Enti pubblici
Gli effetti dell’ annullamento del contratto di pubblico appalto sulle opere già eseguite.
Gli effetti dell’annullamento del
contratto di pubblico appalto sulle opere già eseguite.
Cassazione – Sezione prima –
sentenza 20 dicembre 2007 – 15 aprile 2008, n. 9906
Presidente Losavio – Relatore
Petitti
Pm Russo – conforme – Ricorrente
Impresa Antonio Morelli – Controricorrente Comune di San Pietro Vernotico
Svolgimento del processo
Morelli Antonio,
titolare dell’omonima impresa, conveniva in giudizio, con citazione notificata
il 2 novembre 1997, davanti al Tribunale di Brindisi, il Comune di San Pietro
Vernotico chiedendo che venisse dichiarato risolto il contratto di appalto 10
gennaio 1989 per inadempimento del Comune e la condanna del medesimo Comune al
risarcimento dei danni, quantificati in L. 221.403.219, di cui L. 213.971.459
per lucro cessante e L. 7.431.760 per danno emergente, oltre rivalutazione e
interessi.
A sostegno
della propria pretesa, l’attore deduceva che, con delibera della Giunta
municipale del 4 ottobre 1998, era stato approvato il verbale di gara del 15
settembre 1989 e disposto l’affidamento alla impresa aggiudicatala dei lavori
di costruzione di una nuova sede della Pretura; che il contratto di appalto era
stato stipulato il 10 gennaio 1989; che, in base all’art. 8 di tale contratto,
esso attore aveva depositato la somma di L. 6.176.260 per spese contrattuali,
registrazione, ecc; che aveva iniziato i lavori realizzando la recinzione e
alcuni scavi, lavori peraltro sospesi a seguito di ordinanza del Consiglio di
Stato n. 251 del 1989 intervenuta nei giudizi proposti per l’annullamento
dell’atto di aggiudicazione; che con sentenza n. 85/92, il Tar Puglia, Sez. di
Lecce, aveva annullato il verbale di gara e l’intero procedimento di
aggiudicazione; che il Comune non aveva deliberato di recedere dal contratto ed
aveva dato esecuzione alla decisione del Tar rinnovando la gara; che esso attore
aveva quindi chiesto al Comune di deliberare lo scioglimento del contratto e il
risarcimento dei danni; che tali richieste erano state disattese dal Comune.
Costituitosi il contraddittorio,
il Comune di San Pietro Vernotico rilevava che il contratto stipulato con
l’attore doveva ritenersi automaticamente caducato a seguito dell’annullamento
del provvedimento di aggiudicazione e che non era comunque configurabile una
responsabilità della P.a. per culpa in contraendo.
Il Tribunale di Brindisi, con
sentenza depositata il 18 maggio 2000, rigettava la domanda di risoluzione del
contratto e accoglieva invece la domanda di risarcimento danni limitatamente
alla somma richiesta a titolo di danno emergente.
Avverso tale
sentenza proponeva appello il Morelli, cui resisteva il Comune, il quale
proponeva altresì appello incidentale deducendo che il Morelli non aveva
diritto ad alcun risarcimento dei danni né a titolo di responsabilità
contrattuale né a titolo di responsabilità extracontrattuale.
La Corte d’appello di Lecce,
con sentenza depositata il 29 aprile 2003, rigettava il gravame principale e
accoglieva quello incidentale.
La Corte riteneva che
l’avvenuto annullamento dell’aggiudicazione avesse travolto il contratto di
appalto successivamente stipulato, a sua volta invalido sin dall’origine, con
la conseguenza che l’accertamento di tale invalidità, compiuto incidenter
tantum dal primo giudice, avendo efficacia retroattiva tra le parti, precludeva
l’accoglimento della domanda di risoluzione del contratto stesso per inadempimento
del Comune, posto che una simile domanda presuppone che il contratto sia valido
ed efficace.
Quanto all’appello incidentale, la Corte rilevava che la
domanda risarcitoria del Morelli era fondata sulla
responsabilità contrattuale della stazione appaltante che, a dire del Morelli,
pur non recedendo dal contratto, non gli aveva consentito di eseguire i lavori
né gli aveva comunque corrisposto il compenso pattuito. Il Tribunale, osservava
la Corte, pur
avendo escluso la sussistenza di una responsabilità contrattuale, anziché
rigettare la domanda, aveva affermato la responsabilità extracontrattuale del
Comune, così accogliendo una domanda diversa da quella proposta e incorrendo
nel vizio di ultrapetizione. Peraltro, come dedotto dall’appellante incidentale,
l’unico danno risarcibile a titolo di responsabilità extracontrattuale, era
quello derivante dalla perdita di chance, sicché, una volta
escluso tale tipo di danno, null’altro poteva essere riconosciuto
all’appaltatore ex art. 2043 cod. civ.. In proposito, la Corte rilevava che il
Tribunale non aveva fatto corretta applicazione della sentenza delle Sezioni
Unite della Corte di cassazione n. 500 del 1999, perché nel caso di specie si
era in presenza di un interesse legittimo pretensivo, sostanziantesi
nell’aspirazione del Morelli ad ottenere un accrescimento della propria sfera
di utilità attraverso l’aggiudicazione, e cioè l’interesse alla stipulazione
del contratto. E, poiché il Comune aveva ripetuto la
gara a seguito dell’annullamento di quella precedente e il Morelli vi aveva
partecipato non risultando vincitore, doveva ritenersi che il Morelli non
avesse titolo all’effettivo conseguimento del bene della vita avuto di mira,
con la conseguenza che l’illegittimo comportamento della P.a. non aveva violato
alcun suo interesse meritevole di tutela.
La Corte riteneva poi che il
Tribunale aveva errato nel affermare che l’illegittimo
svolgimento della procedura avesse pregiudicato un altro interesse sotteso
all’interesse legittimo del Morelli, e cioè l’interesse (negativo) a non
stipulare un contratto invalido, sopportando inutili spese e perdendo altre
favorevoli occasioni contrattuali. Invero, osservava sul punto la Corte, non esiste alcuna
norma che attribuisca alla P.a. il potere di
sacrificare l’interesse del privato a non stipulare contratti invalidi, sicché
non poteva neanche ipotizzarsi un interesse del privato al legittimo esercizio
di tale potere. Sicché, anche ammesso che nella specie fosse stato leso
l’interesse del Morelli a non stipulare contratti
invalidi, non era comunque configurabile una responsabilità aquiliana della
P.a. per violazione di interessi legittimi, potendosi al più ipotizzare la
sussistenza di una responsabilità precontrattuale, ma un simile titolo di
responsabilità non era stato dedotto dall’appellante.
In accoglimento dell’appello
incidentale, quindi, la Corte
d’appello escludeva il diritto del Morelli al
risarcimento del danno e alle richieste restituzioni, compensando interamente
tra le parti le spese del doppio grado.
Per la cassazione di questa
sentenza ricorre l’Impresa Morelli Antonio, sulla base
di tre motivi, cui resiste con controricorso il Comune di San Pietro Vernotico;
entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 cod. proc. civ..
Motivi della decisione
Con un primo motivo, il
ricorrente deduce violazione dell’art. 112 cod. proc. civ.,
con riferimento all’accoglimento dell’appello incidentale.
Il ricorrente rileva che la Corte d’appello ha accolto
l’appello incidentale precisando che il Tribunale, accertata l’invalidità del
contratto, avrebbe dovuto rigettare la domanda e che, invece, affermando la
responsabilità extracontrattuale del Comune, aveva accolto una domanda diversa
così incorrendo nel vizio di ultrapetizione. In realtà, osserva il Morelli, il vizio ravvisato dalla Corte d’appello non era
stato dedotto dal Comune nel proprio appello incidentale. Il Comune, infatti,
aveva precisato che non poteva essere riconosciuta responsabilità
extracontrattuale "essendo stato già escluso dallo stesso giudice di 1^
grado il danno individuabile nella perdita di chance". La statuizione
relativa al risarcimento del danno emergente, quindi, doveva considerarsi
passata in giudicato.
Il motivo è infondato.
Dalla sentenza impugnata e dallo
stesso ricorso emerge che, con l’appello incidentale, il Comune ha inteso
contestare il diritto del Morelli ad ottenere il
risarcimento dei danni, sia di quelli riconducibili a responsabilità
contrattuale, sia di quelli, riconosciuti dal Tribunale, ascrivibili al diverso
titolo di responsabilità extracontrattuale. La Corte d’appello, nel rilevare che il Tribunale,
pronunciando la condanna del Comune al risarcimento dei danni per un titolo di
responsabilità espressamente qualificata come extracontrattuale, aveva
pronunciato su una domanda non proposta, e nell’accogliere conseguentemente
l’appello incidentale, ha quindi condotto il proprio esame nell’ambito del
motivo di gravame proposto dall’appellante incidentale, non incorrendo pertanto
nel denunciato vizio di ultrapetizione.
Si deve peraltro aggiungere che la Corte d’appello ha anche
escluso la sussistenza in concreto della responsabilità extracontrattuale,
affermando che l’unico danno risarcibile a tale titolo era quello derivante
dalla cd. perdita di chance, correttamente ritenuto dal Tribunale
insussistente, in quanto l’Impresa aveva poi partecipato alla successiva gara
indetta dal Comune dopo l’annullamento dell’aggiudicazione, senza
aggiudicarsela. E tale affermazione della Corte d’appello non ha formato
oggetto di specifica censura e comunque appare immune da vizi
logico-giuridici.
Con il secondo motivo, il
ricorrente deduce vizio di motivazione sotto due
diversi profili, entrambi afferenti alla reiezione della domanda di risoluzione
per inadempimento del contratto di appalto. Da un lato, il ricorrente osserva
che l’affermazione della Corte d’appello secondo cui "il contratto di
appalto intercorso tra le parti è divenuto invalido in conseguenza
dell’annullamento giurisdizionale del provvedimento di aggiudicazione:
l’accertamento di tale invalidità … avendo effetto retroattivo tra le parti,
precluderebbe l’accoglimento della domanda di risoluzione del contratto, che
evidentemente presuppone che il contratto stesso sia valido ed efficace",
sarebbe contraddittoria in quanto, o si accede alla teoria della caducazione
automatica del contratto di appalto e si accetta che l’accertata invalidità
dell’aggiudicazione si riverbera automaticamente sul contratto, oppure si
sostiene, come fa la Corte
d’appello, la teoria della invalidità derivata, nella forma della annullabilità
del contratto, ma in tal modo si ammette la validità del contratto stesso fino
alla pronuncia costitutiva dell’autorità giudiziaria, nel caso mai intervenuta.
L’azione proposta da esso ricorrente, volta ad
ottenere la risoluzione del contratto, aveva "l’obiettivo di rimuovere un
contratto valido (pur se annullabile) ma che non può avere esecuzione per
inadempimento del Comune". La
Corte d’appello si è quindi limitata ad affermare che il
contratto era annullabile senza preoccuparsi che lo stesso non era stato
annullato.
Sotto un diverso profilo, il
ricorrente denuncia un vizio di omessa pronuncia su un punto decisivo della
controversia, rilevando che nell’atto di appello aveva contestato
l’impostazione del Tribunale secondo cui, in tema di eccezione di annullamento,
l’espressione "convenuta per l’esecuzione del contratto" va intesa in
senso così ampio da comprendere anche l’azione diretta ad accertare che la
controparte non ha adempiuto agli obblighi derivanti
dal contratto annullabile.
Con il terzo motivo, il
ricorrente deduce violazione degli artt. 1218, 1223 e 2043 cod. civ. e, muovendo dalla premessa che il contratto di appalto non è
stato mai annullato e continua quindi ad esistere con una sua propria autonomia
e ad essere fonte di posizioni di diritto soggettivo, censura la sentenza
impugnata per avere escluso dall’ambito degli interessi giuridicamente rilevanti
e meritevoli di tutela le posizioni delle parti che, pur rivelandosi a
posteriori non definitive e intermedie, sono tuttavia connesse ad azioni
amministrative nelle quali possono riconoscersi interessi volti al mantenimento
delle posizioni acquisite. E, nella specie, non vi era dubbio che esisteva un logico e legittimo affidamento nella impresa
Morelli, fondato sulla stipulazione del contratto di appalto a cui erano
seguiti alcuni adempimenti, quali la prestazione di una cauzione, accettata dal
Comune, e l’inizio della esecuzione del contratto. Si era cioè in presenza di una situazione in cui il collegamento con il
bene della vita si era già consolidato in virtù della stipulazione di un
contratto di appalto, e tanto bastava per pretendere la riparazione delle
conseguenze patrimoniali sfavorevoli dell’illegittimità dell’azione
amministrativa.
La posizione della impresa,
indubbiamente lesa dal sopravvenuto annullamento del procedimento di
aggiudicazione, che è cosa diversa dall’annullamento
del contratto di appalto, andava tutelata. La titolarità del potere
amministrativo, osserva il ricorrente, vale come causa di giustificazione
idonea a sacrificare l’interesse del privato a non stipulare contratti ove si
sia impedito il conseguimento di un bene cui il privato stesso non poteva
accedere; ma altrettanto non potrebbe affermarsi nel caso in cui il bene della
vita sia già acquisito alla sfera giuridica soggettiva a seguito della
stipulazione del contratto. Il Comune che, a seguito dell’aggiudicazione agiva
iure prlvatorum, avrebbe quindi dovuto procedere all’annullamento del contratto
non essendogli consentito travolgerlo attraverso l’aggiudicazione ad altra
impresa. Esaurita la fase della evidenza pubblica, dinnanzi ad un contratto di
appalto al quale si era già data esecuzione non sarebbe stata configurabile, al
contrario di quanto ipotizzato dalla Corte d’appello, una
responsabilità precontrattuale, atteso che “la discrezionalità
dell’Amministrazione, ormai al di fuori dall’ambito delle trattative, poggiava
su un pienamente legittimo affidamento ingenerato nell’impresa Morelli, la cui
posizione era indiscutibilmente da qualificarsi in termini di diritto
soggettivo”. Il mancato annullamento del contratto di appalto aveva ingenerato
in esso ricorrente la legittima convinzione di poter
confidare nel consolidamento della propria posizione contrattuale; aveva cioè
dato luogo ad una vera e propria posizione da tutelare, e in particolare ad una
posizione di diritto soggettivo, sicché deve ritenersi erronea la qualificazione
di detta posizione in termini di interesse legittimo.
In ogni caso, osserva il
ricorrente, sarebbe anche erronea e incomprensibile l’esclusione, dinnanzi ad
una dichiarata posizione di interesse legittimo pretensivo, del diritto al
risarcimento dei danni subiti per avere sopportato le spese di registrazione
del contratto e di prestazione di fideiussione.
Il secondo e il terzo motivo, che
per ragioni di connessione, possono essere esaminati congiuntamente, sono
infondati.
Nella giurisprudenza di questa
Corte è consolidato il principio secondo cui, il sopravvenuto annullamento
giurisdizionale del verbale di aggiudicazione comporta che nessun effetto può
essere riconosciuto al provvedimento invalido (ed agli atti presupposti ad
evidenza pubblica su cui era fondato) fin dal momento del suo venire in essere
e ai diritti soggettivi dallo stesso attribuiti in quanto sorti da un atto non
conforme alle condizioni prescritte dalla legge per la sua operatività.
L’annullamento del verbale di aggiudicazione, infatti, pone nel nulla l’intero
effetto-vicenda derivato dall’aggiudicazione, a cominciare quindi dal contratto
di appalto che vi è insito o che, ove stipulato in successivo momento, non ha
alcuna autonomia propria e non costituisce la fonte dei diritti ed obblighi tra
le parti, ma, assumendo il menzionato valore di mero atto formale e
riproduttivo, è destinato a subire gli effetti del vizio che affligge il
provvedimento cui è inscindibilmente collegato e a restare automaticamente e
immediatamente caducato, senza necessità di pronunce costitutive del suo
cessato effetto o di atti di ritiro dell’amministrazione, in conseguenza della
pronunciata inefficacia del provvedimento amministrativo ex tunc, travolto
dall’annullamento giurisdizionale (ex plurimis, Cass.,
n. 7481 del 2007; Cass., n. 12629 del 2006; Cass., n. 17673 del 2004).
La caducazione, in sede
giurisdizionale o amministrativa, di atti della fase della formazione,
attraverso i quali si è cioè formata in concreto la volontà contrattuale
dell’Amministrazione, invero, priva quest’ultima, con efficacia ex tunc, della
legittimazione a negoziare; in sostanza, l’organo amministrativo che ha
stipulato il contratto, una volta che viene a cadere, con effetto ex tunc, uno
degli atti del procedimento costitutivo della volontà dell’Amministrazione,
come la deliberazione di contrattare, il bando o l’aggiudicazione, si trova
nella condizione di aver stipulato iniure, privo della legittimazione che gli è
stata conferita dai precedenti atti amministrativi.
L’annullamento della fase
sostanziale dell’aggiudicazione segna, in via retroattiva, la carenza di uno
dei presupposti di efficacia del contratto, che, pertanto, resta
definitivamente privato dei suoi effetti giuridici.
L’automatica invalidità degli
atti del procedimento incisi dalla pronuncia giurisdizionale è idonea a mutare
i termini dell’ipotesi contrattuale intorno alla quale si è determinata la
volontà dei partecipanti e la formazione delle singole offerte, e ciò anche nel
caso in cui l’aggiudicatario abbia posto in essere, nelle
more del giudizio, un’attività riconducibile alla prestazione dovuta in forza
della relazione contrattuale instaurata per effetto dell’aggiudicazione. Tale
attività – a parte il fatto di costituire evento temporalmente successivo ed
esterno allo svolgimento della procedura (che ne ha costituito il presupposto)
– una volta annullata l’aggiudicazione, è, infatti, destinata ad assumere le
connotazioni di un’attività di fatto, in forza della proiezione ex tunc degli
effetti dell’annullamento. Quanto dovuto all’aggiudicatario per i lavori posti
in essere risponde a logiche totalmente diverse da quelle che presiedono alla
controprestazione, così da non potersi definire "prezzo" o comunque
corrispettivo della prestazione resa, bensì, esclusivamente indennità, cui
l’escluso ha titolo secondo le regole del diritto comune, derivanti dall’art.
2041 c.c. (così, Cass., n. 7481 del 2007).
Correttamente, dunque, la Corte d’appello ha rigettato
la domanda di risoluzione del contratto di appalto, giacché l’annullamento dell’aggiudicazione
ha comportato il venir meno, senza necessità di alcuna pronuncia costitutiva,
quale quella richiesta dal ricorrente. Le censure in esame presuppongono,
invece, la necessità di una pronuncia costitutiva di risoluzione per
inadempimento dell’amministrazione, e non possono quindi trovare accoglimento.
Si deve solo aggiungere che
correttamente la Corte
d’appello ha ricondotto il possibile profilo di responsabilità
dell’amministrazione, a seguito dell’annullamento dell’atto di aggiudicazione alla
responsabilità precontrattuale, ma altrettanto correttamente ha ritenuto che
una simile domanda non potesse essere accolta perché non proposta. E sul punto
non risultano formulate censure specifiche volte a dimostrare la proposizione
con l’atto di citazione di una domanda fondata su tale tipo di responsabilità.
In conclusione, il ricorso deve
essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al rimborso delle
spese del giudizio di legittimità, nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità,
che liquida in Euro 8.100,00, di cui Euro 8.000,00 per onorari, oltre spese generali e accessori come per legge.