Imprese ed Aziende

Wednesday 09 July 2003

I poteri del socio accomandatario nella s.a.s. secondo la Suprema corte

Cassazione Sezione prima civile

sentenza 27 novembre 2002

4 luglio 2003, n. 10563

Presidente De Musis relatore Plenteda

Pm Golia conforme ricorrente Anselmi

controricorrente Banca Popolare di Milano Società Cooperativa Arl

Svolgimento del processo

Il 7 luglio 1995 Anselmi Agostino convenne dinanzi al Tribunale di Milano la Banca Popolare di Milano, perché fosse accertata la sua responsabilità per la mancata esecuzione di un ordine di acquisto a termine di dieci milioni di marchi tedeschi.

La banca eccepì che lAnselmi non era legittimato a far valere i diritti esercitati, di essi essendo titolari alcune società delle quali egli era socio; nel merito resistette alla domanda.

Nel giudizio intervennero tre società, la Gavo sas, la Edilgamma sas e la Tecnobeta srl, che proposero le domande dellattore.

Di tali interventi la convenuta eccepì la tardività.

Il tribunale con sentenza 13.11.1997 respinse le domande e condannò attore e intervenute al pagamento delle spese processuali; condannò inoltre lAnselmi al risarcimento del danno da responsabilità processuale.

La sentenza, appellata dalle società Gavo ed Edilgamma e dallAnselmi, è stata confermata dalla Corte di Appello di Milano, che ha escluso la legittimazione attiva dellAnselmi e la esistenza della prova dei fatti dedotti dagli appellanti, negando ingresso alla prova per testi richiesta, avuto riguardo al disposto dellarticolo 2721 Cc, in relazione allelevato valore della controversia, pari a circa dieci miliardi di lire, nonché tenuto conto della insufficienza dellarticolato di prova.

Alle altre circostanze di fatto dedotte a sostegno del riconoscimento di responsabilità della Banca, la corte di merito ha opposto un giudizio di genericità ed inconcludenza.

Quanto, infine, al capo, pure censurato, della responsabilità processuale aggravata  addebitata

allAnselmi, la Corte ha ritenuto che le di lui osservazioni incidentali, sulla ingiusta affermazione della sua malafede, non si fossero tradotte in richieste di riforma della sentenza.

Hanno proposto ricorso per cassazione Anselmi Agostino e la società Gavo, con tre motivi; ha resistito con controricorso la Banca Popolare di Milano.

Entrambi hanno depositato memorie; lAnselmi ha eccepito la inammissibilità del controricorso, per difetto di procura alle liti, in quanto conferita da soggetto non abilitato a rappresentare lIstituto di credito.

Motivi della decisione

Con il primo motivo ì ricorrenti denunziano la violazione e falsa applicazione degli articoli 2721, 2724 n. 2, 2729 e 2735 Cc.

Premesso che il contratto per cui è causa non richiede la forma scritta, rilevano che la inverosimiglianza logica della ricostruzione di controparte e le sue ammissioni avevano confermato la avvenuta conclusione del negozio e deducono che nessuna eccezione essa aveva sollevato con riguardo alla applicazione dellarticolo 2721 Cc, che nemmeno il giudice di primo grado aveva considerato, sicché, trattandosi di eccezione in senso proprio, non poteva la inammissibilità della prova essere rilevata dufficio, essendo il limite fissato dallarticolo 2721 Cc posto nellinteresse delle parti, le quali possono consentirne la deroga, anche implicitamente, come quando non eccepiscano tempestivamente la inosservanza del precetto.

Non ammettendo la prova testimoniale, il giudice del gravame aveva anche violato larticolo 2724 n. 2 Cc essendosi il ricorrente trovato nella impossibilità materiale di procurarsi la prova scritta. La prova orale troverebbe giustificazione nei particolari rapporti inter partes, essendo prassi consolidata da anni che gli ordini venissero impartiti da lui ed accettati dalla Banca per via telefonica; e la sentenza sul punto aveva mancato di motivare in ordine alla applicazione dellarticolo 2721 Cc.

Lamentano, inoltre, i ricorrenti che il giudice non abbia ammesso la prova testimoniale su circostanze diverse dalla conclusione del contratto e precisamente sulle espressioni diffamatorie nei confronti dellAnselmi, nel corso di colloqui con funzionari di banca, che avrebbero giustificato la pretesa risarcitoria del danno alla sua immagine, nei confronti agli altri istituti di credito.

Ancora si dolgono dell apprezzamento compiuto con riguardo alle registrazioni fonografiche delle dichiarazioni di funzionari di banca, che confermavano la corrispondenza al vero di quanto dallAnselmi sostenuto, che i giudici di merito avevano escluso potessero vincolare lente, non essendone essi rappresentanti legali, benché come tali si fossero comportati.

La motivazione della sentenza impugnata sarebbe sul punto contraddittoria, giacché le deduzioni istruttorie non miravano a fondare la responsabilità della banca, ma a chiarire il fatto storico dellordine e della sua accettazione da parte dellistituto di credito; al contrario di quanto ritenuto dalla corte di merito che non aveva ammesso la prova testimoniale, perché basata su quanto i testi presenti alla conversazione telefonica avevano sentito dire da lui, senza che il capitolo avesse fatto riferimento al contenuto delle risposte date per telefono dai funzionari di banca nel capitolo terzo contenuto nellatto di citazione si era dedotto «che loperazione veniva richiesta con immediata operatività e comunque entro la giornata di venerdì 11.9.1992, in ragione dellevolversi dei rischi monetari in corso»; e a rispondere sul capitolo era stato chiamato il funzionario della banca destinatario della telefonata.

Con il secondo motivo i ricorrenti denunziano la violazione dellarticolo 360 n. 5 Cpc, con riferimento alla pretesa mancanza di legittimazione dellAnselmi.

Censurano la sentenza impugnata, laddove afferma che loperazione era stata ordinata dalle due società rappresentate da esso Anselmi, senza considerare che egli stesso, quale accomandatario delle società, aveva avuto un interesse diretto ad agire per il risarcimento del danno subito, avendo linadempimento della banca causato una consistente diminuzione del patrimonio sociale, con incremento delle perdite, delle quali egli sarebbe stato chiamato a rispondere illimitatamente. E ciò a prescindere dal fatto che le società interessate nelle operazioni si erano ritualmente costituite in giudizio.

Con il terzo motivo, la censura è riferita alla omessa pronunzia sulla domanda degli appellanti relativa alla condanna di esso Anselmi per responsabilità processuale aggravata, in violazione degli articoli 112 e 346 Cpc.

Deduce lAnselmi di avere con latto di appello espressamente contestato tale condanna, sicché errata sarebbe la sentenza impugnata laddove afferma che le osservazioni incidentali dellappellante sulla ingiusta affermazione della sua malafede non si sono tradotte in richiesta di riforma dellautonomo capo della impugnata sentenza, contenente la condanna al pagamento dei danni da responsabilità processuale, e non sono quindi suscettibili di autonoma valutazione.

È infondata la eccezione del ricorrente, riferita al difetto di rappresentanza della Banca intimata, che avrebbe reso inammissibile il controricorso.

Va, intanto, rilevato che nei gradi di merito la Banca Popolare di Milano fu rappresentata, come peraltro risulta dalla epigrafe della sentenza impugnata, dal direttore centrale avvocato Gianfranco Toni e dal capo area contenzioso dr. Stefano Stefani  gli stessi che lhanno rappresentata in questo grado di legittimità ~ senza che fosse stata mossa a riguardo osservazione alcuna.

Ne consegue che lammissibilità dellatto difensivo non possa essere messa in discussione sotto il profilo del difetto del potere di rappresentanza, una volta che le persone fisiche abbiano esercitato tale potere nelle pregresse fasi del processo, senza opposizione di controparte, che anzi ha preso posizione sulle altre questioni, sì da realizzare un impulso processuale idoneo alla pronuncia, impostando un sistema difensivo fondato su circostanze logicamente incompatibili con il disconoscimento del potere rappresentativo (Cassazione Sezioni unite, 5139/97; Cassazione 1213 e 5699/99; 10247/98; 2661/96; 12218/90).

La controricorrente ha comunque depositato nella udienza di discussione una procura notarile in data 16.5.2000, con cui il Presidente del Consiglio di amministrazione della Banca, a ciò abilitato dallorgano collegiale, aveva conferito procura speciale a Toni Gianfranco e Stefani Stefano, affinché, a loro volta, nominassero procuratori speciali alle liti, ai sensi dellarticolo 83 Cpc, nellinteresse della Banca mandante, in tutte le procedure giudiziali.

I motivi di ricorso sono privi di fondamento e vanno disattesi.

Il primo è articolato su plurimi profili, nessuno dei quali merita di essere condiviso.

Sì deduce: 1) che il contratto, del cui inadempimento i ricorrenti si dolgono, per il quale non è richiesta la prova scritta, risulti provato dalle ammissioni di controparte; 2) che comunque esso fosse suscettibile di essere provato per testimoni, non potendo di ufficio essere rilevata la inammissibilità del mezzo istruttorio ratione valoris, in difetto di eccezione di parte; 3) che, peraltro, la prova orale era consentita dalla circostanza che i ricorrenti erano stati nella impossibilità di procurarsi quella scritta, e lo era ancora più, in quanto rivolta a dimostrare la esistenza di espressioni diffamatorie a carico dellAnselmi, profferite da funzionari della Banca che si erano comportati come suoi rappresentanti legali giustizicatrici della pretesa risarcitoria.

Si deduce, ancora, la contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata, allorché, nel rigettare la istanza di prova testimoniale, non aveva considerato che nel capitolo articolato la richiesta delloperazione controversa era stata circostanziata in termini precisi e con il carattere della immediatezza e si era indotto a testimone il funzionario destinatario della richiesta telefonica.

Quanto al primo aspetto, la deduzione circa le ammissioni di controparte, in ordine alla esistenza del contratto, è apodittica, essendo mancata la indicazione del loro specifico tenore, dellatto difensivo da cui sarebbero state desunte, del contesto logico nel quale sarebbero state rinvenute.

Quanto, invece, ai successivi profili, tutti vertenti sulla ammissibilità della prova orale, è assorbente di ogni questione sia di quella che afferisce alla irrilevabilità di ufficio della eccedenza del valore delloggetto, rispetto al limite dellarticolo 2721 Cc, sia di quella relativa alla supposta impossibilità materiale di procurarsi la prova scritta la circostanza che sia mancata nel ricorso la articolazione dei capitoli, attraverso i quali verificare la decisività e rilevanza dei fatti dedotti, insufficiente appalesandosi la riproduzione del terzo capitolo contenuto in citazione, con il quale si è evidenziato che loperazione era stata richiesta per la data dell11.9.1992, essendo essa avvenuta in violazione del principio di autosufficienza del ricorso al di fuori dellintero contesto delle circostanze di fatto, dal quale sarebbe stato possibile desumere che tale richiesta era stata riscontrata, sì da produrre il vincolo della cui esistenza e del cui inadempimento si controverte (Cassazione 11386 e 4684/99;72/1998;7177/997; 3356/93).

Né rileva, contrariamente a quanto assumono i ricorrenti nella memoria difensiva ex articolo 378 Cpc, che le circostanze predette siano state riferite nella narrativa del ricorso, che precede la esposizione dei motivi; in essa, infatti, è contenuto lo sviluppo complessivo di tutte le vicende che hanno riguardato i rapporti dellAnselmi con la Banca Popolare di Milano, che ha impegnato ben sette fogli dattiloscritti dellatto introduttivo; sicché laffermazione che in essa fossero contenuti i fatti da provare non giova a rendere ammissibile la censura, giacché nessun richiamo a specifici passaggi di quella ricostruzione è contenuto nel motivo di gravame, al punto che, ove si aderisse alla tesi prospettata, la specificazione di essi finirebbe per restare affidata al giudice, in luogo di essere atto di parte.

Senza fondamento è anche il secondo motivo.

Ha negato la corte territoriale la legittimazione dellAnselmi allazione proposta, sul rilievo che loperazione per cui è causa, secondo lo stesso assunto di parte, era stata ordinata in nome e per conto delle due società da lui rappresentate, una delle quali, la Gavo sas, è ricorrente, al pari dellAnselmi in proprio.

A fronte di tale puntuale risposta al motivo di appello, la censura, che invoca larticolo 360 n. 5 Cpc manca di indicare in cosa consista il vizio motivazionale; mentre la deduzione che anche esso Anselmi, quale socio accomandatario delle società che avevano ordinato loperazione, e a risultare inconferente, in quanto pone in discussione la statuizione della corte di merito sulla titolarità dellazione che, essendo stata proposta in termini di responsabilità contrattuale, non poteva che spettare alla parte del negozio e cioè alle società è comunque assorbita dalle conclusioni raggiunte sul primo motivo di ricorso, che attengono alla fondatezza dellazione stessa.

Senza pregio è, infine, il terzo motivo.

Contrariamente allassunto dellAnselmi, che la sentenza impugnata abbia omesso di pronunziare sullappello, che aveva investito la proposta condanna per responsabilità processuale aggravata, la corte territoriale ha considerato che, in luogo di una specifica impugnazione, egli si fosse limitato a svolgere osservazioni incidentali sullingiusta affermazione della sua malafede, senza essere assunte in richieste conclusive di riforma dellautonomo capo della sentenza.

Posto che questultima circostanza non è contestata e che irrilevante è, per la sua genericità, la richiesta di riforma integrale della sentenza impugnata, per il principio di specificità dei motivi di impugnazione, che qualificano lappello non integralmente ed automaticamente devolutivo, il problema proposto, erroneamente condotto sotto il profilo della violazione dellarticolo 112 Cpc  e incomprensibilmente sotto quello della viola2ione dellarticolo 346 Cpc è in realtà di interpretazione della deduzione di parte, la quale, investendo lapprezzamento della ampiezza e del contenuto della domanda, comporta un tipico accertamento di fatto, come tale attribuito al giudice di merito e sottratto al sindacato di legittimità, ove risulti, come nella specie, motivato adeguatamente sul piano logico giuridico (Cassazione 4064 e 3678/99; 10101/98).

Le spese del processo seguono la soccombenza e si liquidano in euro 10.100,00, di cui euro 100 per esborsi e euro 10.000,00 per onorari, oltre alle spese generali come per legge.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali in euro 10.100,00, di cui euro 100 per esborsi e euro 10.000,00 per onorari, oltre alle spese generali come per legge.