Penale

Wednesday 10 November 2004

I confine del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni. Cassazione – Sezione sesta penale (up) – sentenza 21 giugno-2 novembre 2004, n. 42586

I confinedel reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni.

Cassazione Sezione sesta penale (up) sentenza 21 giugno-2 novembre 2004, n. 42586

Presidente Fulgenzi Relatore Mannino

Pg Viglietta ricorrente Bruno ed altri

Fatto e diritto

Con sentenza 605/00 il Tribunale di Salerno/Eboli dichiarava Pasquale Bruno, Emiddio Paraggio, Vincenzina Paraggio e Anna Volzone colpevoli dei reati loro ascritti ‑ perché, al fine di far valere il preteso diritto di proprietà su un terreno che Michele Torlo era intento a recidere, potendo ricorrere al giudice si facevano ragione da sé medesimi aggredendolo e spingendolo via, lanciandogli contro scarpe e vasetti, minacciandolo con un piccone e con un bastone e costringendolo a riparare in un vicino locale del quale gli spingevano contro la porta con violenza ‑ e li condannava, con le attenuanti generiche equivalenti allaggravante del reato di cui al capo a), alla Pena di giorni venti di reclusione ciascuno con la sospensione condizionale.

Contro tale decisione proponeva appello il difensore degli imputati, chiedendone lassoluzione e, in subordine, lesclusione dellaggravante di cui al comma 3 dellarticolo 393 Cp e la condanna al minimo della pena per tutti glimputati col beneficio della non menzione e con esclusione del risarcimento de.1 danno.

A seguito del giudizio la Corte dappello di Salerno con sentenza 13/2004 in parziale riforma della sentenza di primo grado concedeva agli imputati le attenuanti generiche, dichiarandole equivalenti allaggravante di cui al reato contestato al capo a); riduceva la pena a venti giorni di reclusione per ciascuno degli imputati e concedeva il beneficio della non menzione.

Avverso la suddetta sentenza haproposto ricorso per cassazione il difensore degli imputati, chiedendone lannullamento per i seguenti motivi:

1. erronea applicazione della legge penale in quanto del reato di ragion fattasi mancano gli elementi essenziali, costituiti dallesercizio di un preteso diritto ‑ dal momento che gli imputati, pur contestando il diritto di Michele Torlo a procedere alla recinzione del terreno, di proprietà dellEsarc, non avevano affermato un proprio diritto, così come si è ritenuto nella sentenza impugnata, che peraltro aveva utilizzato come prova la querela, né avevano esercitato sul Torlo violenza o minaccia, escluse dalla sentenza di primo grado che aveva assolto glimputati dai reati contestati ai capi b) e c) ‑ e dalla violenza o minaccia alle persone ‑ perché il Bruno era sopravvenuto allinizio della discussione dei propri congiunti col Torlo, ignorandone la causale, sicché non aveva partecipato ideologicamente allazione di ragion fattasi;

2. violazione delle norme sul risarcimento del danno alla parte civile, perché il giudizio non ha accertato alcun danno concreto al Torlo, neppure linterruzione dei lavori di recinzione, posto che in ciò possa concretizzarsi un danno, e tanto meno il danno morale, semplicemente enunciato ma non indicato nella sua consistenza.

Con entrambi i motivi i ricorrenti muovono alla sentenza impugnata censure in fatto, come tali esorbitanti dai limiti e dai fini istituzionali del giudizio di legittimità.

Nel primo motivo si sostiene, in contrasto con laccertamento compiuto e ampiamente motivato nel giudizio di merito, una versione alternativa dei fatti, peraltro contraddittoria, in quanto nega che lopposizione dei ricorrenti alla recinzione del terreno ad opera della parte offesa sia stata giustificata dalla formulazione in fatto di una pretesa contraria, cioè dellaffermazione di un presunto diritto contrapposto, per cui alla fine lazione da loro compiuta si risolverebbe in una mera aggressione, vale a dire nel più grave reato di violenza privata.

La medesima contraddizione autolesiva si riproduce nel secondo motivo, in quanto la contestazione in fatto della consapevolezza da parte del Bruno della causale della lite lo rende autore, per la medesima ragione, di una violenza privata.

Per queste ragioni il primo motivo appare per più versi inammissibile.

Lo stesso deve dirsi del secondo motivo, che comporta anchesso una contestazione in fatto, riguardante la causazione di un danno alla parte offesa, in contrasto con quanto motivatamente ritenuto nella. sentenza impugnata.

Tuttavia, la ricostruzione dei fatti operata nella predetta sentenza e le conseguenti conclusioni in diritto meritano una più approfondita considerazione.

Infatti, dopo aver esposto (p. 2), a confutazione delle deduzioni degli appellanti, gli orientamenti giurisprudenziali in materia di interesse privato delle proprie ragioni, la Corte dappello, la sentenza rileva come risulti pacificamente dagli atti che il terreno, pur essendo di proprietà dellEsarc, era posseduto da Michele Torlo, il quale sosteneva di averne acquistato la proprietà per usucapione. Sennonché pretese possessorie erano vantate anche da Pasquale Bruno e dai suoi congiunti, i quali avevano, iniziato a coltivare la parte di detto terreno confinante con la loro proprietà.

Loccupazione del terreno da parte del Bruno era avvenuta mediante coltivazione di alberi e piante, per cui, per quanto potesse essere recente, tuttavia doveva necessariamente risalire a qualche tempo prima del fatto.

Nella stessa sentenza, peraltro, si dà atto di una precedente denuncia scritta del Bruno e dei suoi parenti allEsarc, proprietario del terreno, per promuoverne lintervento contro loccupazione abusiva del Torlo e a nulla rileva che i denuncianti non abbiano agito come cittadini-modello, bastando che, come nella motivazione si riconosce, lo abbiano fatto per tutelare una loro pretesa contrapposta a quella del Torlo.

Il fatto accertato che glimputati abbiano agito per impedire al Torlo di recintare anche la parte di terreno da loro posseduta non consente di qualificare come illecita la loro condotta e, quindi, di riconoscervi il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, loro contestato, per le ragioni esposte nella sentenza rifacendosi allorientamento giurisprudenziale per cui il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose è ipotizzabile in relazione a cose possedute da altri e non anche nellipotesi in cui il soggetto agisce per impedire che altri si impossessi della cosa o per rientrare in possesso nellimmediatezza dello spoglio, atteso che in tal caso si è in presenza di una causa di giustificazione consistente nella concreta ed attuale necessità di tutelare il possesso (Cassazione, Sezione sesta, 18153/03, ric. Crupi; 20277/01, ric. De Marco; 1358/97, ric. Felato; 273/96, ric. Martorano).

Pertanto la sentenza impugnata devessere annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste.

PQM

La Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.