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Fondo di garanzia T.F.R.: nessun onere di ulteriore attività a carico del lavoratore che abbia esperito infruttuosamente l’azione esecutiva individuale
Il lavoratore creditore del trattamento di fine rapporto nei confronti di datore non soggetto a fallimento non ha l’onere per provarne l’insolvenza di ricercare altri beni mobili o immobili del datore, dopo l’esperimento diligente di una procedura esecutiva individuale conclusasi con esito interamente o parzialmente infruttuoso.
Così si è pronunciata la Corte di Cassazione, sesta sezione civile, con ordinanza n. 14020 pubblicata il 7 luglio 2020.
Il caso: azione di lavoratore proposta nei confronti dell’Inps per ottenere il pagamento del T.F.R. e delle ultime mensilità da parte del Fondo di Garanzia.
Una lavoratrice agiva in giudizio nei confronti dell’Inps, al fine di ottenere il pagamento del T.F.R. e delle ultime tre mensilità di retribuzione, previa azione esecutiva infruttuosa nei confronti del datore di lavoro, non assoggettabile a fallimento. Il Tribunale accoglieva la domanda ma la Corte d’Appello, decidendo l’appello proposto dall’Inps, riformava la sentenza di primo grado, rigettando la domanda originaria. La lavoratrice ricorreva in Cassazione.
Le condizioni richieste dalla norma per l’accesso al Fondo
La vicenda esaminata dalla Corte si fonda sull’applicazione dell’articolo 2 comma 5 della Legge 29 maggio 1982 n. 297, che riconosce la possibilità per il lavoratore di richiedere al Fondo di Garanzia Inps il pagamento del Trattamento di Fine Rapporto e delle ultime mensilità di retribuzione non corrisposte dal proprio datore di lavoro, non assoggettabile a procedura concorsuale, a condizione che abbia preventivamente esperito un’azione esecutiva individuale, rivelatasi infruttuosa. In particolare, la norma invocata così recita: “Qualora il datore di lavoro, non soggetto alle disposizioni del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, non adempia, in caso di risoluzione del rapporto di lavoro, alla corresponsione del trattamento dovuto o vi adempia in misura parziale, il lavoratore o i suoi aventi diritto possono chiedere al fondo il pagamento del trattamento di fine rapporto, sempreché, a seguito dell’esperimento dell’esecuzione forzata per la realizzazione del credito relativo a detto trattamento, le garanzie patrimoniali siano risultate in tutto o in parte insufficienti. Il fondo, ove non sussista contestazione in materia, esegue il pagamento del trattamento insoluto”.
Secondo la Corte d’Appello, la lavoratrice interessata avrebbe tenuto un comportamento negligente, omettendo di svolgere ulteriori e tempestive ricerche di beni ulteriori da aggredire, sia nei confronti della società datrice di lavoro (una S.r.l.) sia nei confronti dei soci della stessa. E su tali motivazioni pronunciava la sentenza impugnata con il ricorso per cassazione.
Nessun onere aggiuntivo a carico del lavoratore
La Suprema Corte non ritiene fondata la motivazione portata dalla corte territoriale, evidenziando che l’articolo 2 citato non prevede né tempi stringenti da osservare nel promuovere la procedura esecutiva, né oneri aggiuntivi oltre a quello di aver esperito infruttuosamente l’azione esecutiva. E’ principio di diritto già in precedenza affermato dalla Corte di legittimità quello secondo cui, ai fini della tutela prevista dalla l. n. 297 del 1982 in favore dei lavoratori per il pagamento del TFR, in caso di insolvenza del datore di lavoro, ove quest’ultimo, pur assoggettabile al fallimento, non possa in concreto essere dichiarato fallito per aver cessato l’attività da oltre un anno, è ammissibile un’azione nei confronti del Fondo di garanzia, ai sensi dell’art. 2, comma 5, della l. n. 297 citata, purché il lavoratore abbia esperito infruttuosamente una procedura di esecuzione forzata, salvo che risulti l’esistenza di altri beni aggredibili con l’azione esecutiva.
In relazione a quest’ultimo appunto, dovrà valutarsi se il lavoratore interessato sia attivato con l’ordinaria diligenza nell’esercizio dell’azione esecutiva. Sul punto gli ermellini affermano che l’esperimento dell’esecuzione forzata non può eccedere i limiti dell’ordinaria diligenza; tale situazione si verifica allorquando la mancanza o l’insufficienza delle garanzie patrimoniali del debitore debbano considerarsi provate in relazione alle particolari circostanze del caso concreto. In particolare dovrà escludersi la necessità di ulteriori azioni esecutive quando i costi, non recuperabili, della eventuale ulteriore azione superino l’importo del credito da azionare oppure quando risulti acquisita la prova della mancanza o insufficienza delle garanzie patrimoniali. Peraltro, prosegue il Collegio, “procedura esecutiva” non deve essere intesa come attivazione di ogni forma possibile di procedimento espropriativo, essendo sufficiente, ai fini dell’ordinaria diligenza, aver azionato una delle possibili procedure.
Ulteriori azioni esecutive a carico dell’Inps
Al più, prosegue il Supremo Collegio, poiché spetta all’Inps il diritto di surroga verso il datore di lavoro inadempiente, sarà possibile per l’ente previdenziale, il quale ha sedi e uffici legali dislocati sull’intero territorio nazionale, effettuare quelle ricerche ed intraprendere le eventuali azioni esecutive sui beni ulteriori che dovessero essere rinvenuti all’esito di dette ricerche.
Ma, il tenore della legge n. 297 prevede unicamente l’onere per il lavoratore di promuovere l’azione esecutiva individuale, dettando una presunzione legale in caso di infruttuosità della stessa. Nessun altro onere di attività di ricerca o azione è imposta al lavoratore dalla legge citata.
Errata dunque l’interpretazione resa dalla di merito nella sentenza impugnata.
Il ricorso è stato così accolto e la sentenza impugnata cassata con rinvio ad altra corte d’appello.
Avv. Roberto Dulio