Civile

Saturday 17 November 2007

I crediti derivanti da un unico rapporto vanno azionati unitariamente.

I crediti derivanti da un unico
rapporto vanno azionati unitariamente.

Cassazione – Sezioni unite civili – sentenza 23 ottobre – 15 novembre 2007, n.
23726

Presidente Carbone – Relatore
Morelli

Pm Nardi – conforme – Ricorrente
Autocori Ditta Srl – Controricorrente Demaca Snc

Fatto e diritto

1. Con quattro distinti ricorsi
(R.G. nn. da 13142 a 13145/05), la Autocori s.r.l. ha
impugnato per cassazione le sentenze da n. 28 a 31 del 28 febbraio 2005, con le quali il
Giudice di pace di Giulianova – in parziale accoglimento di altrettanti
opposizioni proposte dalla Demaca s.n.c. avverso i decreti ingiuntivi
(dell’importo, rispettivamente, di euro 825,70, euro 902,80, euro 985,60 ed
euro 984,00) emessi in favore di essa società ricorrente – ha confermato, nel
merito, la condanna della medesima opponente al pagamento delle somme portate
dai singoli provvedimenti monitori, previa revoca, però, dei decreti opposti –
dichiarati nulli in condivisione della tesi della Demaca, per cui sarebbe stato
contrario a buona fede e correttezza da parte della società opposta aver
chiesto ed ottenuto un distinto decreto ingiuntivo per ogni fattura (o gruppo
di fatture) non pagata, ben potendo essa chiedere un solo decreto ingiuntivo
per la totalità del preteso credito – ed ha compensato, quindi, le spese di
lite, in ragione appunto della reciproca soccombenza.

Con i due motivi, di cui si
compone ciascuno dei quattro riferiti ricorsi la Autocori,
rispettivamente, denuncia ora violazioni di legge (artt. 1175, 1374, 1181 c.c.; 633 c.p.c.) e vizi di motivazione, sostenendo che il G.
di p. abbia, in primo luogo, errato, in linea di principio, con il ritenere
contraria a correttezza e buona fede la parcellizzazione in plurime e distinte
domande di un unico credito pecuniario; ed abbia altresì, in fatto, poi del
pari errato nel non rilevare che, nella specie, non si trattava comunque di un
unico credito ma di crediti distinti e diversi per ciascuna fattura posta a
base delle istanze monitorie.

Resiste in tutti i giudizi, la Demaca, in ciascuno
preliminarmente eccependo l’inammissibilità del ricorso avversario, sul rilievo
che, alla domanda azionata in sede monitoria dalla Autocori s.r.l., si sarebbe aggiunta quella risarcitoria da essa proposta,
con superamento, quindi, del limite di valore delle controversie entro il quale
soltanto sarebbe possibile ricorrere direttamente per cassazione.

Con ordinanza interlocutoria 21
maggio 2007 della Sezione III, i quattro giudizi, previa loro riunione, sono
stati rimessi al Primo Presidente che li ha quindi assegnati a queste Sezioni
unite, per risolvere la questione di massima – sottesa al primo motivo dei
ricorsi, e ritenuta comunque di particolare importanza – "se sia
consentito al creditore chiedere giudizialmente l’adempimento frazionato di una
prestazione originariamente unica, perché fondata sullo stesso supporto".

2. Per la sua natura
pregiudiziale, va, però, esaminata preliminarmente la formulata eccezione di
inammissibilità dei ricorsi.

La quale non è però fondata.

E ciò per l’assorbente
considerazione che l’istanza risarcitoria, formulata dalla Demaca nei giudizi a
quibus in ragione della dedotta "malafede processuale" ravvisata nel
frazionamento del credito operato, da controparte, non è altrimenti
configurabile che come domanda di condanna dell’avversario per lite temeraria
ai sensi dell’art. 96 c.p.c, per cui attiene,
propriamente ed esclusivamente, al profilo del regolamento delle spese
processuali e non incide, quindi, sul valore della controversia che resta
perciò contenuto, in ciascuno dei su riferiti giudizi, nel limite di valore
entro il quale il G.d.p. decide (ex art. 113 c.p.c.) secondo equità, con
conseguente diretta ricorribilità, appunto, delle correlative decisioni,
direttamente in Cassazione.

3. Può quindi passarsi all’esame
della questione di massima devoluta a queste Sezioni unite.

La quale, qui, per altro, rileva
unicamente con riguardo alla pronuncia del G. di p. sulle spese – per il
profilo della loro mancata attribuzione alla Autocori, per sua parziale
soccombenza – e non anche alla statuizione di accoglimento, e di presupposta
ammissibilità dell’esame, delle domande di pagamento frazionato del credito, in
ordine alla quale non è stata proposta impugnazione incidentale da parte
dell’odierna resistente.

4. Con la sentenza n. 108 del 2000, in sede di com
posizione di precedente contrasto, queste Sezioni unite si sono, per altro, già
pronunziate, in senso affermativo, sul tema della frazionalità della tutela
giudiziaria del credito. Ritenendo, in quella occasione, "ammissibile la
domanda giudiziale con la quale il creditore di una determinata somma,
derivante dall’inadempimento di un unico rapporto, chieda un adempimento,
parziale, con riserva di azione per il residuo, trattandosi di un potere non
negato dall’ordinamento e rispondente ad un interesse del creditore, meritevole
di tutela, e che non sacrifica, in alcun modo, il diritto del debitore alla
difesa delle proprie ragioni".

5. Nel rimeditare questa
soluzione – come sollecitato con la su riferita ordinanza di rimessione – il
Collegio ritiene ora però di non poterla mantenere
ferma, in un quadro normativo nel frattempo evolutosi nella duplice direzione,
sia di una sempre più accentuata e pervasiva valorizzazione della regola di
correttezza e buona fede – siccome specificativa (nel contesto del rapporto
obbligatorio) degli "inderogabili doveri di solidarietà", il cui
adempimento è richiesto dall’art. 2 della Costituzione – sia in relazione al
canone del "giusto processo", di cui al novellato art. 111 della
Costituzione.

In relazione a! quale si impone una lettura "adeguata" della
normativa di riferimento (in particolare dell’art. 88 c.p.c.), nel senso del
suo allineamento al duplice obiettivo della "ragionevolezza della
durata" del procedimento e della "giustezza" del
"processo", inteso come risultato finale (della risposta cioè alla
domanda della parte), che "giusto" non potrebbe essere ove frutto di
abuso, appunto, del processo, per esercizio dell’azione in forme eccedenti, o
devianti, rispetto alla tutela dell’interesse sostanziale, che segna il limite,
oltreché la ragione dell’attribuzione, al suo titolare, della potestas agendi.

5/1. Per
il primo profilo, viene in rilievo l’ormai acquisita consapevolezza della
intervenuta costituzionalizzazione del canone generale di buona fede oggettiva
e correttezza, in ragione del suo porsi in sinergia con il dovere inderogabile
di solidarietà di cui all’art. 2 della Costituzione, che a quella clausola
generale attribuisce all’un tempo forza normativa e ricchezza di contenuti,
inglobanti anche obblighi di protezione della persona e delle cose della
controparte, funzionalizzando così il rapporto obbligatorio alla tutela anche
dell’interesse del partner negoziale (cfr.,
sull’emersione di questa linea di indirizzo, Cass. sez. I n. 3775/94; Id. n.
10511/99; Sez. un. 18128/2005).

Se, infatti, si è pervenuti, in
questa prospettiva, ad affermare che il criterio della buona fede costituisce
strumento, per il giudice, atto a controllare, anche in senso modificativo o
integrativo, lo statuto negoziale, in funzione di garanzia del giusto equilibrio
degli opposti interessi (cfr., in particolare, nn.
3775/94 e 10511/99 citt.), a maggior ragione deve ora riconoscersi che un
siffatto originario equilibrio del rapporto obbligatorio, in coerenza a quel
principio, debba essere mantenuto fermo in ogni successiva fase, anche
giudiziale, dello stesso (cfr. Sez. III n. 13345/06) e non possa quindi essere
alterato, ad iniziativa del creditore, in danno del debitore.

Il che, però, è quanto, appunto,
accadrebbe in caso di consentita parcellizzazione giudiziale dell’adempimento
del credito. Della quale non può escludersi la incidenza,
in senso pregiudizievole, o comunque peggiorativo, sulla posizione del
debitore: sia per il profilo del prolungamento del vincolo coattivo cui egli
dovrebbe sottostare per liberarsi della obbligazione nella sua interezza, ove
il credito sia nei suoi confronti azionato inizialmente solo pro quota con
riserva di azione per il residuo [come propriamente nel caso esaminato dalla
citata Sez. un. n. 108/00 cit., in cui la richiesta di
pagamento per frazione era finalizzata ad adire un giudice inferiore rispetto a
quello che sarebbe stato competente a conoscere dell’intero credito], sia per
il profilo dell’aggravio di spese e dell’onere di molteplici opposizioni (per
evitare la formazione di un giudicato pregiudizievole) cui il debitore dovrebbe
sottostare, a fronte della moltiplicazione di (contestuali) iniziative
giudiziarie, come nel caso dei processi a quibus.

Non rilevando in contrario che il
frazionamento del credito, come in precedenza affermato, possa rispondere ad un
interesse non necessariamente emulativo del creditore (come quello appunto di
adire un giudice inferiore, più celere nella soluzione delle controversie,
confidando nell’adempimento spontaneo da parte del debitore del residuo debito), poiché – a parte la pertinenza di tale
considerazione alla sola ipotesi (di cui alla sentenza 108/00) del
frazionamento non contestuale – è decisivo il rilievo che resterebbe comunque
lesiva del principio di buona fede, nel senso sopra precisato, la scissione del
contenuto della obbligazione operata dal creditore, per esclusiva propria
utilità con unilaterale modificazione aggravativa della posizione del suo
debitore.

Ad evitare la quale neppure è
persuasiva, infine, la considerazione che "il debitore potrebbe ricorrere
alla messa in mora del creditore, offrendo l’intera somma", non essendo
tale soluzione praticabile ove, come possibile, il debitore non ritenga di
essere tale.

5/2. Oltre a violare, per quanto
sin qui detto, il generale dovere di correttezza e buona fede, la
disarticolazione, da parte del creditore, dell’unità sostanziale del rapporto
(sia pur nella fase patologica della coazione all’adempimento), in quanto
attuata nel processo e tramite il processo, si risolve automaticamente anche in
abuso dello stesso.

Risultando già per ciò solo la
parcellizzazione giudiziale del credito non in linea con il precetto
inderogabile (cui l’interpretazione della normativa processuale deve viceversa
uniformarsi) del processo giusto.

Ulteriore vulnus al quale
deriverebbe, all’evidenza, dalla formazione di giudicati (praticamente)
contraddittori cui potrebbe dar luogo la pluralità di iniziative giudiziarie
collegate allo stesso rapporto.

Mentre l’effetto inflattivo
riconducibile ad una siffatta (ove consentita) moltiplicazione di giudizi ne
evoca ancora altro aspetto di non adeguatezza rispetto all’obiettivo,
costituzionalizzato nello stesso art. 111, della "ragionevole durata del
processo", per l’evidente antinomia che esiste tra la moltiplicazione dei
processi e la possibilità di contenimento della correlativa durata.

5/3. L’esaminato primo motivo del
ricorso va quindi respinto, enunciandosi, in ordine alla questione di massima
ad esso sotteso, il principio (con il quale risulta in
linea la sentenza impugnata) per cui è contraria alla regola generale di
correttezza e buona fede, in relazione al dovere inderogabile di solidarietà di
cui all’art. 2 Costituzione, e si risolve in abuso del processo (ostativo
all’esame della domanda), il frazionamento giudiziale (contestuale o
sequenziale) di un credito unitario.

6. A sua volta inammissibile,
per difetto di autosufficienza, è il residuo secondo mezzo del ricorso, nel
quale nessuna indicazione è fornita in ordine alle fonti pretesamente
"distinte" dei crediti che si assumono azionati con i decreti di che
trattasi.

7. Il ricorso va integralmente
pertanto respinto.

8. L’esistenza di un difforme
orientamento giurisprudenziale in ordine alla questione principale dibattuta
nel presente giudizio, giustifica la compensazione delle spese correlative tra
le parti.

PQM

La Corte respinge il ricorso e
compensa le spese.