Penale
Gratuito patrocinio. Secondo il Tribunale di Messina è costituzionalmente illegittima la mancata previsione della possibilità di interporre gravame contro la revoca dell’ ammissione al beneficio. N. 369 ORDINANZA (Atto di promovimento) 21 gennaio 2003.
Gratuito patrocinio. Secondo il Tribunale di Messina è costituzionalmente illegittima la mancata previsione della possibilità di interporre gravame contro la revoca dellammissione al beneficio
N. 369 ORDINANZA (Atto di promovimento) 21 gennaio 2003.
Ordinanza emessa il 21 gennaio 2003 dal tribunale di Messina sul ricorso proposto da Bontempo Scavo Sebastiano Processo penale – Patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti – Revoca del provvedimento di ammissione al beneficio disposta dal giudice d’ufficio in seguito ad accertata mancanza dei requisiti reddituali – Possibilita’ di proporre impugnazione dinanzi al Tribunale o alla Corte d’appello ai quali appartiene il giudice che ha disposto la revoca – Mancata previsione – Disparita’ di trattamento rispetto alla ipotesi analoga della revoca del beneficio a seguito di richiesta da parte dell’amministrazione finanziaria – Lesione del diritto di difesa. – Legge 30 luglio 1990, n. 217, artt. 6 e 10. – Costituzione, artt. 3 e 24. (GU n. 25 del 25-6-2003)
IL TRIBUNALE
Sciogliendo la riserva assunta all’udienza in camera di consiglio
del 13 dicembre 2002, previa lettura degli atti del procedimento
instaurato con ricorso del 31 luglio 2002 da Bontempo Scavo
Sebastiano, nato a Tortorici (Messina) il 21 febbraio 1952, difeso
dall’avv. Claudio Faranda, ha emesso la seguente ordinanza.
Con decreto depositato in data 24 giugno 2002 la Corte di assise
di Messina, seconda sezione, disponeva la revoca del provvedimento
del 13 giugno 2000 con cui Bontempo Scavo Sebastiano, imputato
nell’ambito del procedimento scaturito dalla c.d. Operazione Mare
Nostrum, il cui dibattimento e’ in corso di celebrazione davanti a
quella Corte (n. 19/1998 R.G.), era stato ammesso al patrocinio
gratuito a spese dello Stato da questo Tribunale con provvedimento
del 13 giugno 2000 in seguito all’accoglimento di una impugnazione
avverso la declaratoria di inammissibilita’ dell’istanza di
ammissione pronunciata dalla Corte procedente il 11 gennaio 2000.
Il provvedimento di revoca scaturiva dall’esito degli
accertamenti disposti dalla Corte con decreto del 12 marzo 2001, con
il quale, in ossequio al disposto dell’art. 152 della legge 23
dicembre 2000, n. 388, era stato richiesto alla amministrazione
finanziaria e alla polizia tributaria di procedere ad indagini sulle
effettive condizioni patrimoniali e sulle disponibilita’ economiche
dell’imputato ammesso al citato beneficio.
Acquisito l’esito degli accertamenti e verificato il superamento,
negli anni 1999 e 2000, dei limiti di reddito per l’ammissione al
patrocinio, la Corte ordinava la revoca dell’ammissione, nonche’ il
recupero delle somme non versate all’Erario per effetto del godimento
del beneficio revocato.
Avverso il provvedimento di revoca, con atto depositato il 31
luglio 2002, ha proposto ricorso il Bontempo Scavo, lamentando il
carattere presuntivo del reddito attribuito al nucleo familiare dalla
Corte, contestando in concreto il superamento della soglia
reddituale, ed in via subordinata chiedendo l’applicazione del limite
previsto dalla prima parte dell’art. 11 della legge n. 217/1990 e la
non retroattivita’ della revoca.
In esito alla comparizione delle parti questo giudice, designato
per la trattazione con provvedimento presidenziale del 16 ottobre
2002, ha riservato la decisione.
Ai fini dell’esatto inquadramento delle questioni poste
all’attenzione del decidente dal ricorso in esame e del tipo di
sbocco che allo stato si impone sono necessarie alcune considerazioni
in merito al potere esercitato nel caso di specie dalla Corte di
assise di Messina e conseguentemente al tipo di provvedimento
adottato, e, in secondo luogo, ai rimedi eventualmente previsti
dall’ordinamento.
Con riferimento al primo aspetto della questione va rilevato che
nel sistema della legge 30 luglio 1990, n. 217, anche come modificato
in seguito alla novella del 2001 (legge n. 134 del 29 marzo 2001), il
potere di revoca del provvedimento di ammissione al patrocinio a
spese dello Stato e’ attribuito al giudice innanzitutto in caso di
mancata comunicazione nei termini delle eventuali variazioni di
reddito o di mancata presentazione della documentazione relativa ai
redditi prodotti dallo straniero all’estero (l’art. 10, dopo le
modifiche del 2001, non si riferisce piu’ alla documentazione
«prescritta», ma solo a quella «richiesta», ma, eliminato il
riferimento al comma 5 dell’art. 5, abrogato il comma 2 dello stesso
art. 5, e modificato conseguentemente il comma 4 – ormai di fatto il
n. 3 – dello stesso articolo, emerge un difetto di coordinamento
della novella piu’ recente). Altro possibile presupposto per
l’esercizio del potere di revoca, contemplato dallo stesso art. 10
della legge n. 217, e’ quello della variazione delle condizioni di
reddito risultante dalla comunicazione tempestiva dell’interessato.
Tutti i casi elencati sono assimilati quanto alla forma (decreto
motivato), all’organo competente a provvedere (il giudice che procede
al momento della scadenza dei termini o al momento in cui e’
effettuata la comunicazione) e al regime delle impugnazioni (in prima
battuta ricorso al tribunale o alla Corte d’appello a cui appartiene
il giudice che ha emesso il provvedimento di revoca o modifica, il
quale provvede nelle forme di cui all’art. 29 della legge 13 giugno
1942, n. 794, e quindi ricorso per cassazione per violazione di
legge).
L’art. 10 della legge n. 217 prevede poi, al secondo comma, un
potere di revoca o di modifica del provvedimento di ammissione,
esercitabile in ogni momento, su richiesta del competente organo
dell’amministrazione finanziaria (non piu’ del pubblico ministero
dopo il breve periodo di vigenza dell’art. 152 della legge 23
dicembre 2000, n. 388, abrogato espressamente dall’art. 23 della
legge 29 marzo 2001, n. 134), richiesta che puo’ tuttavia essere
avanzata – di fatto condizionando il potere di revoca o modifica –
solo finche’ non siano decorsi cinque anni dalla definizione del
procedimento per il quale l’interessato ha ottenuto l’ammissione al
patrocinio a spese dello Stato. In questo caso il procedimento,
disciplinato ancora dall’art. 29 della legge 13 giugno 1942, n. 794,
e’ direttamente attribuito alla cognizione del tribunale o della
Corte d’appello a cui appartiene il giudice che ha provveduto
all’ammissione (e’ stato ritenuto illegittimo e suscettibile di
annullamento senza rinvio il provvedimento di revoca emesso, ad es.,
dal g.i.p. che a suo tempo aveva concesso il beneficio: Cass. 4
ottobre 1999, Terranova), e contro l’ordinanza che decide sulla
richiesta e’ ammesso ricorso per cassazione per violazione di legge.
Significative divergenze di opinione ha invece evidenziato in
giurisprudenza la soluzione della questione dell’ammissibilita’ di
una revoca ex officio del provvedimento di ammissione al beneficio,
disposta dallo stesso giudice che ha accordato il patrocinio in
relazione al difetto di un presupposto di ammissibilita’, ovvero alla
mancanza, originaria o sopravvenuta, delle condizioni reddituali.
Rileva sotto il primo profilo soprattutto l’ammissione
erroneamente disposta con riguardo a reati contravvenzionali per i
quali la legge n. 217 originariamente escludeva l’accesso al
patrocinio a spese dello Stato: in tale ipotesi, destinata ormai a
perdere di attualita’ in seguito all’abrogazione del comma 8,
dell’art. 1 della legge n. 217 (art. 2, legge 29 marzo 2001, n. 134),
la giurisprudenza ammette da tempo la revoca ex officio, ritenendola
espressione del generale potere di autotutela della pubblica
amministrazione, escludendo che sia ostativa la mancata previsione di
tale possibilita’ tra i casi di revoca di cui all’art. 10 della legge
n. 217, ed assoggettando il relativo provvedimento al «reclamo» di
cui all’art. 6, quarto comma, con la correlativa esclusione della
ricorribilita’ diretta per cassazione (cosi’ Cass. 26 marzo 1998,
Sinisi, e gia’ Cass. 19 ottobre 1994, Carriere; Cass. 14 aprile 1995,
Marinaci).
Piu’ problematica l’ammissibilita’ di una revoca per difetto
delle condizioni di reddito legittimanti, ovviamente consentita
dall’art. 10 se preceduta dalla richiesta del competente organo
dell’amministrazione finanziaria, ma non sempre ritenuta possibile in
assenza di tale richiesta. Secondo un primo gruppo di pronunce
infatti anche in questo caso, ed anche se la mancanza dei requisiti
reddituali e’ originaria, non potendo il giudice essere condizionato
dalla richiesta dell’intendente di finanza (ora direttore regionale
delle entrate), il potere di revoca, pur se non esplicitamente
contemplato dall’art. 10 della legge, e’ espressione della generale
potesta’ di autotutela della pubblica amministrazione, assumendo la
decisione in ordine al patrocinio a spese dello Stato natura
sostanzialmente amministrativa (Cass. 29 novembre 2001, PM in proc.
Di Stefano; Cass. 12 ottobre 1999, Carbonelli). A questa opinione si
contrappone quella illustrata in altre decisioni, secondo le quali la
revoca per mancanza del requisito reddituale e’ esercizio di vero e
proprio potere giurisdizionale che non puo’ essere attivato
d’ufficio, ma presuppone necessariamente la richiesta
dell’amministrazione finanziaria (Cass. 24 aprile 2001, Meci; Cass.
3 dicembre 2001, PM in proc. Musumeci), con la conseguente
illegittimita’ del provvedimento adottato in difetto di tale
imprescindibile condizione (Cass. 6 giugno 2001, Venuto).
Sul piano della tutela la questione del rimedio esperibile non
forma oggetto di specifiche affermazioni di principio, poiche’ per un
verso incidentalmente si afferma che in caso di modifica della
condizione reddituale lo strumento utilizzabile secondo il citato
art. 10 sarebbe il ricorso per cassazione (cosi’ la citata Cass. 26
marzo 1998, Sinisi), mentre per altro verso si reputa implicitamente
ammissibile, in caso di revoca disposta d’ufficio per mancanza
originaria o sopravvenuta delle condizioni di reddito, l’impugnazione
di cui all’art. 6, quarto comma, della legge n. 217 (cosi’ Cass. 12
ottobre 1999, Carbonelli).
Orbene, se da un lato un criterio di ragionevolezza induce a
ritenere sempre consentito al giudice che procede il controllo sul
diritto alla conservazione del beneficio in relazione al possesso
delle condizioni reddituali necessarie per l’ammissione al beneficio
del patrocinio a spese dello Stato, a prescindere dall’eventuale
inerzia di altri organi, dall’altro lato appare problematica, nel
contesto normativo richiamato, l’individuazione di un soddisfacente e
completo sistema di tutele avverso una tipologia di provvedimenti
destinati ad incidere in modo significativo sull’effettivita’ del
diritto di difesa.
Da un lato il ricorso per cassazione e’ previsto dall’art. 10 in
caso di revoca del provvedimento quando risulti provata la mancanza
originaria o sopravvenuta delle condizioni di reddito, ma sul
presupposto di una richiesta del competente organo
dell’amministrazione finanziaria rivolta al giudice naturalmente
individuato dalla legge per la decisione sulle impugnazioni relative
ai provvedimenti in materia di patrocinio per i non abbienti (art. 6,
quarto comma), e conseguentemente di un provvedimento adottato da
quest’ultimo: non appare assimilabile a questa la situazione della
revoca disposta d’ufficio dallo stesso giudice che ha concesso il
beneficio o comunque dal giudice che procede.
Dall’altro lato l’ammissibilita’ dell’impugnazione prevista
dall’art. 6, quarto comma, della legge n. 217 incontra il limite
della tassativita’, che appare insuperabile in caso di revoca
disposta, come nel caso in esame, in relazione alla sopravvenuta
mancanza delle condizioni di reddito necessarie per la fruizione del
patrocinio per i non abbienti. Mentre infatti con qualche sforzo
l’ipotesi di accertato difetto iniziale del requisito potrebbe essere
assimilata a quella del diniego, con la conseguente applicazione
diretta del sistema delineato nei commi 4 e 5 del citato art. 6
(secondo la linea interpretativa delineata per l’ipotesi della
erronea concessione del beneficio in relazione a procedimento per
reati contravvenzionali), del tutto impraticabile si presenta tale
percorso in caso di accertata mancanza sopravvenuta del requisito
reddituale: in questa ipotesi l’impugnazione di cui all’art. 6,
quarto comma non e’ ammissibile perche’ la legge non la prevede e non
e’ suscettibile sul punto di interpretazione adeguatrice, con la
conseguenza di privare gli interessati di adeguata tutela
giurisdizionale in un settore nevralgico per la garanzia della
effettivita’ della tutela giurisdizionale; e cio’ sia in violazione
dell’art. 3 Cost., in quanto in presenza di provvedimenti che muovono
da presupposti comuni (l’accertata mancanza del requisito reddituale)
non e’ assicurata la medesima garanzia giurisdizionale, sia in
contrasto con la garanzia del diritto di difesa apprestata
dall’art. 24 Cost., la cui effettivita’ puo’ risultare compromessa in
caso di mancata previsione di adeguate forme di tutela relativamente
ai provvedimenti che concernono l’ammissione al patrocinio a spese
dello Stato.
Non appare pertanto manifestamente infondata la questione di
legittimita’ costituzionale degli articoli 6 e 10 della legge 30
luglio 1990, n. 217, e successive modificazioni, in relazione agli
articoli 3 e 24 della Costituzione, nella parte in cui non prevedono,
in caso di revoca del provvedimento di ammissione al patrocinio a
spese dello Stato, disposta d’ufficio dal giudice in seguito ad
accertata mancanza dei requisiti reddituali, originaria o
sopravvenuta, la possibilita’ per l’interessato di proporre
impugnazione davanti al tribunale o alla Corte d’appello ai quali
appartiene il giudice che ha disposto la revoca del beneficio.
Va infine rilevato – ma la notazione assume carattere meramente
incidentale e conferma piuttosto la necessita’ di un intervento
diretto ad orientare eventuali aggiustamenti normativi – che la
situazione non e’ destinata a mutare in seguito al mutamento del
quadro di riferimento normativo determinato dall’entrata in vigore,
dal 1° luglio 2002 (qualche giorno dopo il deposito del
provvedimento, e prima della presentazione dell’impugnazione in
esame), del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, che ha tra l’altro
espressamente abrogato tanto la legge 30 luglio 1990, n. 217, che
buona parte della successiva novella del 2001 (art. 299). Mentre
infatti l’art. 99 del citato d.P.R. prevede e disciplina, con norma
che sostanzialmente ricalca quella dell’art. 6, quarto e quinto
comma, della legge n. 217, l’impugnazione dei provvedimenti di
rigetto dell’istanza di ammissione, in tema di revoca (a causa della
riproduzione solo parziale dell’art. 10 della legge del 1990)
l’attuale art. 113 del d.P.R. n. 115 (inserito in un apposito capo
VII del titolo II della parte III del provvedimento, dedicato alla
Revoca del decreto di ammissione al patrocinio) ha riprodotto la
possibilita’ del ricorso per cassazione nell’ipotesi di revoca
chiesta dall’amministrazione, ma il testo unico non contempla la
possibilita’ di impugnare la revoca del beneficio negli altri casi
(che sia qualificabile quale «revoca» anche il provvedimento emesso
in seguito ad accertata insussistenza iniziale dei limiti di reddito
emerge testualmente dall’art. 112, primo comma, lett. d, del d.P.R.).