Civile
Il comodato d’ uso immobiliare
Il comodato duso immobiliare
Cassazione Sezione terza sentenza 11 marzo 3 aprile 2008, n. 8548
Presidente Vittoria Relatore Segreto
Pm Velardi conforme Ricorrente Massarella Controricorrente Massarella ed altri
Svolgimento del processo
Con citazione notificata il 14.12.1998 Nicolino Massarella, Giuseppe Massarella e Filomena Rizzi proponevano appello davanti al tribunale di Latina avverso la sentenza n. 68/1998, con cui il pretore di Fondi aveva rigettato la domanda di rilascio di un appartamento sito in Fondi, avanzata dagli appellanti nei confronti della rispettiva zia e cognata Palmina Massarella.
Il Tribunale, con sentenza depositata il 29.7.2003, in riforma dell’appellata sentenza, accoglieva la domanda e condannava Palmina Massarella al rilascio in favore degli appellanti dell’appartamento in questione.
Riteneva il Tribunale che, con la scrittura privata intervenuta tra i fratelli Vincenzo, Domenico e Benedetto Massarella (quest’ultimo dante causa degli attori), in data 1.12.1968, con la quale essi dividevano un bene comune, i predetti disponevano che la madre e la sorella (finché nubile) avevano il diritto di abitazione “vita natural durante” in due stanze e contiguo bagno; che tanto integrava una donazione del diritto reale di abitazione e, quindi, nulla per difetto di forma, mancando l’atto pubblico, con la presenza di testi.
Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione Massarella Palmina, che ha anche presentato memoria. Resistono con controricorso Massarella Nicolino, Massarella Giuseppe e Rizzi Filomena.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente lamenta che il giudice di appello ha omesso di motivare in merito alla prospettazione del contratto in questione come di comodato per l’intera vita della comodataria, pur sollevata nella fase di merito.
2. Con secondo motivo di ricorso la ricorrente lamenta la falsa applicazione degli artt. 1803 e segg. c.c..
Secondo la ricorrente nella fattispecie non si trattava di una donazione del diritto di abitazione, bensì del comodato dell’appartamento perché esso fosse adibito ad abitazione per tutta la vita della comodataria, con la conseguenza che non era necessaria la forma scritta e che gli eredi del comodante dovevano rispettare il termine di scadenza del comodato, costituito dalla fine della vita della comodataria.
3.1. I due suddetti motivi, essendo strettamente connessi, vanno esaminati congiuntamente. Essi sono fondati.
Invero, il contratto di comodato è definito legislativamente all’art. 1803 cod. civ. come il contratto, essenzialmente gratuito, col quale una parte consegna all’altra una cosa mobile o immobile, affinché se ne serva per un tempo o per un uso determinato, con obbligo di restituire la stessa cosa ricevuta. Sulla base di questa definizione, la dottrina ha posto in evidenza tre fondamentali requisiti del comodato: la realtà, l’unilateralità, la gratuità.
È dato rilevare che, nel caso di specie, sussistono certamente i primi due requisiti, atteso che non è stato contestato che vi fu la consegna dell’appartamento dal comodante alla comodataria. Per quanto attiene al requisito dell’unilateralità, è pacifico che la comodataria soltanto abbia assunto gli obblighi di custodire e conservare (art. 1804 c.c.), nonché di restituire (art. 1809 c.c.) l’appartamento consegnatole al termine della durata del contratto, che, nel caso di specie, ha la particolarità di avere la durata stessa della vita della beneficiaria.
3.2. Quanto alla gratuità, pacifica nella fattispecie, va solo precisato che il negozio gratuito non necessariamente nasconde un atto di liberalità.
Invero, come altre volte ritenuto da questa Corte, oggetto del rapporto di comodato può ben essere anche la concessione gratuita di un’abitazione per lungo tempo o finché viva il concessionario (Cass. n. 1384 del 1957; n. 1018 del 1976; n. 511 del 1978; n. 3834 del 1980; n. 11620 del 1990; n. 9909 del 1998). La concessione in comodato di un immobile per tutta la vita del comodatario è un contratto a termine, di cui è certo l’an ed incerto il quando.
Nell’ipotesi di comodato a termine – anche se di lunga durata -stante la natura obbligatoria del contratto, gli eredi del comodante sono tenuti a rispettare il termine di durata del contratto in pendenza del quale si sia verificata la morte del comodante (v. in tal senso, con riferimento ad ipotesi di comodato destinato a protrarsi per tutta la durata della vita del comodatario, Cass. 3/11/2004, n. 21059; Cass. 17 giugno 1980, n. 3834 e Cass. 4 dicembre 1990, n. 11620, e, con riferimento ad ipotesi di comodato comunque a termine, Cass. 12 settembre 1968, n. 2927; Cass. 10 aprile 1970, n. 986; Cass. 20 marzo 1976, n. 1018; Cass. 17 giugno 1980, n. 3834).
Questo orientamento, che trova consenso nella prevalente dottrina, è da condividere, con la precisazione che gli eredi del comodante hanno pur sempre diritto – come lo aveva il comodante – di recedere dal contratto nelle ipotesi contemplate negli artt. 1804, comma terzo, 1811 e 1809, comma secondo, del codice civile. Non possono considerasi contrarie a questo orientamento nonostante la formulazione della massima ed un inciso peraltro non decisivo nell’economia della decisione – Cass. 19 aprile 1991, n. 4258, che è stata emessa in una causa nella quale si discuteva di un comodato precario e, quindi, senza fissazione di un termine, con riferimento al quale gli eredi – così come del resto il comodante – possono recedere dal contratto in ogni momento; né Cass. 24 settembre 1979, n. 4920, anch’essa resa in una causa avente ad oggetto un comodato precario; né, infine, Cass. 17 dicembre 1993, n. 12505, che si limita a richiamare le sentenze n. 4258 del 1991 e n. 4920 del 1979, soltanto al fine di ritenerle inapplicabili alla fattispecie esaminata.
Completamente priva di base normativa è la tesi dei resistenti, secondo cui, fondandosi il comodato sulla fiducia delle parti interessate, esso si estingue con la morte del comodante. La prospettata natura di contratto fondato sull’”intuitus personae” (peraltro in prospettiva bilaterale) non ha alcun aggancio normativo, né ne indicano i resistenti.
3.3. Quanto alla forma di tale contratto di comodato, va osservato che è giurisprudenza costante di questa Corte Suprema (Cass. 4/12/1990, n. 11620; Cass. 13/10/73 n. 2591; Cass. 20/3/76 n. 1018; Cass. 25/6/77 n. 2732; Cass. 23/2/81 n. 1083;) che l’onere della forma scritta nei contratti, previsto dall’art. 1350 cod. civ., non riguarda il comodato immobiliare, anche se di durata ultranovennale come nel caso di specie.
Ne consegue che la prova di esso può essere data per testi ed anche per presunzioni, in quanto dalla legge non è prescritta alcuna forma particolare.
3.4. Va, infine, rilevato con riguardo alla fattispecie in esame, che, in presenza dell’intento empirico dei tre fratelli di concedere un alloggio alla madre ed alla sorella nubile per tutta la restante vita, ove anche il contratto posto in essere sia stato di donazione del diritto di abitazione, con conseguente nullità dello stesso per difetto di forma, a norma dell’art. 1424 c.c. si verificherebbe la conversione di questo nel contratto di comodato “vita natural durante”.
4. Pertanto , in accoglimento dei motivi di ricorso, va cassata l’impugnata sentenza che non ha fatto corretta applicazione dei suddetti principi e la causa va rinviata, anche per le spese di questo giudizio di cassazione alla Corte di appello di Roma, che si uniformerà ai seguenti principi di diritto:
“È configurabile il comodato di una casa per consentire al comodatario di alloggiarvi per tutta la vita senza che perciò debba ravvisarsi un contratto costitutivo di un diritto di abitazione, con conseguente necessità di forma scritta ad substantiam”
“L’onere della forma scritta nei contratti previsto dall’art. 1350 c.c. non riguarda il comodato immobiliare, anche se di durata ultranovennale, il quale può essere provato per testi e per presunzioni”
“Nell’ipotesi di comodato a termine , quale è quello di un immobile per tutta la vita del comodatario, stante la natura obbligatoria del contratto, gli eredi del comodante sono tenuti a rispettare il termine di durata del contratto, in pendenza del quale si sia verificata la morte del comodante”.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso. Cassa l’impugnata sentenza e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte di appello di Roma.