Penale

Saturday 20 November 2004

Il cliente che riaccompagna la prostituta non commette favoreggiamento.

Il cliente che riaccompagna la prostituta non commette favoreggiamento.

Cassazione – Sezione terza penale
(up) – sentenza 14 ottobre-19 novembre 2004, n. 44918

Presidente Dell’Anno – Relatore
De Maio

Pm Izzo – ricorrente De Virgilio

Motivazione

Il Pm presso il Tribunale di
Teramo richiese il giudizio nei confronti di De Virgilio Michele e Resheteyera
Tatyana perché rispondessero, entrambi: a) del reato di cui agli articoli
110-257 Cp, perché in concorso tra di loro, all’intero
dell’autovettura Fiat Panda tg BH164KZ e in luogo aperto al pubblico
(parcheggio adiacente la ditta Vitaform, lungo la S. P. Bonifica del Tronto),
si congiungevano carnalmente, così compiendo atti osceni; il solo De Virgilio
inoltre: del rato di cui all’articolo 3 comma 8 legge 75/1958, perché, dopo
aver consumato un rapporto carnale con la Resheteyera con le modalità indicate
nel capo che precede e dopo averle consegnato la somma di lire 50.000 quale
corrispettivo della prestazione, la riaccompagnava lungo la S. P. Bonifica del
Tronto, luogo ove costei stazionava in attesa di occasionali clienti, così
favorendo la sua attività di meretricio, in Ancorano il 25 agosto 2000.

Con sentenza in data 18 dicembre
2001 il Gup di quel tribunale dichiarò non doversi procedere nei confronti dei
predetti imputati in ordine ai reati loro
rispettivamente ascritti perché il fatto non sussiste. Avverso
tale sentenza ha proposto ricorso, limitatamente alla pronuncia relativa
al reato di cui al capo b), il Pm presso il Tribunale di Teramo, il quale
denuncia, con unico motivo la violazione della norma incriminatrice (articolo 3
n. 8 legge 75/1958), in quanto non sarebbe sostenibile «che la condotta del
cliente che riaccompagna la prostituita sul luogo del meretricio sia esente da
valenza penale solo perché in tale modo l’agente non esplica direttamente una
condotta di intermediazione»; tale condotta, sempre secondo il ricorrente,
«sebbene frequente ed, anzi, assai diffusa, rappresenta, comunque, una delle
forme del favoreggiamento del meretricio, facilitanto la prostituita nel
reiterare la propria turpe condotta, in quanto si agevola la donna nel
ritornare più celermente dove la stessa potrà essere contattata da nuovi
clienti».

Il ricorso è infondato.
Questa Corte regolatrice ha già ritenuto che non integra
il reato di favoreggiamento della prostituzione la condotta del cliente della
prostituita che, prelevata la stessa dalla pubblica via e consumato il rapporto
sessuale, la riaccompagni nello stesso luogo ove con la propria auto l’aveva
prelevata; e ciò non già perché il cliente non possa, in astratto, rendersi
egli stesso responsabile del detto reato (realizzando, in posizione di terzietà
comportamenti ulteriori rispetto alla semplice instaurazione del rapporto con
la prostituta), ma piuttosto perché il semplice riaccompagnamento della donna
non è un comportamento dotato di automa rilevanza ai fini penali, ma si pone
piuttosto come un elemento accessorio rispetto al rapporto, penalmente lecito,
di meretricio (Sezione terza, 16536/01, Mozzanti, alla quale si rimanda e i cui
principi vengono qui, nella sostanza, riproposti). In effetti, il reato di
favoreggiamento della prostituzione si qualifica: a) per la posizione di
terzietà, nei confronti dei soggetti necessari (prostituita e del cliente),
della figura del favoritore; b) per l’attività di intermediazione
tra offerta e domanda che consenta la realizzazione delle condizioni (o anche
ne assicuri la permanenza) perché all’offerta e alla domanda consegua la
formazione dell’accordo: ciò significa che il futuro accordo deve rientrare
nella prospettiva del favoritore. Tali connotazioni sono, con ogni evidenza,
estranee alla figura del cliente che si limiti a riaccompagnare la prostituita
sul luogo di lavoro, condotta chiaramente correlata all’esigenza della
consumazione del rapporto in un luogo diverso da quello dell’incontro.

La tesi del ricorrente, inoltre,
si scontra con il rilievo che con la stessa viene
posta una inammissibile scissione nella condotta del cliente, nel senso che,
essendo indiscutibile la liceità penale – almeno ai fini della legge 75/1958 –
del rapporto tra lo stesso e la prostituta, dovrebbe invece essere considerato
rilevante ai fini penali il segmento costituito dal riaccompagnamento di
quest’ultima nel luogo dell’adescamento (in quanto le consente “un più rapido
rientro”), e ciò nonostante tale segmento abbia carattere accessorio rispetto
al rapporto sessuale. Una siffatta scissione del comportamento non è consentito dalla logica giuridica e, prima ancora, dal
comune buon senso, proprio per il carattere accessorio e conseguenziale del
riaccompagnamento; tali caratteristiche della condotta rendono irrilevanti, ai
fini della risoluzione della questione, la natura a forma libera del reato e la
configurazione dell’elemento soggettivo come dolo generico.

In altri termini il
riaccompagnamento, in mancanza di un precetto penale che lo vieti, rientra in
una linea di normalità della condotta, non suscettibile di valutazione avulsa
dal contesto, nel quale è privo di qualsiasi connotato
di illiceità.

Ancora più decisiva, ai fini della reductio ad absurdum della tesi dell’accusa è la
considerazione che, se essa fosse fondata, il cliente che volesse essere
rispettoso della legge penale (e sicuro di non incorrere nell’incriminazione
per favoreggiamento della prostituzione) sarebbe colui che abbandonasse la
prostituita nel luogo più assolato e più impervio, a costo di metterne in
pericolo l’incolumità fisica.

Neppure trascurabile è, da
ultimo, il rilievo, statistico ma con implicazioni sul
piano giuridico, che la tesi dell’accusa non sia mai stata accolta e, per
quanto risulta, neppure sostenuta, per oltre 40 anni dall’entrata in vigore
della legge Merlin (la prima decisione di questa Corte su una fattispecie
analoga a quella in esame è quella citata del febbraio 2001). Al riguardo, non
varrebbe parlare di appiattimento degli organi
inquirenti su posizioni tralaticie, ma piuttosto di uniforme e costante
interpretazione dottrinale e giurisprudenziale, rispetto alla quale
l’improvvisa criminalizzazione di comportamenti di massa, senza che vengano
addotte modifiche del quadro normativo e senza che possa ipotizzarsi una
evoluzione del costume sociale, costituirebbe violazione di principio di
stretta legalità sancito dagli articoli 25 comma 2 Costituzione e 2 Cp.
Infatti, non è consentito all’interprete introdurre nuove ipotesi di reato,
neppure se ciò avvenga per finalità apprezzabili,
spettando esclusivamente al legislatore l’emanazione di nuove norme che,
criminalizzando comportamenti che la collettività e il buon senso hanno
costantemente ritenuto leciti, possano fronteggiare fenomeni che altra parte
della collettività consideri di apprezzabile rilevanza e di crescente gravità.

È, infine, opportuno rilevare
che, in base alle considerazioni fin qui svolte, è di tutta evidenza che il
cliente potrebbe rendersi responsabile del reato di cui si discute solo ponendo
in essere una condotta ulteriore rispetto a quella di
mero riaccompagnamento, che concretizzi una intermediazione agevolatrice svolta
in posizione di terzietà; ma è altrettanto evidente che, in siffatta ipotesi,
il cliente si renderebbe responsabile di favoreggiamento non in quanto tale, ma
in ragione, per l’appunto, di una condotta diversa e ulteriore.

Deve, pertanto, concludersi che, non essendo condivisibili i rilievi del
ricorrente, il ricorso va rigettato.

PQM

La Corte rigetta il ricorso del
Pm.