioritari: aumento del numero dei laureati, riduzione dei tempi per il conseguimento

della laurea, maggiore occupabilità dei laureati;

– la valorizzazione delle risorse ambientali, turistiche, culturali e delle potenzialità

produttive delle filiere agro-alimentari, anche al fine dello sviluppo diffuso ed

equilibrato del territorio, della crescita qualitativa delle produzioni e della tutela del

consumatore e dell’integrazione tra salvaguardia ambientale e promozione

dell’occupazione;

– la finalizzazione ed il pieno ed effettivo utilizzo delle risorse per le aree

sottoutilizzate – con particolare riferimento a quelle del Mezzogiorno – previste dai

fondi unici per lo sviluppo assegnati alla responsabilità del CIPE nonché di quelle

direttamente attinenti alle responsabilità dei governi locali;

– la graduale attuazione della legge di riforma dell’istruzione e della formazione

professionale, per garantire l’effettività del diritto allo studio ed il miglioramento

quantitativo e qualitativo delle opportunità di occupazione e della condizione giovanile;

– il sostegno alle pari opportunità secondo il principio del main streaming, il

contrasto alle discriminazioni e promozione dell’inclusione sociale, politiche per

incrementare la presenza delle donne nel mercato del lavoro favorendo la conciliazione

famiglia-lavoro.

– il miglioramento delle condizioni di sicurezza internazionale ed interna, quale

fattore di sviluppo, al fine di governare i flussi di immigrazione e contrastare la

criminalità organizzata e ogni altra forma di illegalità anche attraverso l’adeguamento

delle risorse a disposizione delle forze dell’ordine;

– l’accelerazione del processo di modernizzazione della pubblica amministrazione,

grazie anche al ricorso alle nuove tecnologie informatiche, finalizzando la certezza della

contrattazione ai miglioramenti di produttività;

– la riforma del welfare al fine di garantire una maggiore equità sociale, sia in

termini di distribuzione territoriale ed intergenerazionale, che in termini di rispetto del

principio di sussidiarietà orizzontale, con particolare riferimento ai valori della famiglia

e della solidarietà;

– il miglioramento del Servizio Sanitario Nazionale e della protezione della salute.