Civile
Il danno da vacanza rovinata.
Il danno da vacanza rovinata.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE III CIVILE
Sentenza 3 dicembre 2007, 24
aprile 2008, n. 10651
(Presidente
Varrone – Relatore Bisogni)
Svolgimento del processo
A. F. e G. C. agivano in giudizio
nei confronti della s.p.a. "I Viaggi del Ventaglio" deducendo di aver
acquistato un soggiorno "tutto compreso" nell’isola
di Djerba, in Tunisia, in un villaggio turistico "Ventaclub". La
vacanza era stata compromessa dalle condizioni di impraticabilità del mare
durante tutto il loro soggiorno a causa dello scarico abusivo compiuto da una
petroliera. Gli attori lamentavano la mancata adozione da parte del tour
operator di misure idonee a fornire loro servizi alternativi durante il
soggiorno e chiedevano di essere indennizzati per il danno loro derivato a
causa di tale comportamento della società convenuta.
Il Giudice di Pace di Roma, con
sentenza n. 647/00, accoglieva la domanda liquidando, in favore degli attori,
il danno nella complessiva somma per entrambi di lire 1.400.000, pari alla metà
del costo della vacanza.
Proponeva appello la società
"I Viaggi del Ventaglio" e il Tribunale di Roma, con sentenza n.
5489/03, confermava la decisione del Giudice di pace.
Il Tribunale, dopo aver rilevato
che il contratto intercorso fra le parti aveva avuto ad oggetto un soggiorno
nel villaggio balneare di Djerba della Ventatour secondo
la formula del pacchetto turistico "tutto compreso" (c.d. package
tour) e che le condizioni del mare furono durante il soggiorno compromesse in
modo gravissimo dallo scarico abusivo di una petroliera al largo della costa
tunisina, affermava che le condizioni di impraticabilità del mare avevano
comportato l’impossibilità per l’organizzatore del viaggio di fornire una parte
importante della prestazione. Riteneva infatti il
giudice dell’appello che il soggiorno aveva perso di utilità a causa delle
condizioni di impraticabilità del mare e, conseguentemente, applicava
l’articolo 12, quarto comma, del decreto legislativo n. 111 del 1995, che ha
recepito nell’ordinamento italiano la direttiva comunitaria n. 314/1990/CEE.
Secondo tale disposizione normativa, nel caso in cui, dopo la partenza, una
parte dei servizi previsti dal contratto di viaggio "tutto compreso"
non può essere effettuata, l’organizzatore è tenuto a predisporre adeguate
soluzioni alternative per la prosecuzione del viaggio programmato oppure a
rimborsare il consumatore nei limiti della differenza fra le prestazioni
originariamente previste e quelle effettuate, salvo il risarcimento del danno.
Nella specie il Tribunale ha riscontrato che l’operatore turistico non aveva adempiuto all’obbligo di attivarsi per offrire al cliente
soluzioni alternative né aveva offerto una parziale restituzione del prezzo.
Contro la sentenza del Tribunale
di Roma ricorre per cassazione con due motivi la spa I Viaggi del Ventaglio.
Si difendono con controricorso e
depositando memoria ex articolo 378 cod. proc. civ. A.
F. e G. C..
Motivi della decisione
In primo luogo va respinta
l’eccezione di inammissibilità del ricorso, ex artt. 365 e 83 c.p.c., proposta da parte dei controricorrenti con riferimento
all’autentica della procura effettuata da un avvocato non cassazionista. Sul
punto la giurisprudenza di legittimità (Cassazione civile sezione II n. 23994
del 27 dicembre 2004, Rv. 578501) ha chiarito che la mancata certificazione, da
parte del difensore, dell’autografia della firma da parte del ricorrente,
apposta sulla procura speciale in calce o a margine del ricorso per cassazione,
costituisce mera irregolarità, che non comporta la nullità della procura "ad litem", sia perché tale nullità non è comminata
dalla legge, sia perché detta formalità non incide sui requisiti indispensabili
per il raggiungimento dello scopo dell’atto, individuabile nella formazione del
rapporto processuale attraverso la costituzione in giudizio del procuratore
nominato, salvo che la controparte non contesti, con valide e specifiche
ragioni e prove, l’autografia della firma non autenticata.
Con il primo motivo di ricorso la
società "I viaggi del Ventaglio" lamenta la mancata applicazione
dell’art. 17 del decreto legislativo n. 111/1995, che prevede l’esonero del
professionista dalla responsabilità di cui agli articoli 15 e 16 del decreto,
nel caso in cui la mancata o inesatta esecuzione del contratto è imputabile al
consumatore ovvero dipende da fatto imprevedibile o inevitabile del terzo o da
forza maggiore o caso fortuito. Peraltro nella specie la ricorrente contesta
che vi sia stata esecuzione parziale del contratto dato che i signori C. e F.
hanno usufruito comunque, oltre al viaggio, dell’alloggio, del vitto e dei
servizi accessori.
Con il secondo motivo di ricorso
si lamenta l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione e si rileva in
particolare che la sentenza impugnata si contraddice laddove pur riconoscendo
il carattere eccezionale ed imprevedibile dell’evento non ne trae le logiche
conseguenze. Per altro verso rileva la ricorrente che non sono state valutate
le circostanze per cui i sigg.ri C. e
F. non hanno presentato nel corso del soggiorno alcuna lamentela e sono stati i
soli clienti che, relativamente al periodo in questione, hanno proposto
un’azione risarcitoria.
I due motivi di ricorso possono
essere esaminati congiuntamente per la loro evidente connessione logica e
giuridica.
Come è stato messo in evidenza,
sia in dottrina che in giurisprudenza, il viaggio tutto compreso (noto anche
come travel package o pacchetto turistico) costituisce un nuovo tipo
contrattuale nel quale la "finalità turistica" (o, con espressione
più generale, lo "scopo di piacere") non è un motivo irrilevante ma si sostanzia nell’interesse che lo stesso è
funzionalmente volto a soddisfare, connotandone la causa concreta e
determinando, perciò, l’essenzialità di tutte le attività e dei servizi
strumentali alla realizzazione del preminente fine del godimento della vacanza
per come essa viene proposta dall’organizzatore del viaggio (c.d. tour operator)
e accettata dall’utente (si veda in particolare Cassazione civile sezione III
n. 16315 del 24 febbraio 2007, Rv. 598453). Si è parlato nella letteratura di
commercializzazione in sé della vacanza, esprimendo, in tal modo, il rilievo
causale che assume il bene immateriale della vacanza definita dall’insieme
degli elementi che consentono all’utente di godere di un periodo di riposo e di
svago orientato su una precisa formula proposta dall’organizzatore del viaggio.
A tale ricostruzione della causa
contrattuale si è pervenuti in considerazione della ratio della disciplina
normativa di origine comunitaria (direttiva CEE/90/314) che è fortemente improntata dalle finalità di tutelare il diritto
del consumatore a fruire effettivamente della vacanza offerta sul mercato
dall’operatore turistico e di consentirgli la facoltà di recedere dal contratto
nel caso in cui la fruizione dei servizi caratterizzanti l’offerta si rendano
indisponibili sia prima che dopo la partenza. Per altro verso la disciplina di
recepimento della direttiva comunitaria, attualmente trasposta nel codice del
consumo (decreto legislativo n. 206 del 6 settembre 2005, articoli da 82 a 100), assicura agli
imprenditori la possibilità di perseguire la conservazione del contratto
mediante offerte alternative e ai consumatori l’opportunità di non subire o
ridurre il danno derivante dalla mancata o inesatta esecuzione della
prestazione che costituisce nel suo complesso il pacchetto turistico. Di
particolare rilievo, sotto questo profilo, quanto previsto
dall’articolo 91 del codice del consumo per l’ipotesi in cui, dopo la
partenza, una parte essenziale dei servizi previsti dal contratto non può
essere fornita. In tale ipotesi il quarto comma dell’articolo
91 prevede che l’organizzatore predispone adeguate soluzioni alternative
per la prosecuzione del viaggio programmato, non comportanti oneri di qualsiasi
tipo a carico del consumatore, oppure rimborsa quest’ultimo nei limiti della
differenza tra le prestazioni originariamente previste e quelle effettuate,
salvo il risarcimento del danno. Il comma successivo prevede poi che, se non è
possibile alcuna soluzione alternativa o il consumatore non l’accetta per un
giustificato motivo, l’organizzatore gli mette a disposizione un mezzo di
trasporto equivalente per il ritorno al luogo di partenza o ad altro luogo
convenuto e gli restituisce la differenza fra il costo delle prestazioni
previste e quello delle prestazioni effettuate fino al momento del rientro
anticipato.
La controversia in esame pone
alcuni problemi interpretativi concernenti specificamente le disposizioni
citate contenute nell’articolo 91.
In primo luogo va chiarita con
riferimento a tale disposizione l’estensione del concetto di servizi che
costituiscono una parte essenziale della prestazione turistica a carico
dell’organizzatore di viaggi.
In secondo luogo ci si deve
chiedere se il comportamento, cui l’imprenditore è tenuto in base alla norma in
discussione, presupponga che l’impossibilità di fornire, dopo la partenza, i
servizi costituenti parte essenziale della prestazione derivi solo da, fatto
ascrivibile all’imprenditore stesso.
Infine deve valutarsi se
l’imprenditore sia esente dall’osservanza delle prescrizioni della norma in
esame qualora l’impossibilità di fornire i servizi derivi da caso fortuito,
forza maggiore o fatto ascrivibile a un terzo che abbia i requisiti
"dell’imprevedibilità e inevitabilità.
Quanto al primo punto deve
rilevarsi che il Tribunale ha correttamente posto la questione intepretativa
che caratterizza la presente controversia rilevando che sebbene la fruizione
del mare e della spiaggia non possa essere considerata in senso stretto un
servizio turistico tuttavia è evidente che essa costituisce il presupposto di
utilità del pacchetto turistico. Da questa logica considerazione deriva che è
eccessivamente restrittiva una lettura dell’espressione servizi come
prestazioni direttamente dipendenti dall’attività e dalla struttura
imprenditoriale dell’organizzatore del viaggio. In ogni caso è eccessivamente
restrittivo, se si tiene conto della descritta ratio ispiratrice della
direttiva comunitaria, un campo di applicazione dell’articolo
12 del decreto legislativo, e attualmente dell’articolo 91 del codice
del consumo, limitato alle sole ipotesi in cui l’esecuzione del contratto è
impedita o fortemente pregiudicata da fattori che rientrino nel potere di
controllo del tour operator. Se, per esempio, si considera l’ipotesi di un
viaggio organizzato è evidente ritenere che il venir meno di una linea di
trasporto pubblico che avrebbe dovuto consentire di raggiungere una certa
località costituirà, oggettivamente, il venir meno di un servizio essenziale
per il programmato svolgimento del viaggio cui l’organizzatore dovrà comunque
supplire, ad esempio, con il ricorso a mezzi di trasporto propri o privati.
Deve ritenersi quindi logica e
coerente alla ratio della direttiva comunitaria una interpretazione
che renda applicabile la norma anche quando a venir meno non sono i servizi
riconducibili all’attività del tour operator ma piuttosto i presupposti
estrinseci della vacanza che rendono rilevanti e utili i servizi offerti dal
tour operator. Il metro di valutazione per l’applicazione della norma deve
essere quindi quello dell’utente dei servizi che ha diritto a fruire attraverso
di essi a quelle utilità tipiche del soggiorno, della
vacanza o del viaggio che il tour operator ha posto sul mercato. In queste
utilità rientrano ad esempio le possibilità di accesso alle attrattive
ambientali, artistiche o storiche che sono alla base della scelta da parte del
turista di acquistare quello specifico pacchetto turistico, sicché la impossibilità di accedere ad esse costituisce il venir
meno di un presupposto essenziale di utilizzazione del servizio che
l’organizzazione e la struttura ricettiva dell’organizzatore del viaggio
mettono a disposizione del consumatore.
Nella specie sembra rispondente a
tale interpretazione riconnettere alla fruibilità di un mare di particolare
bellezza e attrattività come quello dell’isola di Djerba il carattere di
presupposto essenziale del servizio tale da costituire una parte essenziale
della prestazione turistica perché strettamente connesso all’ubicazione e al
richiamo commerciale del villaggio presso cui era
programmato il soggiorno. Sotto questo aspetto la motivazione del giudice di
merito appare dunque congrua e conforme a una lettura della norma che tenga conto di quella rilevanza causale che la vacanza
assume nel c.d. travel package. Senza che sia possibile attribuire alcun vizio,
di insufficienza o incongruenza, alla motivazione che non ha tenuto conto né
dei mancati reclami immediati degli odierni controricorrenti, né della mancata
proposizione di azioni giudiziali da parte degli altri soggiornanti. Il disposto dell’articolo 91 del codice del consumo non
autorizza certo a prefigurare una sorta di acquiescenza del consumatore alla
mancata attivazione dell’organizzatore tale da giustificarla e renderla non
sanzionabile.
La risposta al primo quesito che
ci si è posti rende più agevole quelle ai due quesiti successivi. Infatti tali risposte sono coerenti alla prima se si ha come
punto di orientamento nell’interpretazione della disciplina comunitaria la sua
funzione ispiratrice primaria. Quella di tutelare il godimento di un bene (la
vacanza) che riveste un particolare valore esistenziale nella vita delle
persone che dedicano la maggior parte del loro tempo al lavoro. Sicché il
legislatore è intervenuto per garantire la corrispondenza fra aspettativa di
svago, riposo, evasione, apprendimento che una vacanza può fornire e offerta
commerciale proveniente dal tour operator. Ovviamente quest’ultimo non potrà
garantire, per esempio, la soddisfazione spirituale o estetica che il
consumatore si era prefigurato di trarre da quella
vacanza ma sarà tenuto a garantire i servizi che almeno teoricamente possono
attribuire quel piacere del viaggio o del soggiorno che il consumatore ha
percepito come il valore specifico e determinante dell’offerta commerciale
dell’organizzatore e, per quanto si è detto in precedenza, sarà tenuto ad
adoperarsi quando il presupposto di utilizzabilità dei servizi sia venuto a
mancare.
In questa prospettiva non vi è
alcuna ragione, né alcuna ragione testuale in particolare, per ritenere che gli
obblighi di predisporre adeguate soluzioni alternative per la prosecuzione del
viaggio programmato (non comportanti oneri di qualsiasi tipo a carico del
consumatore), oppure di rimborsare quest’ultimo nei limiti della differenza tra
le prestazioni originariamente previste e quelle effettuate, non sussistano nel caso in cui i servizi previsti non siano
fruibili per fatto non imputabile al tour operator. Quest’ultimo assume infatti un’obbligazione di risultato (cfr. Cassazione Sez.
III, Sentenza n. 21343 del 09/11/2004, Rv. 578572) con la stipulazione del
contratto di viaggio o soggiorno tutto compreso e di tale risultato è tenuto a
rispondere. Il legislatore comunitario e nazionale hanno ovviamente limitato
questa responsabilità del tour operator per renderla compatibile con il
carattere economico della sua attività. In questa prospettiva opera già
l’opzione, prevista dal quarto comma dell’articolo 91 del codice del consumo,
fra la offerta di servizi alternativi o quella del
rimborso della differenza fra prestazione originariamente prevista e
prestazione effettuata. In questa prospettiva va letto anche l’esonero di responsabilità previsto dall’articolo 96 del codice del
consumo (che riproduce il testo dell’articolo 17 del decreto legislativo n.
111/1995). Tale esonero di responsabilità non si riferisce però alla
prestazione di servizi alternativi o agli obblighi del tour operator (previsti
dall’articolo 91 per le ipotesi di modifiche delle condizioni contrattuali),
come pretenderebbe la società ricorrente, ma si riferisce invece alla
responsabilità per danni derivanti dall’inadempimento o dalla inesatta
esecuzione delle prestazioni che formano oggetto del pacchetto turistico
(responsabilità disciplinata dagli artt. 94-95 del codice del consumo).
Ne risulta quindi che la causa
dell’inadempimento, o inesatto adempimento, delle prestazioni previste nel
pacchetto turistico resta indifferente, se si ha riguardo agli obblighi e
diritti derivanti dalla disciplina delle modifiche delle condizioni
contrattuali di cui all’articolo 91 del codice del consumo. Al contrario il
tour operator non sarà responsabile per i danni ascrivibili all’inadempimento o
inesatto adempimento qualora dimostri la sussistenza
delle condizioni per l’esonero di responsabilità previsto dall’articolo 96. Una estensione della disciplina dell’esonero agli obblighi
derivanti dall’articolo 91 deve invece escludersi oltre che per ragioni
testuali anche’’per l’evidente contrasto che si verificherebbe con la ratio
della disciplina comunitaria e con lo stesso principio fondamentale sancito in
questa materia dall’articolo 38 della Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione Europea che prevede come fine istituzionale dell’Unione un elevato
livello di tutela dei consumatori. Tale elevato livello di tutela consiste
proprio, nella specie, nell’irrilevanza della causa del venir meno delle
condizioni di utilizzabilità dei servizi previsti nel contratto di soggiorno
tutto compreso e ciò al fine di impedire che eventi estranei alla
responsabilità del consumatore e del tour operator comportino l’esonero di
responsabilità di quest’ultimo per l’adempimento degli obblighi derivanti
dall’articolo 91 del codice del consumo. Esonero che comporterebbe una
ripartizione del rischio per gli eventi esterni alle specifiche prestazioni
delle parti a totale carico del consumatore. Con l’adempimento di tali obblighi
il legislatore ha invece previsto una serie di meccanismi che possono
qualificarsi come strumenti di riequilibrio della sinallagmaticità del
contratto e di tutela dell’effettività di una prestazione avente un rilevante
valore immateriale per il consumatore. La finalità e l’operatività stessa di
tali strumenti è quindi intrinsecamente incompatibile con la valutazione della
responsabilità del tour operator per la causazione di quei fattori esterni che
comportano l’inutilizzabilità o la ridotta utilizzabilità dei suoi servizi.
Il ricorso va pertanto respinto
con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali del giudizio
di cassazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e
condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione,
liquidate in complessivi euro 1.100, di cui 100 euro per spese, con spese
generali e accessori di legge.