Penale
I presupposti per la ricusazione del Giudice nella sentenza 2542 della Cassazione. Suprema Corte di Cassazione, Sezione Sesta Penale
I presupposti per la ricusazione del Giudice nella sentenza 2542 della Cassazione
Suprema Corte di Cassazione, Sezione Sesta Penale, sentenza n.2542/2004
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE VI PENALE
SENTENZA
FATTO E DIRITTO
C. P. ricorre per cassazione avverso l’ordinanza in data 29/5/2003 della Corte di appello di Milano che ha dichiarato inammissibile la dichiarazione di ricusazione presentata dal ricorrente il 26/5/2003.
Con il primo motivo di ricorso si deduce l’inosservanza e l’erronea interpretazione della legge processuale penale nonché la violazione di legge e la manifesta illogicità dell’ordinanza impugnata.
In premessa il ricorrente richiama sinteticamente i contenuti della dichiarazione di ricusazione presentata il 26/5/2003, nella quale si stigmatizzava l’ordinanza emessa dal Tribunale di Milano, Prima sezione penale (Presidente Ponti, giudici a latere Brambilla e D’Elia) che aveva respinto la richiesta difensiva volta ad una effettiva ed integrale discovery degli atti contenuti nel fascicolo n. 9520/95 non depositati all’attenzione degli imputati nel procedimento n. 870/00 c.d. Sme- Ariosto e si traeva dal comportamento del collegio milanese chiara riprova di una grave inimicizia nei suoi confronti.
Tanto premesso il ricorrente lamenta che la Corte di appello di Milano abbia deciso di dichiarare inammissibile la sua ricusazione riscontrando in essa due distinti profili di tardività: il primo, rappresentato dal deposito dell’istanza di ricusazione il 26/5/2003, e cioè tre giorni dopo l’udienza del 23/5/2003, nella quale era stata data lettura dell’ordinanza del Tribunale individuata come espressione e riprova di un atteggiamento di grave inimicizia nei confronti dell’imputato P.; il secondo, costituito dal più grave ritardo nel deposito dell’istanza di ricusazione rispetto ad una precedente ordinanza del Tribunale del 16/5/2003 che aveva già respinto la richiesta di discovery del contenuto del fascicolo n. 9520/95.
In ordine al primo profilo di tardività il ricorrente sostiene che la Corte d’appello di Milano ha errato nell’interpretare il secondo comma dell’art. 38 c.p.p. [1] in quanto, per termine dell’udienza, entro cui si deve proporre la ricusazione sorta o divenuta nota durante l’udienza stessa, non si deve intendere la fine della singola sessione d’udienza in programma in un dato giorno, ma, bensì, la cessazione della fase dibattimentale, di modo che la ricusazione deve considerarsi sempre tempestiva qualora venga presentata tra una sessione e l’altra del dibattimento (a sostegno di tale interpretazione viene citata la ricorrente Cass., I Sez., 13/11/92, ric. Durante).
Inoltre, anche a voler ammettere che per termine dell’udienza si debba far riferimento alla singola sessione e non al dibattimento nella sua interezza, occorre che l’interessato abbia l’effettiva possibilità di avanzare la sua richiesta entro tale ristrettissimo termine.
Possibilità che non vi è stata sia perché il P. non era presente in aula il 23/5/2003 e non poteva perciò proporre con immediatezza l’istanza di ricusazione (che è atto personalissimo della parte interessata, a meno che non venga nominato all’uopo un procuratore speciale) sia perché l’ordinanza de quo è stata emessa alle ore 13,25 del 23/5/2003, orario in cui sono chiuse al pubblico le cancellerie.
Da tale situazione non può che discendere, secondo il ricorrente, la reviviscenza e la concreta applicabilità al caso in esame del termine generale di tre giorni per la presentazione dell’istanza di ricusazione previsto dal 2° comma dell’art. 38 c.p.p.
In ordine al secondo profilo di tardività il ricorrente contesta l’assunto della Corte d’appello secondo cui tra le due ordinanze della Prima sezione del Tribunale di Milano del 16 e del 23 maggio 2003 non vi sono sostanziali differenze.
Al contrario, nella seconda ordinanza del 23 maggio, vi è un quid novi rivelatore della grave inimicizia nei confronti dell’imputato e cioè l’affermazione del collegio, non rispondente al vero, che la giurisprudenza della Corte di cassazione in tema di art. 416 e 178 c.p.p., segnalata dalle difese, non è in contrasto con le decisioni del Tribunale.
Circostanza, questa, nella quale è dato di ravvisare la grave inimicizia lamentata dal ricorrente.
Nelle sue conclusioni scritte il Procuratore generale presso la Corte di cassazione chiede il rigetto del ricorso sostenendo che i motivi dell’impugnazione sono infondati.
Quanto alla prima ragione di inammissibilità l’ufficio osserva che, ai sensi dell’art. 38, 2 comma, 2 parte, c.p.p., l’istanza di ricusazione avrebbe dovuto essere presentata prima del termine dell’udienza del 23/5/2003 in quanto la causa di inammissibilità è divenuta nota nel corso di tale udienza.
Si afferma poi che non è condivisibile l’interpretazione data dal ricorrente dell’espressione termine dell’udienza in ragione dell’inequivocabile dato letterale e del più recente indirizzo della giurisprudenza della Corte di cassazione secondo cui udienza è da intendere come unità quotidiana di lavoro con esclusione della possibilità di farla coincidere con il dibattimento (Cass., I Sez., 24/6/1999, n. 4464, Gasperoni e prec. conformi).
Irrilevante ai fini del rispetto del termine perentorio per la ricusazione è poi il fatto che l’imputato non fosse presente all’udienza del 23/5/2003; e ciò sulla base di un consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo cui il legislatore, nel prevedere l’ipotesi che la causa di ricusazione sia divenuta nota nel corso dell’udienza, ha inteso riferirsi ad una situazione obiettiva di pubblicità, collegata non alla reale conoscenza ma soltanto alla sua conoscibilità con l’ordinaria diligenza (Cass., II Sez., 15/2/2002, ric. Addis).
Infine, quanto alla seconda ragione di inammissibilità l’ufficio afferma che è corretta la considerazione della Corte di appello di Milano secondo cui l’ordinanza del Tribunale del 32 maggio conferma e ribadisce i contenuti di una precedente ordinanza del 16 maggio; onde a tale prima ordinanza si deve far riferimento per individuare il momento in cui l’imputato ha avuto conoscenza di quanto ha poi invocato con causa di ricusazione, a nulla rilevando che nel provvedimento del 23 maggio sia stato espresso il convincimento della conformità dell’ordinamento del Tribunale alla giurisprudenza della Corte di cassazione.
Ad avviso del collegio le conclusioni del Procuratore generale vanno accolte perché esse sono state formulate sulla scorta di una attenta ricognizione dei precedenti giurisprudenziali e si conformano alla consolidata giurisprudenza di questa Corte in tema di termini per la presentazione per la ricusazione.
In numerose pronunce, infatti, il giudice di legittimità ha chiarito che la disposizione di cui all’art. 38, s comma, c.p.p. (secondo la quale se la causa di ricusazione è sorta o è divenuta nota durante l’udienza, la relativa dichiarazione deve essere in ogni caso proposta entro il termine dell’udienza) va intesa nel senso che la legge ha voluto imporre alla parte interessata di presentare l’atto il medesimo giorno in cui la causa di ricusazione è sorta o si è manifestata, anche al fine di impedire che il processo prosegua con uno o più giudici che si trovano nelle condizioni di cui all’art. 37 c.p.p. (Cass., II, sent. n. 2933 del 26/6/1996; v. anche Casss., VI, sent. 4/6/1998).
In altri termini il concetto di udienza nell’art. 38 c.p.p. deve essere inteso come unità quotidiana di lavoro svolto alla presenza delle parti nel singolo procedimento, che può esaurirsi in una sola udienza ovvero protrarsi per più udienze, sino alla chiusura del dibattimento (Cass., VI, sent. n. 424 del 5/2/1998; Cass., I, sent. n. 4464 del 24/6/1999).
L’orientamento giurisprudenziale che identifica l’udienza di cui all’art. 38 c.p.p. nella unità quotidiana di lavoro si è dunque definitivamente consolidato ed è nettamente prevalente rispetto al diverso indirizzo, peraltro risalente nel tempo, che considerava il termine udienza come sinonimo di dibattimento.
Il collegio ritiene di dover aderire all’interpretazione ormai consolidata in ragione della sua aderenza alla lettera della legge e della sua precisa rispondenza al significato normalmente attribuito al termine udienza tanto nel linguaggio tecnico quanto nell’uso quotidiano.
Sotto altro profilo l’assenza dell’imputato all’udienza del 23/5/2003, nel corso della quale sarebbe sorta o divenuta nota la causa di revocazione, è da ritenere irrilevante ai fini del rispetto del termine perentorio per la ricusazione sia per la mancanza di una previsione normativa al riguardo sia perché il legislatore, nel prevedere l’ipotesi che la causa di ricusazione sia divenuta nota nel corso dell’udienza, ha inteso riferirsi ad una situazione obiettiva di pubblicità, collegata non alla reale conoscenza ma soltanto alla sua conoscibilità con l’ordinaria diligenza (Cass. II Sez., 15/2/2002, ric. Addis).
Ve infine ricordato che questa Corte ha più volte ritenuto manifestamente infondate eccezioni di legittimità costituzionale dell’art. 38 c.p.p. prospettate in relazione agli artt. 3 e 24 Cost., non ravvisano la menomazione del diritto di difesa nell’esercizio di precisi limiti temporali all’esercizio della facoltà di ricusazione e sottolineando, da un lato, che il legislatore ben può assoggettare la parte all’onere di provvedere tempestivamente in ragione della esigenza di disciplinare lo svolgimento del processo in vista di una sua sollecita definizione (Cass., VI, sent. n. 474 dell’11/2/1998) e, dall’altro, che il termine mira ad impedire che la ricusazione possa essere utilizzata per scopi strumentali e diversi rispetto alla ratio dell’istituto e che possano permanere, senza limiti di tempo, sospetti sulla imparzialità del giudice (Cass., I, sent. n. 10136 del 5/12/2000).
Le considerazioni fin qui svolte inducono il collegio a rigettare il ricorso nella parte in cui si riferisce al primo profilo di tardività dell’istanza di ricusazione il 26/5/2003, e cioè tre giorni dopo l’udienza del 23/5/2003, nella quale era stata data lettura dell’ordinanza del Tribunale individuata come espressione e riprova di un atteggiamento di grave inimicizia nei confronti dell’imputato P.
Per effetto di tale decisione risultano superate ed assorbite le censure formulate dal ricorrente in ordine al secondo profilo di tardività della sua istanza di ricusazione, individuato dalla Corte del Tribunale di Milano del 16 e del 23 maggio 2003.
Il ricorso va pertanto rigettato ed il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali.
PQM
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Depositata in Cancelleria il 24 gennaio 2004.