Tributario e Fiscale

Friday 07 February 2003

Finanziaria 2003. Risposte a quesiti formulati in occasione di recenti incontri con la stampa specializzata. Disposizioni sulle sanatorie fiscali e la nuova IRPEF di cui alla legge 27 dicembre 2002 n. 289, sulla DIT e sulla svalutazione delle partecipazio

Finanziaria 2003. Risposte a quesiti formulati in occasione di recenti incontri con la stampa specializzata. Disposizioni sulle sanatorie fiscali e la nuova IRPEF di cui alla legge 27 dicembre 2002 n. 289, sulla DIT e sulla svalutazione delle partecipazioni.

Agenzia delle Entrate CIRCOLARE N. 7 del 05.02.2003

INDICE

1 ART. 2 – LA NUOVA IRPEF E GLI OBBLIGHI DEI SOSTITUTI

1.1 Deduzione per la progressività dell’imposizione – Ragguaglio ad anno e cumulabilità

1.2 Deduzione per la progressività dell’imposizione – Trattamento di fine rapporto e altri redditi a tassazione separata

1.3 Attribuzione della deduzione in sede di ritenuta

1.4 Calcolo della percentuale di deduzione

2 ARTICOLO 7 – DEFINIZIONE AUTOMATICA DI REDDITI DI IMPRESA E LAVORO AUTONOMO

2.1 Versamento forfetario

2.2 Accertamento parziale

2.3 Cause ostative

2.4 Annualità definibili

2.5 Rateazione

2.6 Perfezionamento della definizione

3 ARTICOLO 8 – INTEGRAZIONE DEGLI IMPONIBILI PER GLI ANNI PREGRESSI

3.1 Modifiche al regime impositivo

3.2 Detrazioni d’imposta e dichiarazione integrativa

3.3 Attuazione dell’art. 8 della legge 289/2002 sulle società che producono redditi esteri

3.4 Integrazione da perfezionare e pagamento degli importi dovuti

3.5 Integrazione dell’imponibile

3.6 Procedure di definizione tra società di persone e soci

3.7 Franchigia

3.8 Importo minimo del versamento

3.9 Reddito conseguito all’estero.

3.10 Valore delle attività rimpatriate.

3.11 Disapplicazione delle norme sul monitoraggio fiscale

4 ARTICOLO 9 – DEFINIZIONE AUTOMATICA PER GLI ANNI PREGRESSI

4.1 Imposte dirette e “pagamento del dovuto”

4.2 Definizione delle società e dei soci

4.3 Omessa dichiarazione e condono tombale

4.4 Società di persone

4.5 Effetto preclusivo

5 DISPOSIZIONI COMUNI AGLI ARTICOLI 7, 8 E 9

5.1 Avvio di un procedimento penale sui reati tributari non più perseguibili

5.2 Definizione rapporti tributari – cause ostative

5.3 Un focus sulle cause ostative per gli accertamenti parziali

5.4 Contenziosi ostativi al condono

5.5 Cause ostative

5.6 Cause ostative

5.7 Effetti

5.8 Effetti dell’accertamento parziale

5.9 Definizione automatica per il condono

5.10 Redditi d’impresa e dichiarazione integrativa

5.11 Accertamento parziale sull’adesione alla sanatoria

6 ARTICOLO 10 – PROROGA DI TERMINI

6.1 Proroga dei termini di accertamento.

6.2 Annualità prescritte

6.3 Dichiarazioni tardive

7 ARTICOLO 11 – DEFINIZIONE AI FINI DELL’IMPOSTA DI REGISTRO ED ALTRI TRIBUTI INDIRETTI

7.1 Notifica di avviso di rettifica

7.2 Oggetto della definizione

8 ARTICOLO 12 – DEFINIZIONE DEI CARICHI DI RUOLI PREGRESSI

8.1 Ruoli pregressi e sanatoria delle controversie.

8.2 Definizione ruoli pregressi – identificazione.

9 ARTICOLO 14 – REGOLARIZZAZIONE DELLE SCRITTURE CONTABILI

9.1 Regolarizzazione delle scritture contabili

9.2 Regolarizzazione delle scritture

9.3 Contabilità semplificata e scritture da regolarizzare

9.4 Riconoscimento di nuovi elementi attivi e passivi

9.5 Eliminazione di attività e passività fittizie

9.6 Eliminazione di attività e passività fittizie

9.7 Rilevanza ai fini DIT

9.8 Trattamento delle riserve assoggettate ad imposta sostitutiva

10 ARTICOLO 15 – DEFINIZIONE DEGLI ACCERTAMENTI, DEGLI INVITI AL CONTRADDITTORIO E DEI PVC

10.1 Esclusione dal contraddittorio

10.2 Inviti al contraddittorio sulle liti potenziali

10.3 Processi verbali per violazioni non sostanziali

10.4 Liti potenziali – definizione parziale (art. 15)

10.5 Definizione liti potenziali – calcolo dell’Iva.

10.6 Definizione liti potenziali – contraddittorio in corso.

10.7 Perfezionamento dell’invito al contraddittorio

11 ARTICOLO 16 – CHIUSURA DELLE LITI FISCALI PENDENTI

11.1 Definizione liti pendenti – tributi locali

11.2 Definizione delle liti pendenti.

11.3 Chiusura delle liti in presenza di coobbligati.

11.4 Liti fiscali pendenti – Caso in cui al 1 gennaio non sia stata effettuata la costituzione in giudizio.

11.5 Definizione liti pendenti – cartella conseguente ad accertamento non impugnato.

11.6 Definizione liti pendenti – cartella per tributi non pagati

11.7 Definizione liti pendenti – contributo al servizio sanitario nazionale

11.8 Definizione liti pendenti – diniego di rimborso.

11.9 Esclusione dei rimborsi

11.10 Continuità normativa

11.11 Nozione di lite pendente

11.12 Definizione parziale

11.13 Interessi legali per tardivo pagamento

11.14 Uffici competenti a comunicare gli elenchi delle liti pendenti

11.15 Sospensione delle liti

12 REDDITO D’IMPRESA – LA DIT

13 REDDITO D’IMPRESA – LA SVALUTAZIONE DELLE PARTECIPAZIONI

1 ART. 2 – LA NUOVA IRPEF E GLI OBBLIGHI DEI SOSTITUTI

1.1 Deduzione per la progressività dell’imposizione – Ragguaglio ad anno e cumulabilità

L’articolo 10-bis del TUIR prevede una deduzione di ¬ 3.000, spettante a tutti i contribuenti e non ragguagliata ad anno (deduzione della no-tax area). Gli incrementi della deduzione legati al tipo di reddito sono ragguagliati al periodo di lavoro dipendente o di pensione, mentre non ha ragguaglio l’ulteriore deduzione per il reddito di lavoro autonomo o impresa minore. Questi incrementi non sono inoltre cumulabili tra di loro.

D. Il dipendente che cessa il rapporto di lavoro in corso d’anno e poi diventa pensionato, può usufruire per mesi (o giorni) della ulteriore deduzione del dipendente, e poi di quella del pensionato?

R. La Circolare n. 2 del 15 gennaio 2003, concernente “primi chiarimenti sull’articolo 2 della legge finanziaria per il 2003” ha già dato compiuta risposta al quesito proposto.

In particolare, nella stessa è stato chiarito, al paragrafo 3.2, che le deduzioni spettanti per i redditi di lavoro dipendente, per i redditi assimilati e per i redditi da pensione vanno rapportate al periodo di lavoro o di pensione nell’anno e quindi al numero dei giorni compresi nel periodo di durata del rapporto intrattenuto.

Pertanto, qualora nel corso del periodo d’imposta il contribuente interrompa un rapporto di lavoro ed inizi a percepire un reddito da pensione spetteranno sia la deduzione per redditi da lavoro che la deduzione per redditi da pensione.

Ognuna di esse, però, dovrà essere rapportata al periodo di lavoro o di pensione considerato, con applicazione dei criteri a suo tempo individuati, in tema di detrazioni, dalla circolare n. 3 del 1998.

1.2 Deduzione per la progressività dell’imposizione – Trattamento di fine rapporto e altri redditi a tassazione separata

Per gli arretrati di lavoro dipendente e di pensione l’articolo 2, comma 10 della finanziaria prevede il rinvio al 2005 dell’utilizzo delle nuove aliquote, in quanto la corresponsione di un arretrato risulterebbe altrimenti tassata senza la deduzione dell’articolo 10-bis del TUIR.

Risulta però evidente che tutti gli altri redditi a tassazione separata, ivi compreso il TFR, saranno penalizzati – se di entità non particolarmente elevata – dalle nuove aliquote, non potendosi applicare la deduzione dell’articolo 10-bis.

Non risulta nemmeno operante la clausola di salvaguardia del comma 3 dell’articolo 2 della finanziaria, che fa riferimento al reddito complessivo, con ciò escludendo i redditi a tassazione separata.

D. Si può ipotizzare un correttivo per i possibili aggravi?

R. Il nuovo sistema di tassazione può comportare aggravi di imposta in relazione ai redditi cui si applica il regime della tassazione separata, compreso il T.F.R. Del resto, in tali ipotesi, non opera la clausola di salvaguardia prevista dal comma 3 dell’articolo 2 della legge finanziaria per il 2003 che, facendo riferimento al reddito complessivo, esclude i redditi soggetti a tassazione separata.

Sulla base di tale assetto normativo non è possibile realizzare in via amministrativa interventi di tipo correttivo. Il problema potrebbe essere risolto solo attraverso l’introduzione di norme apposite.

1.3 Attribuzione della deduzione in sede di ritenuta

La deduzione per assicurare la progressività fa riferimento al reddito complessivo, mentre il sostituto di imposta (datore di lavoro o committente delle collaborazioni coordinate e continuative) conosce solo il reddito che lui eroga.

Il nuovo art. 23, comma 2, lett. a) del DPR 600/73 dispone che il sostituto debba attribuire la deduzione, senza necessità di richiesta da parte del sostituito.

Esiste, a questo punto, il rischio che più sostituti di imposta (ad esempio ciascuna delle società in cui il contribuente è amministratore) attribuiscano più volte la medesima deduzione, che, in presenza di una pluralità di redditi, potrebbe non spettare affatto.

D. E’ opportuno (o è necessario, pur in assenza di una esplicita disposizione normativa) che il sostituito chieda la non attribuzione della deduzione?

R. Ai sensi dell’art.23, comma 2, lett. a) del DPR n.600 del 1973, come modificato dalla legge 27 dicembre 2002 n. 289, il sostituto al momento di operare la ritenuta di acconto sui redditi di lavoro erogati ai propri dipendenti, deve tener conto anche della deduzione prevista dall’art.10-bis del TUIR per assicurare la progressività dell’imposizione. Come è stato precisato con la circolare n. 2 del 15 gennaio 2003, il sostituto deve autonomamente riconoscere tale deduzione.

Tuttavia, pur in mancanza di una espressa previsione normativa, il sostituito ha comunque la facoltà di chiedere al sostituto di non applicare la deduzione di cui all’art.10-bis, nell’ ipotesi in cui lo stesso, disponendo di altri redditi che concorrono alla formazione del reddito complessivo, presuma ragionevolmente di non aver diritto alla deduzione o di avere diritto ad una deduzione inferiore a quella che gli sarebbe riconosciuta dal sostituto.

Tale soluzione evita che, al momento dell’effettuazione delle operazioni di conguaglio, ovvero in sede di presentazione della dichiarazione dei redditi, l’imposta dovuta sia particolarmente elevata.

1.4 Calcolo della percentuale di deduzione

D. La deduzione della no tax area va attribuita, calcolando un coefficiente compreso tra 0 e 1, con lo zero seguito da quattro decimali.

Trattandosi di un coefficiente matematico e non di un arrotondamento all’euro, si deve procedere per troncamento ignorando pertanto le cifre successive?

R. L’art. 10-bis, comma 5, del TUIR prevede che ai fini del rapporto, compreso tra 0 e 1, in base al quale spetta la deduzione per assicurare la progressività dell’imposizione si debbano computare le prime quattro cifre decimali.

La norma non fa riferimento ad alcun arrotondamento, per cui si deve ritenere che dette cifre debbano essere assunte nel loro ammontare derivante dal troncamento, come, peraltro, indicato anche nella circolare n.2 del 15 gennaio 2003.

2 ARTICOLO 7 – DEFINIZIONE AUTOMATICA DI REDDITI DI IMPRESA E LAVORO AUTONOMO

2.1 Versamento forfetario

D. a proposito della somma fissa di 300 ¬. poichè questa non è da ricondurre ad un maggior imponibile, si ritiene che in tale caso non vi sia alcuna rilevanza del concordato sul piano previdenziale. si chiede una conferma.

R. La somma di 300 euro non è riconducibile ad un maggior imponibile e pertanto non rileva ai fini previdenziali.

2.2 Accertamento parziale

D. il comma 4 dell’art.7 dispone che in presenza di un atto di accertamento parziale ex art. 41 bis del dpr 600/1973 (o 54 del dpr 633/1972) la definizione è ammessa a condizione che il contribuente versi entro il 20.06.2003 le somme derivanti dall’accertamento notificato entro la “predetta data”. si è dell’avviso che tale ultima data non sia quella del 20.06.2003 ma quella dell’entrata in vigore della finanziaria (1.1.2003).

Questo per due ordini di motivi. il primo è che soltanto gli atti di accertamento notificati entro il 1.1.2003 risultano ostativi alla definizione (comma 3 dell’art.7). il secondo è che se tale data risultasse effettivamente quella del 20.06.2003, il contribuente si troverebbe fino all’ultimo giorno a valutare la convenienza della sanatoria. senza contare che risulterebbe del tutto assurdo, in presenza di atto notificato il 20.06.2003 provvedere il giorno stesso al pagamento dell’atto di imposizione e alla definizione. si chiede conferma,quindi, sul fatto che il riferimento alla “predetta data” è da considerarsi il 1 gennaio 2003, cioè la data di entrata in vigore della finanziaria.

R. no, la norma all’art.7, comma 4 prevede “… la definizione è ammessa a condizione che il contribuente versi entro il 20 giugno 2003 le somme derivanti dall’accertamento parziale notificato entro la predetta data.”, come peraltro specificato dalla circolare n.3/e al paragrafo 4.11.

2.3 Cause ostative

D. Relativamente alle cause ostative, la norma non fa alcun riferimento – diversamente dalle altre sanatorie – a quale data il contribuente deve risultare a formale conoscenza dell’avvio di un procedimento penale per i reati di cui al D.lgs. 74/2000. quale data deve essere considerata? quella di entrata in vigore della finanziaria 2003?

R. la data è quella del perfezionamento della definizione, vale a dire del pagamento effettuato ai sensi del comma 5, del citato art.7 (vedi paragrafo 4.3 circolare 3/e del 2003).

2.4 Annualità definibili

D. Si conferma che se un soggetto che ha iniziato l’attività nel 2000 e che intende utilizzare la regolarizzazione del magazzino (articolo 14 della Finanziaria 2003) deve definire soltanto le annualità 2000 e 2001?

R. Il comma 6 dell’art. 14 della legge finanziaria per il 2003 stabilisce che ” I soggetti che effettuano la definizione automatica del reddito d’impresa di cui all’art. 7, relativa a tutte le annualità per le quali le dichiarazioni sono state presentate entro il 31 ottobre 2002, possono procedere all’adeguamento delle esistenze iniziali dei beni ai sensi dell’articolo 59del citato testo unico al Decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, e successive modificazioni”.

La norma pone come condizione primaria la definizione di “tutte le annualità per le quali…”. Pertanto nel caso specifico, se il soggetto ha iniziato l’attività nel 2000 ai fini della regolarizzazione delle esistenze iniziali, dovrà definire sussistendone le condizioni, sia il 2000 che il 2001. (cfr, Circolare 3/E, paragrafo 8.6).

2.5 Rateazione

D. Si chiede invece se nel caso di rateazione degli importi dovuti, visto che la norma fa riferimento agli “importi da versare”, ai fini delle soglie di 2000 ¬ (persone fisiche) e 5000 ¬ (altri soggetti), occorre considerare anche l’importo di 300 ¬ per ogni singola annualità.

R. Si, poichè la norma riguardo alla rateazione (cfr. art. 7, comma 5) fa riferimento agli importi dovuti, non attuando alcuna distinzione in merito.

2.6 Perfezionamento della definizione

D. La norma prevede che le “maggiori imposte” sono ridotte al 50% per la parte eccedente l’importo di 5000 ¬ per le persone fisiche e l’importo di 10000 ¬ per gli altri soggetti. Nel conteggio occorre considerare solo le imposte o anche la “maggiorazione” di 300 ¬? Dal tenore letterale della norma sembrerebbe che se una persona fisica deve versare 6000 ¬ a titolo di imposte per due annualità la riduzione alla metà opera sull’importo di 1000 ¬ (6000-5000). Per cui egli verserà 5500 ¬ a cui andranno sommati 600 ¬ per le due annualità. Si chiede conferma.

R. Sì, la Circolare al punto 4.10 precisa che la somma aggiuntiva di 300 ¬ non deve essere inclusa nel calcolo delle complessive maggiori imposte dovute, ai fini della determinazione della riduzione spettante nella definizione automatica.

3 ARTICOLO 8 – INTEGRAZIONE DEGLI IMPONIBILI PER GLI ANNI PREGRESSI

3.1 Modifiche al regime impositivo

D. La definizione dei redditi soggetti a tassazione separata è possibile solo mediante la dichiarazione integrativa di cui all’articolo 8 della legge n. 289 del 2002. Per i componenti di reddito per i quali l’ordinamento prevede l’opzione tra la tassazione ordinaria e quella separata in sede di dichiarazione integrativa è possibile modificare il regime impositivo?

R. La facoltà di optare per la tassazione ordinaria per alcuni dei redditi elencati all’art. 16 del TUIR, per i quali di regola è prevista la tassazione separata, deve essere espressamente esercitata dal contribuente nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta in cui è avvenuta o ha avuto inizio la percezione dei predetti redditi.

Ne consegue che non è possibile per il contribuente esercitare una diversa opzione, di tassazione separata o ordinaria del reddito, rispetto a quella già operata in sede di dichiarazione originaria, qualora in sede di dichiarazione integrativa, si proceda ad integrare un reddito dichiarato in modo infedele. Analogamente non è possibile assoggettare a tassazione ordinaria tutti i redditi omessi per i quali l’articolo 16 del TUIR prevede la tassazione separata.

3.2 Detrazioni d’imposta e dichiarazione integrativa

D. E’ possibile fruire dei benefici della dichiarazione integrativa senza alcun esborso, nel caso in cui l’originaria dichiarazione presentasse delle detrazioni di imposta superiori all’imposta lorda? In particolare se si integrano componenti positivi che rimangono comunque assorbiti dalle detrazioni originariamente non fruite si potrebbe configurare la formazione della franchigia non accertabile pur in assenza di esborso effettivo?.

R. Come chiarito al punto 2.8.1 della circolare n. 3/E del 2003, è consentito, attraverso la dichiarazione integrativa, far valere detrazioni d’imposta maggiori, non scomputate interamente nella dichiarazione originaria, purché uguali a quelle ivi indicate. In ogni caso la franchigia di cui all’articolo 8, comma 6, è pari al 100 per cento del maggiore imponibile risultante dalla dichiarazione integrativa, anche se questo non ha dato luogo al versamento d’imposta.

3.3 Attuazione dell’art. 8 della legge 289/2002 sulle società che producono redditi esteri

D. Una società negli anni passati ha prodotto redditi esteri mediante operazioni “estero su estero” che non sono, illecitamente, transitate nella contabilità e nelle dichiarazioni dei redditi. E’ possibile per tale fattispecie avvalersi delle disposizioni di cui all’art. 8 della legge 289/2002? In caso di risposta affermativa, come è possibile ottenere la piena non punibilità delle stesse? Se è necessario avvalersi anche delle disposizioni in tema di regolarizzazione delle scritture quali sono le poste da contabilizzare nell’ipotesi che i corrispettivi corrispondenti ai redditi esteri sono stati tutti incassati ma nel frattempo risultano anche esser stati spesi per altre operazioni estere?

R. La fattispecie rappresentata rientra nell’ambito applicativo del comma 5 dell’articolo 8 che prevede la regolarizzazione dei redditi e degli imponibili conseguiti all’estero, dietro pagamento di un’imposta sostitutiva delle imposte dovuta nella misura del 13 per cento.

In tal caso, infatti, si tratta di redditi, imponibili in Italia, derivanti da attività detenute all’estero che non hanno concorso a formare il reddito complessivo della società come componenti del reddito d’impresa e che non sono stati contabilizzati.

Il perfezionamento della procedura concernente la dichiarazione dei redditi conseguiti all’estero e il pagamento dell’imposta sostitutiva comporta, tra l’altro:

1. l’esclusione della punibilità per i reati tributari di dichiarazione fraudolenta, infedele e omessa dichiarazione e di occultamento o distruzione di documenti contabili;

2. l’esclusione della punibilità per i reati previsti dal codice penale e dal codice civile per falsità in atti e in comunicazioni sociali, quando tali reati siano stati commessi per occultare i reati tributari ovvero per conseguire il profitto e siano riferiti alla stessa pendenza o situazione tributaria.

Tuttavia, a tali fini, il comma 7 dell’articolo 8 prevede che per i redditi conseguiti all’estero si debba necessariamente provvedere alla regolarizzazione contabile delle attività detenute all’estero alla data del 31 dicembre 2001.

In particolare, l’emersione in contabilità delle attività detenute all’estero si correla a corrispondenti componenti positivi di reddito – in sostanza sopravvenienze attive – che costituiscono oggetto dell’integrazione. In ogni caso, il contribuente dovrà evidenziare nel bilancio o rendiconto gli elementi emersi.

Naturalmente, nel caso in cui gli imponibili conseguiti in periodi di imposta definibili siano di ammontare superiore al valore dell’attività detenuta all’estero alla quale essi si riferiscono, la società potrà definire gli imponibili omessi ed iscrivere in bilancio o nel rendiconto il valore di detta attività.

Si ricorda, infine, che a differenza delle attività detenute in Italia, il valore delle attività oggetto di regolarizzazione si considera fiscalmente riconosciuto a decorrere dal terzo periodo d’imposta successivo a quello chiuso o in corso al 31 dicembre 2002 e quindi, per i soggetti con esercizio coincidente con l’anno solare, a decorrere dal periodo d’imposta che inizia il 1 gennaio 2005.

3.4 Integrazione da perfezionare e pagamento degli importi dovuti

D. Come è possibile coordinare la disposizione di cui al terzo comma dell’art. 8 della legge 289/2002 che prevede che il perfezionamento dell’integrazione intervenga con il pagamento dei maggior importi dovuti, con la possibilità che invece sembra essere prevista di un integrazione che non dia luogo ad alcun maggiore importo da versare (si pensi al caso di integrazione di un reddito di un periodo chiuso in perdita)?

R. Ai sensi dell’art. 8, comma 3 della legge finanziaria per il 2003 “l’integrazione si perfeziona con il pagamento dei maggiori importi dovuti” sulla base dei dati risultanti dalla dichiarazione integrativa. Nella circolare n. 3/E del 15 gennaio 2003 (paragrafo 2.6.1.) si è osservato che “la norma non prevede alcuna soglia minima d’integrazione nè con riferimento all’imponibile nè all’imposta”. Deve pertanto ritenersi possibile presentare una dichiarazione integrativa dalla quale non scaturiscano somme da versare. In tal caso il perfezionamento si realizza con la presentazione della dichiarazione integrativa.

3.5 Integrazione dell’imponibile

D. Non essendo previsto alcunché in modo esplicito, al contrario che negli altri provvedimenti di sanatoria, è corretto ritenere che ai fini dell’integrazione degli imponibili degli anni pregressi è possibile tener conto delle dichiarazioni integrative presentata a proprio favore dopo il 30 settembre 2002?

R. Mancando nell’articolo 8 una previsione analoga a quella contenuta negli articoli 7, comma 16 e 9, comma 16, si ritiene che, ai fini dell’integrativa semplice, si debba tener conto della dichiarazione integrativa prodotta a proprio favore ai sensi dell’articolo 2, comma 8-bis, del DPR n. 322 del 1998, anche dopo il 30 settembre 2002.

3.6 Procedure di definizione tra società di persone e soci

D. Con riferimento alla dichiarazione integrativa, la norma prevede che la mancata adesione dei soci a fronte di quella della società, fornisce titolo all’amministrazione finanziaria per la notifica di un avviso di accertamento nei confronti dei soci che non hanno aderito. Si chiede, a tale proposito, se la posizione dei soci possa essere successivamente definita mediante le procedure di accertamento con adesione ovvero di acquiescenza agevolata ai sensi del decreto legislativo n. 218 del 1997 ovvero, in considerazione del fatto che i soci stessi non hanno aderito alle possibili definizioni di cui alla legge 289/2002, nessuna ulteriore possibilità, se non quella del contenzioso possa essere loro riservata.

R. Le norme prevedono che la mancata adesione dei soci a fronte di quella della società, ai sensi degli articoli 7 e 8, costituisce titolo per l’accertamento ai sensi dell’articolo 41 bis del DPR n. 600 del 1973 nei loro confronti, senza stabilire ulteriori preclusioni.

L’accertamento di cui all’art. 41 bis è definibile tramite acquiescenza mediante il versamento delle sanzioni ridotte ad un quarto.

Si osserva che, al di fuori di quest’ultima ipotesi, l’accertamento parziale eseguito in capo ai soci, pur essendo astrattamente impugnabile presso le commissioni tributarie, e suscettibile di adesione da parte del contribuente, ben difficilmente potrà essere da questi definito con l’adesione in considerazione dell’imputazione automatica del reddito prevista dalla legge n. 289 del 2003.

3.7 Franchigia

D. L’articolo 8, comma 6 delle legge 289 del 2002 introduce la cosiddetta franchigia in misura pari al 100% dell’imponibile oggetto di integrazione. Come opera la franchigia in caso di integrativa Iva? Si può per analogia sostenere che la franchigia è pari al 100% dell’imposta oggetto d’integrazione?

R. Ai sensi dell’art. 8, comma 6 della legge n. 289 del 2002, il perfezionamento della procedura d’integrazione comporta, limitatamente ai periodi d’imposta oggetto d’integrazione e ai maggiori imponibili o ritenute integrati maggiorati rispettivamente del 100 e del 50 per cento, la preclusione di ogni accertamento tributario e contributivo, l’estinzione delle sanzioni amministrative tributarie e previdenziali e l’esclusione della punibilità dei reati individuati alle lettere c) e d) dello stesso comma 6. Dal tenore letterale della norma si ricava che il calcolo della “franchigia” va effettuato, ad eccezione delle ritenute, sugli imponibili. Ne consegue che anche ai fini IVA detta franchigia opera sull’imponibile e non sull’imposta.

3.8 Importo minimo del versamento

D. Nella integrativa semplice, a differenza di quanto avveniva nel 1991, non esiste un ammontare minimo che deve essere indicato come integrazione. Esiste un importo minimo di versamento?

R. L’articolo 8 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, che detta disposizioni in materia di integrazione degli imponibili per gli anni pregressi, non prevede alcuna soglia minima di integrazione né con riferimento all’imponibile né all’imposta.

Parimenti, la norma non prevede alcun minimo per i versamenti da effettuare.

3.9 Reddito conseguito all’estero.

D. Nell’ambito della disciplina dello “scudo fiscale per le imprese”, è di fondamentale importanza definire con esattezza il significato della locuzione “redditi e imponibili conseguiti all’estero” contenuta nell’articolo 8, comma 5 della legge. E’ possibile avere qualche precisazione a riguardo?

R. Come specificato nella circolare n. 3/E del 15 gennaio 2003, si considerano conseguiti all’estero i redditi, imponibili in Italia, derivanti da attività detenute all’estero e, in ogni caso, i redditi di qualsiasi fonte (italiana o estera) attraverso i quali, con qualunque modalità, anche tramite soggetti non residenti o loro strutture interposte, sono state costituite attività o realizzati investimenti all’estero.

A titolo esemplificativo, rientrano in tale definizione:

– i canoni di affitto relativi a beni situati all’estero, ovunque percepiti;

– i redditi derivanti da beni situati in Italia e accreditati su conti esteri;

– i redditi e gli imponibili derivanti da cessioni di beni o da prestazioni di servizi effettuati o resi da un’impresa residente, anche senza stabili organizzazioni all’estero, se i relativi proventi sono stati accreditati su conti esteri o sono stati utilizzati per investimenti all’estero, indipendentemente dalla residenza del cessionario o del committente;

– i dividendi percepiti direttamente all’estero derivanti da partecipazioni in società residenti o non residenti.

3.10 Valore delle attività rimpatriate.

D. Se le attività rimpatriate al 1 agosto 2001 avevano un valore superiore sia al costo che a quello alla data del rimpatrio, si può indicare in dichiarazione riservata il valore al 1 agosto 2001 ed eventualmente utilizzarlo come costo fiscale ai sensi dell’articolo 14, comma 5 bis?

R. Nella circolare n. 99/E del 4 dicembre 2001 è stato già specificato che, relativamente alle attività finanziarie rimpatriate, il contribuente deve assumere a tutti gli effetti, quale costo fiscalmente rilevante:

– il costo di acquisto, come risultante dalla relativa documentazione.

In mancanza della documentazione di acquisto può essere assunto, alternativamente:

– il valore fornito all’intermediario mediante un’apposita dichiarazione sostitutiva del documento attestante il costo di acquisto;

– l’importo dichiarato nella dichiarazione riservata.

Con riferimento alla prima ipotesi (ossia la redazione di un’apposita dichiarazione sostitutiva), è stato già chiarito che in tale valutazione non si può superare il valore determinato sulla base dei criteri generali stabiliti dall’articolo 9 del TUIR.

Ai fini, invece, dell’indicazione dell’ammontare delle attività finanziarie nella dichiarazione riservata, il contribuente non è tenuto ad adottare criteri specifici di valorizzazione. Il contribuente può, ad esempio, indicare l’importo corrispondente al valore corrente delle attività ovvero al costo di acquisto delle stesse o a valori intermedi

Si fa presente che, rimane ferma la possibilità dell’Amministrazione finanziaria di disconoscere i vantaggi tributari conseguiti per effetto di operazioni, incluse le valutazioni, aventi ad oggetto i beni o i rapporti di cui all’articolo 81, comma 1, lettere da c) a c-quinquies), del TUIR, ai sensi dell’articolo 37-bis, comma 2, lettera f), del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600.

3.11 Disapplicazione delle norme sul monitoraggio fiscale

D. L’articolo 8, comma 6, lettera b) e l’articolo 9, comma 11 della legge 289/2002 sembra subordinare l’estinzione delle sanzioni sul monitoraggio fiscale alla condizione che si sia effettuata la regolarizzazione delle scritture contabili. Ciò precluderebbe la sanatoria proprio ai soggetti che rischiano di incorrere nelle sanzioni sulla violazione delle norme relative al monitoraggio che non sono obbligati alla redazione del bilancio (professionisti, imprese individuali in contabilità semplificata, associazioni artistiche e professionali) e che quindi non possono effettuare le regolarizzazioni contabili. La norma non può essere interpretata nel senso che la regolarizzazione sia necessaria solo quando vi siano i presupposti per effettuarla? Lo stesso problema si riscontra nell’articolo 9, comma 11.

R. L’articolo 8, comma 6, lettera b), e l’articolo 9, comma 11, della legge n. 289 del 2002 precisano che la dichiarazione integrativa, nonché quella automatica per gli anni pregressi non hanno effetto in ordine alle violazioni riguardanti il “monitoraggio fiscale”, salvo che il contribuente non provveda alla regolarizzazione contabile di tutte le attività detenute all’estero, ove ricorra l’ipotesi di cui all’articolo 14, commi 4 e 5, della stessa legge.

In sostanza, la dichiarazione e l’integrazione dei redditi e degli imponibili conseguiti all’estero e il pagamento dell’imposta sostitutiva del 13 per cento consente l’estinzione delle sanzioni relative al monitoraggio fiscale a condizione che il contribuente proceda anche alla regolarizzazione contabile delle attività detenute all’estero alla data del 31 dicembre 2001.

Pertanto, un soggetto che detiene all’estero un’attività ed intende avvalersi della procedura prevista dall’articolo 8 deve presentare la dichiarazione integrativa per i redditi conseguiti all’estero e non dichiarati e corrispondere la relativa imposta sostitutiva del 13 per cento.

Tuttavia, se si tratta di un soggetto non tenuto alla redazione delle scritture contabili, per potersi avvalere della non applicabilità delle sanzioni sul monitoraggio fiscale, potrà far emergere l’attività finanziaria detenuta all’estero avvalendosi esclusivamente delle disposizioni relative allo scudo fiscale di cui all’articolo 20, ricorrendo le condizioni ivi previste.

1 ART. 2 – LA NUOVA IRPEF E GLI OBBLIGHI DEI SOSTITUTI

1.1 Deduzione per la progressività dell’imposizione – Ragguaglio ad anno e cumulabilità

L’articolo 10-bis del TUIR prevede una deduzione di ¬ 3.000, spettante a tutti i contribuenti e non ragguagliata ad anno (deduzione della no-tax area). Gli incrementi della deduzione legati al tipo di reddito sono ragguagliati al periodo di lavoro dipendente o di pensione, mentre non ha ragguaglio l’ulteriore deduzione per il reddito di lavoro autonomo o impresa minore. Questi incrementi non sono inoltre cumulabili tra di loro.

D. Il dipendente che cessa il rapporto di lavoro in corso d’anno e poi diventa pensionato, può usufruire per mesi (o giorni) della ulteriore deduzione del dipendente, e poi di quella del pensionato?

R. La Circolare n. 2 del 15 gennaio 2003, concernente “primi chiarimenti sull’articolo 2 della legge finanziaria per il 2003” ha già dato compiuta risposta al quesito proposto.

In particolare, nella stessa è stato chiarito, al paragrafo 3.2, che le deduzioni spettanti per i redditi di lavoro dipendente, per i redditi assimilati e per i redditi da pensione vanno rapportate al periodo di lavoro o di pensione nell’anno e quindi al numero dei giorni compresi nel periodo di durata del rapporto intrattenuto.

Pertanto, qualora nel corso del periodo d’imposta il contribuente interrompa un rapporto di lavoro ed inizi a percepire un reddito da pensione spetteranno sia la deduzione per redditi da lavoro che la deduzione per redditi da pensione.

Ognuna di esse, però, dovrà essere rapportata al periodo di lavoro o di pensione considerato, con applicazione dei criteri a suo tempo individuati, in tema di detrazioni, dalla circolare n. 3 del 1998.

1.2 Deduzione per la progressività dell’imposizione – Trattamento di fine rapporto e altri redditi a tassazione separata

Per gli arretrati di lavoro dipendente e di pensione l’articolo 2, comma 10 della finanziaria prevede il rinvio al 2005 dell’utilizzo delle nuove aliquote, in quanto la corresponsione di un arretrato risulterebbe altrimenti tassata senza la deduzione dell’articolo 10-bis del TUIR.

Risulta però evidente che tutti gli altri redditi a tassazione separata, ivi compreso il TFR, saranno penalizzati – se di entità non particolarmente elevata – dalle nuove aliquote, non potendosi applicare la deduzione dell’articolo 10-bis.

Non risulta nemmeno operante la clausola di salvaguardia del comma 3 dell’articolo 2 della finanziaria, che fa riferimento al reddito complessivo, con ciò escludendo i redditi a tassazione separata.

D. Si può ipotizzare un correttivo per i possibili aggravi?

R. Il nuovo sistema di tassazione può comportare aggravi di imposta in relazione ai redditi cui si applica il regime della tassazione separata, compreso il T.F.R. Del resto, in tali ipotesi, non opera la clausola di salvaguardia prevista dal comma 3 dell’articolo 2 della legge finanziaria per il 2003 che, facendo riferimento al reddito complessivo, esclude i redditi soggetti a tassazione separata.

Sulla base di tale assetto normativo non è possibile realizzare in via amministrativa interventi di tipo correttivo. Il problema potrebbe essere risolto solo attraverso l’introduzione di norme apposite.

1.3 Attribuzione della deduzione in sede di ritenuta

La deduzione per assicurare la progressività fa riferimento al reddito complessivo, mentre il sostituto di imposta (datore di lavoro o committente delle collaborazioni coordinate e continuative) conosce solo il reddito che lui eroga.

Il nuovo art. 23, comma 2, lett. a) del DPR 600/73 dispone che il sostituto debba attribuire la deduzione, senza necessità di richiesta da parte del sostituito.

Esiste, a questo punto, il rischio che più sostituti di imposta (ad esempio ciascuna delle società in cui il contribuente è amministratore) attribuiscano più volte la medesima deduzione, che, in presenza di una pluralità di redditi, potrebbe non spettare affatto.

D. E’ opportuno (o è necessario, pur in assenza di una esplicita disposizione normativa) che il sostituito chieda la non attribuzione della deduzione?

R. Ai sensi dell’art.23, comma 2, lett. a) del DPR n.600 del 1973, come modificato dalla legge 27 dicembre 2002 n. 289, il sostituto al momento di operare la ritenuta di acconto sui redditi di lavoro erogati ai propri dipendenti, deve tener conto anche della deduzione prevista dall’art.10-bis del TUIR per assicurare la progressività dell’imposizione. Come è stato precisato con la circolare n. 2 del 15 gennaio 2003, il sostituto deve autonomamente riconoscere tale deduzione.

Tuttavia, pur in mancanza di una espressa previsione normativa, il sostituito ha comunque la facoltà di chiedere al sostituto di non applicare la deduzione di cui all’art.10-bis, nell’ ipotesi in cui lo stesso, disponendo di altri redditi che concorrono alla formazione del reddito complessivo, presuma ragionevolmente di non aver diritto alla deduzione o di avere diritto ad una deduzione inferiore a quella che gli sarebbe riconosciuta dal sostituto.

Tale soluzione evita che, al momento dell’effettuazione delle operazioni di conguaglio, ovvero in sede di presentazione della dichiarazione dei redditi, l’imposta dovuta sia particolarmente elevata.

1.4 Calcolo della percentuale di deduzione

D. La deduzione della no tax area va attribuita, calcolando un coefficiente compreso tra 0 e 1, con lo zero seguito da quattro decimali.

Trattandosi di un coefficiente matematico e non di un arrotondamento all’euro, si deve procedere per troncamento ignorando pertanto le cifre successive?

R. L’art. 10-bis, comma 5, del TUIR prevede che ai fini del rapporto, compreso tra 0 e 1, in base al quale spetta la deduzione per assicurare la progressività dell’imposizione si debbano computare le prime quattro cifre decimali.

La norma non fa riferimento ad alcun arrotondamento, per cui si deve ritenere che dette cifre debbano essere assunte nel loro ammontare derivante dal troncamento, come, peraltro, indicato anche nella circolare n.2 del 15 gennaio 2003.

2 ARTICOLO 7 – DEFINIZIONE AUTOMATICA DI REDDITI DI IMPRESA E LAVORO AUTONOMO

2.1 Versamento forfetario

D. a proposito della somma fissa di 300 ¬. poichè questa non è da ricondurre ad un maggior imponibile, si ritiene che in tale caso non vi sia alcuna rilevanza del concordato sul piano previdenziale. si chiede una conferma.

R. La somma di 300 euro non è riconducibile ad un maggior imponibile e pertanto non rileva ai fini previdenziali.

2.2 Accertamento parziale

D. il comma 4 dell’art.7 dispone che in presenza di un atto di accertamento parziale ex art. 41 bis del dpr 600/1973 (o 54 del dpr 633/1972) la definizione è ammessa a condizione che il contribuente versi entro il 20.06.2003 le somme derivanti dall’accertamento notificato entro la “predetta data”. si è dell’avviso che tale ultima data non sia quella del 20.06.2003 ma quella dell’entrata in vigore della finanziaria (1.1.2003).

Questo per due ordini di motivi. il primo è che soltanto gli atti di accertamento notificati entro il 1.1.2003 risultano ostativi alla definizione (comma 3 dell’art.7). il secondo è che se tale data risultasse effettivamente quella del 20.06.2003, il contribuente si troverebbe fino all’ultimo giorno a valutare la convenienza della sanatoria. senza contare che risulterebbe del tutto assurdo, in presenza di atto notificato il 20.06.2003 provvedere il giorno stesso al pagamento dell’atto di imposizione e alla definizione. si chiede conferma,quindi, sul fatto che il riferimento alla “predetta data” è da considerarsi il 1 gennaio 2003, cioè la data di entrata in vigore della finanziaria.

R. no, la norma all’art.7, comma 4 prevede “… la definizione è ammessa a condizione che il contribuente versi entro il 20 giugno 2003 le somme derivanti dall’accertamento parziale notificato entro la predetta data.”, come peraltro specificato dalla circolare n.3/e al paragrafo 4.11.

2.3 Cause ostative

D. Relativamente alle cause ostative, la norma non fa alcun riferimento – diversamente dalle altre sanatorie – a quale data il contribuente deve risultare a formale conoscenza dell’avvio di un procedimento penale per i reati di cui al D.lgs. 74/2000. quale data deve essere considerata? quella di entrata in vigore della finanziaria 2003?

R. la data è quella del perfezionamento della definizione, vale a dire del pagamento effettuato ai sensi del comma 5, del citato art.7 (vedi paragrafo 4.3 circolare 3/e del 2003).

2.4 Annualità definibili

D. Si conferma che se un soggetto che ha iniziato l’attività nel 2000 e che intende utilizzare la regolarizzazione del magazzino (articolo 14 della Finanziaria 2003) deve definire soltanto le annualità 2000 e 2001?

R. Il comma 6 dell’art. 14 della legge finanziaria per il 2003 stabilisce che ” I soggetti che effettuano la definizione automatica del reddito d’impresa di cui all’art. 7, relativa a tutte le annualità per le quali le dichiarazioni sono state presentate entro il 31 ottobre 2002, possono procedere all’adeguamento delle esistenze iniziali dei beni ai sensi dell’articolo 59del citato testo unico al Decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, e successive modificazioni”.

La norma pone come condizione primaria la definizione di “tutte le annualità per le quali…”. Pertanto nel caso specifico, se il soggetto ha iniziato l’attività nel 2000 ai fini della regolarizzazione delle esistenze iniziali, dovrà definire sussistendone le condizioni, sia il 2000 che il 2001. (cfr, Circolare 3/E, paragrafo 8.6).

2.5 Rateazione

D. Si chiede invece se nel caso di rateazione degli importi dovuti, visto che la norma fa riferimento agli “importi da versare”, ai fini delle soglie di 2000 ¬ (persone fisiche) e 5000 ¬ (altri soggetti), occorre considerare anche l’importo di 300 ¬ per ogni singola annualità.

R. Si, poichè la norma riguardo alla rateazione (cfr. art. 7, comma 5) fa riferimento agli importi dovuti, non attuando alcuna distinzione in merito.

2.6 Perfezionamento della definizione

D. La norma prevede che le “maggiori imposte” sono ridotte al 50% per la parte eccedente l’importo di 5000 ¬ per le persone fisiche e l’importo di 10000 ¬ per gli altri soggetti. Nel conteggio occorre considerare solo le imposte o anche la “maggiorazione” di 300 ¬? Dal tenore letterale della norma sembrerebbe che se una persona fisica deve versare 6000 ¬ a titolo di imposte per due annualità la riduzione alla metà opera sull’importo di 1000 ¬ (6000-5000). Per cui egli verserà 5500 ¬ a cui andranno sommati 600 ¬ per le due annualità. Si chiede conferma.

R. Sì, la Circolare al punto 4.10 precisa che la somma aggiuntiva di 300 ¬ non deve essere inclusa nel calcolo delle complessive maggiori imposte dovute, ai fini della determinazione della riduzione spettante nella definizione automatica.

3 ARTICOLO 8 – INTEGRAZIONE DEGLI IMPONIBILI PER GLI ANNI PREGRESSI

3.1 Modifiche al regime impositivo

D. La definizione dei redditi soggetti a tassazione separata è possibile solo mediante la dichiarazione integrativa di cui all’articolo 8 della legge n. 289 del 2002. Per i componenti di reddito per i quali l’ordinamento prevede l’opzione tra la tassazione ordinaria e quella separata in sede di dichiarazione integrativa è possibile modificare il regime impositivo?

R. La facoltà di optare per la tassazione ordinaria per alcuni dei redditi elencati all’art. 16 del TUIR, per i quali di regola è prevista la tassazione separata, deve essere espressamente esercitata dal contribuente nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta in cui è avvenuta o ha avuto inizio la percezione dei predetti redditi.

Ne consegue che non è possibile per il contribuente esercitare una diversa opzione, di tassazione separata o ordinaria del reddito, rispetto a quella già operata in sede di dichiarazione originaria, qualora in sede di dichiarazione integrativa, si proceda ad integrare un reddito dichiarato in modo infedele. Analogamente non è possibile assoggettare a tassazione ordinaria tutti i redditi omessi per i quali l’articolo 16 del TUIR prevede la tassazione separata.

3.2 Detrazioni d’imposta e dichiarazione integrativa

D. E’ possibile fruire dei benefici della dichiarazione integrativa senza alcun esborso, nel caso in cui l’originaria dichiarazione presentasse delle detrazioni di imposta superiori all’imposta lorda? In particolare se si integrano componenti positivi che rimangono comunque assorbiti dalle detrazioni originariamente non fruite si potrebbe configurare la formazione della franchigia non accertabile pur in assenza di esborso effettivo?.

R. Come chiarito al punto 2.8.1 della circolare n. 3/E del 2003, è consentito, attraverso la dichiarazione integrativa, far valere detrazioni d’imposta maggiori, non scomputate interamente nella dichiarazione originaria, purché uguali a quelle ivi indicate. In ogni caso la franchigia di cui all’articolo 8, comma 6, è pari al 100 per cento del maggiore imponibile risultante dalla dichiarazione integrativa, anche se questo non ha dato luogo al versamento d’imposta.

3.3 Attuazione dell’art. 8 della legge 289/2002 sulle società che producono redditi esteri

D. Una società negli anni passati ha prodotto redditi esteri mediante operazioni “estero su estero” che non sono, illecitamente, transitate nella contabilità e nelle dichiarazioni dei redditi. E’ possibile per tale fattispecie avvalersi delle disposizioni di cui all’art. 8 della legge 289/2002? In caso di risposta affermativa, come è possibile ottenere la piena non punibilità delle stesse? Se è necessario avvalersi anche delle disposizioni in tema di regolarizzazione delle scritture quali sono le poste da contabilizzare nell’ipotesi che i corrispettivi corrispondenti ai redditi esteri sono stati tutti incassati ma nel frattempo risultano anche esser stati spesi per altre operazioni estere?

R. La fattispecie rappresentata rientra nell’ambito applicativo del comma 5 dell’articolo 8 che prevede la regolarizzazione dei redditi e degli imponibili conseguiti all’estero, dietro pagamento di un’imposta sostitutiva delle imposte dovuta nella misura del 13 per cento.

In tal caso, infatti, si tratta di redditi, imponibili in Italia, derivanti da attività detenute all’estero che non hanno concorso a formare il reddito complessivo della società come componenti del reddito d’impresa e che non sono stati contabilizzati.

Il perfezionamento della procedura concernente la dichiarazione dei redditi conseguiti all’estero e il pagamento dell’imposta sostitutiva comporta, tra l’altro:

1. l’esclusione della punibilità per i reati tributari di dichiarazione fraudolenta, infedele e omessa dichiarazione e di occultamento o distruzione di documenti contabili;

2. l’esclusione della punibilità per i reati previsti dal codice penale e dal codice civile per falsità in atti e in comunicazioni sociali, quando tali reati siano stati commessi per occultare i reati tributari ovvero per conseguire il profitto e siano riferiti alla stessa pendenza o situazione tributaria.

Tuttavia, a tali fini, il comma 7 dell’articolo 8 prevede che per i redditi conseguiti all’estero si debba necessariamente provvedere alla regolarizzazione contabile delle attività detenute all’estero alla data del 31 dicembre 2001.

In particolare, l’emersione in contabilità delle attività detenute all’estero si correla a corrispondenti componenti positivi di reddito – in sostanza sopravvenienze attive – che costituiscono oggetto dell’integrazione. In ogni caso, il contribuente dovrà evidenziare nel bilancio o rendiconto gli elementi emersi.

Naturalmente, nel caso in cui gli imponibili conseguiti in periodi di imposta definibili siano di ammontare superiore al valore dell’attività detenuta all’estero alla quale essi si riferiscono, la società potrà definire gli imponibili omessi ed iscrivere in bilancio o nel rendiconto il valore di detta attività.

Si ricorda, infine, che a differenza delle attività detenute in Italia, il valore delle attività oggetto di regolarizzazione si considera fiscalmente riconosciuto a decorrere dal terzo periodo d’imposta successivo a quello chiuso o in corso al 31 dicembre 2002 e quindi, per i soggetti con esercizio coincidente con l’anno solare, a decorrere dal periodo d’imposta che inizia il 1 gennaio 2005.

3.4 Integrazione da perfezionare e pagamento degli importi dovuti

D. Come è possibile coordinare la disposizione di cui al terzo comma dell’art. 8 della legge 289/2002 che prevede che il perfezionamento dell’integrazione intervenga con il pagamento dei maggior importi dovuti, con la possibilità che invece sembra essere prevista di un integrazione che non dia luogo ad alcun maggiore importo da versare (si pensi al caso di integrazione di un reddito di un periodo chiuso in perdita)?

R. Ai sensi dell’art. 8, comma 3 della legge finanziaria per il 2003 “l’integrazione si perfeziona con il pagamento dei maggiori importi dovuti” sulla base dei dati risultanti dalla dichiarazione integrativa. Nella circolare n. 3/E del 15 gennaio 2003 (paragrafo 2.6.1.) si è osservato che “la norma non prevede alcuna soglia minima d’integrazione nè con riferimento all’imponibile nè all’imposta”. Deve pertanto ritenersi possibile presentare una dichiarazione integrativa dalla quale non scaturiscano somme da versare. In tal caso il perfezionamento si realizza con la presentazione della dichiarazione integrativa.

3.5 Integrazione dell’imponibile

D. Non essendo previsto alcunché in modo esplicito, al contrario che negli altri provvedimenti di sanatoria, è corretto ritenere che ai fini dell’integrazione degli imponibili degli anni pregressi è possibile tener conto delle dichiarazioni integrative presentata a proprio favore dopo il 30 settembre 2002?

R. Mancando nell’articolo 8 una previsione analoga a quella contenuta negli articoli 7, comma 16 e 9, comma 16, si ritiene che, ai fini dell’integrativa semplice, si debba tener conto della dichiarazione integrativa prodotta a proprio favore ai sensi dell’articolo 2, comma 8-bis, del DPR n. 322 del 1998, anche dopo il 30 settembre 2002.

3.6 Procedure di definizione tra società di persone e soci

D. Con riferimento alla dichiarazione integrativa, la norma prevede che la mancata adesione dei soci a fronte di quella della società, fornisce titolo all’amministrazione finanziaria per la notifica di un avviso di accertamento nei confronti dei soci che non hanno aderito. Si chiede, a tale proposito, se la posizione dei soci possa essere successivamente definita mediante le procedure di accertamento con adesione ovvero di acquiescenza agevolata ai sensi del decreto legislativo n. 218 del 1997 ovvero, in considerazione del fatto che i soci stessi non hanno aderito alle possibili definizioni di cui alla legge 289/2002, nessuna ulteriore possibilità, se non quella del contenzioso possa essere loro riservata.

R. Le norme prevedono che la mancata adesione dei soci a fronte di quella della società, ai sensi degli articoli 7 e 8, costituisce titolo per l’accertamento ai sensi dell’articolo 41 bis del DPR n. 600 del 1973 nei loro confronti, senza stabilire ulteriori preclusioni.

L’accertamento di cui all’art. 41 bis è definibile tramite acquiescenza mediante il versamento delle sanzioni ridotte ad un quarto.

Si osserva che, al di fuori di quest’ultima ipotesi, l’accertamento parziale eseguito in capo ai soci, pur essendo astrattamente impugnabile presso le commissioni tributarie, e suscettibile di adesione da parte del contribuente, ben difficilmente potrà essere da questi definito con l’adesione in considerazione dell’imputazione automatica del reddito prevista dalla legge n. 289 del 2003.

3.7 Franchigia

D. L’articolo 8, comma 6 delle legge 289 del 2002 introduce la cosiddetta franchigia in misura pari al 100% dell’imponibile oggetto di integrazione. Come opera la franchigia in caso di integrativa Iva? Si può per analogia sostenere che la franchigia è pari al 100% dell’imposta oggetto d’integrazione?

R. Ai sensi dell’art. 8, comma 6 della legge n. 289 del 2002, il perfezionamento della procedura d’integrazione comporta, limitatamente ai periodi d’imposta oggetto d’integrazione e ai maggiori imponibili o ritenute integrati maggiorati rispettivamente del 100 e del 50 per cento, la preclusione di ogni accertamento tributario e contributivo, l’estinzione delle sanzioni amministrative tributarie e previdenziali e l’esclusione della punibilità dei reati individuati alle lettere c) e d) dello stesso comma 6. Dal tenore letterale della norma si ricava che il calcolo della “franchigia” va effettuato, ad eccezione delle ritenute, sugli imponibili. Ne consegue che anche ai fini IVA detta franchigia opera sull’imponibile e non sull’imposta.

3.8 Importo minimo del versamento

D. Nella integrativa semplice, a differenza di quanto avveniva nel 1991, non esiste un ammontare minimo che deve essere indicato come integrazione. Esiste un importo minimo di versamento?

R. L’articolo 8 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, che detta disposizioni in materia di integrazione degli imponibili per gli anni pregressi, non prevede alcuna soglia minima di integrazione né con riferimento all’imponibile né all’imposta.

Parimenti, la norma non prevede alcun minimo per i versamenti da effettuare.

3.9 Reddito conseguito all’estero.

D. Nell’ambito della disciplina dello “scudo fiscale per le imprese”, è di fondamentale importanza definire con esattezza il significato della locuzione “redditi e imponibili conseguiti all’estero” contenuta nell’articolo 8, comma 5 della legge. E’ possibile avere qualche precisazione a riguardo?

R. Come specificato nella circolare n. 3/E del 15 gennaio 2003, si considerano conseguiti all’estero i redditi, imponibili in Italia, derivanti da attività detenute all’estero e, in ogni caso, i redditi di qualsiasi fonte (italiana o estera) attraverso i quali, con qualunque modalità, anche tramite soggetti non residenti o loro strutture interposte, sono state costituite attività o realizzati investimenti all’estero.

A titolo esemplificativo, rientrano in tale definizione:

– i canoni di affitto relativi a beni situati all’estero, ovunque percepiti;

– i redditi derivanti da beni situati in Italia e accreditati su conti esteri;

– i redditi e gli imponibili derivanti da cessioni di beni o da prestazioni di servizi effettuati o resi da un’impresa residente, anche senza stabili organizzazioni all’estero, se i relativi proventi sono stati accreditati su conti esteri o sono stati utilizzati per investimenti all’estero, indipendentemente dalla residenza del cessionario o del committente;

– i dividendi percepiti direttamente all’estero derivanti da partecipazioni in società residenti o non residenti.

3.10 Valore delle attività rimpatriate.

D. Se le attività rimpatriate al 1 agosto 2001 avevano un valore superiore sia al costo che a quello alla data del rimpatrio, si può indicare in dichiarazione riservata il valore al 1 agosto 2001 ed eventualmente utilizzarlo come costo fiscale ai sensi dell’articolo 14, comma 5 bis?

R. Nella circolare n. 99/E del 4 dicembre 2001 è stato già specificato che, relativamente alle attività finanziarie rimpatriate, il contribuente deve assumere a tutti gli effetti, quale costo fiscalmente rilevante:

– il costo di acquisto, come risultante dalla relativa documentazione.

In mancanza della documentazione di acquisto può essere assunto, alternativamente:

– il valore fornito all’intermediario mediante un’apposita dichiarazione sostitutiva del documento attestante il costo di acquisto;

– l’importo dichiarato nella dichiarazione riservata.

Con riferimento alla prima ipotesi (ossia la redazione di un’apposita dichiarazione sostitutiva), è stato già chiarito che in tale valutazione non si può superare il valore determinato sulla base dei criteri generali stabiliti dall’articolo 9 del TUIR.

Ai fini, invece, dell’indicazione dell’ammontare delle attività finanziarie nella dichiarazione riservata, il contribuente non è tenuto ad adottare criteri specifici di valorizzazione. Il contribuente può, ad esempio, indicare l’importo corrispondente al valore corrente delle attività ovvero al costo di acquisto delle stesse o a valori intermedi

Si fa presente che, rimane ferma la possibilità dell’Amministrazione finanziaria di disconoscere i vantaggi tributari conseguiti per effetto di operazioni, incluse le valutazioni, aventi ad oggetto i beni o i rapporti di cui all’articolo 81, comma 1, lettere da c) a c-quinquies), del TUIR, ai sensi dell’articolo 37-bis, comma 2, lettera f), del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600.

3.11 Disapplicazione delle norme sul monitoraggio fiscale

D. L’articolo 8, comma 6, lettera b) e l’articolo 9, comma 11 della legge 289/2002 sembra subordinare l’estinzione delle sanzioni sul monitoraggio fiscale alla condizione che si sia effettuata la regolarizzazione delle scritture contabili. Ciò precluderebbe la sanatoria proprio ai soggetti che rischiano di incorrere nelle sanzioni sulla violazione delle norme relative al monitoraggio che non sono obbligati alla redazione del bilancio (professionisti, imprese individuali in contabilità semplificata, associazioni artistiche e professionali) e che quindi non possono effettuare le regolarizzazioni contabili. La norma non può essere interpretata nel senso che la regolarizzazione sia necessaria solo quando vi siano i presupposti per effettuarla? Lo stesso problema si riscontra nell’articolo 9, comma 11.

R. L’articolo 8, comma 6, lettera b), e l’articolo 9, comma 11, della legge n. 289 del 2002 precisano che la dichiarazione integrativa, nonché quella automatica per gli anni pregressi non hanno effetto in ordine alle violazioni riguardanti il “monitoraggio fiscale”, salvo che il contribuente non provveda alla regolarizzazione contabile di tutte le attività detenute all’estero, ove ricorra l’ipotesi di cui all’articolo 14, commi 4 e 5, della stessa legge.

In sostanza, la dichiarazione e l’integrazione dei redditi e degli imponibili conseguiti all’estero e il pagamento dell’imposta sostitutiva del 13 per cento consente l’estinzione delle sanzioni relative al monitoraggio fiscale a condizione che il contribuente proceda anche alla regolarizzazione contabile delle attività detenute all’estero alla data del 31 dicembre 2001.

Pertanto, un soggetto che detiene all’estero un’attività ed intende avvalersi della procedura prevista dall’articolo 8 deve presentare la dichiarazione integrativa per i redditi conseguiti all’estero e non dichiarati e corrispondere la relativa imposta sostitutiva del 13 per cento.

Tuttavia, se si tratta di un soggetto non tenuto alla redazione delle scritture contabili, per potersi avvalere della non applicabilità delle sanzioni sul monitoraggio fiscale, potrà far emergere l’attività finanziaria detenuta all’estero avvalendosi esclusivamente delle disposizioni relative allo scudo fiscale di cui all’articolo 20, ricorrendo le condizioni ivi previste.

1 ART. 2 – LA NUOVA IRPEF E GLI OBBLIGHI DEI SOSTITUTI

1.1 Deduzione per la progressività dell’imposizione – Ragguaglio ad anno e cumulabilità

L’articolo 10-bis del TUIR prevede una deduzione di ¬ 3.000, spettante a tutti i contribuenti e non ragguagliata ad anno (deduzione della no-tax area). Gli incrementi della deduzione legati al tipo di reddito sono ragguagliati al periodo di lavoro dipendente o di pensione, mentre non ha ragguaglio l’ulteriore deduzione per il reddito di lavoro autonomo o impresa minore. Questi incrementi non sono inoltre cumulabili tra di loro.

D. Il dipendente che cessa il rapporto di lavoro in corso d’anno e poi diventa pensionato, può usufruire per mesi (o giorni) della ulteriore deduzione del dipendente, e poi di quella del pensionato?

R. La Circolare n. 2 del 15 gennaio 2003, concernente “primi chiarimenti sull’articolo 2 della legge finanziaria per il 2003” ha già dato compiuta risposta al quesito proposto.

In particolare, nella stessa è stato chiarito, al paragrafo 3.2, che le deduzioni spettanti per i redditi di lavoro dipendente, per i redditi assimilati e per i redditi da pensione vanno rapportate al periodo di lavoro o di pensione nell’anno e quindi al numero dei giorni compresi nel periodo di durata del rapporto intrattenuto.

Pertanto, qualora nel corso del periodo d’imposta il contribuente interrompa un rapporto di lavoro ed inizi a percepire un reddito da pensione spetteranno sia la deduzione per redditi da lavoro che la deduzione per redditi da pensione.

Ognuna di esse, però, dovrà essere rapportata al periodo di lavoro o di pensione considerato, con applicazione dei criteri a suo tempo individuati, in tema di detrazioni, dalla circolare n. 3 del 1998.

1.2 Deduzione per la progressività dell’imposizione – Trattamento di fine rapporto e altri redditi a tassazione separata

Per gli arretrati di lavoro dipendente e di pensione l’articolo 2, comma 10 della finanziaria prevede il rinvio al 2005 dell’utilizzo delle nuove aliquote, in quanto la corresponsione di un arretrato risulterebbe altrimenti tassata senza la deduzione dell’articolo 10-bis del TUIR.

Risulta però evidente che tutti gli altri redditi a tassazione separata, ivi compreso il TFR, saranno penalizzati – se di entità non particolarmente elevata – dalle nuove aliquote, non potendosi applicare la deduzione dell’articolo 10-bis.

Non risulta nemmeno operante la clausola di salvaguardia del comma 3 dell’articolo 2 della finanziaria, che fa riferimento al reddito complessivo, con ciò escludendo i redditi a tassazione separata.

D. Si può ipotizzare un correttivo per i possibili aggravi?

R. Il nuovo sistema di tassazione può comportare aggravi di imposta in relazione ai redditi cui si applica il regime della tassazione separata, compreso il T.F.R. Del resto, in tali ipotesi, non opera la clausola di salvaguardia prevista dal comma 3 dell’articolo 2 della legge finanziaria per il 2003 che, facendo riferimento al reddito complessivo, esclude i redditi soggetti a tassazione separata.

Sulla base di tale assetto normativo non è possibile realizzare in via amministrativa interventi di tipo correttivo. Il problema potrebbe essere risolto solo attraverso l’introduzione di norme apposite.

1.3 Attribuzione della deduzione in sede di ritenuta

La deduzione per assicurare la progressività fa riferimento al reddito complessivo, mentre il sostituto di imposta (datore di lavoro o committente delle collaborazioni coordinate e continuative) conosce solo il reddito che lui eroga.

Il nuovo art. 23, comma 2, lett. a) del DPR 600/73 dispone che il sostituto debba attribuire la deduzione, senza necessità di richiesta da parte del sostituito.

Esiste, a questo punto, il rischio che più sostituti di imposta (ad esempio ciascuna delle società in cui il contribuente è amministratore) attribuiscano più volte la medesima deduzione, che, in presenza di una pluralità di redditi, potrebbe non spettare affatto.

D. E’ opportuno (o è necessario, pur in assenza di una esplicita disposizione normativa) che il sostituito chieda la non attribuzione della deduzione?

R. Ai sensi dell’art.23, comma 2, lett. a) del DPR n.600 del 1973, come modificato dalla legge 27 dicembre 2002 n. 289, il sostituto al momento di operare la ritenuta di acconto sui redditi di lavoro erogati ai propri dipendenti, deve tener conto anche della deduzione prevista dall’art.10-bis del TUIR per assicurare la progressività dell’imposizione. Come è stato precisato con la circolare n. 2 del 15 gennaio 2003, il sostituto deve autonomamente riconoscere tale deduzione.

Tuttavia, pur in mancanza di una espressa previsione normativa, il sostituito ha comunque la facoltà di chiedere al sostituto di non applicare la deduzione di cui all’art.10-bis, nell’ ipotesi in cui lo stesso, disponendo di altri redditi che concorrono alla formazione del reddito complessivo, presuma ragionevolmente di non aver diritto alla deduzione o di avere diritto ad una deduzione inferiore a quella che gli sarebbe riconosciuta dal sostituto.

Tale soluzione evita che, al momento dell’effettuazione delle operazioni di conguaglio, ovvero in sede di presentazione della dichiarazione dei redditi, l’imposta dovuta sia particolarmente elevata.

1.4 Calcolo della percentuale di deduzione

D. La deduzione della no tax area va attribuita, calcolando un coefficiente compreso tra 0 e 1, con lo zero seguito da quattro decimali.

Trattandosi di un coefficiente matematico e non di un arrotondamento all’euro, si deve procedere per troncamento ignorando pertanto le cifre successive?

R. L’art. 10-bis, comma 5, del TUIR prevede che ai fini del rapporto, compreso tra 0 e 1, in base al quale spetta la deduzione per assicurare la progressività dell’imposizione si debbano computare le prime quattro cifre decimali.

La norma non fa riferimento ad alcun arrotondamento, per cui si deve ritenere che dette cifre debbano essere assunte nel loro ammontare derivante dal troncamento, come, peraltro, indicato anche nella circolare n.2 del 15 gennaio 2003.

2 ARTICOLO 7 – DEFINIZIONE AUTOMATICA DI REDDITI DI IMPRESA E LAVORO AUTONOMO

2.1 Versamento forfetario

D. a proposito della somma fissa di 300 ¬. poichè questa non è da ricondurre ad un maggior imponibile, si ritiene che in tale caso non vi sia alcuna rilevanza del concordato sul piano previdenziale. si chiede una conferma.

R. La somma di 300 euro non è riconducibile ad un maggior imponibile e pertanto non rileva ai fini previdenziali.

2.2 Accertamento parziale

D. il comma 4 dell’art.7 dispone che in presenza di un atto di accertamento parziale ex art. 41 bis del dpr 600/1973 (o 54 del dpr 633/1972) la definizione è ammessa a condizione che il contribuente versi entro il 20.06.2003 le somme derivanti dall’accertamento notificato entro la “predetta data”. si è dell’avviso che tale ultima data non sia quella del 20.06.2003 ma quella dell’entrata in vigore della finanziaria (1.1.2003).

Questo per due ordini di motivi. il primo è che soltanto gli atti di accertamento notificati entro il 1.1.2003 risultano ostativi alla definizione (comma 3 dell’art.7). il secondo è che se tale data risultasse effettivamente quella del 20.06.2003, il contribuente si troverebbe fino all’ultimo giorno a valutare la convenienza della sanatoria. senza contare che risulterebbe del tutto assurdo, in presenza di atto notificato il 20.06.2003 provvedere il giorno stesso al pagamento dell’atto di imposizione e alla definizione. si chiede conferma,quindi, sul fatto che il riferimento alla “predetta data” è da considerarsi il 1 gennaio 2003, cioè la data di entrata in vigore della finanziaria.

R. no, la norma all’art.7, comma 4 prevede “… la definizione è ammessa a condizione che il contribuente versi entro il 20 giugno 2003 le somme derivanti dall’accertamento parziale notificato entro la predetta data.”, come peraltro specificato dalla circolare n.3/e al paragrafo 4.11.

2.3 Cause ostative

D. Relativamente alle cause ostative, la norma non fa alcun riferimento – diversamente dalle altre sanatorie – a quale data il contribuente deve risultare a formale conoscenza dell’avvio di un procedimento penale per i reati di cui al D.lgs. 74/2000. quale data deve essere considerata? quella di entrata in vigore della finanziaria 2003?

R. la data è quella del perfezionamento della definizione, vale a dire del pagamento effettuato ai sensi del comma 5, del citato art.7 (vedi paragrafo 4.3 circolare 3/e del 2003).

2.4 Annualità definibili

D. Si conferma che se un soggetto che ha iniziato l’attività nel 2000 e che intende utilizzare la regolarizzazione del magazzino (articolo 14 della Finanziaria 2003) deve definire soltanto le annualità 2000 e 2001?

R. Il comma 6 dell’art. 14 della legge finanziaria per il 2003 stabilisce che ” I soggetti che effettuano la definizione automatica del reddito d’impresa di cui all’art. 7, relativa a tutte le annualità per le quali le dichiarazioni sono state presentate entro il 31 ottobre 2002, possono procedere all’adeguamento delle esistenze iniziali dei beni ai sensi dell’articolo 59del citato testo unico al Decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, e successive modificazioni”.

La norma pone come condizione primaria la definizione di “tutte le annualità per le quali…”. Pertanto nel caso specifico, se il soggetto ha iniziato l’attività nel 2000 ai fini della regolarizzazione delle esistenze iniziali, dovrà definire sussistendone le condizioni, sia il 2000 che il 2001. (cfr, Circolare 3/E, paragrafo 8.6).

2.5 Rateazione

D. Si chiede invece se nel caso di rateazione degli importi dovuti, visto che la norma fa riferimento agli “importi da versare”, ai fini delle soglie di 2000 ¬ (persone fisiche) e 5000 ¬ (altri soggetti), occorre considerare anche l’importo di 300 ¬ per ogni singola annualità.

R. Si, poichè la norma riguardo alla rateazione (cfr. art. 7, comma 5) fa riferimento agli importi dovuti, non attuando alcuna distinzione in merito.

2.6 Perfezionamento della definizione

D. La norma prevede che le “maggiori imposte” sono ridotte al 50% per la parte eccedente l’importo di 5000 ¬ per le persone fisiche e l’importo di 10000 ¬ per gli altri soggetti. Nel conteggio occorre considerare solo le imposte o anche la “maggiorazione” di 300 ¬? Dal tenore letterale della norma sembrerebbe che se una persona fisica deve versare 6000 ¬ a titolo di imposte per due annualità la riduzione alla metà opera sull’importo di 1000 ¬ (6000-5000). Per cui egli verserà 5500 ¬ a cui andranno sommati 600 ¬ per le due annualità. Si chiede conferma.

R. Sì, la Circolare al punto 4.10 precisa che la somma aggiuntiva di 300 ¬ non deve essere inclusa nel calcolo delle complessive maggiori imposte dovute, ai fini della determinazione della riduzione spettante nella definizione automatica.

3 ARTICOLO 8 – INTEGRAZIONE DEGLI IMPONIBILI PER GLI ANNI PREGRESSI

3.1 Modifiche al regime impositivo

D. La definizione dei redditi soggetti a tassazione separata è possibile solo mediante la dichiarazione integrativa di cui all’articolo 8 della legge n. 289 del 2002. Per i componenti di reddito per i quali l’ordinamento prevede l’opzione tra la tassazione ordinaria e quella separata in sede di dichiarazione integrativa è possibile modificare il regime impositivo?

R. La facoltà di optare per la tassazione ordinaria per alcuni dei redditi elencati all’art. 16 del TUIR, per i quali di regola è prevista la tassazione separata, deve essere espressamente esercitata dal contribuente nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta in cui è avvenuta o ha avuto inizio la percezione dei predetti redditi.

Ne consegue che non è possibile per il contribuente esercitare una diversa opzione, di tassazione separata o ordinaria del reddito, rispetto a quella già operata in sede di dichiarazione originaria, qualora in sede di dichiarazione integrativa, si proceda ad integrare un reddito dichiarato in modo infedele. Analogamente non è possibile assoggettare a tassazione ordinaria tutti i redditi omessi per i quali l’articolo 16 del TUIR prevede la tassazione separata.

3.2 Detrazioni d’imposta e dichiarazione integrativa

D. E’ possibile fruire dei benefici della dichiarazione integrativa senza alcun esborso, nel caso in cui l’originaria dichiarazione presentasse delle detrazioni di imposta superiori all’imposta lorda? In particolare se si integrano componenti positivi che rimangono comunque assorbiti dalle detrazioni originariamente non fruite si potrebbe configurare la formazione della franchigia non accertabile pur in assenza di esborso effettivo?.

R. Come chiarito al punto 2.8.1 della circolare n. 3/E del 2003, è consentito, attraverso la dichiarazione integrativa, far valere detrazioni d’imposta maggiori, non scomputate interamente nella dichiarazione originaria, purché uguali a quelle ivi indicate. In ogni caso la franchigia di cui all’articolo 8, comma 6, è pari al 100 per cento del maggiore imponibile risultante dalla dichiarazione integrativa, anche se questo non ha dato luogo al versamento d’imposta.

3.3 Attuazione dell’art. 8 della legge 289/2002 sulle società che producono redditi esteri

D. Una società negli anni passati ha prodotto redditi esteri mediante operazioni “estero su estero” che non sono, illecitamente, transitate nella contabilità e nelle dichiarazioni dei redditi. E’ possibile per tale fattispecie avvalersi delle disposizioni di cui all’art. 8 della legge 289/2002? In caso di risposta affermativa, come è possibile ottenere la piena non punibilità delle stesse? Se è necessario avvalersi anche delle disposizioni in tema di regolarizzazione delle scritture quali sono le poste da contabilizzare nell’ipotesi che i corrispettivi corrispondenti ai redditi esteri sono stati tutti incassati ma nel frattempo risultano anche esser stati spesi per altre operazioni estere?

R. La fattispecie rappresentata rientra nell’ambito applicativo del comma 5 dell’articolo 8 che prevede la regolarizzazione dei redditi e degli imponibili conseguiti all’estero, dietro pagamento di un’imposta sostitutiva delle imposte dovuta nella misura del 13 per cento.

In tal caso, infatti, si tratta di redditi, imponibili in Italia, derivanti da attività detenute all’estero che non hanno concorso a formare il reddito complessivo della società come componenti del reddito d’impresa e che non sono stati contabilizzati.

Il perfezionamento della procedura concernente la dichiarazione dei redditi conseguiti all’estero e il pagamento dell’imposta sostitutiva comporta, tra l’altro:

1. l’esclusione della punibilità per i reati tributari di dichiarazione fraudolenta, infedele e omessa dichiarazione e di occultamento o distruzione di documenti contabili;

2. l’esclusione della punibilità per i reati previsti dal codice penale e dal codice civile per falsità in atti e in comunicazioni sociali, quando tali reati siano stati commessi per occultare i reati tributari ovvero per conseguire il profitto e siano riferiti alla stessa pendenza o situazione tributaria.

Tuttavia, a tali fini, il comma 7 dell’articolo 8 prevede che per i redditi conseguiti all’estero si debba necessariamente provvedere alla regolarizzazione contabile delle attività detenute all’estero alla data del 31 dicembre 2001.

In particolare, l’emersione in contabilità delle attività detenute all’estero si correla a corrispondenti componenti positivi di reddito – in sostanza sopravvenienze attive – che costituiscono oggetto dell’integrazione. In ogni caso, il contribuente dovrà evidenziare nel bilancio o rendiconto gli elementi emersi.

Naturalmente, nel caso in cui gli imponibili conseguiti in periodi di imposta definibili siano di ammontare superiore al valore dell’attività detenuta all’estero alla quale essi si riferiscono, la società potrà definire gli imponibili omessi ed iscrivere in bilancio o nel rendiconto il valore di detta attività.

Si ricorda, infine, che a differenza delle attività detenute in Italia, il valore delle attività oggetto di regolarizzazione si considera fiscalmente riconosciuto a decorrere dal terzo periodo d’imposta successivo a quello chiuso o in corso al 31 dicembre 2002 e quindi, per i soggetti con esercizio coincidente con l’anno solare, a decorrere dal periodo d’imposta che inizia il 1 gennaio 2005.

3.4 Integrazione da perfezionare e pagamento degli importi dovuti

D. Come è possibile coordinare la disposizione di cui al terzo comma dell’art. 8 della legge 289/2002 che prevede che il perfezionamento dell’integrazione intervenga con il pagamento dei maggior importi dovuti, con la possibilità che invece sembra essere prevista di un integrazione che non dia luogo ad alcun maggiore importo da versare (si pensi al caso di integrazione di un reddito di un periodo chiuso in perdita)?

R. Ai sensi dell’art. 8, comma 3 della legge finanziaria per il 2003 “l’integrazione si perfeziona con il pagamento dei maggiori importi dovuti” sulla base dei dati risultanti dalla dichiarazione integrativa. Nella circolare n. 3/E del 15 gennaio 2003 (paragrafo 2.6.1.) si è osservato che “la norma non prevede alcuna soglia minima d’integrazione nè con riferimento all’imponibile nè all’imposta”. Deve pertanto ritenersi possibile presentare una dichiarazione integrativa dalla quale non scaturiscano somme da versare. In tal caso il perfezionamento si realizza con la presentazione della dichiarazione integrativa.

3.5 Integrazione dell’imponibile

D. Non essendo previsto alcunché in modo esplicito, al contrario che negli altri provvedimenti di sanatoria, è corretto ritenere che ai fini dell’integrazione degli imponibili degli anni pregressi è possibile tener conto delle dichiarazioni integrative presentata a proprio favore dopo il 30 settembre 2002?

R. Mancando nell’articolo 8 una previsione analoga a quella contenuta negli articoli 7, comma 16 e 9, comma 16, si ritiene che, ai fini dell’integrativa semplice, si debba tener conto della dichiarazione integrativa prodotta a proprio favore ai sensi dell’articolo 2, comma 8-bis, del DPR n. 322 del 1998, anche dopo il 30 settembre 2002.

3.6 Procedure di definizione tra società di persone e soci

D. Con riferimento alla dichiarazione integrativa, la norma prevede che la mancata adesione dei soci a fronte di quella della società, fornisce titolo all’amministrazione finanziaria per la notifica di un avviso di accertamento nei confronti dei soci che non hanno aderito. Si chiede, a tale proposito, se la posizione dei soci possa essere successivamente definita mediante le procedure di accertamento con adesione ovvero di acquiescenza agevolata ai sensi del decreto legislativo n. 218 del 1997 ovvero, in considerazione del fatto che i soci stessi non hanno aderito alle possibili definizioni di cui alla legge 289/2002, nessuna ulteriore possibilità, se non quella del contenzioso possa essere loro riservata.

R. Le norme prevedono che la mancata adesione dei soci a fronte di quella della società, ai sensi degli articoli 7 e 8, costituisce titolo per l’accertamento ai sensi dell’articolo 41 bis del DPR n. 600 del 1973 nei loro confronti, senza stabilire ulteriori preclusioni.

L’accertamento di cui all’art. 41 bis è definibile tramite acquiescenza mediante il versamento delle sanzioni ridotte ad un quarto.

Si osserva che, al di fuori di quest’ultima ipotesi, l’accertamento parziale eseguito in capo ai soci, pur essendo astrattamente impugnabile presso le commissioni tributarie, e suscettibile di adesione da parte del contribuente, ben difficilmente potrà essere da questi definito con l’adesione in considerazione dell’imputazione automatica del reddito prevista dalla legge n. 289 del 2003.

3.7 Franchigia

D. L’articolo 8, comma 6 delle legge 289 del 2002 introduce la cosiddetta franchigia in misura pari al 100% dell’imponibile oggetto di integrazione. Come opera la franchigia in caso di integrativa Iva? Si può per analogia sostenere che la franchigia è pari al 100% dell’imposta oggetto d’integrazione?

R. Ai sensi dell’art. 8, comma 6 della legge n. 289 del 2002, il perfezionamento della procedura d’integrazione comporta, limitatamente ai periodi d’imposta oggetto d’integrazione e ai maggiori imponibili o ritenute integrati maggiorati rispettivamente del 100 e del 50 per cento, la preclusione di ogni accertamento tributario e contributivo, l’estinzione delle sanzioni amministrative tributarie e previdenziali e l’esclusione della punibilità dei reati individuati alle lettere c) e d) dello stesso comma 6. Dal tenore letterale della norma si ricava che il calcolo della “franchigia” va effettuato, ad eccezione delle ritenute, sugli imponibili. Ne consegue che anche ai fini IVA detta franchigia opera sull’imponibile e non sull’imposta.

3.8 Importo minimo del versamento

D. Nella integrativa semplice, a differenza di quanto avveniva nel 1991, non esiste un ammontare minimo che deve essere indicato come integrazione. Esiste un importo minimo di versamento?

R. L’articolo 8 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, che detta disposizioni in materia di integrazione degli imponibili per gli anni pregressi, non prevede alcuna soglia minima di integrazione né con riferimento all’imponibile né all’imposta.

Parimenti, la norma non prevede alcun minimo per i versamenti da effettuare.

3.9 Reddito conseguito all’estero.

D. Nell’ambito della disciplina dello “scudo fiscale per le imprese”, è di fondamentale importanza definire con esattezza il significato della locuzione “redditi e imponibili conseguiti all’estero” contenuta nell’articolo 8, comma 5 della legge. E’ possibile avere qualche precisazione a riguardo?

R. Come specificato nella circolare n. 3/E del 15 gennaio 2003, si considerano conseguiti all’estero i redditi, imponibili in Italia, derivanti da attività detenute all’estero e, in ogni caso, i redditi di qualsiasi fonte (italiana o estera) attraverso i quali, con qualunque modalità, anche tramite soggetti non residenti o loro strutture interposte, sono state costituite attività o realizzati investimenti all’estero.

A titolo esemplificativo, rientrano in tale definizione:

– i canoni di affitto relativi a beni situati all’estero, ovunque percepiti;

– i redditi derivanti da beni situati in Italia e accreditati su conti esteri;

– i redditi e gli imponibili derivanti da cessioni di beni o da prestazioni di servizi effettuati o resi da un’impresa residente, anche senza stabili organizzazioni all’estero, se i relativi proventi sono stati accreditati su conti esteri o sono stati utilizzati per investimenti all’estero, indipendentemente dalla residenza del cessionario o del committente;

– i dividendi percepiti direttamente all’estero derivanti da partecipazioni in società residenti o non residenti.

3.10 Valore delle attività rimpatriate.

D. Se le attività rimpatriate al 1 agosto 2001 avevano un valore superiore sia al costo che a quello alla data del rimpatrio, si può indicare in dichiarazione riservata il valore al 1 agosto 2001 ed eventualmente utilizzarlo come costo fiscale ai sensi dell’articolo 14, comma 5 bis?

R. Nella circolare n. 99/E del 4 dicembre 2001 è stato già specificato che, relativamente alle attività finanziarie rimpatriate, il contribuente deve assumere a tutti gli effetti, quale costo fiscalmente rilevante:

– il costo di acquisto, come risultante dalla relativa documentazione.

In mancanza della documentazione di acquisto può essere assunto, alternativamente:

– il valore fornito all’intermediario mediante un’apposita dichiarazione sostitutiva del documento attestante il costo di acquisto;

– l’importo dichiarato nella dichiarazione riservata.

Con riferimento alla prima ipotesi (ossia la redazione di un’apposita dichiarazione sostitutiva), è stato già chiarito che in tale valutazione non si può superare il valore determinato sulla base dei criteri generali stabiliti dall’articolo 9 del TUIR.

Ai fini, invece, dell’indicazione dell’ammontare delle attività finanziarie nella dichiarazione riservata, il contribuente non è tenuto ad adottare criteri specifici di valorizzazione. Il contribuente può, ad esempio, indicare l’importo corrispondente al valore corrente delle attività ovvero al costo di acquisto delle stesse o a valori intermedi

Si fa presente che, rimane ferma la possibilità dell’Amministrazione finanziaria di disconoscere i vantaggi tributari conseguiti per effetto di operazioni, incluse le valutazioni, aventi ad oggetto i beni o i rapporti di cui all’articolo 81, comma 1, lettere da c) a c-quinquies), del TUIR, ai sensi dell’articolo 37-bis, comma 2, lettera f), del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600.

3.11 Disapplicazione delle norme sul monitoraggio fiscale

D. L’articolo 8, comma 6, lettera b) e l’articolo 9, comma 11 della legge 289/2002 sembra subordinare l’estinzione delle sanzioni sul monitoraggio fiscale alla condizione che si sia effettuata la regolarizzazione delle scritture contabili. Ciò precluderebbe la sanatoria proprio ai soggetti che rischiano di incorrere nelle sanzioni sulla violazione delle norme relative al monitoraggio che non sono obbligati alla redazione del bilancio (professionisti, imprese individuali in contabilità semplificata, associazioni artistiche e professionali) e che quindi non possono effettuare le regolarizzazioni contabili. La norma non può essere interpretata nel senso che la regolarizzazione sia necessaria solo quando vi siano i presupposti per effettuarla? Lo stesso problema si riscontra nell’articolo 9, comma 11.

R. L’articolo 8, comma 6, lettera b), e l’articolo 9, comma 11, della legge n. 289 del 2002 precisano che la dichiarazione integrativa, nonché quella automatica per gli anni pregressi non hanno effetto in ordine alle violazioni riguardanti il “monitoraggio fiscale”, salvo che il contribuente non provveda alla regolarizzazione contabile di tutte le attività detenute all’estero, ove ricorra l’ipotesi di cui all’articolo 14, commi 4 e 5, della stessa legge.

In sostanza, la dichiarazione e l’integrazione dei redditi e degli imponibili conseguiti all’estero e il pagamento dell’imposta sostitutiva del 13 per cento consente l’estinzione delle sanzioni relative al monitoraggio fiscale a condizione che il contribuente proceda anche alla regolarizzazione contabile delle attività detenute all’estero alla data del 31 dicembre 2001.

Pertanto, un soggetto che detiene all’estero un’attività ed intende avvalersi della procedura prevista dall’articolo 8 deve presentare la dichiarazione integrativa per i redditi conseguiti all’estero e non dichiarati e corrispondere la relativa imposta sostitutiva del 13 per cento.

Tuttavia, se si tratta di un soggetto non tenuto alla redazione delle scritture contabili, per potersi avvalere della non applicabilità delle sanzioni sul monitoraggio fiscale, potrà far emergere l’attività finanziaria detenuta all’estero avvalendosi esclusivamente delle disposizioni relative allo scudo fiscale di cui all’articolo 20, ricorrendo le condizioni ivi previste.

4 ARTICOLO 9 – DEFINIZIONE AUTOMATICA PER GLI ANNI PREGRESSI

4.1 Imposte dirette e “pagamento del dovuto”

D. E’ corretto ritenere, nonostante quanto affermato dal comma 1 dell’art. 9 della legge n. 289 del 2002, che con riguardo al 1997 (salvo il caso di dichiarazione omessa) la definizione possa comportare il pagamento di quanto dovuto solo con riguardo alle imposte dirette (e assimilate)?

R. L’articolo 9 prevede l’obbligo di includere nella definizione automatica, a pena di nullità, tutte le imposte relative a ciascun settore impositivo e riguardanti tutti i periodi d’imposta per i quali i termini di presentazione delle dichiarazioni sono scaduti entro il 31 ottobre 2002.

In particolare, i periodi di imposta oggetto di definizione automatica ai fini delle imposte sui redditi e delle altre imposte appartenenti al medesimo settore sono quelli compresi fra il 1997 e il 2001, incluso il 1996 in caso di dichiarazione omessa.

Per l’imposta sul valore aggiunto le annualità definibili sono quelle comprese fra il 1998 e il 2001; l’anno 1997 può essere definito solo se la relativa dichiarazione è stata omessa, posto che per tale annualità i termini decadenziali previsti dall’art. 57 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, per la notifica degli avvisi di rettifica e di accertamento, sono scaduti il 31 dicembre 2002.

4.2 Definizione delle società e dei soci

D. Appare estremamente problematico il calcolo del minimale per il socio di società di persone come disciplinato dal comma 4 dell’articolo 9 della legge 289/2002. Nell’ipotesi di una S.n.c. di due soci al 50% con ricavi per ¬ 150.000 – due potrebbero essere le soluzioni:

a) Si assume il minimale riferibile alla società in funzione dei ricavi – quindi ¬ 1200 – ricavandolo dal c. 3 lett. b) n. 3 e lo si imputa ai singoli soci in funzione delle quote di partecipazione (50%), con la conseguenza che ciascun socio avrebbe da versare un minimale pari a ¬ 600?

b) Si assumono i ricavi della società attribuendoli ai soci in funzione della quota di partecipazione (50%), cosicché i due soci avrebbero dei ricavi figurativi di riferimento pari a ¬ 75.000 ciascuno, in funzione dei quali si determinerebbe un minimale dovuto da ciascuno di ¬ 900 (c. 3 lett. b) n. 2)?

Ancora è da chiedersi come si debba calcolare il minimale in ipotesi di partecipazione in più società di persone, se cioè si debbano calcolare tanti minimali quante sono le partecipazioni ovvero seguire altre modalità (ad esempio la somma dei ricavi delle società partecipate).

R. A sensi dell’articolo 9, comma 4, il criterio per la determinazione degli importi minimi dovuti dai soci di una società di persone è il seguente. Innanzitutto deve farsi riferimento all’ammontare complessivo dei ricavi o compensi dichiarati dalla società, determinando, in riferimento a tale valore, l’importo minimo da ripartirsi tra i soci in proporzione alla propria quota di partecipazione; importo che in ogni caso non può essere inferiore a ¬ 200 per ciascun socio.

In ipotesi di partecipazione in più società di persone, si devono calcolare tanti minimali quante sono le società partecipate.

4.3 Omessa dichiarazione e condono tombale

D. Si chiede di conoscere se è da intendersi confermato l’orientamento espresso nella circolare n. 12 del 1992 in base al quale, ai fini della definizione automatica, nella dichiarazione presentata a tale fine, debbano essere compresi anche tutti i periodi di imposta con riferimento ai quali la dichiarazione è da intendersi come legittimamente non presentata (in quanto, ad esempio, il contribuente era in possesso di soli redditi di lavoro dipendente e prima abitazione). In questo caso, il versamento minimo dovuto è di 100 euro ovvero di 1.500 euro in relazione al fatto che, a differenza di quanto disciplinato dalla legge 413/1991 che faceva riferimento alla dichiarazione non presentata, il comma 8 dell’articolo 9 della legge 289/2002, tratta di “omessa presentazione della dichiarazione” ?

R. La circolare n.3 del 2003, al paragrafo 3.2. a commento dell’articolo 9, chiarisce che, in base al principio secondo cui la definizione automatica deve obbligatoriamente interessare, a pena di nullità, tutti i periodi d’imposta considerati dalla legge (principio correlato peraltro alla natura tipica dei procedimenti definitori che non consentono di tener conto delle specifiche peculiarità della materia trattata), devono essere inclusi nella richiesta di definizione automatica, rilevante ai fini delle imposte sui redditi, anche i periodi d’imposta per i quali il contribuente era legittimato a non presentare la dichiarazione stessa. In questo caso il versamento minimo è quello dovuto in caso di dichiarazione omessa, previsto dal comma 8 dell’art. 8, ossia ¬ 1.500.

4.4 Società di persone

D. Ai fini dell’applicazione dell’art. 9, i soci di società personali hanno più minimi ragguagliati alle dimensioni delle società partecipate e alla loro quota di partecipazione nelle stesse società.

In presenza di più minimi, si chiede conferma che ci si deve limitare a versare quello di ammontare maggiore, ferma restando la soglia minima di 200 Euro.

R. L’art. 9, comma 4 della legge n. 289 del 2002, stabilisce che le persone fisiche titolari dei redditi prodotti in forma associata ai sensi dell’art. 5 del TUIR, ai fini della definizione automatica, indicano nella dichiarazione integrativa, per ciascun periodo d’imposta, l’ammontare dell’importo minimo da versare, determinato tenendo conto dei minimi fissati al comma 3 del medesimo articolo 9, in ragione della propria quota di partecipazione. L’importo così determinato non può essere inferiore a 200 euro.

Tanto premesso, nel caso di partecipazione in più società di persone, si devono calcolare tanti minimali quante sono le società partecipate.

L’importo dovuto dal socio sarà dato dalla somma dei minimi calcolati a norma del comma 3 dell’articolo 9.

4.5 Effetto preclusivo

D. Per chi ha fatto ricorso al condono tombale ai sensi dell’art. 9, il comma 13, dello stesso articolo 9 prevede che in caso di accesso, ispezione o verifica, il soggetto nei cui confronti sta per iniziare la verifica può opporre agli organi competenti gli effetti preclusivi o estintivi della propria dichiarazione riservata.

Si chiede di conoscere perché tale opposizione non sia prevista anche per chi ha presentato dichiarazione integrativa non riservata.

R. L’art. 9, comma 13 della legge n. 289 del 2002, prevede che il soggetto che ha presentato la dichiarazione riservata, può opporre agli organi dell’Amministrazione finanziaria, in caso di accesso, ispezioni o verifica, o altra attività di controllo, gli effetti preclusivi, estintivi e di esclusione della punibilità di cui al comma 10 dello stesso articolo.

Si ritiene non necessaria un’analoga disposizione nei casi di dichiarazione presentata nei modi ordinari, in quanto in tale ipotesi l’amministrazione finanziaria è a conoscenza della richiesta di definizione automatica prodotta dal contribuente, diversamente da quanto accade in caso di dichiarazione riservata.

I soggetti convenzionati di cui all’articolo 19 del decreto legislativo n. 241 del 1997 (banche, Poste Italiane S.P.A. e concessionari), ai quali si presentano le dichiarazioni riservate, sono, infatti, tenuti a comunicare all’Agenzia delle Entrate l’ammontare complessivo delle somme versate senza indicare i nominativi dei contribuenti che hanno presentato la dichiarazione.

5 DISPOSIZIONI COMUNI AGLI ARTICOLI 7, 8 E 9

5.1 Avvio di un procedimento penale sui reati tributari non più perseguibili

D. Le cause ostative legate all’avvio di un procedimento penale per i reati di natura tributaria valgono solo per le previsioni di cui al d.lgs. 74 del 2000 o sono estese anche a fattispecie oggi non più perseguibili, come nel caso di omessa tenuta di scritture contabili o utilizzo di fatture false non trasfuse in dichiarazione?

R. L’articolo 2 del codice penale, fissa il principio generale secondo cui la norma che abolisce una precedente incriminazione ha efficacia retroattiva.

Ciò comporta che l’autore del fatto previsto dalla norma abrogata non possa essere punito, in quanto il comportamento posto in essere non costituisce più reato.

Poiché le cause ostative all’accesso al condono valgono soltanto in relazione alle specifiche ipotesi di reato di natura tributaria previste tassativamente dalla legge, non c’è alcuno spazio di operatività per ipotesi criminose diverse da quelle di cui al d.lgs. 74 del 2000.

Peraltro, a causa dell’estensione degli effetti del condono anche ad annualità anteriori all’entrata in vigore del decreto 74, può sorgere il problema di delimitare l’ambito dell’effetto preclusivo ricollegabile alla formale conoscenza dell’avvio di un procedimento penale per una delle fattispecie di cui alla legge 516 del 1982.

In proposito, aderendo a recenti pronunce della Corte di Cassazione, l’Agenzia delle entrate, con la circolare 88/E del 27 dicembre 2002, ha chiarito quali sono i casi in cui è ravvisabile continuità normativa tra le vecchie e le nuove figure di reato.

Ne deriva che rileveranno quali cause che impediscono l’accesso alle sanatorie soltanto quei procedimenti per i quali la fattispecie precedentemente sanzionabile si pone in posizione di continuità con le ipotesi di reato previste dal decreto 74 del 2000.

5.2 Definizione rapporti tributari – cause ostative

D. Costituisce causa ostativa all’accesso alle forme di definizione dei rapporti tributari l’avvenuta notifica, alla data del 1 gennaio 2003, di un avviso di accertamento, di un p.v.c. positivo, oppure di un invito al contraddittorio ex articolo 5 del d.lgs. 218/97. Qualora il p.v.c. sia stato redatto e consegnato al contribuente, ma non ritualmente notificato, ovvero l’invito al contraddittorio spedito ma non notificato, la causa ostativa in esame è da ritenersi sussistente oppure no?

R. Le norme disciplinanti le cause ostative(articolo 7, comma 3, lettera c); articolo 8, comma 10, lettera a); articolo 9, comma 14, lettera a richiedono che gli atti a tal fine richiamati siano notificati all’interessato.

In proposito occorre ricordare che l’atto tributario è un atto recettizio, vale a dire idoneo a produrre effetti nella sfera giuridica del destinatario soltanto quando lo stesso venga portato a conoscenza dell’interessato.

Poiché, nel caso di specie, la norma fa riferimento alla notificazione quale strumento per realizzare la legale conoscenza dell’atto in capo al contribuente, non sono ammessi equipollenti di tale strumento.

Con particolare riguardo al processo verbale di constatazione deve ritenersi che la consegna di copia del medesimo al contribuente, normalmente effettuata al termine delle operazioni di verifica, realizza la condizione necessaria e sufficiente perchè il verbale possa ritenersi notificato ai sensi delle disposizioni recate dalla legge n. 289 del 2002.

5.3 Un focus sulle cause ostative per gli accertamenti parziali

D. Nell’ambito delle disposizioni di cui dagli articoli da 7 a 9 della legge 289/2002 si fa espresso riferimento agli accertamenti parziali come causa ostativa che, comunque può essere rimossa. Si intende conoscere se:

– in caso di accertamento parziale notificato prima del 31 dicembre 2002, lo stesso possa essere definito con le procedure di cui all’articolo 15 della legge per poi procedere al concordato, alla dichiarazione integrativa ovvero al condono tombale. In tal senso sembrerebbe deporre la formulazione letterale della disposizione normativa che non contiene causa ostativa al pagamento in via agevolata delle somme contenute negli avvisi di accertamento parziali;

– in caso di risposta affermativa al precedente quesito, si chiede dunque come si concilia il richiamo contenuto negli articoli da 7 a 9 alla necessità che il contribuente corrisponda, entro i termini di versamento ordinari, delle somme contenute negli avvisi di accertamento parziale. Tale obbligo, che non si ritiene possa comprendere anche le sanzioni, deve essere dunque inteso, ad esempio, in caso di avviso di accertamento parziale notificato solo a partire dal 1 gennaio 2003 ? Infine, è comunque corretto affermare che tale meccanismo di pagamento relativo agli avvisi di accertamento parziale possa riguardare solo gli avvisi notificati prima del perfezionamento delle diverse definizioni o anche quelli notificati successivamente alla intervenuta definizione e sino alla data limite prevista dalla legge ?

R. Come chiarito nella circolare n. 3/E (paragrafo 2.6.1.) per la definizione degli avvisi di accertamento parziale notificati entro il 1 gennaio 2003 e non ancora interessati da ricorso giurisdizionale deve attivarsi la procedura di cui all’articolo 15 della legge finanziaria per il 2003. Tale definizione non esclude la facoltà di avvalersi contestualmente delle disposizioni agevolative di cui agli articoli 7, 8 e 9.

Relativamente al secondo quesito, si ribadisce quanto già chiarito nella risposta n. 23: l’integrazione è ammessa a condizione che si proceda alla definizione dell’avviso di accertamento parziale, mediante il pagamento delle sole imposte e non anche delle sanzioni e degli interessi indicati nell’avviso di accertamento oggetto di definizione. Tale pagamento non è dovuto qualora l’avviso di accertamento sia stato notificato in data successiva a quella del perfezionamento – tramite pagamento delle somme dovute – della dichiarazione integrativa di cui all’articolo 8 ovvero delle dichiarazioni di definizione automatica di cui gli articoli 7 e 9.

5.4 Contenziosi ostativi al condono

D. La presenza di un contenzioso (o comunque di una lite potenziale) è causa ostativa ai provvedimenti di condono. E’ possibile in tali situazioni sanare prima la situazione contenziosa o la contestazione ai sensi degli articoli 15 e 16 della legge 289/2002 e poi avvalersi anche delle opzioni concesse dagli articoli 7, 8 e 9?

R. Il principio secondo cui la definizione mediante la procedura dell’articolo 15 non preclude la possibilità di avvalersi anche dell’integrazione prevista dall’articolo 8 e delle definizioni automatiche di cui agli articoli 7 e 9 è espressamente riconosciuto dalla circolare al punto 2.6.1, al quale si rimanda.

Per quanto attiene all’articolo 16, premesso che di tutti gli atti la cui notifica al 1 gennaio 2003 preclude l’accesso alle procedure di cui agli articoli 7, 8 e 9, gli unici che possono costituire oggetto di una lite pendente sono soltanto gli avvisi di accertamento, si ritiene – pur in mancanza di una espressa previsione normativa – che non sussistano ragioni valide per escludere la possibilità di sanare prima la situazione contenziosa e poi avvalersi anche di una delle sanatorie.

Tale affermazione appare coerente con la scelta operata dal legislatore di favorire il più possibile l’operatività delle varie forme di condono.

5.5 Cause ostative

D. Gli artt. 7, 8, 9 e 15 della legge finanziaria per il 2003 escludono l’applicazione delle rispettive norme ai soggetti che hanno avuto formale conoscenza, alla data di presentazione delle dichiarazioni integrative o di pagamento degli importi, di procedimenti penali nei loro confronti per particolari reati.

Si chiede di conoscere se si tratti – come sembra di dedurre dal tono letterale delle norme – di esclusione soggettiva, o se la preclusione vada riferita solo a quei periodi per i quali è in corso il procedimento penale prima indicato.

Peraltro, si segnala che nell’art. 9 l’esclusione riguarda solo i periodi per i quali è in corso il procedimento.

R. Come precisato nella circolare n. 3 del 15 gennaio 2003, ai paragrafi 2.6.2 e 4.3, la preclusione derivante dall’avvio di un procedimento penale di cui il contribuente ha formale conoscenza opera con esclusivo riguardo al periodo d’imposta cui si riferisce il procedimento medesimo. Tale precisazione, benché contemplata nel corpo delle norme disciplinanti la definizione automatica per gli anni pregressi, si ritiene, sulla base di un’interpretazione conforme alla ratio della norma, che possa trovare applicazione anche con riferimento alle altre ipotesi di definizione di cui agli artt. 7, 8 e 15 della legge finanziaria per il 2003.

5.6 Cause ostative

D. Gli articoli 7, 8, 9 e 15 della legge 289/2002 escludono l’applicazione delle rispettive norme agevolative – e, quindi, la definizione automatica per autoliquidazione, l’integrativa semplice, il condono tombale e la definizione delle liti potenziali – nei confronti dei soggetti che abbiano avuto formale conoscenza, alla data di presentazione delle dichiarazioni integrative o di pagamento degli importi, di procedimenti penali nei loro confronti per particolari reati.

Tra questi reati, sono comuni a tutti e quattro gli articoli citati quelli previsti dal d.lgs. 74/2000; anche se la previsione degli articoli 7 e 15 riguarda tutti i reati del citato decreto legislativo, mentre quella degli articoli 8 e 9 riguarda solo alcuni di quei reati.

Ferme restando tali differenziazioni, si chiede di sapere se la preclusione all’uso delle norme agevolative riguardi anche i soggetti con procedimenti penali in corso per reati previsti dalla legge 516/1982.

Si chiede, altresì di sapere se, in ogni caso, fa fede esclusivamente il titolo della legge formalmente indicata nell’avviso di garanzia.

R1: L’accesso agli strumenti di regolarizzazione previsti dalla finanziaria è interdetto a tutti i contribuenti nei cui confronti sia stato avviato un procedimento penale per i reati previsti dal d.lgs. 74/2000.

Peraltro, a causa dell’estensione degli effetti del condono anche ad annualità anteriori all’entrata in vigore del citato decreto, sorge il problema di delimitare l’ambito dell’effetto preclusivo ricollegabile alla formale conoscenza dell’avvio di un procedimento penale per una delle fattispecie di cui alla legge 516 del 1982.

In proposito, aderendo a recenti pronunce della Corte di Cassazione, l’Agenzia delle entrate, con la circolare 88/E del 27 dicembre 2002, ha chiarito quali sono i casi in cui è ravvisabile continuità normativa tra le vecchie e le nuove figure di reato.

Ne deriva che rileveranno quali cause che impediscono l’accesso alle sanatorie soltanto quei procedimenti per i quali la fattispecie precedentemente sanzionabile si pone in posizione di continuità con le ipotesi di reato previste dal decreto 74 del 2000.

R2: Ai sensi dell’articolo 369 del codice di procedura penale, l’informazione di garanzia deve contenere l’indicazione, tra l’altro, delle norme di legge che si assumono violate.

In conformità al principio di legalità in materia penalistica nonché al principio della separazione dei poteri che informa tutto il nostro ordinamento giuridico, deve ritenersi preclusa la sindacabilità da parte dell’amministrazione del contenuto di atti provenienti dall’autorità giudiziaria.

Tale preclusione comporta che l’avviso di garanzia vada assunto secondo quanto risulta dal suo tenore letterale.

5.7 Effetti

D. Un lavoratore autonomo che abbia presentato istanza di rimborso IRAP e successivo ricorso contro il rifiuto tacito o espresso, se definisce automaticamente la propria posizione ai sensi degli artt. 7 o 9 della legge 289/02, rinuncia per ciò stesso alla vertenza IRAP già in corso o ancora da iniziare?

R. Al fine di rispondere al suddetto quesito, si ritiene opportuno distinguere due ipotesi.

Se la richiesta di rimborso deriva da un errore di calcolo commesso nella dichiarazione originariamente presentata, la definizione ai sensi degli artt. 7 o 9 non comporta la rinuncia alla vertenza IRAP; ciò in applicazione del principio, contenuto nel comma 13 dell’art. 7 e nel comma 9 dell’art. 9, secondo il quale “sono fatti salvi gli effetti della liquidazione delle imposte … in base … all’art. 36-bis … del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600”. In altre parole, poiché il rimborso compete qualora l’errore di calcolo sia stato rilevato in sede di liquidazione delle imposte, si ritiene che se il medesimo errore sia stato rilevato dal contribuente il rimborso competa egualmente e che, di conseguenza, la definizione ex art. 7 o art. 9 non comporti la rinuncia al ricorso contro l’eventuale rifiuto tacito o espresso.

Se l’istanza di rimborso deriva da una pretesa esclusione dal campo di applicazione dell’IRAP, si osserva che il comma 13 dell’art. 7 ed il comma 9 dell’art. 9 prevedono che “la definizione automatica, limitatamente a ciascuna annualità, rende definitiva la liquidazione delle imposte risultanti dalla dichiarazione con riferimento … all’applicabilità di esclusioni”. Ne consegue che il contribuente che definisce la propria posizione con le sanatorie previste dagli artt. 7 e 9 rinuncia ad eventuali cause di esclusione e, di conseguenza, ad ogni contenzioso derivante da esse.

5.8 Effetti dell’accertamento parziale

D. Qual è l’effetto di un avviso di accertamento parziale notificato successivamente al 1 gennaio 2003 ma prima delle scadenze previste dai provvedimenti di sanatoria?

R. Nella circolare n. 3/E (paragrafo 2.6.1.) si è chiarito che nel caso in esame l’integrazione è ammessa a condizione che si proceda alla definizione dell’avviso di accertamento parziale, mediante il pagamento delle sole imposte e non anche delle sanzioni e degli interessi indicati nell’avviso di accertamento oggetto di definizione. E’ stato altresì precisato che tale pagamento non è dovuto qualora l’avviso di accertamento sia stato notificato in data successiva a quella del perfezionamento – tramite pagamento delle somme dovute – della dichiarazione integrativa di cui all’articolo 8 ovvero delle dichiarazioni di definizione automatica di cui gli articoli 7 e 9.

5.9 Definizione automatica per il condono

D. In tema di coordinamento tra accertamenti parziali e varie forme di condoni si chiede se per accedere alla definizione automatica, alla dichiarazione integrativa o al condono tombale, pur in presenza di accertamento parziale notificato, sia necessario pagare anche le sanzioni e gli interessi inclusi negli accertamenti stessi.

R. Gli avvisi di accertamento parziale di cui all’art. 41-bis del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ovvero gli avvisi di accertamento di cui all’art. 54, quinto comma, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, non precludono l’accesso alle varie forme di condono previste dalla Finanziaria per il 2003.

Tuttavia per accedere ai procedimenti di integrazione e di definizione di cui agli articoli 7, 8 e 9 della legge n. 289 del 2002, è necessario che vengano totalmente pagate le maggiori imposte emergenti dall’atto di accertamento parziale notificato. Non sono dovuti interessi e sanzioni.

Si precisa che dette somme devono essere corrisposte entro il 17 marzo 2003 qualora si voglia procedere all’ integrazione degli anni pregressi, di cui all’articolo 8 o alla definizione automatica degli anni pregressi, di cui all’articolo 9. In caso di definizione automatica di cui all’articolo 7 gli importi devono essere versati entro il termine più ampio del 20 giugno 2003.

5.10 Redditi d’impresa e dichiarazione integrativa

D. Il comma 10 dell’articolo 7 e il comma 11 dell’articolo 8 della legge n. 289 del 2002 stabiliscono, rispettivamente, che la definizione automatica dei redditi di impresa e di lavoro autonomo e la dichiarazione integrativa perfezionate dalle società e associazioni di cui all’articolo 5 costituiscono titolo per l’accertamento parziale nei confronti delle persone fisiche che non hanno definito i redditi prodotti in forma associata. Se il socio aderisce ad una diversa forma di sanatoria può considerarsi al riparo da eventuali accertamenti parziali derivanti dalla definizione della società? Se invece il socio definisce i propri redditi di partecipazione mediante dichiarazione integrativa, ma la società non provvede ad analoga sanatoria, quali conseguenze possono prodursi su quest’ultima e sugli altri soci che non hanno provveduto alla definizione?

R. Si richiama, al riguardo, quanto chiarito con circolare n. 3/E del 15 gennaio 2003 (paragrafo 2.1.9): “i soggetti titolari di redditi di partecipazione in una o più società o associazioni di cui all’articolo 5 del TUIR sono ammessi a presentare più di una dichiarazione integrativa. In particolare tali soggetti possono:

– presentare entro il 17 marzo 2003 la dichiarazione in forma automatica ai sensi dell’articolo 9, nel qual caso la situazione tributaria risulta definita;

– entro il 17 marzo 2003 presentare la dichiarazione integrativa ai sensi dell’articolo 8, per integrare gli imponibili originariamente dichiarati diversi da quelli di partecipazione; al fine di integrare questi ultimi redditi, possono presentare entro il 20 giugno 2003 una ulteriore dichiarazione integrativa conseguente a quella (o a quelle) presentata dalla società partecipata ai sensi dell’articolo 8;

– presentare entro il 16 settembre 2003 la dichiarazione integrativa ai sensi dell’articolo 7, conseguente a quella presentata dalla società partecipata ai sensi del medesimo articolo”.

Si precisa, infine, che l’articolo 8 comma 11 (secondo cui “la presentazione della dichiarazione integrativa… costituisce titolo per l’accertamento, ai sensi dell’art. 41 – bis… nei confronti dei soggetti che non hanno integrato i redditi prodotti in forma associata”) si applica nel caso di dichiarazione presentata dalla società. Pertanto, in questo caso gli uffici potranno effettuare accertamenti parziali nei confronti dei soci sulla base dei maggiori redditi integrati dalla società o associazione.

Alle stesse conclusioni deve giungersi in merito all’analoga previsione recata dall’art. 7, comma 10.

5.11 Accertamento parziale sull’adesione alla sanatoria

D. Qual è l’esito dell’accertamento parziale notificato entro la data ultima di perfezionamento dell’adesione alle varie forme di sanatoria ma dopo il pagamento delle somme dovute? Occorre comunque pagare le somme indicate nell’accertamento parziale comprensive di sanzioni ed interessi oppure si può opporre la definizione automatica, la dichiarazione integrativa o il condono perfezionati?

R. Nella circolare n. 3/E è stato chiarito che “il pagamento delle imposte risultanti dall’avviso di accertamento parziale non è dovuto nel caso in cui tale atto sia stato notificato in data successiva a quella del perfezionamento – tramite pagamento delle somme dovute – della dichiarazione integrativa ovvero delle dichiarazioni di definizione automatica di cui agli articoli 7 e 9”.

4 ARTICOLO 9 – DEFINIZIONE AUTOMATICA PER GLI ANNI PREGRESSI

4.1 Imposte dirette e “pagamento del dovuto”

D. E’ corretto ritenere, nonostante quanto affermato dal comma 1 dell’art. 9 della legge n. 289 del 2002, che con riguardo al 1997 (salvo il caso di dichiarazione omessa) la definizione possa comportare il pagamento di quanto dovuto solo con riguardo alle imposte dirette (e assimilate)?

R. L’articolo 9 prevede l’obbligo di includere nella definizione automatica, a pena di nullità, tutte le imposte relative a ciascun settore impositivo e riguardanti tutti i periodi d’imposta per i quali i termini di presentazione delle dichiarazioni sono scaduti entro il 31 ottobre 2002.

In particolare, i periodi di imposta oggetto di definizione automatica ai fini delle imposte sui redditi e delle altre imposte appartenenti al medesimo settore sono quelli compresi fra il 1997 e il 2001, incluso il 1996 in caso di dichiarazione omessa.

Per l’imposta sul valore aggiunto le annualità definibili sono quelle comprese fra il 1998 e il 2001; l’anno 1997 può essere definito solo se la relativa dichiarazione è stata omessa, posto che per tale annualità i termini decadenziali previsti dall’art. 57 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, per la notifica degli avvisi di rettifica e di accertamento, sono scaduti il 31 dicembre 2002.

4.2 Definizione delle società e dei soci

D. Appare estremamente problematico il calcolo del minimale per il socio di società di persone come disciplinato dal comma 4 dell’articolo 9 della legge 289/2002. Nell’ipotesi di una S.n.c. di due soci al 50% con ricavi per ¬ 150.000 – due potrebbero essere le soluzioni:

a) Si assume il minimale riferibile alla società in funzione dei ricavi – quindi ¬ 1200 – ricavandolo dal c. 3 lett. b) n. 3 e lo si imputa ai singoli soci in funzione delle quote di partecipazione (50%), con la conseguenza che ciascun socio avrebbe da versare un minimale pari a ¬ 600?

b) Si assumono i ricavi della società attribuendoli ai soci in funzione della quota di partecipazione (50%), cosicché i due soci avrebbero dei ricavi figurativi di riferimento pari a ¬ 75.000 ciascuno, in funzione dei quali si determinerebbe un minimale dovuto da ciascuno di ¬ 900 (c. 3 lett. b) n. 2)?

Ancora è da chiedersi come si debba calcolare il minimale in ipotesi di partecipazione in più società di persone, se cioè si debbano calcolare tanti minimali quante sono le partecipazioni ovvero seguire altre modalità (ad esempio la somma dei ricavi delle società partecipate).

R. A sensi dell’articolo 9, comma 4, il criterio per la determinazione degli importi minimi dovuti dai soci di una società di persone è il seguente. Innanzitutto deve farsi riferimento all’ammontare complessivo dei ricavi o compensi dichiarati dalla società, determinando, in riferimento a tale valore, l’importo minimo da ripartirsi tra i soci in proporzione alla propria quota di partecipazione; importo che in ogni caso non può essere inferiore a ¬ 200 per ciascun socio.

In ipotesi di partecipazione in più società di persone, si devono calcolare tanti minimali quante sono le società partecipate.

4.3 Omessa dichiarazione e condono tombale

D. Si chiede di conoscere se è da intendersi confermato l’orientamento espresso nella circolare n. 12 del 1992 in base al quale, ai fini della definizione automatica, nella dichiarazione presentata a tale fine, debbano essere compresi anche tutti i periodi di imposta con riferimento ai quali la dichiarazione è da intendersi come legittimamente non presentata (in quanto, ad esempio, il contribuente era in possesso di soli redditi di lavoro dipendente e prima abitazione). In questo caso, il versamento minimo dovuto è di 100 euro ovvero di 1.500 euro in relazione al fatto che, a differenza di quanto disciplinato dalla legge 413/1991 che faceva riferimento alla dichiarazione non presentata, il comma 8 dell’articolo 9 della legge 289/2002, tratta di “omessa presentazione della dichiarazione” ?

R. La circolare n.3 del 2003, al paragrafo 3.2. a commento dell’articolo 9, chiarisce che, in base al principio secondo cui la definizione automatica deve obbligatoriamente interessare, a pena di nullità, tutti i periodi d’imposta considerati dalla legge (principio correlato peraltro alla natura tipica dei procedimenti definitori che non consentono di tener conto delle specifiche peculiarità della materia trattata), devono essere inclusi nella richiesta di definizione automatica, rilevante ai fini delle imposte sui redditi, anche i periodi d’imposta per i quali il contribuente era legittimato a non presentare la dichiarazione stessa. In questo caso il versamento minimo è quello dovuto in caso di dichiarazione omessa, previsto dal comma 8 dell’art. 8, ossia ¬ 1.500.

4.4 Società di persone

D. Ai fini dell’applicazione dell’art. 9, i soci di società personali hanno più minimi ragguagliati alle dimensioni delle società partecipate e alla loro quota di partecipazione nelle stesse società.

In presenza di più minimi, si chiede conferma che ci si deve limitare a versare quello di ammontare maggiore, ferma restando la soglia minima di 200 Euro.

R. L’art. 9, comma 4 della legge n. 289 del 2002, stabilisce che le persone fisiche titolari dei redditi prodotti in forma associata ai sensi dell’art. 5 del TUIR, ai fini della definizione automatica, indicano nella dichiarazione integrativa, per ciascun periodo d’imposta, l’ammontare dell’importo minimo da versare, determinato tenendo conto dei minimi fissati al comma 3 del medesimo articolo 9, in ragione della propria quota di partecipazione. L’importo così determinato non può essere inferiore a 200 euro.

Tanto premesso, nel caso di partecipazione in più società di persone, si devono calcolare tanti minimali quante sono le società partecipate.

L’importo dovuto dal socio sarà dato dalla somma dei minimi calcolati a norma del comma 3 dell’articolo 9.

4.5 Effetto preclusivo

D. Per chi ha fatto ricorso al condono tombale ai sensi dell’art. 9, il comma 13, dello stesso articolo 9 prevede che in caso di accesso, ispezione o verifica, il soggetto nei cui confronti sta per iniziare la verifica può opporre agli organi competenti gli effetti preclusivi o estintivi della propria dichiarazione riservata.

Si chiede di conoscere perché tale opposizione non sia prevista anche per chi ha presentato dichiarazione integrativa non riservata.

R. L’art. 9, comma 13 della legge n. 289 del 2002, prevede che il soggetto che ha presentato la dichiarazione riservata, può opporre agli organi dell’Amministrazione finanziaria, in caso di accesso, ispezioni o verifica, o altra attività di controllo, gli effetti preclusivi, estintivi e di esclusione della punibilità di cui al comma 10 dello stesso articolo.

Si ritiene non necessaria un’analoga disposizione nei casi di dichiarazione presentata nei modi ordinari, in quanto in tale ipotesi l’amministrazione finanziaria è a conoscenza della richiesta di definizione automatica prodotta dal contribuente, diversamente da quanto accade in caso di dichiarazione riservata.

I soggetti convenzionati di cui all’articolo 19 del decreto legislativo n. 241 del 1997 (banche, Poste Italiane S.P.A. e concessionari), ai quali si presentano le dichiarazioni riservate, sono, infatti, tenuti a comunicare all’Agenzia delle Entrate l’ammontare complessivo delle somme versate senza indicare i nominativi dei contribuenti che hanno presentato la dichiarazione.

5 DISPOSIZIONI COMUNI AGLI ARTICOLI 7, 8 E 9

5.1 Avvio di un procedimento penale sui reati tributari non più perseguibili

D. Le cause ostative legate all’avvio di un procedimento penale per i reati di natura tributaria valgono solo per le previsioni di cui al d.lgs. 74 del 2000 o sono estese anche a fattispecie oggi non più perseguibili, come nel caso di omessa tenuta di scritture contabili o utilizzo di fatture false non trasfuse in dichiarazione?

R. L’articolo 2 del codice penale, fissa il principio generale secondo cui la norma che abolisce una precedente incriminazione ha efficacia retroattiva.

Ciò comporta che l’autore del fatto previsto dalla norma abrogata non possa essere punito, in quanto il comportamento posto in essere non costituisce più reato.

Poiché le cause ostative all’accesso al condono valgono soltanto in relazione alle specifiche ipotesi di reato di natura tributaria previste tassativamente dalla legge, non c’è alcuno spazio di operatività per ipotesi criminose diverse da quelle di cui al d.lgs. 74 del 2000.

Peraltro, a causa dell’estensione degli effetti del condono anche ad annualità anteriori all’entrata in vigore del decreto 74, può sorgere il problema di delimitare l’ambito dell’effetto preclusivo ricollegabile alla formale conoscenza dell’avvio di un procedimento penale per una delle fattispecie di cui alla legge 516 del 1982.

In proposito, aderendo a recenti pronunce della Corte di Cassazione, l’Agenzia delle entrate, con la circolare 88/E del 27 dicembre 2002, ha chiarito quali sono i casi in cui è ravvisabile continuità normativa tra le vecchie e le nuove figure di reato.

Ne deriva che rileveranno quali cause che impediscono l’accesso alle sanatorie soltanto quei procedimenti per i quali la fattispecie precedentemente sanzionabile si pone in posizione di continuità con le ipotesi di reato previste dal decreto 74 del 2000.

5.2 Definizione rapporti tributari – cause ostative

D. Costituisce causa ostativa all’accesso alle forme di definizione dei rapporti tributari l’avvenuta notifica, alla data del 1 gennaio 2003, di un avviso di accertamento, di un p.v.c. positivo, oppure di un invito al contraddittorio ex articolo 5 del d.lgs. 218/97. Qualora il p.v.c. sia stato redatto e consegnato al contribuente, ma non ritualmente notificato, ovvero l’invito al contraddittorio spedito ma non notificato, la causa ostativa in esame è da ritenersi sussistente oppure no?

R. Le norme disciplinanti le cause ostative(articolo 7, comma 3, lettera c); articolo 8, comma 10, lettera a); articolo 9, comma 14, lettera a richiedono che gli atti a tal fine richiamati siano notificati all’interessato.

In proposito occorre ricordare che l’atto tributario è un atto recettizio, vale a dire idoneo a produrre effetti nella sfera giuridica del destinatario soltanto quando lo stesso venga portato a conoscenza dell’interessato.

Poiché, nel caso di specie, la norma fa riferimento alla notificazione quale strumento per realizzare la legale conoscenza dell’atto in capo al contribuente, non sono ammessi equipollenti di tale strumento.

Con particolare riguardo al processo verbale di constatazione deve ritenersi che la consegna di copia del medesimo al contribuente, normalmente effettuata al termine delle operazioni di verifica, realizza la condizione necessaria e sufficiente perchè il verbale possa ritenersi notificato ai sensi delle disposizioni recate dalla legge n. 289 del 2002.

5.3 Un focus sulle cause ostative per gli accertamenti parziali

D. Nell’ambito delle disposizioni di cui dagli articoli da 7 a 9 della legge 289/2002 si fa espresso riferimento agli accertamenti parziali come causa ostativa che, comunque può essere rimossa. Si intende conoscere se:

– in caso di accertamento parziale notificato prima del 31 dicembre 2002, lo stesso possa essere definito con le procedure di cui all’articolo 15 della legge per poi procedere al concordato, alla dichiarazione integrativa ovvero al condono tombale. In tal senso sembrerebbe deporre la formulazione letterale della disposizione normativa che non contiene causa ostativa al pagamento in via agevolata delle somme contenute negli avvisi di accertamento parziali;

– in caso di risposta affermativa al precedente quesito, si chiede dunque come si concilia il richiamo contenuto negli articoli da 7 a 9 alla necessità che il contribuente corrisponda, entro i termini di versamento ordinari, delle somme contenute negli avvisi di accertamento parziale. Tale obbligo, che non si ritiene possa comprendere anche le sanzioni, deve essere dunque inteso, ad esempio, in caso di avviso di accertamento parziale notificato solo a partire dal 1 gennaio 2003 ? Infine, è comunque corretto affermare che tale meccanismo di pagamento relativo agli avvisi di accertamento parziale possa riguardare solo gli avvisi notificati prima del perfezionamento delle diverse definizioni o anche quelli notificati successivamente alla intervenuta definizione e sino alla data limite prevista dalla legge ?

R. Come chiarito nella circolare n. 3/E (paragrafo 2.6.1.) per la definizione degli avvisi di accertamento parziale notificati entro il 1 gennaio 2003 e non ancora interessati da ricorso giurisdizionale deve attivarsi la procedura di cui all’articolo 15 della legge finanziaria per il 2003. Tale definizione non esclude la facoltà di avvalersi contestualmente delle disposizioni agevolative di cui agli articoli 7, 8 e 9.

Relativamente al secondo quesito, si ribadisce quanto già chiarito nella risposta n. 23: l’integrazione è ammessa a condizione che si proceda alla definizione dell’avviso di accertamento parziale, mediante il pagamento delle sole imposte e non anche delle sanzioni e degli interessi indicati nell’avviso di accertamento oggetto di definizione. Tale pagamento non è dovuto qualora l’avviso di accertamento sia stato notificato in data successiva a quella del perfezionamento – tramite pagamento delle somme dovute – della dichiarazione integrativa di cui all’articolo 8 ovvero delle dichiarazioni di definizione automatica di cui gli articoli 7 e 9.

5.4 Contenziosi ostativi al condono

D. La presenza di un contenzioso (o comunque di una lite potenziale) è causa ostativa ai provvedimenti di condono. E’ possibile in tali situazioni sanare prima la situazione contenziosa o la contestazione ai sensi degli articoli 15 e 16 della legge 289/2002 e poi avvalersi anche delle opzioni concesse dagli articoli 7, 8 e 9?

R. Il principio secondo cui la definizione mediante la procedura dell’articolo 15 non preclude la possibilità di avvalersi anche dell’integrazione prevista dall’articolo 8 e delle definizioni automatiche di cui agli articoli 7 e 9 è espressamente riconosciuto dalla circolare al punto 2.6.1, al quale si rimanda.

Per quanto attiene all’articolo 16, premesso che di tutti gli atti la cui notifica al 1 gennaio 2003 preclude l’accesso alle procedure di cui agli articoli 7, 8 e 9, gli unici che possono costituire oggetto di una lite pendente sono soltanto gli avvisi di accertamento, si ritiene – pur in mancanza di una espressa previsione normativa – che non sussistano ragioni valide per escludere la possibilità di sanare prima la situazione contenziosa e poi avvalersi anche di una delle sanatorie.

Tale affermazione appare coerente con la scelta operata dal legislatore di favorire il più possibile l’operatività delle varie forme di condono.

5.5 Cause ostative

D. Gli artt. 7, 8, 9 e 15 della legge finanziaria per il 2003 escludono l’applicazione delle rispettive norme ai soggetti che hanno avuto formale conoscenza, alla data di presentazione delle dichiarazioni integrative o di pagamento degli importi, di procedimenti penali nei loro confronti per particolari reati.

Si chiede di conoscere se si tratti – come sembra di dedurre dal tono letterale delle norme – di esclusione soggettiva, o se la preclusione vada riferita solo a quei periodi per i quali è in corso il procedimento penale prima indicato.

Peraltro, si segnala che nell’art. 9 l’esclusione riguarda solo i periodi per i quali è in corso il procedimento.

R. Come precisato nella circolare n. 3 del 15 gennaio 2003, ai paragrafi 2.6.2 e 4.3, la preclusione derivante dall’avvio di un procedimento penale di cui il contribuente ha formale conoscenza opera con esclusivo riguardo al periodo d’imposta cui si riferisce il procedimento medesimo. Tale precisazione, benché contemplata nel corpo delle norme disciplinanti la definizione automatica per gli anni pregressi, si ritiene, sulla base di un’interpretazione conforme alla ratio della norma, che possa trovare applicazione anche con riferimento alle altre ipotesi di definizione di cui agli artt. 7, 8 e 15 della legge finanziaria per il 2003.

5.6 Cause ostative

D. Gli articoli 7, 8, 9 e 15 della legge 289/2002 escludono l’applicazione delle rispettive norme agevolative – e, quindi, la definizione automatica per autoliquidazione, l’integrativa semplice, il condono tombale e la definizione delle liti potenziali – nei confronti dei soggetti che abbiano avuto formale conoscenza, alla data di presentazione delle dichiarazioni integrative o di pagamento degli importi, di procedimenti penali nei loro confronti per particolari reati.

Tra questi reati, sono comuni a tutti e quattro gli articoli citati quelli previsti dal d.lgs. 74/2000; anche se la previsione degli articoli 7 e 15 riguarda tutti i reati del citato decreto legislativo, mentre quella degli articoli 8 e 9 riguarda solo alcuni di quei reati.

Ferme restando tali differenziazioni, si chiede di sapere se la preclusione all’uso delle norme agevolative riguardi anche i soggetti con procedimenti penali in corso per reati previsti dalla legge 516/1982.

Si chiede, altresì di sapere se, in ogni caso, fa fede esclusivamente il titolo della legge formalmente indicata nell’avviso di garanzia.

R1: L’accesso agli strumenti di regolarizzazione previsti dalla finanziaria è interdetto a tutti i contribuenti nei cui confronti sia stato avviato un procedimento penale per i reati previsti dal d.lgs. 74/2000.

Peraltro, a causa dell’estensione degli effetti del condono anche ad annualità anteriori all’entrata in vigore del citato decreto, sorge il problema di delimitare l’ambito dell’effetto preclusivo ricollegabile alla formale conoscenza dell’avvio di un procedimento penale per una delle fattispecie di cui alla legge 516 del 1982.

In proposito, aderendo a recenti pronunce della Corte di Cassazione, l’Agenzia delle entrate, con la circolare 88/E del 27 dicembre 2002, ha chiarito quali sono i casi in cui è ravvisabile continuità normativa tra le vecchie e le nuove figure di reato.

Ne deriva che rileveranno quali cause che impediscono l’accesso alle sanatorie soltanto quei procedimenti per i quali la fattispecie precedentemente sanzionabile si pone in posizione di continuità con le ipotesi di reato previste dal decreto 74 del 2000.

R2: Ai sensi dell’articolo 369 del codice di procedura penale, l’informazione di garanzia deve contenere l’indicazione, tra l’altro, delle norme di legge che si assumono violate.

In conformità al principio di legalità in materia penalistica nonché al principio della separazione dei poteri che informa tutto il nostro ordinamento giuridico, deve ritenersi preclusa la sindacabilità da parte dell’amministrazione del contenuto di atti provenienti dall’autorità giudiziaria.

Tale preclusione comporta che l’avviso di garanzia vada assunto secondo quanto risulta dal suo tenore letterale.

5.7 Effetti

D. Un lavoratore autonomo che abbia presentato istanza di rimborso IRAP e successivo ricorso contro il rifiuto tacito o espresso, se definisce automaticamente la propria posizione ai sensi degli artt. 7 o 9 della legge 289/02, rinuncia per ciò stesso alla vertenza IRAP già in corso o ancora da iniziare?

R. Al fine di rispondere al suddetto quesito, si ritiene opportuno distinguere due ipotesi.

Se la richiesta di rimborso deriva da un errore di calcolo commesso nella dichiarazione originariamente presentata, la definizione ai sensi degli artt. 7 o 9 non comporta la rinuncia alla vertenza IRAP; ciò in applicazione del principio, contenuto nel comma 13 dell’art. 7 e nel comma 9 dell’art. 9, secondo il quale “sono fatti salvi gli effetti della liquidazione delle imposte … in base … all’art. 36-bis … del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600”. In altre parole, poiché il rimborso compete qualora l’errore di calcolo sia stato rilevato in sede di liquidazione delle imposte, si ritiene che se il medesimo errore sia stato rilevato dal contribuente il rimborso competa egualmente e che, di conseguenza, la definizione ex art. 7 o art. 9 non comporti la rinuncia al ricorso contro l’eventuale rifiuto tacito o espresso.

Se l’istanza di rimborso deriva da una pretesa esclusione dal campo di applicazione dell’IRAP, si osserva che il comma 13 dell’art. 7 ed il comma 9 dell’art. 9 prevedono che “la definizione automatica, limitatamente a ciascuna annualità, rende definitiva la liquidazione delle imposte risultanti dalla dichiarazione con riferimento … all’applicabilità di esclusioni”. Ne consegue che il contribuente che definisce la propria posizione con le sanatorie previste dagli artt. 7 e 9 rinuncia ad eventuali cause di esclusione e, di conseguenza, ad ogni contenzioso derivante da esse.

5.8 Effetti dell’accertamento parziale

D. Qual è l’effetto di un avviso di accertamento parziale notificato successivamente al 1 gennaio 2003 ma prima delle scadenze previste dai provvedimenti di sanatoria?

R. Nella circolare n. 3/E (paragrafo 2.6.1.) si è chiarito che nel caso in esame l’integrazione è ammessa a condizione che si proceda alla definizione dell’avviso di accertamento parziale, mediante il pagamento delle sole imposte e non anche delle sanzioni e degli interessi indicati nell’avviso di accertamento oggetto di definizione. E’ stato altresì precisato che tale pagamento non è dovuto qualora l’avviso di accertamento sia stato notificato in data successiva a quella del perfezionamento – tramite pagamento delle somme dovute – della dichiarazione integrativa di cui all’articolo 8 ovvero delle dichiarazioni di definizione automatica di cui gli articoli 7 e 9.

5.9 Definizione automatica per il condono

D. In tema di coordinamento tra accertamenti parziali e varie forme di condoni si chiede se per accedere alla definizione automatica, alla dichiarazione integrativa o al condono tombale, pur in presenza di accertamento parziale notificato, sia necessario pagare anche le sanzioni e gli interessi inclusi negli accertamenti stessi.

R. Gli avvisi di accertamento parziale di cui all’art. 41-bis del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ovvero gli avvisi di accertamento di cui all’art. 54, quinto comma, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, non precludono l’accesso alle varie forme di condono previste dalla Finanziaria per il 2003.

Tuttavia per accedere ai procedimenti di integrazione e di definizione di cui agli articoli 7, 8 e 9 della legge n. 289 del 2002, è necessario che vengano totalmente pagate le maggiori imposte emergenti dall’atto di accertamento parziale notificato. Non sono dovuti interessi e sanzioni.

Si precisa che dette somme devono essere corrisposte entro il 17 marzo 2003 qualora si voglia procedere all’ integrazione degli anni pregressi, di cui all’articolo 8 o alla definizione automatica degli anni pregressi, di cui all’articolo 9. In caso di definizione automatica di cui all’articolo 7 gli importi devono essere versati entro il termine più ampio del 20 giugno 2003.

5.10 Redditi d’impresa e dichiarazione integrativa

D. Il comma 10 dell’articolo 7 e il comma 11 dell’articolo 8 della legge n. 289 del 2002 stabiliscono, rispettivamente, che la definizione automatica dei redditi di impresa e di lavoro autonomo e la dichiarazione integrativa perfezionate dalle società e associazioni di cui all’articolo 5 costituiscono titolo per l’accertamento parziale nei confronti delle persone fisiche che non hanno definito i redditi prodotti in forma associata. Se il socio aderisce ad una diversa forma di sanatoria può considerarsi al riparo da eventuali accertamenti parziali derivanti dalla definizione della società? Se invece il socio definisce i propri redditi di partecipazione mediante dichiarazione integrativa, ma la società non provvede ad analoga sanatoria, quali conseguenze possono prodursi su quest’ultima e sugli altri soci che non hanno provveduto alla definizione?

R. Si richiama, al riguardo, quanto chiarito con circolare n. 3/E del 15 gennaio 2003 (paragrafo 2.1.9): “i soggetti titolari di redditi di partecipazione in una o più società o associazioni di cui all’articolo 5 del TUIR sono ammessi a presentare più di una dichiarazione integrativa. In particolare tali soggetti possono:

– presentare entro il 17 marzo 2003 la dichiarazione in forma automatica ai sensi dell’articolo 9, nel qual caso la situazione tributaria risulta definita;

– entro il 17 marzo 2003 presentare la dichiarazione integrativa ai sensi dell’articolo 8, per integrare gli imponibili originariamente dichiarati diversi da quelli di partecipazione; al fine di integrare questi ultimi redditi, possono presentare entro il 20 giugno 2003 una ulteriore dichiarazione integrativa conseguente a quella (o a quelle) presentata dalla società partecipata ai sensi dell’articolo 8;

– presentare entro il 16 settembre 2003 la dichiarazione integrativa ai sensi dell’articolo 7, conseguente a quella presentata dalla società partecipata ai sensi del medesimo articolo”.

Si precisa, infine, che l’articolo 8 comma 11 (secondo cui “la presentazione della dichiarazione integrativa… costituisce titolo per l’accertamento, ai sensi dell’art. 41 – bis… nei confronti dei soggetti che non hanno integrato i redditi prodotti in forma associata”) si applica nel caso di dichiarazione presentata dalla società. Pertanto, in questo caso gli uffici potranno effettuare accertamenti parziali nei confronti dei soci sulla base dei maggiori redditi integrati dalla società o associazione.

Alle stesse conclusioni deve giungersi in merito all’analoga previsione recata dall’art. 7, comma 10.

5.11 Accertamento parziale sull’adesione alla sanatoria

D. Qual è l’esito dell’accertamento parziale notificato entro la data ultima di perfezionamento dell’adesione alle varie forme di sanatoria ma dopo il pagamento delle somme dovute? Occorre comunque pagare le somme indicate nell’accertamento parziale comprensive di sanzioni ed interessi oppure si può opporre la definizione automatica, la dichiarazione integrativa o il condono perfezionati?

R. Nella circolare n. 3/E è stato chiarito che “il pagamento delle imposte risultanti dall’avviso di accertamento parziale non è dovuto nel caso in cui tale atto sia stato notificato in data successiva a quella del perfezionamento – tramite pagamento delle somme dovute – della dichiarazione integrativa ovvero delle dichiarazioni di definizione automatica di cui agli articoli 7 e 9”.

6 ARTICOLO 10 – PROROGA DI TERMINI

6.1 Proroga dei termini di accertamento.

D. Per evitare, con riguardo a tutti i periodi d’imposta potenzialmente interessati dalle sanatorie, gli effetti di cui all’art. 10 della legge n. 289 del 2002 è sufficiente aderire ad uno dei provvedimenti di cui all’art. 7 o 8 per un singolo periodo d’imposta?

R. Come chiarito al punto 5 della circolare n. 3/E del 2003, considerato che il contribuente può scegliere di definire, ai sensi degli articoli 7 e 8, anche singole annualità e singole imposte, la proroga dei termini per l’accertamento, di cui agli articoli 43 del DPR n. 600 del 1973 e 57 del DPR n. 633 del 1972, opera per le imposte e le annualità non oggetto di definizione.

6.2 Annualità prescritte

D. Si chiede conferma, ai fini di una eventuale valutazione della definizione dell’annualità 1997, se lo stesso anno ai fini dell’IVA risulta comunque “prescritto” al 1 gennaio 2003, visto che l’art.10 della Finanziaria non prevede (come hanno sempre disposto i provvedimenti di proroga dei termini di accertamento) che i periodi di imposta per cui al 31.12.2002 risultano in scadenza i termini di decadenza dell’azione di accertamento, sono prorogati di un anno. La norma, entrata in vigore al 1 gennaio 2003, dispone semplicemente, infatti, la proroga di un anno dei termini di accertamento per coloro che non si avvalgono delle tre sanatorie di cui agli artt. 7, 8 e 9 della Finanziaria 2003.

R. Sì, la Circolare ha fornito chiarimenti in ordine alla proroga dei termini per l’accertamento in materia di IVA al paragrafo 5, individuando come primo anno oggetto di definizione o integrazione il 1998 ovvero il 1997 in caso di omissione della dichiarazione.

6.3 Dichiarazioni tardive

D. La norma afferma che risultano definibili i periodi per cui le dichiarazioni sono state presentate entro il 31.10.2002. si è dell’avviso che – come possono risultare oggetto di definizione anche dichiarazioni tardive ma valide relative alle annualità precedenti al 2001- anche le dichiarazioni tardive – relative all’annualità 2001 – presentate nei 90 gg. successivi al 31.10.2002 possono essere oggetto di definizione. si conferma tale impostazione?

R. No, poiché il termine del 31/10/2002, indicato dal legislatore ai fini dell’individuazione delle annualità d’imposta suscettibili di definizione ai sensi dell’art. 7 della legge 289/02, è da intendersi perentorio. anche la circolare n. 3/e del 2003 al paragrafo 4 testualmente riporta “i contribuenti interessati possono singolarmente definire le annualità dal 1997 al 2001 per le quali le prescritte dichiarazioni sono state presentate entro il 31 ottobre 2002”.

7 ARTICOLO 11 – DEFINIZIONE AI FINI DELL’IMPOSTA DI REGISTRO ED ALTRI TRIBUTI INDIRETTI

7.1 Notifica di avviso di rettifica

D. Si chiede conferma se la notifica di un avviso di rettifica tra il 1 gennaio 2003 e il giorno di presentazione dell’istanza di sanatoria impedisce il condono.

R. Il dubbio è sorto perché in qualche articolo apparso su giornali specializzati era stata prospettata questa soluzione ma nella circolare 3 E dell’Agenzia delle Entrate è stato precisato che Condizione per accedere alla definizione agevolata è “…che non sia stato precedentemente notificato avviso di rettifica e liquidazione della maggiore imposta”.

Il termine “precedentemente”, utilizzato per fissare il limite per usufruire del regime di favore, è da individuare nella data del 1 gennaio 2003 – entrata in vigore della legge in commento (articolo 95, comma 3) – poiché nell’ipotesi in cui l’avviso di rettifica e liquidazione sia stato notificato prima di tale data si applica la definizione prevista dall’articolo 15 della legge finanziaria (cfr. paragrafo …). Del resto, un diverso significato del termine “precedentemente”, che lo riferisse alla data di presentazione dell’istanza del contribuente (entro il 16 marzo 2003), comporterebbe che gli atti per i quali l’avviso di accertamento fosse notificato prima di quest’ultima data, ma dopo l’entrata in vigore della legge in commento (1 gennaio 2003) sarebbero esclusi dalla definizione agevolata stabilita dall’articolo 11, comma 1, nonchè dalla definizione degli accertamenti prevista dal successivo articolo 15, della legge finanziaria 2003, che tra l’altro regola la definizione agevolata degli avvisi di accertamento notificati prima dell’entrata in vigore della presente legge e per i quali alla stessa data “… non sono ancora spirati i termini per la proposizione del ricorso…”. Quest’ultima interpretazione, quindi, potrebbe ingenerare un sospetto di incostituzionalità della norma.

7.2 Oggetto della definizione

D. Se un atto sia stato registrato con l’applicazione di un’aliquota inferiore a quella che l’Ufficio potrebbe accertare in futuro (si pensi all’aliquota 1 per cento applicata per la cessione di un’area edificabile, agevolazione che l’ufficio in futuro possa disconoscere pretendendo l’applicazione dell’aliquota dell’11 per cento), si può sanare la pratica integrando del 25 per cento il versamento effettuato in sede principale ?

R. A tale quesito deve essere data risposta negativa.

Nella circolare è precisato che il comma 1 consente al contribuente, che presenti apposita istanza entro il 16 marzo 2003, di definire, con l’aumento del 25 per cento, i valori nonchè gli incrementi di valore, dei beni, assoggettabili a procedimento di valutazione, dichiarati negli atti ovvero nelle denunce o dichiarazioni.

L’espresso riferimento della norma ai valori dichiarati e agli incrementi di valore esclude che la definizione agevolata possa riguardare le ipotesi di applicazione di agevolazioni e di decadenza dalle stesse.

8 ARTICOLO 12 – DEFINIZIONE DEI CARICHI DI RUOLI PREGRESSI

8.1 Ruoli pregressi e sanatoria delle controversie.

D. In tema di definizione dei ruoli pregressi si chiede se la sanatoria sia possibile anche in pendenza di una controversia relativa ad un ruolo affidato al concessionario del servizio nazionale di riscossione entro il 30 giugno 1999, come nel caso delle impugnazioni di cartelle esattoriali o di ruoli emessi a titolo di iscrizione provvisoria.

R. L’articolo 12 della legge finanziaria consente di definire tutte le tipologie dei ruoli affidati al concessionario del servizio di riscossione fino al 30 giugno 1999. Per quanto concerne l’ambito di applicazione della definizione in argomento, come precisato nella circolare n. 3/E del 15 gennaio 2003, la stessa concerne tutte le tipologie di ruoli, compresi quindi, a titolo di esempio, quelli emessi a seguito di liquidazione delle imposte ai sensi dell’articolo 36-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, quelli emessi a seguito di controllo formale delle dichiarazioni ex articolo 36-ter del medesimo decreto, quelli emessi a seguito di liquidazione dell’IVA ai sensi dell’articolo 54-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, nonchè quelli emessi a titolo provvisorio in pendenza di giudizio.

8.2 Definizione ruoli pregressi – identificazione.

D. Qualora il debitore moroso non riceva, entro il 31.01.2003, l’invito del concessionario della riscossione, come può verificare se il proprio debito rientri oppure no nella previsione agevolativa dell’articolo 12?

R. Il comma 2 dell’articolo in questione prevede l’invio da parte dei concessionari dell’invito ad avvalersi dei benefici indicati dall’articolo 12 per i ruoli consegnati nel periodo compreso tra il 1 gennaio 1997 e il 30 giugno 1999.

Tuttavia, qualora il predetto invito non dovesse pervenire al contribuente, lo stesso può rivolgersi al concessionario, anche telefonicamente, per ottenere le informazioni necessarie ai fini dell’eventuale definizione del ruolo, in analogia a quanto chiarito nella circolare n. 3/E al punto 7.2.2 per i ruoli affidati anteriormente al 1 gennaio 1997.

9 ARTICOLO 14 – REGOLARIZZAZIONE DELLE SCRITTURE CONTABILI

9.1 Regolarizzazione delle scritture contabili

D. E’ ammessa la regolarizzazione delle scritture contabili per i contribuenti in contabilità semplificata o che fruiscono di regimi contabili minori?

R. Come precisato nel paragrafo 8.2 della circolare n. 3 il comma 2 dell’articolo 14 della legge finanziaria prevede che la regolarizzazione delle scritture contabili deve essere effettuata nell’inventario, nel rendiconto, ovvero nel bilancio. Tale norma è evidentemente rivolta ai contribuenti tenuti alla redazione di tali documenti. Nulla vieta, tuttavia, che i contribuenti in contabilità semplificata possano apportare, solo ai fini fiscali e nelle scritture tenute ai sensi dell’artico 18 del DPR 600/73, le variazioni conseguenti agli elementi attivi e passivi indicati nel prospetto per evidenziare i valori fiscali correnti.

Anche la regolarizzazione contabile di cui al comma 5 dell’articolo 14 è rivolta ai contribuenti tenuti alla redazione dell’inventario, del rendiconto, ovvero del bilancio. Di conseguenza, i contribuenti in contabilità semplificata che tengono esclusivamente le scritture di cui all’articolo 18 del DPR 600/73 non possono avvalersi delle disposizioni di cui al comma 5 dell’articolo 14 per ottenere il riconoscimento fiscale delle attività in precedenza non annotate nelle scritture contabili.

9.2 Regolarizzazione delle scritture

D. Una società non ha dichiarato redditi pari a 100 incassati e di competenza di un periodo d’imposta coperto dalle sanatorie. Se dovesse avvalersi, alternativamente, delle disposizioni di cui all’articolo 8 o 9 della legge 289/2002, qualora volesse regolarizzare le scritture come potrebbe effettuare tale operazione?

Si consideri che in tale situazione le somme correlate al reddito prodotte potrebbero anche, in tutto o in parte, non essere più nelle disponibilità della società.

R. In via preliminare, si ricorda che la regolarizzazione delle scritture contabili riguarda i casi in cui, in un determinato periodo d’imposta oggetto di dichiarazione integrativa, il contribuente abbia omesso di registrare in contabilità, o abbia registrato irregolarmente, un’operazione i cui effetti si riflettono ancora sul bilancio o rendiconto relativo all’esercizio chiuso al 31 dicembre 2002 o in corso a tale data. Se gli effetti dell’operazione si riflettono ancora sul bilancio di cui sopra, la regolarizzazione contabile connessa al maggior reddito dichiarato nell’esempio pari a 100 potrà essere eseguita alternativamente con le seguenti modalità.

Nell’esempio proposto per sanare ai sensi dell’articolo 8 l’omessa dichiarazione di ricavi pari a 100 il contribuente dovrà evidenziare nel prospetto il credito correlato al ricavo omesso, nell’ammontare esistente alla data del 31.12.2001, e conseguentemente iscriverlo in contabilità tenendo conto dell’importo ancora esistente all’inizio dell’esercizio che forma oggetto di regolarizzazione. Per i soggetti con esercizio coincidente con l’anno solare le rettifiche devono essere apportate alla situazione patrimoniale al 1 gennaio 2002.

Nel caso di definizione automatica ai sensi dell’articolo 9 il contribuente può iscrivere direttamente in contabilità il credito in precedenza omesso, nei limiti dell’importo ancora esistente all’inizio dell’esercizio che forma oggetto di regolarizzazione. In tal caso è dovuta l’imposta sostitutiva del 13 per cento sul valore iscritto.

9.3 Contabilità semplificata e scritture da regolarizzare

D. E’ possibile per un’impresa in contabilità semplificata avvalersi delle disposizioni in tema di regolarizzazione delle scritture contabili? Se ciò non fosse possibile la conseguenza sarebbe quella per questi tipi di soggetti di non poter ottenere nel caso di redditi o attività estere la piena non punibilità a causa delle disposizioni di cui al comma 7 dell’art. 8 e comma 10, lett. c dell’art.9?

R. Il comma 4 dell’articolo 14 prevede che la regolarizzazione contabile delle attività detenute all’estero deve essere effettuata nell’inventario, rendiconto, o bilancio, e deve avvenire nel rispetto dei principi civilistici di redazione del bilancio.

Anche questa norma è evidentemente rivolta ai soli contribuenti tenuti alla redazione di tali documenti.

I contribuenti in contabilità semplificata, che tengono solo le scritture previste dall’art. 18 del DPR n. 600 del 1973, per poter ottenere la non applicabilità delle sanzioni sul monitoraggio fiscale, potranno far emergere l’attività finanziaria detenuta all’estero avvalendosi esclusivamente delle disposizioni sullo scudo fiscale di cui all’articolo 20, ricorrendo le condizioni ivi previste.

9.4 Riconoscimento di nuovi elementi attivi e passivi

D. Pare evidente che il riconoscimento ai fini fiscali dei nuovi elementi attivi e passivi indicati nel prospetto ai sensi dell’articolo 14, comma 1, della legge n. 289/02 sia condizionato alla regolarizzazione delle scritture contabili. Come fare quindi per i costi e le spese la cui deducibilità potrebbe essere rinviata ai futuri esercizi ma che non hanno una contropartita nello stato patrimoniale? Esempio se l’integrazione pari a 1500 effettuata per l’anno 2001 viene qualificata come spese di rappresentanza potrebbe essere deducibile una quota di 100 negli anni dal 2002 al 2005?

I soggetti in contabilità semplificata hanno qualche possibilità di recuperare costi deducibili regolarizzati con la dichiarazione integrativa?

R. Come evidenziato nel paragrafo 8.1 della circolare n. 3E, il riconoscimento fiscale dei nuovi elementi attivi e passivi correlati all’imponibile oggetto di integrazione deriva dalla loro evidenziazione nel prospetto ed opera per tutti i contribuenti indipendentemente dal regime contabile adottato e dalla regolarizzazione delle scritture contabili.

Nell’esempio, la deduzione delle ulteriori quote delle spese di rappresentanza negli anni dal 2002 al 2005 sarà operata extra-contabilmente attraverso variazioni in diminuzione nella dichiarazione dei redditi. Si precisa che il riconoscimento fiscale di nuovi o maggiori costi è comunque subordinato alla indicazione nella dichiarazione integrativa anche dei maggiori ricavi ad essi correlati in modo tale che emerga in ogni caso un maggior imponibile o una minore perdita.

9.5 Eliminazione di attività e passività fittizie

D. Si ritiene che la regolarizzazione delle scritture contabili sia assistita dalla disapplicazione delle sanzioni amministrative e penali prevista nelle singole disposizioni relative alle dichiarazioni integrative. In presenza di integrativa semplice (articolo 8) la disapplicazione delle sanzioni è rapportata all’ammontare indicato nella dichiarazione medesima maggiorato del 100%.

Tuttavia nell’ipotesi dell’eliminazione di attività e passività fittizie esse possono essere di ammontare molto superiore ai valori contenuti nella dichiarazione integrativa; in questo caso come si applica l’esclusione dalle sanzioni?

R. Ai sensi dell’articolo 8, comma 6, la disapplicazione delle sanzioni amministrative e penali opera limitatamente alle annualità oggetto di integrazione ed ai maggiori imponibili ed alle maggiori ritenute risultanti dalle dichiarazioni integrative aumentati, rispettivamente, del 100 e del 50 per cento per ciascun periodo d’imposta.

Le ulteriori regolarizzazioni contabili effettuate ai sensi del comma 3 dell’articolo 14, consistono nella eliminazione di attività e passività fittizie che, come indicato dalla norma, non ha rilevanza fiscale. Inoltre tali regolarizzazioni non sono collegate alle variazioni di elementi attivi e passivi indicate nel prospetto di cui al comma 1 dell’art. 14, correlati ai maggiori imponibili o minori perdite oggetto di integrazione ai sensi dell’articolo 8.

Le due norme in sostanza operano su piani diversi: l’integrazione degli imponibili ai sensi dell’articolo 8 consente la regolarizzazione fiscale e contabile e si accompagna alla franchigia di cui al comma 6; l’eliminazione di attività e passività fittizie opera sul piano civilistico e non influisce sulla determinazione della franchigia.

Nel caso esposto, quindi, la disapplicazione delle sanzioni amministrative e penali, che potrebbero derivare dall’eliminazione di attività e passività fittizie, opera nei limiti della franchigia determinata ai sensi del comma 6 e solo nel caso in cui l’eliminazione si riferisca a poste iscritte in contabilità in un periodo d’imposta oggetto di dichiarazione integrativa.

9.6 Eliminazione di attività e passività fittizie

D. L’iscrizione di nuovi elementi attivi o la diminuzione di elementi passivi genera l’iscrizione di una riserva nello stato patrimoniale. Si pone il problema di stabilire la natura di tale riserva. Se le variazioni contabili corrispondono a somme interamente tassate (articolo 8) si potrebbe considerarla una riserva di utili tassabile in caso distribuzione mentre l’imposta versata in sede di dichiarazione integrativa confluisce nel basket A. Ma cosa succede se in presenza di tassazione ad esempio di un dividendo pari a 100 viene iscritta un’attività ed una corrispondente riserva pari a 1000?

R. Come indicato nella circolare n. 3E l’iscrizione di nuovi elementi attivi o la diminuzione di elementi passivi, secondo i principi contabili nazionali contabilmente nel bilancio chiuso al 31 dicembre 2002, l’emersione di un corrispondente componente straordinario di conto economico, che concorre alla determinazione dell’utile d’esercizio. Ovviamente tale componente, poichè già sottoposto a tassazione nella relativa dichiarazione integrativa, sarà oggetto di variazione in diminuzione nella dichiarazione dei redditi relativa all’esercizio 2002. L’utile che si è generato è liberamente distribuibile ed è accompagnato dal credito d’imposta nei limiti delle imposte memorizzate nei canestri. A tal proposito, si ricorda che le imposte liquidate ai sensi dell’articolo 8 sono memorizzate nel “canestro A”. Anche se l’iscrizione di nuovi elementi attivi o la diminuzione di elementi passivi è effettuata direttamente tramite l’iscrizione di una riserva di patrimonio netto, come previsto dai principi contabili internazionali, il trattamento fiscale è uguale a quanto sopra descritto.

Si osserva infine che l’esempio proposto non è coerente. Se il contribuente integra il dividendo di 100 può far emergere una corrispondente attività, ad esempio “crediti vs partecipate”, pari a 100.

Se il contribuente intende far emergere contabilmente anche il costo della partecipazione pari a 1000 dovrà evidenziare nel prospetto la correlazione esistente tra la stessa ed i redditi che la hanno generata e che hanno già formato oggetto di regolarizzazione. Diversamente, l’importo dell’attività, per la parte che non è correlata ai redditi regolarizzati, costituisce reddito imponibile da indicare nella dichiarazione integrativa del periodo d’imposta di emersione. Nell’esempio il contribuente che intende iscrivere la partecipazione dovrà integrare l’imponibile di ulteriori 1000, oppure di 900 nel caso in cui il dividendo di 100 sia stato percepito ed impiegato per acquisire un’ulteriore quota di partecipazione.

9.7 Rilevanza ai fini DIT

D. Le riserve formatesi per attività iscritte a seguito delle regolarizzazioni contabili sono rilevanti ai fini della DIT?

R. A seguito delle modifiche normative recate all’agevolazione DIT dall’articolo 5 della legge 18 ottobre 2001 n. 383, la base di riferimento per il calcolo dell’agevolazione è costituita esclusivamente dagli incrementi patrimoniali, conferimenti in denaro ed accantonamenti di utili a riserva, effettuati entro il 30 giugno 2001.

La regolarizzazione contabile disciplinata dall’articolo 14 si effettua nel bilancio chiuso al 31 dicembre 2002. Quindi, solo in sede di approvazione di tale bilancio si possono considerare formate le riserve emerse, direttamente o indirettamente, a seguito delle regolarizzazioni contabili. Di conseguenza si tratta di incrementi patrimoniali realizzati dopo il 30 giugno 2001 che non possono rilevare ai fini DIT.

9.8 Trattamento delle riserve assoggettate ad imposta sostitutiva

D. Quale natura hanno e qual è il regime applicabile alle riserve iscritte a fronte di attività regolarizzate assolvendo l’imposta sostitutiva del 13% (articolo 14, commi 5 e 6) ?

R. Riguardo alla natura e al trattamento fiscale di tali riserve si rimanda a quanto precisato nella precedente risposta. Si precisa, tuttavia, che l’imposta del 13 per cento, in quanto sostitutiva anche dell’IRAP e in mancanza di specifica previsione normativa, non affluisce ai canestri.

10 ARTICOLO 15 – DEFINIZIONE DEGLI ACCERTAMENTI, DEGLI INVITI AL CONTRADDITTORIO E DEI PVC

10.1 Esclusione dal contraddittorio

D. L’art. 15 della legge finanziaria per il 2003, nel prevedere la possibilità di definire gli inviti al contraddittorio di cui al decreto legislativo n. 218 del 1997, fa riferimento all’art. 5 del predetto decreto legislativo, che tratta dell’ipotesi di attivazione diretta dell’ufficio nei confronti del contribuente, e non anche all’art. 6 dello stesso provvedimento, nel quale si disciplina la fattispecie in cui l’invito è effettuato dall’ufficio in seguito alla richiesta del contribuente. Si chiede se tale riferimento parziale precluda la definizione di inviti al contraddittorio innescati da richieste dei contribuenti.

R. Gli articoli 5 e 6 del decreto legislativo n. 218 del 1997 disciplinano entrambi l’avvio del procedimento volto alla definizione dell’accertamento con adesione. In particolare l’art. 5 tratta dell’avvio d’ufficio, mentre l’art. 6 riguarda l’avvio ad istanza del contribuente.

L’articolo 15 della legge finanziaria richiama l’invito di cui agli articoli 5 e 11 del d.lgs. n. 218 del 1997, che abbia un contenuto di riferimento. Se tale contenuto manca, l’invito non rileva ai fini dell’articolo 15.

L’articolo 6 tratta di un invito proposto dal contribuente che fa seguito a: 1) notifica di un avviso di accertamento; 2) notifica di un processo verbale di constatazione.

Poichè l’invito di cui all’articolo 6 non rileva ai fini dell’applicazione dell’articolo 15, si precisa che la procedura di definizione prevista da tale articolo potrà trovare applicazione relativamente all’avviso di accertamento ovvero al processo verbale di constatazione cui si riferisce l’invito al contraddittorio.

10.2 Inviti al contraddittorio sulle liti potenziali

D. L’art. 15 della legge finanziaria per il 2003 prevede la possibilità di definire gli inviti al contraddittorio di cui agli artt. 5 e 11 del decreto legislativo n. 218 del 1997, per i quali, alla data di entrata in vigore della legge, non è ancora intervenuta la definizione. Si chiede di conoscere il momento in cui tale definizione si considera avvenuta; in particolare se ci si deve riferire alla firma dell’atto di adesione o al perfezionamento dello stesso che avviene con il pagamento delle somme concordate.

R. Come precisato nella circolare n. 3 del 15 gennaio 2003, al paragrafo 9.1.2, per “definizione degli inviti al contraddittorio” deve intendersi il perfezionamento dell’atto di adesione, che avviene con il versamento delle somme dovute, ai sensi dell’art. 9 del decreto legislativo n. 218 del 1997.

Pertanto, il contribuente che ha firmato l’atto di adesione, ma che alla data di entrata in vigore della legge finanziaria per il 2003 (1 gennaio 2003) non ha ancora versato le somme dovute ai fini del perfezionamento dell’atto stesso, può beneficiare della definizione dell’invito al contraddittorio ai sensi dell’art 15 della predetta legge finanziaria.

10.3 Processi verbali per violazioni non sostanziali

D. Si chiede con quali modalità possono essere definiti i processi verbali di constatazione notificati entro il 1 gennaio 2003, contenenti solo rilievi sanzionatori (ad es. irregolarità in materia di tenuta delle scritture contabili, di emissione di scontrini e ricevute fiscali). In particolare si chiede se sia corretto ritenere che, in assenza di imponibile, non possano essere oggetto di definizione ex art. 15, ma che restino assorbiti da un’eventuale integrazione ex art. 8 della legge finanziaria per il 2003.

R. Come si desume dalla circolare n. 3 del 15 gennaio 2003, ai paragrafi 2.6.1 e 9.3, la definizione prevista dall’art. 15 della legge finanziaria del 2003 non è possibile con riferimento ai processi verbali dai quali emerge la constatazione della violazione di una norma tributaria comportante l’applicazione della sola sanzione. I processi verbali di constatazione definibili ai sensi dell’art 15, infatti, sono solo quelli con esito positivo che contengono rilievi sostanziali e la cui notifica entro il 1 gennaio 2003 preclude la definizione ai sensi degli artt. 7, 8 e 9 della predetta legge finanziaria. Si ritiene, inoltre, che i processi verbali di constatazione contenenti solo rilievi sanzionatori restano assorbiti da un’eventuale integrazione degli imponibili ai degli articoli 7 e 9 e anche dell’8, ma in quest’ultimo caso solo se connessi con le operazioni che hanno dato luogo ai maggiori imponibili indicati nella dichiarazione integrativa.

10.4 Liti potenziali – definizione parziale (art. 15)

D. E’ consentito definire solo parzialmente un processo verbale di constatazione, limitatamente cioè ad una annualità, oppure ad un tributo, od ancora a singoli rilievi (tralasciando, dunque, quelli che appaiono infondati), oppure la definizione deve riguardare l’atto nel suo complesso?

R. La circolare n. 3/E del 15 gennaio 2003 ha precisato che ai fini della definizione ai sensi dell’articolo 15 la norma deve intendersi riferita non al processo verbale nel suo insieme bensì ai singoli rilievi in esso contenuti, e. pertanto la definizione può riguardare anche una singola annualità e una singola imposta e non necessariamente tutte le annualità e tutte le imposte interessate dai rilievi contenuti nel verbale.

10.5 Definizione liti potenziali – calcolo dell’Iva.

D. Come deve essere calcolata la somma da versare per definire, nell’ambito di un processo verbale, i rilievi di indebita detrazione agli effetti dell’Iva, oppure di errata applicazione del pro-rata ai fini della stessa imposta?

R. Come precisato nella circolare n. 3/E, in caso che nel processo verbale sia constatata un’indebita detrazione IVA, ovvero l’errata applicazione del pro rata è possibile la definizione ai sensi dell’articolo 15, comma 4, lett. b) versando un importo pari alla metà dell’imposta illegittimamente detratta.

10.6 Definizione liti potenziali – contraddittorio in corso.

D. Ai sensi del comma 8, sono sospesi fino al 18 marzo i termini per il perfezionamento della definizione di cui al d.lgs. n. 218/97, relativamente agli inviti al contraddittorio notificati entro il 31/12/2002.

La previsione sembra riguardare la fattispecie dell’avvenuta sottoscrizione dell’atto di adesione, in relazione al quale viene differito il termine per il pagamento ex art. 8, d.lgs. citato. Come dovranno comportarsi i contribuenti e gli uffici nel caso in cui, invece, a fronte della notifica dell’invito, non sia stato ancora redatto l’atto di adesione e risulti, invece, fissato il contraddittorio in una data compresa tra l’1/1/2003 ed il 17/3/2003, ovvero sia in corso il contraddittorio stesso?

R. Ai sensi dell’articolo 15, comma 8, è disposta la sospensione dei termini, dall’entrata in vigore della legge n. 289 fino al 18 marzo 2003, per il perfezionamento della definizione di cui al decreto legislativo n. 218 del 1997. Poiché l’accertamento con adesione del contribuente si perfeziona con il versamento delle somme dovute entro i venti giorni successivi alla stipula dell’atto di adesione di cui all’articolo 7 del riferito decreto n. 218, è evidente che la sospensione dei termini riguarda detto lasso di tempo, ed opera fino alla data del 18 marzo 2003. In tale arco temporale il contribuente può scegliere di definire l’invito al contraddittorio ai sensi dell’art. 15.

10.7 Perfezionamento dell’invito al contraddittorio

D. Ho sottoscritto l’atto di definizione derivante da un accertamento con adesione e non ho provveduto ancora a versare le relative somme. Posso accedere alla definizione di cui all’articolo 15 della legge 289 del 2002?

R. L’art.15, comma 1, della legge n. 289 del 2002, prevede la definizione degli inviti al contraddittorio di cui agli articoli 5 e 11 del decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218, per i quali non è ancora intervenuta la definizione, alla data di entrata in vigore della presente legge.

Come precisato nella circolare n. 3 del 2003, per definizione degli inviti al contraddittorio deve intendersi il perfezionamento dell’atto di adesione. Quest’ultimo, a norma dell’articolo 9 del citato d.lgs. 218 del 1997, avviene con il versamento delle somme dovute ovvero con il versamento della prima rata e la presentazione della garanzia.

In particolare, il versamento unico o della prima rata – nell’ipotesi di pagamento rateale – deve essere effettuato entro 20 giorni dalla redazione dell’atto di adesione.

Pertanto, qualora un contribuente, che ha sottoscritto un atto di adesione, non abbia versato le relative imposte alla data di entrata in vigore della legge finanziaria per il 2003 può accedere alla definizione di cui all’articolo 15 sulla base del contenuto dell’invito al contraddittorio a suo tempo ricevuto.

6 ARTICOLO 10 – PROROGA DI TERMINI

6.1 Proroga dei termini di accertamento.

D. Per evitare, con riguardo a tutti i periodi d’imposta potenzialmente interessati dalle sanatorie, gli effetti di cui all’art. 10 della legge n. 289 del 2002 è sufficiente aderire ad uno dei provvedimenti di cui all’art. 7 o 8 per un singolo periodo d’imposta?

R. Come chiarito al punto 5 della circolare n. 3/E del 2003, considerato che il contribuente può scegliere di definire, ai sensi degli articoli 7 e 8, anche singole annualità e singole imposte, la proroga dei termini per l’accertamento, di cui agli articoli 43 del DPR n. 600 del 1973 e 57 del DPR n. 633 del 1972, opera per le imposte e le annualità non oggetto di definizione.

6.2 Annualità prescritte

D. Si chiede conferma, ai fini di una eventuale valutazione della definizione dell’annualità 1997, se lo stesso anno ai fini dell’IVA risulta comunque “prescritto” al 1 gennaio 2003, visto che l’art.10 della Finanziaria non prevede (come hanno sempre disposto i provvedimenti di proroga dei termini di accertamento) che i periodi di imposta per cui al 31.12.2002 risultano in scadenza i termini di decadenza dell’azione di accertamento, sono prorogati di un anno. La norma, entrata in vigore al 1 gennaio 2003, dispone semplicemente, infatti, la proroga di un anno dei termini di accertamento per coloro che non si avvalgono delle tre sanatorie di cui agli artt. 7, 8 e 9 della Finanziaria 2003.

R. Sì, la Circolare ha fornito chiarimenti in ordine alla proroga dei termini per l’accertamento in materia di IVA al paragrafo 5, individuando come primo anno oggetto di definizione o integrazione il 1998 ovvero il 1997 in caso di omissione della dichiarazione.

6.3 Dichiarazioni tardive

D. La norma afferma che risultano definibili i periodi per cui le dichiarazioni sono state presentate entro il 31.10.2002. si è dell’avviso che – come possono risultare oggetto di definizione anche dichiarazioni tardive ma valide relative alle annualità precedenti al 2001- anche le dichiarazioni tardive – relative all’annualità 2001 – presentate nei 90 gg. successivi al 31.10.2002 possono essere oggetto di definizione. si conferma tale impostazione?

R. No, poiché il termine del 31/10/2002, indicato dal legislatore ai fini dell’individuazione delle annualità d’imposta suscettibili di definizione ai sensi dell’art. 7 della legge 289/02, è da intendersi perentorio. anche la circolare n. 3/e del 2003 al paragrafo 4 testualmente riporta “i contribuenti interessati possono singolarmente definire le annualità dal 1997 al 2001 per le quali le prescritte dichiarazioni sono state presentate entro il 31 ottobre 2002”.

7 ARTICOLO 11 – DEFINIZIONE AI FINI DELL’IMPOSTA DI REGISTRO ED ALTRI TRIBUTI INDIRETTI

7.1 Notifica di avviso di rettifica

D. Si chiede conferma se la notifica di un avviso di rettifica tra il 1 gennaio 2003 e il giorno di presentazione dell’istanza di sanatoria impedisce il condono.

R. Il dubbio è sorto perché in qualche articolo apparso su giornali specializzati era stata prospettata questa soluzione ma nella circolare 3 E dell’Agenzia delle Entrate è stato precisato che Condizione per accedere alla definizione agevolata è “…che non sia stato precedentemente notificato avviso di rettifica e liquidazione della maggiore imposta”.

Il termine “precedentemente”, utilizzato per fissare il limite per usufruire del regime di favore, è da individuare nella data del 1 gennaio 2003 – entrata in vigore della legge in commento (articolo 95, comma 3) – poiché nell’ipotesi in cui l’avviso di rettifica e liquidazione sia stato notificato prima di tale data si applica la definizione prevista dall’articolo 15 della legge finanziaria (cfr. paragrafo …). Del resto, un diverso significato del termine “precedentemente”, che lo riferisse alla data di presentazione dell’istanza del contribuente (entro il 16 marzo 2003), comporterebbe che gli atti per i quali l’avviso di accertamento fosse notificato prima di quest’ultima data, ma dopo l’entrata in vigore della legge in commento (1 gennaio 2003) sarebbero esclusi dalla definizione agevolata stabilita dall’articolo 11, comma 1, nonchè dalla definizione degli accertamenti prevista dal successivo articolo 15, della legge finanziaria 2003, che tra l’altro regola la definizione agevolata degli avvisi di accertamento notificati prima dell’entrata in vigore della presente legge e per i quali alla stessa data “… non sono ancora spirati i termini per la proposizione del ricorso…”. Quest’ultima interpretazione, quindi, potrebbe ingenerare un sospetto di incostituzionalità della norma.

7.2 Oggetto della definizione

D. Se un atto sia stato registrato con l’applicazione di un’aliquota inferiore a quella che l’Ufficio potrebbe accertare in futuro (si pensi all’aliquota 1 per cento applicata per la cessione di un’area edificabile, agevolazione che l’ufficio in futuro possa disconoscere pretendendo l’applicazione dell’aliquota dell’11 per cento), si può sanare la pratica integrando del 25 per cento il versamento effettuato in sede principale ?

R. A tale quesito deve essere data risposta negativa.

Nella circolare è precisato che il comma 1 consente al contribuente, che presenti apposita istanza entro il 16 marzo 2003, di definire, con l’aumento del 25 per cento, i valori nonchè gli incrementi di valore, dei beni, assoggettabili a procedimento di valutazione, dichiarati negli atti ovvero nelle denunce o dichiarazioni.

L’espresso riferimento della norma ai valori dichiarati e agli incrementi di valore esclude che la definizione agevolata possa riguardare le ipotesi di applicazione di agevolazioni e di decadenza dalle stesse.

8 ARTICOLO 12 – DEFINIZIONE DEI CARICHI DI RUOLI PREGRESSI

8.1 Ruoli pregressi e sanatoria delle controversie.

D. In tema di definizione dei ruoli pregressi si chiede se la sanatoria sia possibile anche in pendenza di una controversia relativa ad un ruolo affidato al concessionario del servizio nazionale di riscossione entro il 30 giugno 1999, come nel caso delle impugnazioni di cartelle esattoriali o di ruoli emessi a titolo di iscrizione provvisoria.

R. L’articolo 12 della legge finanziaria consente di definire tutte le tipologie dei ruoli affidati al concessionario del servizio di riscossione fino al 30 giugno 1999. Per quanto concerne l’ambito di applicazione della definizione in argomento, come precisato nella circolare n. 3/E del 15 gennaio 2003, la stessa concerne tutte le tipologie di ruoli, compresi quindi, a titolo di esempio, quelli emessi a seguito di liquidazione delle imposte ai sensi dell’articolo 36-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, quelli emessi a seguito di controllo formale delle dichiarazioni ex articolo 36-ter del medesimo decreto, quelli emessi a seguito di liquidazione dell’IVA ai sensi dell’articolo 54-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, nonchè quelli emessi a titolo provvisorio in pendenza di giudizio.

8.2 Definizione ruoli pregressi – identificazione.

D. Qualora il debitore moroso non riceva, entro il 31.01.2003, l’invito del concessionario della riscossione, come può verificare se il proprio debito rientri oppure no nella previsione agevolativa dell’articolo 12?

R. Il comma 2 dell’articolo in questione prevede l’invio da parte dei concessionari dell’invito ad avvalersi dei benefici indicati dall’articolo 12 per i ruoli consegnati nel periodo compreso tra il 1 gennaio 1997 e il 30 giugno 1999.

Tuttavia, qualora il predetto invito non dovesse pervenire al contribuente, lo stesso può rivolgersi al concessionario, anche telefonicamente, per ottenere le informazioni necessarie ai fini dell’eventuale definizione del ruolo, in analogia a quanto chiarito nella circolare n. 3/E al punto 7.2.2 per i ruoli affidati anteriormente al 1 gennaio 1997.

9 ARTICOLO 14 – REGOLARIZZAZIONE DELLE SCRITTURE CONTABILI

9.1 Regolarizzazione delle scritture contabili

D. E’ ammessa la regolarizzazione delle scritture contabili per i contribuenti in contabilità semplificata o che fruiscono di regimi contabili minori?

R. Come precisato nel paragrafo 8.2 della circolare n. 3 il comma 2 dell’articolo 14 della legge finanziaria prevede che la regolarizzazione delle scritture contabili deve essere effettuata nell’inventario, nel rendiconto, ovvero nel bilancio. Tale norma è evidentemente rivolta ai contribuenti tenuti alla redazione di tali documenti. Nulla vieta, tuttavia, che i contribuenti in contabilità semplificata possano apportare, solo ai fini fiscali e nelle scritture tenute ai sensi dell’artico 18 del DPR 600/73, le variazioni conseguenti agli elementi attivi e passivi indicati nel prospetto per evidenziare i valori fiscali correnti.

Anche la regolarizzazione contabile di cui al comma 5 dell’articolo 14 è rivolta ai contribuenti tenuti alla redazione dell’inventario, del rendiconto, ovvero del bilancio. Di conseguenza, i contribuenti in contabilità semplificata che tengono esclusivamente le scritture di cui all’articolo 18 del DPR 600/73 non possono avvalersi delle disposizioni di cui al comma 5 dell’articolo 14 per ottenere il riconoscimento fiscale delle attività in precedenza non annotate nelle scritture contabili.

9.2 Regolarizzazione delle scritture

D. Una società non ha dichiarato redditi pari a 100 incassati e di competenza di un periodo d’imposta coperto dalle sanatorie. Se dovesse avvalersi, alternativamente, delle disposizioni di cui all’articolo 8 o 9 della legge 289/2002, qualora volesse regolarizzare le scritture come potrebbe effettuare tale operazione?

Si consideri che in tale situazione le somme correlate al reddito prodotte potrebbero anche, in tutto o in parte, non essere più nelle disponibilità della società.

R. In via preliminare, si ricorda che la regolarizzazione delle scritture contabili riguarda i casi in cui, in un determinato periodo d’imposta oggetto di dichiarazione integrativa, il contribuente abbia omesso di registrare in contabilità, o abbia registrato irregolarmente, un’operazione i cui effetti si riflettono ancora sul bilancio o rendiconto relativo all’esercizio chiuso al 31 dicembre 2002 o in corso a tale data. Se gli effetti dell’operazione si riflettono ancora sul bilancio di cui sopra, la regolarizzazione contabile connessa al maggior reddito dichiarato nell’esempio pari a 100 potrà essere eseguita alternativamente con le seguenti modalità.

Nell’esempio proposto per sanare ai sensi dell’articolo 8 l’omessa dichiarazione di ricavi pari a 100 il contribuente dovrà evidenziare nel prospetto il credito correlato al ricavo omesso, nell’ammontare esistente alla data del 31.12.2001, e conseguentemente iscriverlo in contabilità tenendo conto dell’importo ancora esistente all’inizio dell’esercizio che forma oggetto di regolarizzazione. Per i soggetti con esercizio coincidente con l’anno solare le rettifiche devono essere apportate alla situazione patrimoniale al 1 gennaio 2002.

Nel caso di definizione automatica ai sensi dell’articolo 9 il contribuente può iscrivere direttamente in contabilità il credito in precedenza omesso, nei limiti dell’importo ancora esistente all’inizio dell’esercizio che forma oggetto di regolarizzazione. In tal caso è dovuta l’imposta sostitutiva del 13 per cento sul valore iscritto.

9.3 Contabilità semplificata e scritture da regolarizzare

D. E’ possibile per un’impresa in contabilità semplificata avvalersi delle disposizioni in tema di regolarizzazione delle scritture contabili? Se ciò non fosse possibile la conseguenza sarebbe quella per questi tipi di soggetti di non poter ottenere nel caso di redditi o attività estere la piena non punibilità a causa delle disposizioni di cui al comma 7 dell’art. 8 e comma 10, lett. c dell’art.9?

R. Il comma 4 dell’articolo 14 prevede che la regolarizzazione contabile delle attività detenute all’estero deve essere effettuata nell’inventario, rendiconto, o bilancio, e deve avvenire nel rispetto dei principi civilistici di redazione del bilancio.

Anche questa norma è evidentemente rivolta ai soli contribuenti tenuti alla redazione di tali documenti.

I contribuenti in contabilità semplificata, che tengono solo le scritture previste dall’art. 18 del DPR n. 600 del 1973, per poter ottenere la non applicabilità delle sanzioni sul monitoraggio fiscale, potranno far emergere l’attività finanziaria detenuta all’estero avvalendosi esclusivamente delle disposizioni sullo scudo fiscale di cui all’articolo 20, ricorrendo le condizioni ivi previste.

9.4 Riconoscimento di nuovi elementi attivi e passivi

D. Pare evidente che il riconoscimento ai fini fiscali dei nuovi elementi attivi e passivi indicati nel prospetto ai sensi dell’articolo 14, comma 1, della legge n. 289/02 sia condizionato alla regolarizzazione delle scritture contabili. Come fare quindi per i costi e le spese la cui deducibilità potrebbe essere rinviata ai futuri esercizi ma che non hanno una contropartita nello stato patrimoniale? Esempio se l’integrazione pari a 1500 effettuata per l’anno 2001 viene qualificata come spese di rappresentanza potrebbe essere deducibile una quota di 100 negli anni dal 2002 al 2005?

I soggetti in contabilità semplificata hanno qualche possibilità di recuperare costi deducibili regolarizzati con la dichiarazione integrativa?

R. Come evidenziato nel paragrafo 8.1 della circolare n. 3E, il riconoscimento fiscale dei nuovi elementi attivi e passivi correlati all’imponibile oggetto di integrazione deriva dalla loro evidenziazione nel prospetto ed opera per tutti i contribuenti indipendentemente dal regime contabile adottato e dalla regolarizzazione delle scritture contabili.

Nell’esempio, la deduzione delle ulteriori quote delle spese di rappresentanza negli anni dal 2002 al 2005 sarà operata extra-contabilmente attraverso variazioni in diminuzione nella dichiarazione dei redditi. Si precisa che il riconoscimento fiscale di nuovi o maggiori costi è comunque subordinato alla indicazione nella dichiarazione integrativa anche dei maggiori ricavi ad essi correlati in modo tale che emerga in ogni caso un maggior imponibile o una minore perdita.

9.5 Eliminazione di attività e passività fittizie

D. Si ritiene che la regolarizzazione delle scritture contabili sia assistita dalla disapplicazione delle sanzioni amministrative e penali prevista nelle singole disposizioni relative alle dichiarazioni integrative. In presenza di integrativa semplice (articolo 8) la disapplicazione delle sanzioni è rapportata all’ammontare indicato nella dichiarazione medesima maggiorato del 100%.

Tuttavia nell’ipotesi dell’eliminazione di attività e passività fittizie esse possono essere di ammontare molto superiore ai valori contenuti nella dichiarazione integrativa; in questo caso come si applica l’esclusione dalle sanzioni?

R. Ai sensi dell’articolo 8, comma 6, la disapplicazione delle sanzioni amministrative e penali opera limitatamente alle annualità oggetto di integrazione ed ai maggiori imponibili ed alle maggiori ritenute risultanti dalle dichiarazioni integrative aumentati, rispettivamente, del 100 e del 50 per cento per ciascun periodo d’imposta.

Le ulteriori regolarizzazioni contabili effettuate ai sensi del comma 3 dell’articolo 14, consistono nella eliminazione di attività e passività fittizie che, come indicato dalla norma, non ha rilevanza fiscale. Inoltre tali regolarizzazioni non sono collegate alle variazioni di elementi attivi e passivi indicate nel prospetto di cui al comma 1 dell’art. 14, correlati ai maggiori imponibili o minori perdite oggetto di integrazione ai sensi dell’articolo 8.

Le due norme in sostanza operano su piani diversi: l’integrazione degli imponibili ai sensi dell’articolo 8 consente la regolarizzazione fiscale e contabile e si accompagna alla franchigia di cui al comma 6; l’eliminazione di attività e passività fittizie opera sul piano civilistico e non influisce sulla determinazione della franchigia.

Nel caso esposto, quindi, la disapplicazione delle sanzioni amministrative e penali, che potrebbero derivare dall’eliminazione di attività e passività fittizie, opera nei limiti della franchigia determinata ai sensi del comma 6 e solo nel caso in cui l’eliminazione si riferisca a poste iscritte in contabilità in un periodo d’imposta oggetto di dichiarazione integrativa.

9.6 Eliminazione di attività e passività fittizie

D. L’iscrizione di nuovi elementi attivi o la diminuzione di elementi passivi genera l’iscrizione di una riserva nello stato patrimoniale. Si pone il problema di stabilire la natura di tale riserva. Se le variazioni contabili corrispondono a somme interamente tassate (articolo 8) si potrebbe considerarla una riserva di utili tassabile in caso distribuzione mentre l’imposta versata in sede di dichiarazione integrativa confluisce nel basket A. Ma cosa succede se in presenza di tassazione ad esempio di un dividendo pari a 100 viene iscritta un’attività ed una corrispondente riserva pari a 1000?

R. Come indicato nella circolare n. 3E l’iscrizione di nuovi elementi attivi o la diminuzione di elementi passivi, secondo i principi contabili nazionali contabilmente nel bilancio chiuso al 31 dicembre 2002, l’emersione di un corrispondente componente straordinario di conto economico, che concorre alla determinazione dell’utile d’esercizio. Ovviamente tale componente, poichè già sottoposto a tassazione nella relativa dichiarazione integrativa, sarà oggetto di variazione in diminuzione nella dichiarazione dei redditi relativa all’esercizio 2002. L’utile che si è generato è liberamente distribuibile ed è accompagnato dal credito d’imposta nei limiti delle imposte memorizzate nei canestri. A tal proposito, si ricorda che le imposte liquidate ai sensi dell’articolo 8 sono memorizzate nel “canestro A”. Anche se l’iscrizione di nuovi elementi attivi o la diminuzione di elementi passivi è effettuata direttamente tramite l’iscrizione di una riserva di patrimonio netto, come previsto dai principi contabili internazionali, il trattamento fiscale è uguale a quanto sopra descritto.

Si osserva infine che l’esempio proposto non è coerente. Se il contribuente integra il dividendo di 100 può far emergere una corrispondente attività, ad esempio “crediti vs partecipate”, pari a 100.

Se il contribuente intende far emergere contabilmente anche il costo della partecipazione pari a 1000 dovrà evidenziare nel prospetto la correlazione esistente tra la stessa ed i redditi che la hanno generata e che hanno già formato oggetto di regolarizzazione. Diversamente, l’importo dell’attività, per la parte che non è correlata ai redditi regolarizzati, costituisce reddito imponibile da indicare nella dichiarazione integrativa del periodo d’imposta di emersione. Nell’esempio il contribuente che intende iscrivere la partecipazione dovrà integrare l’imponibile di ulteriori 1000, oppure di 900 nel caso in cui il dividendo di 100 sia stato percepito ed impiegato per acquisire un’ulteriore quota di partecipazione.

9.7 Rilevanza ai fini DIT

D. Le riserve formatesi per attività iscritte a seguito delle regolarizzazioni contabili sono rilevanti ai fini della DIT?

R. A seguito delle modifiche normative recate all’agevolazione DIT dall’articolo 5 della legge 18 ottobre 2001 n. 383, la base di riferimento per il calcolo dell’agevolazione è costituita esclusivamente dagli incrementi patrimoniali, conferimenti in denaro ed accantonamenti di utili a riserva, effettuati entro il 30 giugno 2001.

La regolarizzazione contabile disciplinata dall’articolo 14 si effettua nel bilancio chiuso al 31 dicembre 2002. Quindi, solo in sede di approvazione di tale bilancio si possono considerare formate le riserve emerse, direttamente o indirettamente, a seguito delle regolarizzazioni contabili. Di conseguenza si tratta di incrementi patrimoniali realizzati dopo il 30 giugno 2001 che non possono rilevare ai fini DIT.

9.8 Trattamento delle riserve assoggettate ad imposta sostitutiva

D. Quale natura hanno e qual è il regime applicabile alle riserve iscritte a fronte di attività regolarizzate assolvendo l’imposta sostitutiva del 13% (articolo 14, commi 5 e 6) ?

R. Riguardo alla natura e al trattamento fiscale di tali riserve si rimanda a quanto precisato nella precedente risposta. Si precisa, tuttavia, che l’imposta del 13 per cento, in quanto sostitutiva anche dell’IRAP e in mancanza di specifica previsione normativa, non affluisce ai canestri.

10 ARTICOLO 15 – DEFINIZIONE DEGLI ACCERTAMENTI, DEGLI INVITI AL CONTRADDITTORIO E DEI PVC

10.1 Esclusione dal contraddittorio

D. L’art. 15 della legge finanziaria per il 2003, nel prevedere la possibilità di definire gli inviti al contraddittorio di cui al decreto legislativo n. 218 del 1997, fa riferimento all’art. 5 del predetto decreto legislativo, che tratta dell’ipotesi di attivazione diretta dell’ufficio nei confronti del contribuente, e non anche all’art. 6 dello stesso provvedimento, nel quale si disciplina la fattispecie in cui l’invito è effettuato dall’ufficio in seguito alla richiesta del contribuente. Si chiede se tale riferimento parziale precluda la definizione di inviti al contraddittorio innescati da richieste dei contribuenti.

R. Gli articoli 5 e 6 del decreto legislativo n. 218 del 1997 disciplinano entrambi l’avvio del procedimento volto alla definizione dell’accertamento con adesione. In particolare l’art. 5 tratta dell’avvio d’ufficio, mentre l’art. 6 riguarda l’avvio ad istanza del contribuente.

L’articolo 15 della legge finanziaria richiama l’invito di cui agli articoli 5 e 11 del d.lgs. n. 218 del 1997, che abbia un contenuto di riferimento. Se tale contenuto manca, l’invito non rileva ai fini dell’articolo 15.

L’articolo 6 tratta di un invito proposto dal contribuente che fa seguito a: 1) notifica di un avviso di accertamento; 2) notifica di un processo verbale di constatazione.

Poichè l’invito di cui all’articolo 6 non rileva ai fini dell’applicazione dell’articolo 15, si precisa che la procedura di definizione prevista da tale articolo potrà trovare applicazione relativamente all’avviso di accertamento ovvero al processo verbale di constatazione cui si riferisce l’invito al contraddittorio.

10.2 Inviti al contraddittorio sulle liti potenziali

D. L’art. 15 della legge finanziaria per il 2003 prevede la possibilità di definire gli inviti al contraddittorio di cui agli artt. 5 e 11 del decreto legislativo n. 218 del 1997, per i quali, alla data di entrata in vigore della legge, non è ancora intervenuta la definizione. Si chiede di conoscere il momento in cui tale definizione si considera avvenuta; in particolare se ci si deve riferire alla firma dell’atto di adesione o al perfezionamento dello stesso che avviene con il pagamento delle somme concordate.

R. Come precisato nella circolare n. 3 del 15 gennaio 2003, al paragrafo 9.1.2, per “definizione degli inviti al contraddittorio” deve intendersi il perfezionamento dell’atto di adesione, che avviene con il versamento delle somme dovute, ai sensi dell’art. 9 del decreto legislativo n. 218 del 1997.

Pertanto, il contribuente che ha firmato l’atto di adesione, ma che alla data di entrata in vigore della legge finanziaria per il 2003 (1 gennaio 2003) non ha ancora versato le somme dovute ai fini del perfezionamento dell’atto stesso, può beneficiare della definizione dell’invito al contraddittorio ai sensi dell’art 15 della predetta legge finanziaria.

10.3 Processi verbali per violazioni non sostanziali

D. Si chiede con quali modalità possono essere definiti i processi verbali di constatazione notificati entro il 1 gennaio 2003, contenenti solo rilievi sanzionatori (ad es. irregolarità in materia di tenuta delle scritture contabili, di emissione di scontrini e ricevute fiscali). In particolare si chiede se sia corretto ritenere che, in assenza di imponibile, non possano essere oggetto di definizione ex art. 15, ma che restino assorbiti da un’eventuale integrazione ex art. 8 della legge finanziaria per il 2003.

R. Come si desume dalla circolare n. 3 del 15 gennaio 2003, ai paragrafi 2.6.1 e 9.3, la definizione prevista dall’art. 15 della legge finanziaria del 2003 non è possibile con riferimento ai processi verbali dai quali emerge la constatazione della violazione di una norma tributaria comportante l’applicazione della sola sanzione. I processi verbali di constatazione definibili ai sensi dell’art 15, infatti, sono solo quelli con esito positivo che contengono rilievi sostanziali e la cui notifica entro il 1 gennaio 2003 preclude la definizione ai sensi degli artt. 7, 8 e 9 della predetta legge finanziaria. Si ritiene, inoltre, che i processi verbali di constatazione contenenti solo rilievi sanzionatori restano assorbiti da un’eventuale integrazione degli imponibili ai degli articoli 7 e 9 e anche dell’8, ma in quest’ultimo caso solo se connessi con le operazioni che hanno dato luogo ai maggiori imponibili indicati nella dichiarazione integrativa.

10.4 Liti potenziali – definizione parziale (art. 15)

D. E’ consentito definire solo parzialmente un processo verbale di constatazione, limitatamente cioè ad una annualità, oppure ad un tributo, od ancora a singoli rilievi (tralasciando, dunque, quelli che appaiono infondati), oppure la definizione deve riguardare l’atto nel suo complesso?

R. La circolare n. 3/E del 15 gennaio 2003 ha precisato che ai fini della definizione ai sensi dell’articolo 15 la norma deve intendersi riferita non al processo verbale nel suo insieme bensì ai singoli rilievi in esso contenuti, e. pertanto la definizione può riguardare anche una singola annualità e una singola imposta e non necessariamente tutte le annualità e tutte le imposte interessate dai rilievi contenuti nel verbale.

10.5 Definizione liti potenziali – calcolo dell’Iva.

D. Come deve essere calcolata la somma da versare per definire, nell’ambito di un processo verbale, i rilievi di indebita detrazione agli effetti dell’Iva, oppure di errata applicazione del pro-rata ai fini della stessa imposta?

R. Come precisato nella circolare n. 3/E, in caso che nel processo verbale sia constatata un’indebita detrazione IVA, ovvero l’errata applicazione del pro rata è possibile la definizione ai sensi dell’articolo 15, comma 4, lett. b) versando un importo pari alla metà dell’imposta illegittimamente detratta.

10.6 Definizione liti potenziali – contraddittorio in corso.

D. Ai sensi del comma 8, sono sospesi fino al 18 marzo i termini per il perfezionamento della definizione di cui al d.lgs. n. 218/97, relativamente agli inviti al contraddittorio notificati entro il 31/12/2002.

La previsione sembra riguardare la fattispecie dell’avvenuta sottoscrizione dell’atto di adesione, in relazione al quale viene differito il termine per il pagamento ex art. 8, d.lgs. citato. Come dovranno comportarsi i contribuenti e gli uffici nel caso in cui, invece, a fronte della notifica dell’invito, non sia stato ancora redatto l’atto di adesione e risulti, invece, fissato il contraddittorio in una data compresa tra l’1/1/2003 ed il 17/3/2003, ovvero sia in corso il contraddittorio stesso?

R. Ai sensi dell’articolo 15, comma 8, è disposta la sospensione dei termini, dall’entrata in vigore della legge n. 289 fino al 18 marzo 2003, per il perfezionamento della definizione di cui al decreto legislativo n. 218 del 1997. Poiché l’accertamento con adesione del contribuente si perfeziona con il versamento delle somme dovute entro i venti giorni successivi alla stipula dell’atto di adesione di cui all’articolo 7 del riferito decreto n. 218, è evidente che la sospensione dei termini riguarda detto lasso di tempo, ed opera fino alla data del 18 marzo 2003. In tale arco temporale il contribuente può scegliere di definire l’invito al contraddittorio ai sensi dell’art. 15.

10.7 Perfezionamento dell’invito al contraddittorio

D. Ho sottoscritto l’atto di definizione derivante da un accertamento con adesione e non ho provveduto ancora a versare le relative somme. Posso accedere alla definizione di cui all’articolo 15 della legge 289 del 2002?

R. L’art.15, comma 1, della legge n. 289 del 2002, prevede la definizione degli inviti al contraddittorio di cui agli articoli 5 e 11 del decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218, per i quali non è ancora intervenuta la definizione, alla data di entrata in vigore della presente legge.

Come precisato nella circolare n. 3 del 2003, per definizione degli inviti al contraddittorio deve intendersi il perfezionamento dell’atto di adesione. Quest’ultimo, a norma dell’articolo 9 del citato d.lgs. 218 del 1997, avviene con il versamento delle somme dovute ovvero con il versamento della prima rata e la presentazione della garanzia.

In particolare, il versamento unico o della prima rata – nell’ipotesi di pagamento rateale – deve essere effettuato entro 20 giorni dalla redazione dell’atto di adesione.

Pertanto, qualora un contribuente, che ha sottoscritto un atto di adesione, non abbia versato le relative imposte alla data di entrata in vigore della legge finanziaria per il 2003 può accedere alla definizione di cui all’articolo 15 sulla base del contenuto dell’invito al contraddittorio a suo tempo ricevuto. 6 ARTICOLO 10 – PROROGA DI TERMINI

6.1 Proroga dei termini di accertamento.

D. Per evitare, con riguardo a tutti i periodi d’imposta potenzialmente interessati dalle sanatorie, gli effetti di cui all’art. 10 della legge n. 289 del 2002 è sufficiente aderire ad uno dei provvedimenti di cui all’art. 7 o 8 per un singolo periodo d’imposta?

R. Come chiarito al punto 5 della circolare n. 3/E del 2003, considerato che il contribuente può scegliere di definire, ai sensi degli articoli 7 e 8, anche singole annualità e singole imposte, la proroga dei termini per l’accertamento, di cui agli articoli 43 del DPR n. 600 del 1973 e 57 del DPR n. 633 del 1972, opera per le imposte e le annualità non oggetto di definizione.

6.2 Annualità prescritte

D. Si chiede conferma, ai fini di una eventuale valutazione della definizione dell’annualità 1997, se lo stesso anno ai fini dell’IVA risulta comunque “prescritto” al 1 gennaio 2003, visto che l’art.10 della Finanziaria non prevede (come hanno sempre disposto i provvedimenti di proroga dei termini di accertamento) che i periodi di imposta per cui al 31.12.2002 risultano in scadenza i termini di decadenza dell’azione di accertamento, sono prorogati di un anno. La norma, entrata in vigore al 1 gennaio 2003, dispone semplicemente, infatti, la proroga di un anno dei termini di accertamento per coloro che non si avvalgono delle tre sanatorie di cui agli artt. 7, 8 e 9 della Finanziaria 2003.

R. Sì, la Circolare ha fornito chiarimenti in ordine alla proroga dei termini per l’accertamento in materia di IVA al paragrafo 5, individuando come primo anno oggetto di definizione o integrazione il 1998 ovvero il 1997 in caso di omissione della dichiarazione.

6.3 Dichiarazioni tardive

D. La norma afferma che risultano definibili i periodi per cui le dichiarazioni sono state presentate entro il 31.10.2002. si è dell’avviso che – come possono risultare oggetto di definizione anche dichiarazioni tardive ma valide relative alle annualità precedenti al 2001- anche le dichiarazioni tardive – relative all’annualità 2001 – presentate nei 90 gg. successivi al 31.10.2002 possono essere oggetto di definizione. si conferma tale impostazione?

R. No, poiché il termine del 31/10/2002, indicato dal legislatore ai fini dell’individuazione delle annualità d’imposta suscettibili di definizione ai sensi dell’art. 7 della legge 289/02, è da intendersi perentorio. anche la circolare n. 3/e del 2003 al paragrafo 4 testualmente riporta “i contribuenti interessati possono singolarmente definire le annualità dal 1997 al 2001 per le quali le prescritte dichiarazioni sono state presentate entro il 31 ottobre 2002”.

7 ARTICOLO 11 – DEFINIZIONE AI FINI DELL’IMPOSTA DI REGISTRO ED ALTRI TRIBUTI INDIRETTI

7.1 Notifica di avviso di rettifica

D. Si chiede conferma se la notifica di un avviso di rettifica tra il 1 gennaio 2003 e il giorno di presentazione dell’istanza di sanatoria impedisce il condono.

R. Il dubbio è sorto perché in qualche articolo apparso su giornali specializzati era stata prospettata questa soluzione ma nella circolare 3 E dell’Agenzia delle Entrate è stato precisato che Condizione per accedere alla definizione agevolata è “…che non sia stato precedentemente notificato avviso di rettifica e liquidazione della maggiore imposta”.

Il termine “precedentemente”, utilizzato per fissare il limite per usufruire del regime di favore, è da individuare nella data del 1 gennaio 2003 – entrata in vigore della legge in commento (articolo 95, comma 3) – poiché nell’ipotesi in cui l’avviso di rettifica e liquidazione sia stato notificato prima di tale data si applica la definizione prevista dall’articolo 15 della legge finanziaria (cfr. paragrafo …). Del resto, un diverso significato del termine “precedentemente”, che lo riferisse alla data di presentazione dell’istanza del contribuente (entro il 16 marzo 2003), comporterebbe che gli atti per i quali l’avviso di accertamento fosse notificato prima di quest’ultima data, ma dopo l’entrata in vigore della legge in commento (1 gennaio 2003) sarebbero esclusi dalla definizione agevolata stabilita dall’articolo 11, comma 1, nonchè dalla definizione degli accertamenti prevista dal successivo articolo 15, della legge finanziaria 2003, che tra l’altro regola la definizione agevolata degli avvisi di accertamento notificati prima dell’entrata in vigore della presente legge e per i quali alla stessa data “… non sono ancora spirati i termini per la proposizione del ricorso…”. Quest’ultima interpretazione, quindi, potrebbe ingenerare un sospetto di incostituzionalità della norma.

7.2 Oggetto della definizione

D. Se un atto sia stato registrato con l’applicazione di un’aliquota inferiore a quella che l’Ufficio potrebbe accertare in futuro (si pensi all’aliquota 1 per cento applicata per la cessione di un’area edificabile, agevolazione che l’ufficio in futuro possa disconoscere pretendendo l’applicazione dell’aliquota dell’11 per cento), si può sanare la pratica integrando del 25 per cento il versamento effettuato in sede principale ?

R. A tale quesito deve essere data risposta negativa.

Nella circolare è precisato che il comma 1 consente al contribuente, che presenti apposita istanza entro il 16 marzo 2003, di definire, con l’aumento del 25 per cento, i valori nonchè gli incrementi di valore, dei beni, assoggettabili a procedimento di valutazione, dichiarati negli atti ovvero nelle denunce o dichiarazioni.

L’espresso riferimento della norma ai valori dichiarati e agli incrementi di valore esclude che la definizione agevolata possa riguardare le ipotesi di applicazione di agevolazioni e di decadenza dalle stesse.

8 ARTICOLO 12 – DEFINIZIONE DEI CARICHI DI RUOLI PREGRESSI

8.1 Ruoli pregressi e sanatoria delle controversie.

D. In tema di definizione dei ruoli pregressi si chiede se la sanatoria sia possibile anche in pendenza di una controversia relativa ad un ruolo affidato al concessionario del servizio nazionale di riscossione entro il 30 giugno 1999, come nel caso delle impugnazioni di cartelle esattoriali o di ruoli emessi a titolo di iscrizione provvisoria.

R. L’articolo 12 della legge finanziaria consente di definire tutte le tipologie dei ruoli affidati al concessionario del servizio di riscossione fino al 30 giugno 1999. Per quanto concerne l’ambito di applicazione della definizione in argomento, come precisato nella circolare n. 3/E del 15 gennaio 2003, la stessa concerne tutte le tipologie di ruoli, compresi quindi, a titolo di esempio, quelli emessi a seguito di liquidazione delle imposte ai sensi dell’articolo 36-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, quelli emessi a seguito di controllo formale delle dichiarazioni ex articolo 36-ter del medesimo decreto, quelli emessi a seguito di liquidazione dell’IVA ai sensi dell’articolo 54-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, nonchè quelli emessi a titolo provvisorio in pendenza di giudizio.

8.2 Definizione ruoli pregressi – identificazione.

D. Qualora il debitore moroso non riceva, entro il 31.01.2003, l’invito del concessionario della riscossione, come può verificare se il proprio debito rientri oppure no nella previsione agevolativa dell’articolo 12?

R. Il comma 2 dell’articolo in questione prevede l’invio da parte dei concessionari dell’invito ad avvalersi dei benefici indicati dall’articolo 12 per i ruoli consegnati nel periodo compreso tra il 1 gennaio 1997 e il 30 giugno 1999.

Tuttavia, qualora il predetto invito non dovesse pervenire al contribuente, lo stesso può rivolgersi al concessionario, anche telefonicamente, per ottenere le informazioni necessarie ai fini dell’eventuale definizione del ruolo, in analogia a quanto chiarito nella circolare n. 3/E al punto 7.2.2 per i ruoli affidati anteriormente al 1 gennaio 1997.

9 ARTICOLO 14 – REGOLARIZZAZIONE DELLE SCRITTURE CONTABILI

9.1 Regolarizzazione delle scritture contabili

D. E’ ammessa la regolarizzazione delle scritture contabili per i contribuenti in contabilità semplificata o che fruiscono di regimi contabili minori?

R. Come precisato nel paragrafo 8.2 della circolare n. 3 il comma 2 dell’articolo 14 della legge finanziaria prevede che la regolarizzazione delle scritture contabili deve essere effettuata nell’inventario, nel rendiconto, ovvero nel bilancio. Tale norma è evidentemente rivolta ai contribuenti tenuti alla redazione di tali documenti. Nulla vieta, tuttavia, che i contribuenti in contabilità semplificata possano apportare, solo ai fini fiscali e nelle scritture tenute ai sensi dell’artico 18 del DPR 600/73, le variazioni conseguenti agli elementi attivi e passivi indicati nel prospetto per evidenziare i valori fiscali correnti.

Anche la regolarizzazione contabile di cui al comma 5 dell’articolo 14 è rivolta ai contribuenti tenuti alla redazione dell’inventario, del rendiconto, ovvero del bilancio. Di conseguenza, i contribuenti in contabilità semplificata che tengono esclusivamente le scritture di cui all’articolo 18 del DPR 600/73 non possono avvalersi delle disposizioni di cui al comma 5 dell’articolo 14 per ottenere il riconoscimento fiscale delle attività in precedenza non annotate nelle scritture contabili.

9.2 Regolarizzazione delle scritture

D. Una società non ha dichiarato redditi pari a 100 incassati e di competenza di un periodo d’imposta coperto dalle sanatorie. Se dovesse avvalersi, alternativamente, delle disposizioni di cui all’articolo 8 o 9 della legge 289/2002, qualora volesse regolarizzare le scritture come potrebbe effettuare tale operazione?

Si consideri che in tale situazione le somme correlate al reddito prodotte potrebbero anche, in tutto o in parte, non essere più nelle disponibilità della società.

R. In via preliminare, si ricorda che la regolarizzazione delle scritture contabili riguarda i casi in cui, in un determinato periodo d’imposta oggetto di dichiarazione integrativa, il contribuente abbia omesso di registrare in contabilità, o abbia registrato irregolarmente, un’operazione i cui effetti si riflettono ancora sul bilancio o rendiconto relativo all’esercizio chiuso al 31 dicembre 2002 o in corso a tale data. Se gli effetti dell’operazione si riflettono ancora sul bilancio di cui sopra, la regolarizzazione contabile connessa al maggior reddito dichiarato nell’esempio pari a 100 potrà essere eseguita alternativamente con le seguenti modalità.

Nell’esempio proposto per sanare ai sensi dell’articolo 8 l’omessa dichiarazione di ricavi pari a 100 il contribuente dovrà evidenziare nel prospetto il credito correlato al ricavo omesso, nell’ammontare esistente alla data del 31.12.2001, e conseguentemente iscriverlo in contabilità tenendo conto dell’importo ancora esistente all’inizio dell’esercizio che forma oggetto di regolarizzazione. Per i soggetti con esercizio coincidente con l’anno solare le rettifiche devono essere apportate alla situazione patrimoniale al 1 gennaio 2002.

Nel caso di definizione automatica ai sensi dell’articolo 9 il contribuente può iscrivere direttamente in contabilità il credito in precedenza omesso, nei limiti dell’importo ancora esistente all’inizio dell’esercizio che forma oggetto di regolarizzazione. In tal caso è dovuta l’imposta sostitutiva del 13 per cento sul valore iscritto.

9.3 Contabilità semplificata e scritture da regolarizzare

D. E’ possibile per un’impresa in contabilità semplificata avvalersi delle disposizioni in tema di regolarizzazione delle scritture contabili? Se ciò non fosse possibile la conseguenza sarebbe quella per questi tipi di soggetti di non poter ottenere nel caso di redditi o attività estere la piena non punibilità a causa delle disposizioni di cui al comma 7 dell’art. 8 e comma 10, lett. c dell’art.9?

R. Il comma 4 dell’articolo 14 prevede che la regolarizzazione contabile delle attività detenute all’estero deve essere effettuata nell’inventario, rendiconto, o bilancio, e deve avvenire nel rispetto dei principi civilistici di redazione del bilancio.

Anche questa norma è evidentemente rivolta ai soli contribuenti tenuti alla redazione di tali documenti.

I contribuenti in contabilità semplificata, che tengono solo le scritture previste dall’art. 18 del DPR n. 600 del 1973, per poter ottenere la non applicabilità delle sanzioni sul monitoraggio fiscale, potranno far emergere l’attività finanziaria detenuta all’estero avvalendosi esclusivamente delle disposizioni sullo scudo fiscale di cui all’articolo 20, ricorrendo le condizioni ivi previste.

9.4 Riconoscimento di nuovi elementi attivi e passivi

D. Pare evidente che il riconoscimento ai fini fiscali dei nuovi elementi attivi e passivi indicati nel prospetto ai sensi dell’articolo 14, comma 1, della legge n. 289/02 sia condizionato alla regolarizzazione delle scritture contabili. Come fare quindi per i costi e le spese la cui deducibilità potrebbe essere rinviata ai futuri esercizi ma che non hanno una contropartita nello stato patrimoniale? Esempio se l’integrazione pari a 1500 effettuata per l’anno 2001 viene qualificata come spese di rappresentanza potrebbe essere deducibile una quota di 100 negli anni dal 2002 al 2005?

I soggetti in contabilità semplificata hanno qualche possibilità di recuperare costi deducibili regolarizzati con la dichiarazione integrativa?

R. Come evidenziato nel paragrafo 8.1 della circolare n. 3E, il riconoscimento fiscale dei nuovi elementi attivi e passivi correlati all’imponibile oggetto di integrazione deriva dalla loro evidenziazione nel prospetto ed opera per tutti i contribuenti indipendentemente dal regime contabile adottato e dalla regolarizzazione delle scritture contabili.

Nell’esempio, la deduzione delle ulteriori quote delle spese di rappresentanza negli anni dal 2002 al 2005 sarà operata extra-contabilmente attraverso variazioni in diminuzione nella dichiarazione dei redditi. Si precisa che il riconoscimento fiscale di nuovi o maggiori costi è comunque subordinato alla indicazione nella dichiarazione integrativa anche dei maggiori ricavi ad essi correlati in modo tale che emerga in ogni caso un maggior imponibile o una minore perdita.

9.5 Eliminazione di attività e passività fittizie

D. Si ritiene che la regolarizzazione delle scritture contabili sia assistita dalla disapplicazione delle sanzioni amministrative e penali prevista nelle singole disposizioni relative alle dichiarazioni integrative. In presenza di integrativa semplice (articolo 8) la disapplicazione delle sanzioni è rapportata all’ammontare indicato nella dichiarazione medesima maggiorato del 100%.

Tuttavia nell’ipotesi dell’eliminazione di attività e passività fittizie esse possono essere di ammontare molto superiore ai valori contenuti nella dichiarazione integrativa; in questo caso come si applica l’esclusione dalle sanzioni?

R. Ai sensi dell’articolo 8, comma 6, la disapplicazione delle sanzioni amministrative e penali opera limitatamente alle annualità oggetto di integrazione ed ai maggiori imponibili ed alle maggiori ritenute risultanti dalle dichiarazioni integrative aumentati, rispettivamente, del 100 e del 50 per cento per ciascun periodo d’imposta.

Le ulteriori regolarizzazioni contabili effettuate ai sensi del comma 3 dell’articolo 14, consistono nella eliminazione di attività e passività fittizie che, come indicato dalla norma, non ha rilevanza fiscale. Inoltre tali regolarizzazioni non sono collegate alle variazioni di elementi attivi e passivi indicate nel prospetto di cui al comma 1 dell’art. 14, correlati ai maggiori imponibili o minori perdite oggetto di integrazione ai sensi dell’articolo 8.

Le due norme in sostanza operano su piani diversi: l’integrazione degli imponibili ai sensi dell’articolo 8 consente la regolarizzazione fiscale e contabile e si accompagna alla franchigia di cui al comma 6; l’eliminazione di attività e passività fittizie opera sul piano civilistico e non influisce sulla determinazione della franchigia.

Nel caso esposto, quindi, la disapplicazione delle sanzioni amministrative e penali, che potrebbero derivare dall’eliminazione di attività e passività fittizie, opera nei limiti della franchigia determinata ai sensi del comma 6 e solo nel caso in cui l’eliminazione si riferisca a poste iscritte in contabilità in un periodo d’imposta oggetto di dichiarazione integrativa.

9.6 Eliminazione di attività e passività fittizie

D. L’iscrizione di nuovi elementi attivi o la diminuzione di elementi passivi genera l’iscrizione di una riserva nello stato patrimoniale. Si pone il problema di stabilire la natura di tale riserva. Se le variazioni contabili corrispondono a somme interamente tassate (articolo 8) si potrebbe considerarla una riserva di utili tassabile in caso distribuzione mentre l’imposta versata in sede di dichiarazione integrativa confluisce nel basket A. Ma cosa succede se in presenza di tassazione ad esempio di un dividendo pari a 100 viene iscritta un’attività ed una corrispondente riserva pari a 1000?

R. Come indicato nella circolare n. 3E l’iscrizione di nuovi elementi attivi o la diminuzione di elementi passivi, secondo i principi contabili nazionali contabilmente nel bilancio chiuso al 31 dicembre 2002, l’emersione di un corrispondente componente straordinario di conto economico, che concorre alla determinazione dell’utile d’esercizio. Ovviamente tale componente, poichè già sottoposto a tassazione nella relativa dichiarazione integrativa, sarà oggetto di variazione in diminuzione nella dichiarazione dei redditi relativa all’esercizio 2002. L’utile che si è generato è liberamente distribuibile ed è accompagnato dal credito d’imposta nei limiti delle imposte memorizzate nei canestri. A tal proposito, si ricorda che le imposte liquidate ai sensi dell’articolo 8 sono memorizzate nel “canestro A”. Anche se l’iscrizione di nuovi elementi attivi o la diminuzione di elementi passivi è effettuata direttamente tramite l’iscrizione di una riserva di patrimonio netto, come previsto dai principi contabili internazionali, il trattamento fiscale è uguale a quanto sopra descritto.

Si osserva infine che l’esempio proposto non è coerente. Se il contribuente integra il dividendo di 100 può far emergere una corrispondente attività, ad esempio “crediti vs partecipate”, pari a 100.

Se il contribuente intende far emergere contabilmente anche il costo della partecipazione pari a 1000 dovrà evidenziare nel prospetto la correlazione esistente tra la stessa ed i redditi che la hanno generata e che hanno già formato oggetto di regolarizzazione. Diversamente, l’importo dell’attività, per la parte che non è correlata ai redditi regolarizzati, costituisce reddito imponibile da indicare nella dichiarazione integrativa del periodo d’imposta di emersione. Nell’esempio il contribuente che intende iscrivere la partecipazione dovrà integrare l’imponibile di ulteriori 1000, oppure di 900 nel caso in cui il dividendo di 100 sia stato percepito ed impiegato per acquisire un’ulteriore quota di partecipazione.

9.7 Rilevanza ai fini DIT

D. Le riserve formatesi per attività iscritte a seguito delle regolarizzazioni contabili sono rilevanti ai fini della DIT?

R. A seguito delle modifiche normative recate all’agevolazione DIT dall’articolo 5 della legge 18 ottobre 2001 n. 383, la base di riferimento per il calcolo dell’agevolazione è costituita esclusivamente dagli incrementi patrimoniali, conferimenti in denaro ed accantonamenti di utili a riserva, effettuati entro il 30 giugno 2001.

La regolarizzazione contabile disciplinata dall’articolo 14 si effettua nel bilancio chiuso al 31 dicembre 2002. Quindi, solo in sede di approvazione di tale bilancio si possono considerare formate le riserve emerse, direttamente o indirettamente, a seguito delle regolarizzazioni contabili. Di conseguenza si tratta di incrementi patrimoniali realizzati dopo il 30 giugno 2001 che non possono rilevare ai fini DIT.

9.8 Trattamento delle riserve assoggettate ad imposta sostitutiva

D. Quale natura hanno e qual è il regime applicabile alle riserve iscritte a fronte di attività regolarizzate assolvendo l’imposta sostitutiva del 13% (articolo 14, commi 5 e 6) ?

R. Riguardo alla natura e al trattamento fiscale di tali riserve si rimanda a quanto precisato nella precedente risposta. Si precisa, tuttavia, che l’imposta del 13 per cento, in quanto sostitutiva anche dell’IRAP e in mancanza di specifica previsione normativa, non affluisce ai canestri.

10 ARTICOLO 15 – DEFINIZIONE DEGLI ACCERTAMENTI, DEGLI INVITI AL CONTRADDITTORIO E DEI PVC

10.1 Esclusione dal contraddittorio

D. L’art. 15 della legge finanziaria per il 2003, nel prevedere la possibilità di definire gli inviti al contraddittorio di cui al decreto legislativo n. 218 del 1997, fa riferimento all’art. 5 del predetto decreto legislativo, che tratta dell’ipotesi di attivazione diretta dell’ufficio nei confronti del contribuente, e non anche all’art. 6 dello stesso provvedimento, nel quale si disciplina la fattispecie in cui l’invito è effettuato dall’ufficio in seguito alla richiesta del contribuente. Si chiede se tale riferimento parziale precluda la definizione di inviti al contraddittorio innescati da richieste dei contribuenti.

R. Gli articoli 5 e 6 del decreto legislativo n. 218 del 1997 disciplinano entrambi l’avvio del procedimento volto alla definizione dell’accertamento con adesione. In particolare l’art. 5 tratta dell’avvio d’ufficio, mentre l’art. 6 riguarda l’avvio ad istanza del contribuente.

L’articolo 15 della legge finanziaria richiama l’invito di cui agli articoli 5 e 11 del d.lgs. n. 218 del 1997, che abbia un contenuto di riferimento. Se tale contenuto manca, l’invito non rileva ai fini dell’articolo 15.

L’articolo 6 tratta di un invito proposto dal contribuente che fa seguito a: 1) notifica di un avviso di accertamento; 2) notifica di un processo verbale di constatazione.

Poichè l’invito di cui all’articolo 6 non rileva ai fini dell’applicazione dell’articolo 15, si precisa che la procedura di definizione prevista da tale articolo potrà trovare applicazione relativamente all’avviso di accertamento ovvero al processo verbale di constatazione cui si riferisce l’invito al contraddittorio.

10.2 Inviti al contraddittorio sulle liti potenziali

D. L’art. 15 della legge finanziaria per il 2003 prevede la possibilità di definire gli inviti al contraddittorio di cui agli artt. 5 e 11 del decreto legislativo n. 218 del 1997, per i quali, alla data di entrata in vigore della legge, non è ancora intervenuta la definizione. Si chiede di conoscere il momento in cui tale definizione si considera avvenuta; in particolare se ci si deve riferire alla firma dell’atto di adesione o al perfezionamento dello stesso che avviene con il pagamento delle somme concordate.

R. Come precisato nella circolare n. 3 del 15 gennaio 2003, al paragrafo 9.1.2, per “definizione degli inviti al contraddittorio” deve intendersi il perfezionamento dell’atto di adesione, che avviene con il versamento delle somme dovute, ai sensi dell’art. 9 del decreto legislativo n. 218 del 1997.

Pertanto, il contribuente che ha firmato l’atto di adesione, ma che alla data di entrata in vigore della legge finanziaria per il 2003 (1 gennaio 2003) non ha ancora versato le somme dovute ai fini del perfezionamento dell’atto stesso, può beneficiare della definizione dell’invito al contraddittorio ai sensi dell’art 15 della predetta legge finanziaria.

10.3 Processi verbali per violazioni non sostanziali

D. Si chiede con quali modalità possono essere definiti i processi verbali di constatazione notificati entro il 1 gennaio 2003, contenenti solo rilievi sanzionatori (ad es. irregolarità in materia di tenuta delle scritture contabili, di emissione di scontrini e ricevute fiscali). In particolare si chiede se sia corretto ritenere che, in assenza di imponibile, non possano essere oggetto di definizione ex art. 15, ma che restino assorbiti da un’eventuale integrazione ex art. 8 della legge finanziaria per il 2003.

R. Come si desume dalla circolare n. 3 del 15 gennaio 2003, ai paragrafi 2.6.1 e 9.3, la definizione prevista dall’art. 15 della legge finanziaria del 2003 non è possibile con riferimento ai processi verbali dai quali emerge la constatazione della violazione di una norma tributaria comportante l’applicazione della sola sanzione. I processi verbali di constatazione definibili ai sensi dell’art 15, infatti, sono solo quelli con esito positivo che contengono rilievi sostanziali e la cui notifica entro il 1 gennaio 2003 preclude la definizione ai sensi degli artt. 7, 8 e 9 della predetta legge finanziaria. Si ritiene, inoltre, che i processi verbali di constatazione contenenti solo rilievi sanzionatori restano assorbiti da un’eventuale integrazione degli imponibili ai degli articoli 7 e 9 e anche dell’8, ma in quest’ultimo caso solo se connessi con le operazioni che hanno dato luogo ai maggiori imponibili indicati nella dichiarazione integrativa.

10.4 Liti potenziali – definizione parziale (art. 15)

D. E’ consentito definire solo parzialmente un processo verbale di constatazione, limitatamente cioè ad una annualità, oppure ad un tributo, od ancora a singoli rilievi (tralasciando, dunque, quelli che appaiono infondati), oppure la definizione deve riguardare l’atto nel suo complesso?

R. La circolare n. 3/E del 15 gennaio 2003 ha precisato che ai fini della definizione ai sensi dell’articolo 15 la norma deve intendersi riferita non al processo verbale nel suo insieme bensì ai singoli rilievi in esso contenuti, e. pertanto la definizione può riguardare anche una singola annualità e una singola imposta e non necessariamente tutte le annualità e tutte le imposte interessate dai rilievi contenuti nel verbale.

10.5 Definizione liti potenziali – calcolo dell’Iva.

D. Come deve essere calcolata la somma da versare per definire, nell’ambito di un processo verbale, i rilievi di indebita detrazione agli effetti dell’Iva, oppure di errata applicazione del pro-rata ai fini della stessa imposta?

R. Come precisato nella circolare n. 3/E, in caso che nel processo verbale sia constatata un’indebita detrazione IVA, ovvero l’errata applicazione del pro rata è possibile la definizione ai sensi dell’articolo 15, comma 4, lett. b) versando un importo pari alla metà dell’imposta illegittimamente detratta.

10.6 Definizione liti potenziali – contraddittorio in corso.

D. Ai sensi del comma 8, sono sospesi fino al 18 marzo i termini per il perfezionamento della definizione di cui al d.lgs. n. 218/97, relativamente agli inviti al contraddittorio notificati entro il 31/12/2002.

La previsione sembra riguardare la fattispecie dell’avvenuta sottoscrizione dell’atto di adesione, in relazione al quale viene differito il termine per il pagamento ex art. 8, d.lgs. citato. Come dovranno comportarsi i contribuenti e gli uffici nel caso in cui, invece, a fronte della notifica dell’invito, non sia stato ancora redatto l’atto di adesione e risulti, invece, fissato il contraddittorio in una data compresa tra l’1/1/2003 ed il 17/3/2003, ovvero sia in corso il contraddittorio stesso?

R. Ai sensi dell’articolo 15, comma 8, è disposta la sospensione dei termini, dall’entrata in vigore della legge n. 289 fino al 18 marzo 2003, per il perfezionamento della definizione di cui al decreto legislativo n. 218 del 1997. Poiché l’accertamento con adesione del contribuente si perfeziona con il versamento delle somme dovute entro i venti giorni successivi alla stipula dell’atto di adesione di cui all’articolo 7 del riferito decreto n. 218, è evidente che la sospensione dei termini riguarda detto lasso di tempo, ed opera fino alla data del 18 marzo 2003. In tale arco temporale il contribuente può scegliere di definire l’invito al contraddittorio ai sensi dell’art. 15.

10.7 Perfezionamento dell’invito al contraddittorio

D. Ho sottoscritto l’atto di definizione derivante da un accertamento con adesione e non ho provveduto ancora a versare le relative somme. Posso accedere alla definizione di cui all’articolo 15 della legge 289 del 2002?

R. L’art.15, comma 1, della legge n. 289 del 2002, prevede la definizione degli inviti al contraddittorio di cui agli articoli 5 e 11 del decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218, per i quali non è ancora intervenuta la definizione, alla data di entrata in vigore della presente legge.

Come precisato nella circolare n. 3 del 2003, per definizione degli inviti al contraddittorio deve intendersi il perfezionamento dell’atto di adesione. Quest’ultimo, a norma dell’articolo 9 del citato d.lgs. 218 del 1997, avviene con il versamento delle somme dovute ovvero con il versamento della prima rata e la presentazione della garanzia.

In particolare, il versamento unico o della prima rata – nell’ipotesi di pagamento rateale – deve essere effettuato entro 20 giorni dalla redazione dell’atto di adesione.

Pertanto, qualora un contribuente, che ha sottoscritto un atto di adesione, non abbia versato le relative imposte alla data di entrata in vigore della legge finanziaria per il 2003 può accedere alla definizione di cui all’articolo 15 sulla base del contenuto dell’invito al contraddittorio a suo tempo ricevuto.

6 ARTICOLO 10 – PROROGA DI TERMINI

6.1 Proroga dei termini di accertamento.

D. Per evitare, con riguardo a tutti i periodi d’imposta potenzialmente interessati dalle sanatorie, gli effetti di cui all’art. 10 della legge n. 289 del 2002 è sufficiente aderire ad uno dei provvedimenti di cui all’art. 7 o 8 per un singolo periodo d’imposta?

R. Come chiarito al punto 5 della circolare n. 3/E del 2003, considerato che il contribuente può scegliere di definire, ai sensi degli articoli 7 e 8, anche singole annualità e singole imposte, la proroga dei termini per l’accertamento, di cui agli articoli 43 del DPR n. 600 del 1973 e 57 del DPR n. 633 del 1972, opera per le imposte e le annualità non oggetto di definizione.

6.2 Annualità prescritte

D. Si chiede conferma, ai fini di una eventuale valutazione della definizione dell’annualità 1997, se lo stesso anno ai fini dell’IVA risulta comunque “prescritto” al 1 gennaio 2003, visto che l’art.10 della Finanziaria non prevede (come hanno sempre disposto i provvedimenti di proroga dei termini di accertamento) che i periodi di imposta per cui al 31.12.2002 risultano in scadenza i termini di decadenza dell’azione di accertamento, sono prorogati di un anno. La norma, entrata in vigore al 1 gennaio 2003, dispone semplicemente, infatti, la proroga di un anno dei termini di accertamento per coloro che non si avvalgono delle tre sanatorie di cui agli artt. 7, 8 e 9 della Finanziaria 2003.

R. Sì, la Circolare ha fornito chiarimenti in ordine alla proroga dei termini per l’accertamento in materia di IVA al paragrafo 5, individuando come primo anno oggetto di definizione o integrazione il 1998 ovvero il 1997 in caso di omissione della dichiarazione.

6.3 Dichiarazioni tardive

D. La norma afferma che risultano definibili i periodi per cui le dichiarazioni sono state presentate entro il 31.10.2002. si è dell’avviso che – come possono risultare oggetto di definizione anche dichiarazioni tardive ma valide relative alle annualità precedenti al 2001- anche le dichiarazioni tardive – relative all’annualità 2001 – presentate nei 90 gg. successivi al 31.10.2002 possono essere oggetto di definizione. si conferma tale impostazione?

R. No, poiché il termine del 31/10/2002, indicato dal legislatore ai fini dell’individuazione delle annualità d’imposta suscettibili di definizione ai sensi dell’art. 7 della legge 289/02, è da intendersi perentorio. anche la circolare n. 3/e del 2003 al paragrafo 4 testualmente riporta “i contribuenti interessati possono singolarmente definire le annualità dal 1997 al 2001 per le quali le prescritte dichiarazioni sono state presentate entro il 31 ottobre 2002”.

7 ARTICOLO 11 – DEFINIZIONE AI FINI DELL’IMPOSTA DI REGISTRO ED ALTRI TRIBUTI INDIRETTI

7.1 Notifica di avviso di rettifica

D. Si chiede conferma se la notifica di un avviso di rettifica tra il 1 gennaio 2003 e il giorno di presentazione dell’istanza di sanatoria impedisce il condono.

R. Il dubbio è sorto perché in qualche articolo apparso su giornali specializzati era stata prospettata questa soluzione ma nella circolare 3 E dell’Agenzia delle Entrate è stato precisato che Condizione per accedere alla definizione agevolata è “…che non sia stato precedentemente notificato avviso di rettifica e liquidazione della maggiore imposta”.

Il termine “precedentemente”, utilizzato per fissare il limite per usufruire del regime di favore, è da individuare nella data del 1 gennaio 2003 – entrata in vigore della legge in commento (articolo 95, comma 3) – poiché nell’ipotesi in cui l’avviso di rettifica e liquidazione sia stato notificato prima di tale data si applica la definizione prevista dall’articolo 15 della legge finanziaria (cfr. paragrafo …). Del resto, un diverso significato del termine “precedentemente”, che lo riferisse alla data di presentazione dell’istanza del contribuente (entro il 16 marzo 2003), comporterebbe che gli atti per i quali l’avviso di accertamento fosse notificato prima di quest’ultima data, ma dopo l’entrata in vigore della legge in commento (1 gennaio 2003) sarebbero esclusi dalla definizione agevolata stabilita dall’articolo 11, comma 1, nonchè dalla definizione degli accertamenti prevista dal successivo articolo 15, della legge finanziaria 2003, che tra l’altro regola la definizione agevolata degli avvisi di accertamento notificati prima dell’entrata in vigore della presente legge e per i quali alla stessa data “… non sono ancora spirati i termini per la proposizione del ricorso…”. Quest’ultima interpretazione, quindi, potrebbe ingenerare un sospetto di incostituzionalità della norma.

7.2 Oggetto della definizione

D. Se un atto sia stato registrato con l’applicazione di un’aliquota inferiore a quella che l’Ufficio potrebbe accertare in futuro (si pensi all’aliquota 1 per cento applicata per la cessione di un’area edificabile, agevolazione che l’ufficio in futuro possa disconoscere pretendendo l’applicazione dell’aliquota dell’11 per cento), si può sanare la pratica integrando del 25 per cento il versamento effettuato in sede principale ?

R. A tale quesito deve essere data risposta negativa.

Nella circolare è precisato che il comma 1 consente al contribuente, che presenti apposita istanza entro il 16 marzo 2003, di definire, con l’aumento del 25 per cento, i valori nonchè gli incrementi di valore, dei beni, assoggettabili a procedimento di valutazione, dichiarati negli atti ovvero nelle denunce o dichiarazioni.

L’espresso riferimento della norma ai valori dichiarati e agli incrementi di valore esclude che la definizione agevolata possa riguardare le ipotesi di applicazione di agevolazioni e di decadenza dalle stesse.

8 ARTICOLO 12 – DEFINIZIONE DEI CARICHI DI RUOLI PREGRESSI

8.1 Ruoli pregressi e sanatoria delle controversie.

D. In tema di definizione dei ruoli pregressi si chiede se la sanatoria sia possibile anche in pendenza di una controversia relativa ad un ruolo affidato al concessionario del servizio nazionale di riscossione entro il 30 giugno 1999, come nel caso delle impugnazioni di cartelle esattoriali o di ruoli emessi a titolo di iscrizione provvisoria.

R. L’articolo 12 della legge finanziaria consente di definire tutte le tipologie dei ruoli affidati al concessionario del servizio di riscossione fino al 30 giugno 1999. Per quanto concerne l’ambito di applicazione della definizione in argomento, come precisato nella circolare n. 3/E del 15 gennaio 2003, la stessa concerne tutte le tipologie di ruoli, compresi quindi, a titolo di esempio, quelli emessi a seguito di liquidazione delle imposte ai sensi dell’articolo 36-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, quelli emessi a seguito di controllo formale delle dichiarazioni ex articolo 36-ter del medesimo decreto, quelli emessi a seguito di liquidazione dell’IVA ai sensi dell’articolo 54-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, nonchè quelli emessi a titolo provvisorio in pendenza di giudizio.

8.2 Definizione ruoli pregressi – identificazione.

D. Qualora il debitore moroso non riceva, entro il 31.01.2003, l’invito del concessionario della riscossione, come può verificare se il proprio debito rientri oppure no nella previsione agevolativa dell’articolo 12?

R. Il comma 2 dell’articolo in questione prevede l’invio da parte dei concessionari dell’invito ad avvalersi dei benefici indicati dall’articolo 12 per i ruoli consegnati nel periodo compreso tra il 1 gennaio 1997 e il 30 giugno 1999.

Tuttavia, qualora il predetto invito non dovesse pervenire al contribuente, lo stesso può rivolgersi al concessionario, anche telefonicamente, per ottenere le informazioni necessarie ai fini dell’eventuale definizione del ruolo, in analogia a quanto chiarito nella circolare n. 3/E al punto 7.2.2 per i ruoli affidati anteriormente al 1 gennaio 1997.

9 ARTICOLO 14 – REGOLARIZZAZIONE DELLE SCRITTURE CONTABILI

9.1 Regolarizzazione delle scritture contabili

D. E’ ammessa la regolarizzazione delle scritture contabili per i contribuenti in contabilità semplificata o che fruiscono di regimi contabili minori?

R. Come precisato nel paragrafo 8.2 della circolare n. 3 il comma 2 dell’articolo 14 della legge finanziaria prevede che la regolarizzazione delle scritture contabili deve essere effettuata nell’inventario, nel rendiconto, ovvero nel bilancio. Tale norma è evidentemente rivolta ai contribuenti tenuti alla redazione di tali documenti. Nulla vieta, tuttavia, che i contribuenti in contabilità semplificata possano apportare, solo ai fini fiscali e nelle scritture tenute ai sensi dell’artico 18 del DPR 600/73, le variazioni conseguenti agli elementi attivi e passivi indicati nel prospetto per evidenziare i valori fiscali correnti.

Anche la regolarizzazione contabile di cui al comma 5 dell’articolo 14 è rivolta ai contribuenti tenuti alla redazione dell’inventario, del rendiconto, ovvero del bilancio. Di conseguenza, i contribuenti in contabilità semplificata che tengono esclusivamente le scritture di cui all’articolo 18 del DPR 600/73 non possono avvalersi delle disposizioni di cui al comma 5 dell’articolo 14 per ottenere il riconoscimento fiscale delle attività in precedenza non annotate nelle scritture contabili.

9.2 Regolarizzazione delle scritture

D. Una società non ha dichiarato redditi pari a 100 incassati e di competenza di un periodo d’imposta coperto dalle sanatorie. Se dovesse avvalersi, alternativamente, delle disposizioni di cui all’articolo 8 o 9 della legge 289/2002, qualora volesse regolarizzare le scritture come potrebbe effettuare tale operazione?

Si consideri che in tale situazione le somme correlate al reddito prodotte potrebbero anche, in tutto o in parte, non essere più nelle disponibilità della società.

R. In via preliminare, si ricorda che la regolarizzazione delle scritture contabili riguarda i casi in cui, in un determinato periodo d’imposta oggetto di dichiarazione integrativa, il contribuente abbia omesso di registrare in contabilità, o abbia registrato irregolarmente, un’operazione i cui effetti si riflettono ancora sul bilancio o rendiconto relativo all’esercizio chiuso al 31 dicembre 2002 o in corso a tale data. Se gli effetti dell’operazione si riflettono ancora sul bilancio di cui sopra, la regolarizzazione contabile connessa al maggior reddito dichiarato nell’esempio pari a 100 potrà essere eseguita alternativamente con le seguenti modalità.

Nell’esempio proposto per sanare ai sensi dell’articolo 8 l’omessa dichiarazione di ricavi pari a 100 il contribuente dovrà evidenziare nel prospetto il credito correlato al ricavo omesso, nell’ammontare esistente alla data del 31.12.2001, e conseguentemente iscriverlo in contabilità tenendo conto dell’importo ancora esistente all’inizio dell’esercizio che forma oggetto di regolarizzazione. Per i soggetti con esercizio coincidente con l’anno solare le rettifiche devono essere apportate alla situazione patrimoniale al 1 gennaio 2002.

Nel caso di definizione automatica ai sensi dell’articolo 9 il contribuente può iscrivere direttamente in contabilità il credito in precedenza omesso, nei limiti dell’importo ancora esistente all’inizio dell’esercizio che forma oggetto di regolarizzazione. In tal caso è dovuta l’imposta sostitutiva del 13 per cento sul valore iscritto.

9.3 Contabilità semplificata e scritture da regolarizzare

D. E’ possibile per un’impresa in contabilità semplificata avvalersi delle disposizioni in tema di regolarizzazione delle scritture contabili? Se ciò non fosse possibile la conseguenza sarebbe quella per questi tipi di soggetti di non poter ottenere nel caso di redditi o attività estere la piena non punibilità a causa delle disposizioni di cui al comma 7 dell’art. 8 e comma 10, lett. c dell’art.9?

R. Il comma 4 dell’articolo 14 prevede che la regolarizzazione contabile delle attività detenute all’estero deve essere effettuata nell’inventario, rendiconto, o bilancio, e deve avvenire nel rispetto dei principi civilistici di redazione del bilancio.

Anche questa norma è evidentemente rivolta ai soli contribuenti tenuti alla redazione di tali documenti.

I contribuenti in contabilità semplificata, che tengono solo le scritture previste dall’art. 18 del DPR n. 600 del 1973, per poter ottenere la non applicabilità delle sanzioni sul monitoraggio fiscale, potranno far emergere l’attività finanziaria detenuta all’estero avvalendosi esclusivamente delle disposizioni sullo scudo fiscale di cui all’articolo 20, ricorrendo le condizioni ivi previste.

9.4 Riconoscimento di nuovi elementi attivi e passivi

D. Pare evidente che il riconoscimento ai fini fiscali dei nuovi elementi attivi e passivi indicati nel prospetto ai sensi dell’articolo 14, comma 1, della legge n. 289/02 sia condizionato alla regolarizzazione delle scritture contabili. Come fare quindi per i costi e le spese la cui deducibilità potrebbe essere rinviata ai futuri esercizi ma che non hanno una contropartita nello stato patrimoniale? Esempio se l’integrazione pari a 1500 effettuata per l’anno 2001 viene qualificata come spese di rappresentanza potrebbe essere deducibile una quota di 100 negli anni dal 2002 al 2005?

I soggetti in contabilità semplificata hanno qualche possibilità di recuperare costi deducibili regolarizzati con la dichiarazione integrativa?

R. Come evidenziato nel paragrafo 8.1 della circolare n. 3E, il riconoscimento fiscale dei nuovi elementi attivi e passivi correlati all’imponibile oggetto di integrazione deriva dalla loro evidenziazione nel prospetto ed opera per tutti i contribuenti indipendentemente dal regime contabile adottato e dalla regolarizzazione delle scritture contabili.

Nell’esempio, la deduzione delle ulteriori quote delle spese di rappresentanza negli anni dal 2002 al 2005 sarà operata extra-contabilmente attraverso variazioni in diminuzione nella dichiarazione dei redditi. Si precisa che il riconoscimento fiscale di nuovi o maggiori costi è comunque subordinato alla indicazione nella dichiarazione integrativa anche dei maggiori ricavi ad essi correlati in modo tale che emerga in ogni caso un maggior imponibile o una minore perdita.

9.5 Eliminazione di attività e passività fittizie

D. Si ritiene che la regolarizzazione delle scritture contabili sia assistita dalla disapplicazione delle sanzioni amministrative e penali prevista nelle singole disposizioni relative alle dichiarazioni integrative. In presenza di integrativa semplice (articolo 8) la disapplicazione delle sanzioni è rapportata all’ammontare indicato nella dichiarazione medesima maggiorato del 100%.

Tuttavia nell’ipotesi dell’eliminazione di attività e passività fittizie esse possono essere di ammontare molto superiore ai valori contenuti nella dichiarazione integrativa; in questo caso come si applica l’esclusione dalle sanzioni?

R. Ai sensi dell’articolo 8, comma 6, la disapplicazione delle sanzioni amministrative e penali opera limitatamente alle annualità oggetto di integrazione ed ai maggiori imponibili ed alle maggiori ritenute risultanti dalle dichiarazioni integrative aumentati, rispettivamente, del 100 e del 50 per cento per ciascun periodo d’imposta.

Le ulteriori regolarizzazioni contabili effettuate ai sensi del comma 3 dell’articolo 14, consistono nella eliminazione di attività e passività fittizie che, come indicato dalla norma, non ha rilevanza fiscale. Inoltre tali regolarizzazioni non sono collegate alle variazioni di elementi attivi e passivi indicate nel prospetto di cui al comma 1 dell’art. 14, correlati ai maggiori imponibili o minori perdite oggetto di integrazione ai sensi dell’articolo 8.

Le due norme in sostanza operano su piani diversi: l’integrazione degli imponibili ai sensi dell’articolo 8 consente la regolarizzazione fiscale e contabile e si accompagna alla franchigia di cui al comma 6; l’eliminazione di attività e passività fittizie opera sul piano civilistico e non influisce sulla determinazione della franchigia.

Nel caso esposto, quindi, la disapplicazione delle sanzioni amministrative e penali, che potrebbero derivare dall’eliminazione di attività e passività fittizie, opera nei limiti della franchigia determinata ai sensi del comma 6 e solo nel caso in cui l’eliminazione si riferisca a poste iscritte in contabilità in un periodo d’imposta oggetto di dichiarazione integrativa.

9.6 Eliminazione di attività e passività fittizie

D. L’iscrizione di nuovi elementi attivi o la diminuzione di elementi passivi genera l’iscrizione di una riserva nello stato patrimoniale. Si pone il problema di stabilire la natura di tale riserva. Se le variazioni contabili corrispondono a somme interamente tassate (articolo 8) si potrebbe considerarla una riserva di utili tassabile in caso distribuzione mentre l’imposta versata in sede di dichiarazione integrativa confluisce nel basket A. Ma cosa succede se in presenza di tassazione ad esempio di un dividendo pari a 100 viene iscritta un’attività ed una corrispondente riserva pari a 1000?

R. Come indicato nella circolare n. 3E l’iscrizione di nuovi elementi attivi o la diminuzione di elementi passivi, secondo i principi contabili nazionali contabilmente nel bilancio chiuso al 31 dicembre 2002, l’emersione di un corrispondente componente straordinario di conto economico, che concorre alla determinazione dell’utile d’esercizio. Ovviamente tale componente, poichè già sottoposto a tassazione nella relativa dichiarazione integrativa, sarà oggetto di variazione in diminuzione nella dichiarazione dei redditi relativa all’esercizio 2002. L’utile che si è generato è liberamente distribuibile ed è accompagnato dal credito d’imposta nei limiti delle imposte memorizzate nei canestri. A tal proposito, si ricorda che le imposte liquidate ai sensi dell’articolo 8 sono memorizzate nel “canestro A”. Anche se l’iscrizione di nuovi elementi attivi o la diminuzione di elementi passivi è effettuata direttamente tramite l’iscrizione di una riserva di patrimonio netto, come previsto dai principi contabili internazionali, il trattamento fiscale è uguale a quanto sopra descritto.

Si osserva infine che l’esempio proposto non è coerente. Se il contribuente integra il dividendo di 100 può far emergere una corrispondente attività, ad esempio “crediti vs partecipate”, pari a 100.

Se il contribuente intende far emergere contabilmente anche il costo della partecipazione pari a 1000 dovrà evidenziare nel prospetto la correlazione esistente tra la stessa ed i redditi che la hanno generata e che hanno già formato oggetto di regolarizzazione. Diversamente, l’importo dell’attività, per la parte che non è correlata ai redditi regolarizzati, costituisce reddito imponibile da indicare nella dichiarazione integrativa del periodo d’imposta di emersione. Nell’esempio il contribuente che intende iscrivere la partecipazione dovrà integrare l’imponibile di ulteriori 1000, oppure di 900 nel caso in cui il dividendo di 100 sia stato percepito ed impiegato per acquisire un’ulteriore quota di partecipazione.

9.7 Rilevanza ai fini DIT

D. Le riserve formatesi per attività iscritte a seguito delle regolarizzazioni contabili sono rilevanti ai fini della DIT?

R. A seguito delle modifiche normative recate all’agevolazione DIT dall’articolo 5 della legge 18 ottobre 2001 n. 383, la base di riferimento per il calcolo dell’agevolazione è costituita esclusivamente dagli incrementi patrimoniali, conferimenti in denaro ed accantonamenti di utili a riserva, effettuati entro il 30 giugno 2001.

La regolarizzazione contabile disciplinata dall’articolo 14 si effettua nel bilancio chiuso al 31 dicembre 2002. Quindi, solo in sede di approvazione di tale bilancio si possono considerare formate le riserve emerse, direttamente o indirettamente, a seguito delle regolarizzazioni contabili. Di conseguenza si tratta di incrementi patrimoniali realizzati dopo il 30 giugno 2001 che non possono rilevare ai fini DIT.

9.8 Trattamento delle riserve assoggettate ad imposta sostitutiva

D. Quale natura hanno e qual è il regime applicabile alle riserve iscritte a fronte di attività regolarizzate assolvendo l’imposta sostitutiva del 13% (articolo 14, commi 5 e 6) ?

R. Riguardo alla natura e al trattamento fiscale di tali riserve si rimanda a quanto precisato nella precedente risposta. Si precisa, tuttavia, che l’imposta del 13 per cento, in quanto sostitutiva anche dell’IRAP e in mancanza di specifica previsione normativa, non affluisce ai canestri.

10 ARTICOLO 15 – DEFINIZIONE DEGLI ACCERTAMENTI, DEGLI INVITI AL CONTRADDITTORIO E DEI PVC

10.1 Esclusione dal contraddittorio

D. L’art. 15 della legge finanziaria per il 2003, nel prevedere la possibilità di definire gli inviti al contraddittorio di cui al decreto legislativo n. 218 del 1997, fa riferimento all’art. 5 del predetto decreto legislativo, che tratta dell’ipotesi di attivazione diretta dell’ufficio nei confronti del contribuente, e non anche all’art. 6 dello stesso provvedimento, nel quale si disciplina la fattispecie in cui l’invito è effettuato dall’ufficio in seguito alla richiesta del contribuente. Si chiede se tale riferimento parziale precluda la definizione di inviti al contraddittorio innescati da richieste dei contribuenti.

R. Gli articoli 5 e 6 del decreto legislativo n. 218 del 1997 disciplinano entrambi l’avvio del procedimento volto alla definizione dell’accertamento con adesione. In particolare l’art. 5 tratta dell’avvio d’ufficio, mentre l’art. 6 riguarda l’avvio ad istanza del contribuente.

L’articolo 15 della legge finanziaria richiama l’invito di cui agli articoli 5 e 11 del d.lgs. n. 218 del 1997, che abbia un contenuto di riferimento. Se tale contenuto manca, l’invito non rileva ai fini dell’articolo 15.

L’articolo 6 tratta di un invito proposto dal contribuente che fa seguito a: 1) notifica di un avviso di accertamento; 2) notifica di un processo verbale di constatazione.

Poichè l’invito di cui all’articolo 6 non rileva ai fini dell’applicazione dell’articolo 15, si precisa che la procedura di definizione prevista da tale articolo potrà trovare applicazione relativamente all’avviso di accertamento ovvero al processo verbale di constatazione cui si riferisce l’invito al contraddittorio.

10.2 Inviti al contraddittorio sulle liti potenziali

D. L’art. 15 della legge finanziaria per il 2003 prevede la possibilità di definire gli inviti al contraddittorio di cui agli artt. 5 e 11 del decreto legislativo n. 218 del 1997, per i quali, alla data di entrata in vigore della legge, non è ancora intervenuta la definizione. Si chiede di conoscere il momento in cui tale definizione si considera avvenuta; in particolare se ci si deve riferire alla firma dell’atto di adesione o al perfezionamento dello stesso che avviene con il pagamento delle somme concordate.

R. Come precisato nella circolare n. 3 del 15 gennaio 2003, al paragrafo 9.1.2, per “definizione degli inviti al contraddittorio” deve intendersi il perfezionamento dell’atto di adesione, che avviene con il versamento delle somme dovute, ai sensi dell’art. 9 del decreto legislativo n. 218 del 1997.

Pertanto, il contribuente che ha firmato l’atto di adesione, ma che alla data di entrata in vigore della legge finanziaria per il 2003 (1 gennaio 2003) non ha ancora versato le somme dovute ai fini del perfezionamento dell’atto stesso, può beneficiare della definizione dell’invito al contraddittorio ai sensi dell’art 15 della predetta legge finanziaria.

10.3 Processi verbali per violazioni non sostanziali

D. Si chiede con quali modalità possono essere definiti i processi verbali di constatazione notificati entro il 1 gennaio 2003, contenenti solo rilievi sanzionatori (ad es. irregolarità in materia di tenuta delle scritture contabili, di emissione di scontrini e ricevute fiscali). In particolare si chiede se sia corretto ritenere che, in assenza di imponibile, non possano essere oggetto di definizione ex art. 15, ma che restino assorbiti da un’eventuale integrazione ex art. 8 della legge finanziaria per il 2003.

R. Come si desume dalla circolare n. 3 del 15 gennaio 2003, ai paragrafi 2.6.1 e 9.3, la definizione prevista dall’art. 15 della legge finanziaria del 2003 non è possibile con riferimento ai processi verbali dai quali emerge la constatazione della violazione di una norma tributaria comportante l’applicazione della sola sanzione. I processi verbali di constatazione definibili ai sensi dell’art 15, infatti, sono solo quelli con esito positivo che contengono rilievi sostanziali e la cui notifica entro il 1 gennaio 2003 preclude la definizione ai sensi degli artt. 7, 8 e 9 della predetta legge finanziaria. Si ritiene, inoltre, che i processi verbali di constatazione contenenti solo rilievi sanzionatori restano assorbiti da un’eventuale integrazione degli imponibili ai degli articoli 7 e 9 e anche dell’8, ma in quest’ultimo caso solo se connessi con le operazioni che hanno dato luogo ai maggiori imponibili indicati nella dichiarazione integrativa.

10.4 Liti potenziali – definizione parziale (art. 15)

D. E’ consentito definire solo parzialmente un processo verbale di constatazione, limitatamente cioè ad una annualità, oppure ad un tributo, od ancora a singoli rilievi (tralasciando, dunque, quelli che appaiono infondati), oppure la definizione deve riguardare l’atto nel suo complesso?

R. La circolare n. 3/E del 15 gennaio 2003 ha precisato che ai fini della definizione ai sensi dell’articolo 15 la norma deve intendersi riferita non al processo verbale nel suo insieme bensì ai singoli rilievi in esso contenuti, e. pertanto la definizione può riguardare anche una singola annualità e una singola imposta e non necessariamente tutte le annualità e tutte le imposte interessate dai rilievi contenuti nel verbale.

10.5 Definizione liti potenziali – calcolo dell’Iva.

D. Come deve essere calcolata la somma da versare per definire, nell’ambito di un processo verbale, i rilievi di indebita detrazione agli effetti dell’Iva, oppure di errata applicazione del pro-rata ai fini della stessa imposta?

R. Come precisato nella circolare n. 3/E, in caso che nel processo verbale sia constatata un’indebita detrazione IVA, ovvero l’errata applicazione del pro rata è possibile la definizione ai sensi dell’articolo 15, comma 4, lett. b) versando un importo pari alla metà dell’imposta illegittimamente detratta.

10.6 Definizione liti potenziali – contraddittorio in corso.

D. Ai sensi del comma 8, sono sospesi fino al 18 marzo i termini per il perfezionamento della definizione di cui al d.lgs. n. 218/97, relativamente agli inviti al contraddittorio notificati entro il 31/12/2002.

La previsione sembra riguardare la fattispecie dell’avvenuta sottoscrizione dell’atto di adesione, in relazione al quale viene differito il termine per il pagamento ex art. 8, d.lgs. citato. Come dovranno comportarsi i contribuenti e gli uffici nel caso in cui, invece, a fronte della notifica dell’invito, non sia stato ancora redatto l’atto di adesione e risulti, invece, fissato il contraddittorio in una data compresa tra l’1/1/2003 ed il 17/3/2003, ovvero sia in corso il contraddittorio stesso?

R. Ai sensi dell’articolo 15, comma 8, è disposta la sospensione dei termini, dall’entrata in vigore della legge n. 289 fino al 18 marzo 2003, per il perfezionamento della definizione di cui al decreto legislativo n. 218 del 1997. Poiché l’accertamento con adesione del contribuente si perfeziona con il versamento delle somme dovute entro i venti giorni successivi alla stipula dell’atto di adesione di cui all’articolo 7 del riferito decreto n. 218, è evidente che la sospensione dei termini riguarda detto lasso di tempo, ed opera fino alla data del 18 marzo 2003. In tale arco temporale il contribuente può scegliere di definire l’invito al contraddittorio ai sensi dell’art. 15.

10.7 Perfezionamento dell’invito al contraddittorio

D. Ho sottoscritto l’atto di definizione derivante da un accertamento con adesione e non ho provveduto ancora a versare le relative somme. Posso accedere alla definizione di cui all’articolo 15 della legge 289 del 2002?

R. L’art.15, comma 1, della legge n. 289 del 2002, prevede la definizione degli inviti al contraddittorio di cui agli articoli 5 e 11 del decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218, per i quali non è ancora intervenuta la definizione, alla data di entrata in vigore della presente legge.

Come precisato nella circolare n. 3 del 2003, per definizione degli inviti al contraddittorio deve intendersi il perfezionamento dell’atto di adesione. Quest’ultimo, a norma dell’articolo 9 del citato d.lgs. 218 del 1997, avviene con il versamento delle somme dovute ovvero con il versamento della prima rata e la presentazione della garanzia.

In particolare, il versamento unico o della prima rata – nell’ipotesi di pagamento rateale – deve essere effettuato entro 20 giorni dalla redazione dell’atto di adesione.

Pertanto, qualora un contribuente, che ha sottoscritto un atto di adesione, non abbia versato le relative imposte alla data di entrata in vigore della legge finanziaria per il 2003 può accedere alla definizione di cui all’articolo 15 sulla base del contenuto dell’invito al contraddittorio a suo tempo ricevuto.

6 ARTICOLO 10 – PROROGA DI TERMINI

6.1 Proroga dei termini di accertamento.

D. Per evitare, con riguardo a tutti i periodi d’imposta potenzialmente interessati dalle sanatorie, gli effetti di cui all’art. 10 della legge n. 289 del 2002 è sufficiente aderire ad uno dei provvedimenti di cui all’art. 7 o 8 per un singolo periodo d’imposta?

R. Come chiarito al punto 5 della circolare n. 3/E del 2003, considerato che il contribuente può scegliere di definire, ai sensi degli articoli 7 e 8, anche singole annualità e singole imposte, la proroga dei termini per l’accertamento, di cui agli articoli 43 del DPR n. 600 del 1973 e 57 del DPR n. 633 del 1972, opera per le imposte e le annualità non oggetto di definizione.

6.2 Annualità prescritte

D. Si chiede conferma, ai fini di una eventuale valutazione della definizione dell’annualità 1997, se lo stesso anno ai fini dell’IVA risulta comunque “prescritto” al 1 gennaio 2003, visto che l’art.10 della Finanziaria non prevede (come hanno sempre disposto i provvedimenti di proroga dei termini di accertamento) che i periodi di imposta per cui al 31.12.2002 risultano in scadenza i termini di decadenza dell’azione di accertamento, sono prorogati di un anno. La norma, entrata in vigore al 1 gennaio 2003, dispone semplicemente, infatti, la proroga di un anno dei termini di accertamento per coloro che non si avvalgono delle tre sanatorie di cui agli artt. 7, 8 e 9 della Finanziaria 2003.

R. Sì, la Circolare ha fornito chiarimenti in ordine alla proroga dei termini per l’accertamento in materia di IVA al paragrafo 5, individuando come primo anno oggetto di definizione o integrazione il 1998 ovvero il 1997 in caso di omissione della dichiarazione.

6.3 Dichiarazioni tardive

D. La norma afferma che risultano definibili i periodi per cui le dichiarazioni sono state presentate entro il 31.10.2002. si è dell’avviso che – come possono risultare oggetto di definizione anche dichiarazioni tardive ma valide relative alle annualità precedenti al 2001- anche le dichiarazioni tardive – relative all’annualità 2001 – presentate nei 90 gg. successivi al 31.10.2002 possono essere oggetto di definizione. si conferma tale impostazione?

R. No, poiché il termine del 31/10/2002, indicato dal legislatore ai fini dell’individuazione delle annualità d’imposta suscettibili di definizione ai sensi dell’art. 7 della legge 289/02, è da intendersi perentorio. anche la circolare n. 3/e del 2003 al paragrafo 4 testualmente riporta “i contribuenti interessati possono singolarmente definire le annualità dal 1997 al 2001 per le quali le prescritte dichiarazioni sono state presentate entro il 31 ottobre 2002”.

7 ARTICOLO 11 – DEFINIZIONE AI FINI DELL’IMPOSTA DI REGISTRO ED ALTRI TRIBUTI INDIRETTI

7.1 Notifica di avviso di rettifica

D. Si chiede conferma se la notifica di un avviso di rettifica tra il 1 gennaio 2003 e il giorno di presentazione dell’istanza di sanatoria impedisce il condono.

R. Il dubbio è sorto perché in qualche articolo apparso su giornali specializzati era stata prospettata questa soluzione ma nella circolare 3 E dell’Agenzia delle Entrate è stato precisato che Condizione per accedere alla definizione agevolata è “…che non sia stato precedentemente notificato avviso di rettifica e liquidazione della maggiore imposta”.

Il termine “precedentemente”, utilizzato per fissare il limite per usufruire del regime di favore, è da individuare nella data del 1 gennaio 2003 – entrata in vigore della legge in commento (articolo 95, comma 3) – poiché nell’ipotesi in cui l’avviso di rettifica e liquidazione sia stato notificato prima di tale data si applica la definizione prevista dall’articolo 15 della legge finanziaria (cfr. paragrafo …). Del resto, un diverso significato del termine “precedentemente”, che lo riferisse alla data di presentazione dell’istanza del contribuente (entro il 16 marzo 2003), comporterebbe che gli atti per i quali l’avviso di accertamento fosse notificato prima di quest’ultima data, ma dopo l’entrata in vigore della legge in commento (1 gennaio 2003) sarebbero esclusi dalla definizione agevolata stabilita dall’articolo 11, comma 1, nonchè dalla definizione degli accertamenti prevista dal successivo articolo 15, della legge finanziaria 2003, che tra l’altro regola la definizione agevolata degli avvisi di accertamento notificati prima dell’entrata in vigore della presente legge e per i quali alla stessa data “… non sono ancora spirati i termini per la proposizione del ricorso…”. Quest’ultima interpretazione, quindi, potrebbe ingenerare un sospetto di incostituzionalità della norma.

7.2 Oggetto della definizione

D. Se un atto sia stato registrato con l’applicazione di un’aliquota inferiore a quella che l’Ufficio potrebbe accertare in futuro (si pensi all’aliquota 1 per cento applicata per la cessione di un’area edificabile, agevolazione che l’ufficio in futuro possa disconoscere pretendendo l’applicazione dell’aliquota dell’11 per cento), si può sanare la pratica integrando del 25 per cento il versamento effettuato in sede principale ?

R. A tale quesito deve essere data risposta negativa.

Nella circolare è precisato che il comma 1 consente al contribuente, che presenti apposita istanza entro il 16 marzo 2003, di definire, con l’aumento del 25 per cento, i valori nonchè gli incrementi di valore, dei beni, assoggettabili a procedimento di valutazione, dichiarati negli atti ovvero nelle denunce o dichiarazioni.

L’espresso riferimento della norma ai valori dichiarati e agli incrementi di valore esclude che la definizione agevolata possa riguardare le ipotesi di applicazione di agevolazioni e di decadenza dalle stesse.

8 ARTICOLO 12 – DEFINIZIONE DEI CARICHI DI RUOLI PREGRESSI

8.1 Ruoli pregressi e sanatoria delle controversie.

D. In tema di definizione dei ruoli pregressi si chiede se la sanatoria sia possibile anche in pendenza di una controversia relativa ad un ruolo affidato al concessionario del servizio nazionale di riscossione entro il 30 giugno 1999, come nel caso delle impugnazioni di cartelle esattoriali o di ruoli emessi a titolo di iscrizione provvisoria.

R. L’articolo 12 della legge finanziaria consente di definire tutte le tipologie dei ruoli affidati al concessionario del servizio di riscossione fino al 30 giugno 1999. Per quanto concerne l’ambito di applicazione della definizione in argomento, come precisato nella circolare n. 3/E del 15 gennaio 2003, la stessa concerne tutte le tipologie di ruoli, compresi quindi, a titolo di esempio, quelli emessi a seguito di liquidazione delle imposte ai sensi dell’articolo 36-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, quelli emessi a seguito di controllo formale delle dichiarazioni ex articolo 36-ter del medesimo decreto, quelli emessi a seguito di liquidazione dell’IVA ai sensi dell’articolo 54-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, nonchè quelli emessi a titolo provvisorio in pendenza di giudizio.

8.2 Definizione ruoli pregressi – identificazione.

D. Qualora il debitore moroso non riceva, entro il 31.01.2003, l’invito del concessionario della riscossione, come può verificare se il proprio debito rientri oppure no nella previsione agevolativa dell’articolo 12?

R. Il comma 2 dell’articolo in questione prevede l’invio da parte dei concessionari dell’invito ad avvalersi dei benefici indicati dall’articolo 12 per i ruoli consegnati nel periodo compreso tra il 1 gennaio 1997 e il 30 giugno 1999.

Tuttavia, qualora il predetto invito non dovesse pervenire al contribuente, lo stesso può rivolgersi al concessionario, anche telefonicamente, per ottenere le informazioni necessarie ai fini dell’eventuale definizione del ruolo, in analogia a quanto chiarito nella circolare n. 3/E al punto 7.2.2 per i ruoli affidati anteriormente al 1 gennaio 1997.

9 ARTICOLO 14 – REGOLARIZZAZIONE DELLE SCRITTURE CONTABILI

9.1 Regolarizzazione delle scritture contabili

D. E’ ammessa la regolarizzazione delle scritture contabili per i contribuenti in contabilità semplificata o che fruiscono di regimi contabili minori?

R. Come precisato nel paragrafo 8.2 della circolare n. 3 il comma 2 dell’articolo 14 della legge finanziaria prevede che la regolarizzazione delle scritture contabili deve essere effettuata nell’inventario, nel rendiconto, ovvero nel bilancio. Tale norma è evidentemente rivolta ai contribuenti tenuti alla redazione di tali documenti. Nulla vieta, tuttavia, che i contribuenti in contabilità semplificata possano apportare, solo ai fini fiscali e nelle scritture tenute ai sensi dell’artico 18 del DPR 600/73, le variazioni conseguenti agli elementi attivi e passivi indicati nel prospetto per evidenziare i valori fiscali correnti.

Anche la regolarizzazione contabile di cui al comma 5 dell’articolo 14 è rivolta ai contribuenti tenuti alla redazione dell’inventario, del rendiconto, ovvero del bilancio. Di conseguenza, i contribuenti in contabilità semplificata che tengono esclusivamente le scritture di cui all’articolo 18 del DPR 600/73 non possono avvalersi delle disposizioni di cui al comma 5 dell’articolo 14 per ottenere il riconoscimento fiscale delle attività in precedenza non annotate nelle scritture contabili.

9.2 Regolarizzazione delle scritture

D. Una società non ha dichiarato redditi pari a 100 incassati e di competenza di un periodo d’imposta coperto dalle sanatorie. Se dovesse avvalersi, alternativamente, delle disposizioni di cui all’articolo 8 o 9 della legge 289/2002, qualora volesse regolarizzare le scritture come potrebbe effettuare tale operazione?

Si consideri che in tale situazione le somme correlate al reddito prodotte potrebbero anche, in tutto o in parte, non essere più nelle disponibilità della società.

R. In via preliminare, si ricorda che la regolarizzazione delle scritture contabili riguarda i casi in cui, in un determinato periodo d’imposta oggetto di dichiarazione integrativa, il contribuente abbia omesso di registrare in contabilità, o abbia registrato irregolarmente, un’operazione i cui effetti si riflettono ancora sul bilancio o rendiconto relativo all’esercizio chiuso al 31 dicembre 2002 o in corso a tale data. Se gli effetti dell’operazione si riflettono ancora sul bilancio di cui sopra, la regolarizzazione contabile connessa al maggior reddito dichiarato nell’esempio pari a 100 potrà essere eseguita alternativamente con le seguenti modalità.

Nell’esempio proposto per sanare ai sensi dell’articolo 8 l’omessa dichiarazione di ricavi pari a 100 il contribuente dovrà evidenziare nel prospetto il credito correlato al ricavo omesso, nell’ammontare esistente alla data del 31.12.2001, e conseguentemente iscriverlo in contabilità tenendo conto dell’importo ancora esistente all’inizio dell’esercizio che forma oggetto di regolarizzazione. Per i soggetti con esercizio coincidente con l’anno solare le rettifiche devono essere apportate alla situazione patrimoniale al 1 gennaio 2002.

Nel caso di definizione automatica ai sensi dell’articolo 9 il contribuente può iscrivere direttamente in contabilità il credito in precedenza omesso, nei limiti dell’importo ancora esistente all’inizio dell’esercizio che forma oggetto di regolarizzazione. In tal caso è dovuta l’imposta sostitutiva del 13 per cento sul valore iscritto.

9.3 Contabilità semplificata e scritture da regolarizzare

D. E’ possibile per un’impresa in contabilità semplificata avvalersi delle disposizioni in tema di regolarizzazione delle scritture contabili? Se ciò non fosse possibile la conseguenza sarebbe quella per questi tipi di soggetti di non poter ottenere nel caso di redditi o attività estere la piena non punibilità a causa delle disposizioni di cui al comma 7 dell’art. 8 e comma 10, lett. c dell’art.9?

R. Il comma 4 dell’articolo 14 prevede che la regolarizzazione contabile delle attività detenute all’estero deve essere effettuata nell’inventario, rendiconto, o bilancio, e deve avvenire nel rispetto dei principi civilistici di redazione del bilancio.

Anche questa norma è evidentemente rivolta ai soli contribuenti tenuti alla redazione di tali documenti.

I contribuenti in contabilità semplificata, che tengono solo le scritture previste dall’art. 18 del DPR n. 600 del 1973, per poter ottenere la non applicabilità delle sanzioni sul monitoraggio fiscale, potranno far emergere l’attività finanziaria detenuta all’estero avvalendosi esclusivamente delle disposizioni sullo scudo fiscale di cui all’articolo 20, ricorrendo le condizioni ivi previste.

9.4 Riconoscimento di nuovi elementi attivi e passivi

D. Pare evidente che il riconoscimento ai fini fiscali dei nuovi elementi attivi e passivi indicati nel prospetto ai sensi dell’articolo 14, comma 1, della legge n. 289/02 sia condizionato alla regolarizzazione delle scritture contabili. Come fare quindi per i costi e le spese la cui deducibilità potrebbe essere rinviata ai futuri esercizi ma che non hanno una contropartita nello stato patrimoniale? Esempio se l’integrazione pari a 1500 effettuata per l’anno 2001 viene qualificata come spese di rappresentanza potrebbe essere deducibile una quota di 100 negli anni dal 2002 al 2005?

I soggetti in contabilità semplificata hanno qualche possibilità di recuperare costi deducibili regolarizzati con la dichiarazione integrativa?

R. Come evidenziato nel paragrafo 8.1 della circolare n. 3E, il riconoscimento fiscale dei nuovi elementi attivi e passivi correlati all’imponibile oggetto di integrazione deriva dalla loro evidenziazione nel prospetto ed opera per tutti i contribuenti indipendentemente dal regime contabile adottato e dalla regolarizzazione delle scritture contabili.

Nell’esempio, la deduzione delle ulteriori quote delle spese di rappresentanza negli anni dal 2002 al 2005 sarà operata extra-contabilmente attraverso variazioni in diminuzione nella dichiarazione dei redditi. Si precisa che il riconoscimento fiscale di nuovi o maggiori costi è comunque subordinato alla indicazione nella dichiarazione integrativa anche dei maggiori ricavi ad essi correlati in modo tale che emerga in ogni caso un maggior imponibile o una minore perdita.

9.5 Eliminazione di attività e passività fittizie

D. Si ritiene che la regolarizzazione delle scritture contabili sia assistita dalla disapplicazione delle sanzioni amministrative e penali prevista nelle singole disposizioni relative alle dichiarazioni integrative. In presenza di integrativa semplice (articolo 8) la disapplicazione delle sanzioni è rapportata all’ammontare indicato nella dichiarazione medesima maggiorato del 100%.

Tuttavia nell’ipotesi dell’eliminazione di attività e passività fittizie esse possono essere di ammontare molto superiore ai valori contenuti nella dichiarazione integrativa; in questo caso come si applica l’esclusione dalle sanzioni?

R. Ai sensi dell’articolo 8, comma 6, la disapplicazione delle sanzioni amministrative e penali opera limitatamente alle annualità oggetto di integrazione ed ai maggiori imponibili ed alle maggiori ritenute risultanti dalle dichiarazioni integrative aumentati, rispettivamente, del 100 e del 50 per cento per ciascun periodo d’imposta.

Le ulteriori regolarizzazioni contabili effettuate ai sensi del comma 3 dell’articolo 14, consistono nella eliminazione di attività e passività fittizie che, come indicato dalla norma, non ha rilevanza fiscale. Inoltre tali regolarizzazioni non sono collegate alle variazioni di elementi attivi e passivi indicate nel prospetto di cui al comma 1 dell’art. 14, correlati ai maggiori imponibili o minori perdite oggetto di integrazione ai sensi dell’articolo 8.

Le due norme in sostanza operano su piani diversi: l’integrazione degli imponibili ai sensi dell’articolo 8 consente la regolarizzazione fiscale e contabile e si accompagna alla franchigia di cui al comma 6; l’eliminazione di attività e passività fittizie opera sul piano civilistico e non influisce sulla determinazione della franchigia.

Nel caso esposto, quindi, la disapplicazione delle sanzioni amministrative e penali, che potrebbero derivare dall’eliminazione di attività e passività fittizie, opera nei limiti della franchigia determinata ai sensi del comma 6 e solo nel caso in cui l’eliminazione si riferisca a poste iscritte in contabilità in un periodo d’imposta oggetto di dichiarazione integrativa.

9.6 Eliminazione di attività e passività fittizie

D. L’iscrizione di nuovi elementi attivi o la diminuzione di elementi passivi genera l’iscrizione di una riserva nello stato patrimoniale. Si pone il problema di stabilire la natura di tale riserva. Se le variazioni contabili corrispondono a somme interamente tassate (articolo 8) si potrebbe considerarla una riserva di utili tassabile in caso distribuzione mentre l’imposta versata in sede di dichiarazione integrativa confluisce nel basket A. Ma cosa succede se in presenza di tassazione ad esempio di un dividendo pari a 100 viene iscritta un’attività ed una corrispondente riserva pari a 1000?

R. Come indicato nella circolare n. 3E l’iscrizione di nuovi elementi attivi o la diminuzione di elementi passivi, secondo i principi contabili nazionali contabilmente nel bilancio chiuso al 31 dicembre 2002, l’emersione di un corrispondente componente straordinario di conto economico, che concorre alla determinazione dell’utile d’esercizio. Ovviamente tale componente, poichè già sottoposto a tassazione nella relativa dichiarazione integrativa, sarà oggetto di variazione in diminuzione nella dichiarazione dei redditi relativa all’esercizio 2002. L’utile che si è generato è liberamente distribuibile ed è accompagnato dal credito d’imposta nei limiti delle imposte memorizzate nei canestri. A tal proposito, si ricorda che le imposte liquidate ai sensi dell’articolo 8 sono memorizzate nel “canestro A”. Anche se l’iscrizione di nuovi elementi attivi o la diminuzione di elementi passivi è effettuata direttamente tramite l’iscrizione di una riserva di patrimonio netto, come previsto dai principi contabili internazionali, il trattamento fiscale è uguale a quanto sopra descritto.

Si osserva infine che l’esempio proposto non è coerente. Se il contribuente integra il dividendo di 100 può far emergere una corrispondente attività, ad esempio “crediti vs partecipate”, pari a 100.

Se il contribuente intende far emergere contabilmente anche il costo della partecipazione pari a 1000 dovrà evidenziare nel prospetto la correlazione esistente tra la stessa ed i redditi che la hanno generata e che hanno già formato oggetto di regolarizzazione. Diversamente, l’importo dell’attività, per la parte che non è correlata ai redditi regolarizzati, costituisce reddito imponibile da indicare nella dichiarazione integrativa del periodo d’imposta di emersione. Nell’esempio il contribuente che intende iscrivere la partecipazione dovrà integrare l’imponibile di ulteriori 1000, oppure di 900 nel caso in cui il dividendo di 100 sia stato percepito ed impiegato per acquisire un’ulteriore quota di partecipazione.

9.7 Rilevanza ai fini DIT

D. Le riserve formatesi per attività iscritte a seguito delle regolarizzazioni contabili sono rilevanti ai fini della DIT?

R. A seguito delle modifiche normative recate all’agevolazione DIT dall’articolo 5 della legge 18 ottobre 2001 n. 383, la base di riferimento per il calcolo dell’agevolazione è costituita esclusivamente dagli incrementi patrimoniali, conferimenti in denaro ed accantonamenti di utili a riserva, effettuati entro il 30 giugno 2001.

La regolarizzazione contabile disciplinata dall’articolo 14 si effettua nel bilancio chiuso al 31 dicembre 2002. Quindi, solo in sede di approvazione di tale bilancio si possono considerare formate le riserve emerse, direttamente o indirettamente, a seguito delle regolarizzazioni contabili. Di conseguenza si tratta di incrementi patrimoniali realizzati dopo il 30 giugno 2001 che non possono rilevare ai fini DIT.

9.8 Trattamento delle riserve assoggettate ad imposta sostitutiva

D. Quale natura hanno e qual è il regime applicabile alle riserve iscritte a fronte di attività regolarizzate assolvendo l’imposta sostitutiva del 13% (articolo 14, commi 5 e 6) ?

R. Riguardo alla natura e al trattamento fiscale di tali riserve si rimanda a quanto precisato nella precedente risposta. Si precisa, tuttavia, che l’imposta del 13 per cento, in quanto sostitutiva anche dell’IRAP e in mancanza di specifica previsione normativa, non affluisce ai canestri.

10 ARTICOLO 15 – DEFINIZIONE DEGLI ACCERTAMENTI, DEGLI INVITI AL CONTRADDITTORIO E DEI PVC

10.1 Esclusione dal contraddittorio

D. L’art. 15 della legge finanziaria per il 2003, nel prevedere la possibilità di definire gli inviti al contraddittorio di cui al decreto legislativo n. 218 del 1997, fa riferimento all’art. 5 del predetto decreto legislativo, che tratta dell’ipotesi di attivazione diretta dell’ufficio nei confronti del contribuente, e non anche all’art. 6 dello stesso provvedimento, nel quale si disciplina la fattispecie in cui l’invito è effettuato dall’ufficio in seguito alla richiesta del contribuente. Si chiede se tale riferimento parziale precluda la definizione di inviti al contraddittorio innescati da richieste dei contribuenti.

R. Gli articoli 5 e 6 del decreto legislativo n. 218 del 1997 disciplinano entrambi l’avvio del procedimento volto alla definizione dell’accertamento con adesione. In particolare l’art. 5 tratta dell’avvio d’ufficio, mentre l’art. 6 riguarda l’avvio ad istanza del contribuente.

L’articolo 15 della legge finanziaria richiama l’invito di cui agli articoli 5 e 11 del d.lgs. n. 218 del 1997, che abbia un contenuto di riferimento. Se tale contenuto manca, l’invito non rileva ai fini dell’articolo 15.

L’articolo 6 tratta di un invito proposto dal contribuente che fa seguito a: 1) notifica di un avviso di accertamento; 2) notifica di un processo verbale di constatazione.

Poichè l’invito di cui all’articolo 6 non rileva ai fini dell’applicazione dell’articolo 15, si precisa che la procedura di definizione prevista da tale articolo potrà trovare applicazione relativamente all’avviso di accertamento ovvero al processo verbale di constatazione cui si riferisce l’invito al contraddittorio.

10.2 Inviti al contraddittorio sulle liti potenziali

D. L’art. 15 della legge finanziaria per il 2003 prevede la possibilità di definire gli inviti al contraddittorio di cui agli artt. 5 e 11 del decreto legislativo n. 218 del 1997, per i quali, alla data di entrata in vigore della legge, non è ancora intervenuta la definizione. Si chiede di conoscere il momento in cui tale definizione si considera avvenuta; in particolare se ci si deve riferire alla firma dell’atto di adesione o al perfezionamento dello stesso che avviene con il pagamento delle somme concordate.

R. Come precisato nella circolare n. 3 del 15 gennaio 2003, al paragrafo 9.1.2, per “definizione degli inviti al contraddittorio” deve intendersi il perfezionamento dell’atto di adesione, che avviene con il versamento delle somme dovute, ai sensi dell’art. 9 del decreto legislativo n. 218 del 1997.

Pertanto, il contribuente che ha firmato l’atto di adesione, ma che alla data di entrata in vigore della legge finanziaria per il 2003 (1 gennaio 2003) non ha ancora versato le somme dovute ai fini del perfezionamento dell’atto stesso, può beneficiare della definizione dell’invito al contraddittorio ai sensi dell’art 15 della predetta legge finanziaria.

10.3 Processi verbali per violazioni non sostanziali

D. Si chiede con quali modalità possono essere definiti i processi verbali di constatazione notificati entro il 1 gennaio 2003, contenenti solo rilievi sanzionatori (ad es. irregolarità in materia di tenuta delle scritture contabili, di emissione di scontrini e ricevute fiscali). In particolare si chiede se sia corretto ritenere che, in assenza di imponibile, non possano essere oggetto di definizione ex art. 15, ma che restino assorbiti da un’eventuale integrazione ex art. 8 della legge finanziaria per il 2003.

R. Come si desume dalla circolare n. 3 del 15 gennaio 2003, ai paragrafi 2.6.1 e 9.3, la definizione prevista dall’art. 15 della legge finanziaria del 2003 non è possibile con riferimento ai processi verbali dai quali emerge la constatazione della violazione di una norma tributaria comportante l’applicazione della sola sanzione. I processi verbali di constatazione definibili ai sensi dell’art 15, infatti, sono solo quelli con esito positivo che contengono rilievi sostanziali e la cui notifica entro il 1 gennaio 2003 preclude la definizione ai sensi degli artt. 7, 8 e 9 della predetta legge finanziaria. Si ritiene, inoltre, che i processi verbali di constatazione contenenti solo rilievi sanzionatori restano assorbiti da un’eventuale integrazione degli imponibili ai degli articoli 7 e 9 e anche dell’8, ma in quest’ultimo caso solo se connessi con le operazioni che hanno dato luogo ai maggiori imponibili indicati nella dichiarazione integrativa.

10.4 Liti potenziali – definizione parziale (art. 15)

D. E’ consentito definire solo parzialmente un processo verbale di constatazione, limitatamente cioè ad una annualità, oppure ad un tributo, od ancora a singoli rilievi (tralasciando, dunque, quelli che appaiono infondati), oppure la definizione deve riguardare l’atto nel suo complesso?

R. La circolare n. 3/E del 15 gennaio 2003 ha precisato che ai fini della definizione ai sensi dell’articolo 15 la norma deve intendersi riferita non al processo verbale nel suo insieme bensì ai singoli rilievi in esso contenuti, e. pertanto la definizione può riguardare anche una singola annualità e una singola imposta e non necessariamente tutte le annualità e tutte le imposte interessate dai rilievi contenuti nel verbale.

10.5 Definizione liti potenziali – calcolo dell’Iva.

D. Come deve essere calcolata la somma da versare per definire, nell’ambito di un processo verbale, i rilievi di indebita detrazione agli effetti dell’Iva, oppure di errata applicazione del pro-rata ai fini della stessa imposta?

R. Come precisato nella circolare n. 3/E, in caso che nel processo verbale sia constatata un’indebita detrazione IVA, ovvero l’errata applicazione del pro rata è possibile la definizione ai sensi dell’articolo 15, comma 4, lett. b) versando un importo pari alla metà dell’imposta illegittimamente detratta.

10.6 Definizione liti potenziali – contraddittorio in corso.

D. Ai sensi del comma 8, sono sospesi fino al 18 marzo i termini per il perfezionamento della definizione di cui al d.lgs. n. 218/97, relativamente agli inviti al contraddittorio notificati entro il 31/12/2002.

La previsione sembra riguardare la fattispecie dell’avvenuta sottoscrizione dell’atto di adesione, in relazione al quale viene differito il termine per il pagamento ex art. 8, d.lgs. citato. Come dovranno comportarsi i contribuenti e gli uffici nel caso in cui, invece, a fronte della notifica dell’invito, non sia stato ancora redatto l’atto di adesione e risulti, invece, fissato il contraddittorio in una data compresa tra l’1/1/2003 ed il 17/3/2003, ovvero sia in corso il contraddittorio stesso?

R. Ai sensi dell’articolo 15, comma 8, è disposta la sospensione dei termini, dall’entrata in vigore della legge n. 289 fino al 18 marzo 2003, per il perfezionamento della definizione di cui al decreto legislativo n. 218 del 1997. Poiché l’accertamento con adesione del contribuente si perfeziona con il versamento delle somme dovute entro i venti giorni successivi alla stipula dell’atto di adesione di cui all’articolo 7 del riferito decreto n. 218, è evidente che la sospensione dei termini riguarda detto lasso di tempo, ed opera fino alla data del 18 marzo 2003. In tale arco temporale il contribuente può scegliere di definire l’invito al contraddittorio ai sensi dell’art. 15.

10.7 Perfezionamento dell’invito al contraddittorio

D. Ho sottoscritto l’atto di definizione derivante da un accertamento con adesione e non ho provveduto ancora a versare le relative somme. Posso accedere alla definizione di cui all’articolo 15 della legge 289 del 2002?

R. L’art.15, comma 1, della legge n. 289 del 2002, prevede la definizione degli inviti al contraddittorio di cui agli articoli 5 e 11 del decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218, per i quali non è ancora intervenuta la definizione, alla data di entrata in vigore della presente legge.

Come precisato nella circolare n. 3 del 2003, per definizione degli inviti al contraddittorio deve intendersi il perfezionamento dell’atto di adesione. Quest’ultimo, a norma dell’articolo 9 del citato d.lgs. 218 del 1997, avviene con il versamento delle somme dovute ovvero con il versamento della prima rata e la presentazione della garanzia.

In particolare, il versamento unico o della prima rata – nell’ipotesi di pagamento rateale – deve essere effettuato entro 20 giorni dalla redazione dell’atto di adesione.

Pertanto, qualora un contribuente, che ha sottoscritto un atto di adesione, non abbia versato le relative imposte alla data di entrata in vigore della legge finanziaria per il 2003 può accedere alla definizione di cui all’articolo 15 sulla base del contenuto dell’invito al contraddittorio a suo tempo ricevuto.

6 ARTICOLO 10 – PROROGA DI TERMINI

6.1 Proroga dei termini di accertamento.

D. Per evitare, con riguardo a tutti i periodi d’imposta potenzialmente interessati dalle sanatorie, gli effetti di cui all’art. 10 della legge n. 289 del 2002 è sufficiente aderire ad uno dei provvedimenti di cui all’art. 7 o 8 per un singolo periodo d’imposta?

R. Come chiarito al punto 5 della circolare n. 3/E del 2003, considerato che il contribuente può scegliere di definire, ai sensi degli articoli 7 e 8, anche singole annualità e singole imposte, la proroga dei termini per l’accertamento, di cui agli articoli 43 del DPR n. 600 del 1973 e 57 del DPR n. 633 del 1972, opera per le imposte e le annualità non oggetto di definizione.

6.2 Annualità prescritte

D. Si chiede conferma, ai fini di una eventuale valutazione della definizione dell’annualità 1997, se lo stesso anno ai fini dell’IVA risulta comunque “prescritto” al 1 gennaio 2003, visto che l’art.10 della Finanziaria non prevede (come hanno sempre disposto i provvedimenti di proroga dei termini di accertamento) che i periodi di imposta per cui al 31.12.2002 risultano in scadenza i termini di decadenza dell’azione di accertamento, sono prorogati di un anno. La norma, entrata in vigore al 1 gennaio 2003, dispone semplicemente, infatti, la proroga di un anno dei termini di accertamento per coloro che non si avvalgono delle tre sanatorie di cui agli artt. 7, 8 e 9 della Finanziaria 2003.

R. Sì, la Circolare ha fornito chiarimenti in ordine alla proroga dei termini per l’accertamento in materia di IVA al paragrafo 5, individuando come primo anno oggetto di definizione o integrazione il 1998 ovvero il 1997 in caso di omissione della dichiarazione.

6.3 Dichiarazioni tardive

D. La norma afferma che risultano definibili i periodi per cui le dichiarazioni sono state presentate entro il 31.10.2002. si è dell’avviso che – come possono risultare oggetto di definizione anche dichiarazioni tardive ma valide relative alle annualità precedenti al 2001- anche le dichiarazioni tardive – relative all’annualità 2001 – presentate nei 90 gg. successivi al 31.10.2002 possono essere oggetto di definizione. si conferma tale impostazione?

R. No, poiché il termine del 31/10/2002, indicato dal legislatore ai fini dell’individuazione delle annualità d’imposta suscettibili di definizione ai sensi dell’art. 7 della legge 289/02, è da intendersi perentorio. anche la circolare n. 3/e del 2003 al paragrafo 4 testualmente riporta “i contribuenti interessati possono singolarmente definire le annualità dal 1997 al 2001 per le quali le prescritte dichiarazioni sono state presentate entro il 31 ottobre 2002”.

7 ARTICOLO 11 – DEFINIZIONE AI FINI DELL’IMPOSTA DI REGISTRO ED ALTRI TRIBUTI INDIRETTI

7.1 Notifica di avviso di rettifica

D. Si chiede conferma se la notifica di un avviso di rettifica tra il 1 gennaio 2003 e il giorno di presentazione dell’istanza di sanatoria impedisce il condono.

R. Il dubbio è sorto perché in qualche articolo apparso su giornali specializzati era stata prospettata questa soluzione ma nella circolare 3 E dell’Agenzia delle Entrate è stato precisato che Condizione per accedere alla definizione agevolata è “…che non sia stato precedentemente notificato avviso di rettifica e liquidazione della maggiore imposta”.

Il termine “precedentemente”, utilizzato per fissare il limite per usufruire del regime di favore, è da individuare nella data del 1 gennaio 2003 – entrata in vigore della legge in commento (articolo 95, comma 3) – poiché nell’ipotesi in cui l’avviso di rettifica e liquidazione sia stato notificato prima di tale data si applica la definizione prevista dall’articolo 15 della legge finanziaria (cfr. paragrafo …). Del resto, un diverso significato del termine “precedentemente”, che lo riferisse alla data di presentazione dell’istanza del contribuente (entro il 16 marzo 2003), comporterebbe che gli atti per i quali l’avviso di accertamento fosse notificato prima di quest’ultima data, ma dopo l’entrata in vigore della legge in commento (1 gennaio 2003) sarebbero esclusi dalla definizione agevolata stabilita dall’articolo 11, comma 1, nonchè dalla definizione degli accertamenti prevista dal successivo articolo 15, della legge finanziaria 2003, che tra l’altro regola la definizione agevolata degli avvisi di accertamento notificati prima dell’entrata in vigore della presente legge e per i quali alla stessa data “… non sono ancora spirati i termini per la proposizione del ricorso…”. Quest’ultima interpretazione, quindi, potrebbe ingenerare un sospetto di incostituzionalità della norma.

7.2 Oggetto della definizione

D. Se un atto sia stato registrato con l’applicazione di un’aliquota inferiore a quella che l’Ufficio potrebbe accertare in futuro (si pensi all’aliquota 1 per cento applicata per la cessione di un’area edificabile, agevolazione che l’ufficio in futuro possa disconoscere pretendendo l’applicazione dell’aliquota dell’11 per cento), si può sanare la pratica integrando del 25 per cento il versamento effettuato in sede principale ?

R. A tale quesito deve essere data risposta negativa.

Nella circolare è precisato che il comma 1 consente al contribuente, che presenti apposita istanza entro il 16 marzo 2003, di definire, con l’aumento del 25 per cento, i valori nonchè gli incrementi di valore, dei beni, assoggettabili a procedimento di valutazione, dichiarati negli atti ovvero nelle denunce o dichiarazioni.

L’espresso riferimento della norma ai valori dichiarati e agli incrementi di valore esclude che la definizione agevolata possa riguardare le ipotesi di applicazione di agevolazioni e di decadenza dalle stesse.

8 ARTICOLO 12 – DEFINIZIONE DEI CARICHI DI RUOLI PREGRESSI

8.1 Ruoli pregressi e sanatoria delle controversie.

D. In tema di definizione dei ruoli pregressi si chiede se la sanatoria sia possibile anche in pendenza di una controversia relativa ad un ruolo affidato al concessionario del servizio nazionale di riscossione entro il 30 giugno 1999, come nel caso delle impugnazioni di cartelle esattoriali o di ruoli emessi a titolo di iscrizione provvisoria.

R. L’articolo 12 della legge finanziaria consente di definire tutte le tipologie dei ruoli affidati al concessionario del servizio di riscossione fino al 30 giugno 1999. Per quanto concerne l’ambito di applicazione della definizione in argomento, come precisato nella circolare n. 3/E del 15 gennaio 2003, la stessa concerne tutte le tipologie di ruoli, compresi quindi, a titolo di esempio, quelli emessi a seguito di liquidazione delle imposte ai sensi dell’articolo 36-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, quelli emessi a seguito di controllo formale delle dichiarazioni ex articolo 36-ter del medesimo decreto, quelli emessi a seguito di liquidazione dell’IVA ai sensi dell’articolo 54-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, nonchè quelli emessi a titolo provvisorio in pendenza di giudizio.

8.2 Definizione ruoli pregressi – identificazione.

D. Qualora il debitore moroso non riceva, entro il 31.01.2003, l’invito del concessionario della riscossione, come può verificare se il proprio debito rientri oppure no nella previsione agevolativa dell’articolo 12?

R. Il comma 2 dell’articolo in questione prevede l’invio da parte dei concessionari dell’invito ad avvalersi dei benefici indicati dall’articolo 12 per i ruoli consegnati nel periodo compreso tra il 1 gennaio 1997 e il 30 giugno 1999.

Tuttavia, qualora il predetto invito non dovesse pervenire al contribuente, lo stesso può rivolgersi al concessionario, anche telefonicamente, per ottenere le informazioni necessarie ai fini dell’eventuale definizione del ruolo, in analogia a quanto chiarito nella circolare n. 3/E al punto 7.2.2 per i ruoli affidati anteriormente al 1 gennaio 1997.

9 ARTICOLO 14 – REGOLARIZZAZIONE DELLE SCRITTURE CONTABILI

9.1 Regolarizzazione delle scritture contabili

D. E’ ammessa la regolarizzazione delle scritture contabili per i contribuenti in contabilità semplificata o che fruiscono di regimi contabili minori?

R. Come precisato nel paragrafo 8.2 della circolare n. 3 il comma 2 dell’articolo 14 della legge finanziaria prevede che la regolarizzazione delle scritture contabili deve essere effettuata nell’inventario, nel rendiconto, ovvero nel bilancio. Tale norma è evidentemente rivolta ai contribuenti tenuti alla redazione di tali documenti. Nulla vieta, tuttavia, che i contribuenti in contabilità semplificata possano apportare, solo ai fini fiscali e nelle scritture tenute ai sensi dell’artico 18 del DPR 600/73, le variazioni conseguenti agli elementi attivi e passivi indicati nel prospetto per evidenziare i valori fiscali correnti.

Anche la regolarizzazione contabile di cui al comma 5 dell’articolo 14 è rivolta ai contribuenti tenuti alla redazione dell’inventario, del rendiconto, ovvero del bilancio. Di conseguenza, i contribuenti in contabilità semplificata che tengono esclusivamente le scritture di cui all’articolo 18 del DPR 600/73 non possono avvalersi delle disposizioni di cui al comma 5 dell’articolo 14 per ottenere il riconoscimento fiscale delle attività in precedenza non annotate nelle scritture contabili.

9.2 Regolarizzazione delle scritture

D. Una società non ha dichiarato redditi pari a 100 incassati e di competenza di un periodo d’imposta coperto dalle sanatorie. Se dovesse avvalersi, alternativamente, delle disposizioni di cui all’articolo 8 o 9 della legge 289/2002, qualora volesse regolarizzare le scritture come potrebbe effettuare tale operazione?

Si consideri che in tale situazione le somme correlate al reddito prodotte potrebbero anche, in tutto o in parte, non essere più nelle disponibilità della società.

R. In via preliminare, si ricorda che la regolarizzazione delle scritture contabili riguarda i casi in cui, in un determinato periodo d’imposta oggetto di dichiarazione integrativa, il contribuente abbia omesso di registrare in contabilità, o abbia registrato irregolarmente, un’operazione i cui effetti si riflettono ancora sul bilancio o rendiconto relativo all’esercizio chiuso al 31 dicembre 2002 o in corso a tale data. Se gli effetti dell’operazione si riflettono ancora sul bilancio di cui sopra, la regolarizzazione contabile connessa al maggior reddito dichiarato nell’esempio pari a 100 potrà essere eseguita alternativamente con le seguenti modalità.

Nell’esempio proposto per sanare ai sensi dell’articolo 8 l’omessa dichiarazione di ricavi pari a 100 il contribuente dovrà evidenziare nel prospetto il credito correlato al ricavo omesso, nell’ammontare esistente alla data del 31.12.2001, e conseguentemente iscriverlo in contabilità tenendo conto dell’importo ancora esistente all’inizio dell’esercizio che forma oggetto di regolarizzazione. Per i soggetti con esercizio coincidente con l’anno solare le rettifiche devono essere apportate alla situazione patrimoniale al 1 gennaio 2002.

Nel caso di definizione automatica ai sensi dell’articolo 9 il contribuente può iscrivere direttamente in contabilità il credito in precedenza omesso, nei limiti dell’importo ancora esistente all’inizio dell’esercizio che forma oggetto di regolarizzazione. In tal caso è dovuta l’imposta sostitutiva del 13 per cento sul valore iscritto.

9.3 Contabilità semplificata e scritture da regolarizzare

D. E’ possibile per un’impresa in contabilità semplificata avvalersi delle disposizioni in tema di regolarizzazione delle scritture contabili? Se ciò non fosse possibile la conseguenza sarebbe quella per questi tipi di soggetti di non poter ottenere nel caso di redditi o attività estere la piena non punibilità a causa delle disposizioni di cui al comma 7 dell’art. 8 e comma 10, lett. c dell’art.9?

R. Il comma 4 dell’articolo 14 prevede che la regolarizzazione contabile delle attività detenute all’estero deve essere effettuata nell’inventario, rendiconto, o bilancio, e deve avvenire nel rispetto dei principi civilistici di redazione del bilancio.

Anche questa norma è evidentemente rivolta ai soli contribuenti tenuti alla redazione di tali documenti.

I contribuenti in contabilità semplificata, che tengono solo le scritture previste dall’art. 18 del DPR n. 600 del 1973, per poter ottenere la non applicabilità delle sanzioni sul monitoraggio fiscale, potranno far emergere l’attività finanziaria detenuta all’estero avvalendosi esclusivamente delle disposizioni sullo scudo fiscale di cui all’articolo 20, ricorrendo le condizioni ivi previste.

9.4 Riconoscimento di nuovi elementi attivi e passivi

D. Pare evidente che il riconoscimento ai fini fiscali dei nuovi elementi attivi e passivi indicati nel prospetto ai sensi dell’articolo 14, comma 1, della legge n. 289/02 sia condizionato alla regolarizzazione delle scritture contabili. Come fare quindi per i costi e le spese la cui deducibilità potrebbe essere rinviata ai futuri esercizi ma che non hanno una contropartita nello stato patrimoniale? Esempio se l’integrazione pari a 1500 effettuata per l’anno 2001 viene qualificata come spese di rappresentanza potrebbe essere deducibile una quota di 100 negli anni dal 2002 al 2005?

I soggetti in contabilità semplificata hanno qualche possibilità di recuperare costi deducibili regolarizzati con la dichiarazione integrativa?

R. Come evidenziato nel paragrafo 8.1 della circolare n. 3E, il riconoscimento fiscale dei nuovi elementi attivi e passivi correlati all’imponibile oggetto di integrazione deriva dalla loro evidenziazione nel prospetto ed opera per tutti i contribuenti indipendentemente dal regime contabile adottato e dalla regolarizzazione delle scritture contabili.

Nell’esempio, la deduzione delle ulteriori quote delle spese di rappresentanza negli anni dal 2002 al 2005 sarà operata extra-contabilmente attraverso variazioni in diminuzione nella dichiarazione dei redditi. Si precisa che il riconoscimento fiscale di nuovi o maggiori costi è comunque subordinato alla indicazione nella dichiarazione integrativa anche dei maggiori ricavi ad essi correlati in modo tale che emerga in ogni caso un maggior imponibile o una minore perdita.

9.5 Eliminazione di attività e passività fittizie

D. Si ritiene che la regolarizzazione delle scritture contabili sia assistita dalla disapplicazione delle sanzioni amministrative e penali prevista nelle singole disposizioni relative alle dichiarazioni integrative. In presenza di integrativa semplice (articolo 8) la disapplicazione delle sanzioni è rapportata all’ammontare indicato nella dichiarazione medesima maggiorato del 100%.

Tuttavia nell’ipotesi dell’eliminazione di attività e passività fittizie esse possono essere di ammontare molto superiore ai valori contenuti nella dichiarazione integrativa; in questo caso come si applica l’esclusione dalle sanzioni?

R. Ai sensi dell’articolo 8, comma 6, la disapplicazione delle sanzioni amministrative e penali opera limitatamente alle annualità oggetto di integrazione ed ai maggiori imponibili ed alle maggiori ritenute risultanti dalle dichiarazioni integrative aumentati, rispettivamente, del 100 e del 50 per cento per ciascun periodo d’imposta.

Le ulteriori regolarizzazioni contabili effettuate ai sensi del comma 3 dell’articolo 14, consistono nella eliminazione di attività e passività fittizie che, come indicato dalla norma, non ha rilevanza fiscale. Inoltre tali regolarizzazioni non sono collegate alle variazioni di elementi attivi e passivi indicate nel prospetto di cui al comma 1 dell’art. 14, correlati ai maggiori imponibili o minori perdite oggetto di integrazione ai sensi dell’articolo 8.

Le due norme in sostanza operano su piani diversi: l’integrazione degli imponibili ai sensi dell’articolo 8 consente la regolarizzazione fiscale e contabile e si accompagna alla franchigia di cui al comma 6; l’eliminazione di attività e passività fittizie opera sul piano civilistico e non influisce sulla determinazione della franchigia.

Nel caso esposto, quindi, la disapplicazione delle sanzioni amministrative e penali, che potrebbero derivare dall’eliminazione di attività e passività fittizie, opera nei limiti della franchigia determinata ai sensi del comma 6 e solo nel caso in cui l’eliminazione si riferisca a poste iscritte in contabilità in un periodo d’imposta oggetto di dichiarazione integrativa.

9.6 Eliminazione di attività e passività fittizie

D. L’iscrizione di nuovi elementi attivi o la diminuzione di elementi passivi genera l’iscrizione di una riserva nello stato patrimoniale. Si pone il problema di stabilire la natura di tale riserva. Se le variazioni contabili corrispondono a somme interamente tassate (articolo 8) si potrebbe considerarla una riserva di utili tassabile in caso distribuzione mentre l’imposta versata in sede di dichiarazione integrativa confluisce nel basket A. Ma cosa succede se in presenza di tassazione ad esempio di un dividendo pari a 100 viene iscritta un’attività ed una corrispondente riserva pari a 1000?

R. Come indicato nella circolare n. 3E l’iscrizione di nuovi elementi attivi o la diminuzione di elementi passivi, secondo i principi contabili nazionali contabilmente nel bilancio chiuso al 31 dicembre 2002, l’emersione di un corrispondente componente straordinario di conto economico, che concorre alla determinazione dell’utile d’esercizio. Ovviamente tale componente, poichè già sottoposto a tassazione nella relativa dichiarazione integrativa, sarà oggetto di variazione in diminuzione nella dichiarazione dei redditi relativa all’esercizio 2002. L’utile che si è generato è liberamente distribuibile ed è accompagnato dal credito d’imposta nei limiti delle imposte memorizzate nei canestri. A tal proposito, si ricorda che le imposte liquidate ai sensi dell’articolo 8 sono memorizzate nel “canestro A”. Anche se l’iscrizione di nuovi elementi attivi o la diminuzione di elementi passivi è effettuata direttamente tramite l’iscrizione di una riserva di patrimonio netto, come previsto dai principi contabili internazionali, il trattamento fiscale è uguale a quanto sopra descritto.

Si osserva infine che l’esempio proposto non è coerente. Se il contribuente integra il dividendo di 100 può far emergere una corrispondente attività, ad esempio “crediti vs partecipate”, pari a 100.

Se il contribuente intende far emergere contabilmente anche il costo della partecipazione pari a 1000 dovrà evidenziare nel prospetto la correlazione esistente tra la stessa ed i redditi che la hanno generata e che hanno già formato oggetto di regolarizzazione. Diversamente, l’importo dell’attività, per la parte che non è correlata ai redditi regolarizzati, costituisce reddito imponibile da indicare nella dichiarazione integrativa del periodo d’imposta di emersione. Nell’esempio il contribuente che intende iscrivere la partecipazione dovrà integrare l’imponibile di ulteriori 1000, oppure di 900 nel caso in cui il dividendo di 100 sia stato percepito ed impiegato per acquisire un’ulteriore quota di partecipazione.

9.7 Rilevanza ai fini DIT

D. Le riserve formatesi per attività iscritte a seguito delle regolarizzazioni contabili sono rilevanti ai fini della DIT?

R. A seguito delle modifiche normative recate all’agevolazione DIT dall’articolo 5 della legge 18 ottobre 2001 n. 383, la base di riferimento per il calcolo dell’agevolazione è costituita esclusivamente dagli incrementi patrimoniali, conferimenti in denaro ed accantonamenti di utili a riserva, effettuati entro il 30 giugno 2001.

La regolarizzazione contabile disciplinata dall’articolo 14 si effettua nel bilancio chiuso al 31 dicembre 2002. Quindi, solo in sede di approvazione di tale bilancio si possono considerare formate le riserve emerse, direttamente o indirettamente, a seguito delle regolarizzazioni contabili. Di conseguenza si tratta di incrementi patrimoniali realizzati dopo il 30 giugno 2001 che non possono rilevare ai fini DIT.

9.8 Trattamento delle riserve assoggettate ad imposta sostitutiva

D. Quale natura hanno e qual è il regime applicabile alle riserve iscritte a fronte di attività regolarizzate assolvendo l’imposta sostitutiva del 13% (articolo 14, commi 5 e 6) ?

R. Riguardo alla natura e al trattamento fiscale di tali riserve si rimanda a quanto precisato nella precedente risposta. Si precisa, tuttavia, che l’imposta del 13 per cento, in quanto sostitutiva anche dell’IRAP e in mancanza di specifica previsione normativa, non affluisce ai canestri.

10 ARTICOLO 15 – DEFINIZIONE DEGLI ACCERTAMENTI, DEGLI INVITI AL CONTRADDITTORIO E DEI PVC

10.1 Esclusione dal contraddittorio

D. L’art. 15 della legge finanziaria per il 2003, nel prevedere la possibilità di definire gli inviti al contraddittorio di cui al decreto legislativo n. 218 del 1997, fa riferimento all’art. 5 del predetto decreto legislativo, che tratta dell’ipotesi di attivazione diretta dell’ufficio nei confronti del contribuente, e non anche all’art. 6 dello stesso provvedimento, nel quale si disciplina la fattispecie in cui l’invito è effettuato dall’ufficio in seguito alla richiesta del contribuente. Si chiede se tale riferimento parziale precluda la definizione di inviti al contraddittorio innescati da richieste dei contribuenti.

R. Gli articoli 5 e 6 del decreto legislativo n. 218 del 1997 disciplinano entrambi l’avvio del procedimento volto alla definizione dell’accertamento con adesione. In particolare l’art. 5 tratta dell’avvio d’ufficio, mentre l’art. 6 riguarda l’avvio ad istanza del contribuente.

L’articolo 15 della legge finanziaria richiama l’invito di cui agli articoli 5 e 11 del d.lgs. n. 218 del 1997, che abbia un contenuto di riferimento. Se tale contenuto manca, l’invito non rileva ai fini dell’articolo 15.

L’articolo 6 tratta di un invito proposto dal contribuente che fa seguito a: 1) notifica di un avviso di accertamento; 2) notifica di un processo verbale di constatazione.

Poichè l’invito di cui all’articolo 6 non rileva ai fini dell’applicazione dell’articolo 15, si precisa che la procedura di definizione prevista da tale articolo potrà trovare applicazione relativamente all’avviso di accertamento ovvero al processo verbale di constatazione cui si riferisce l’invito al contraddittorio.

10.2 Inviti al contraddittorio sulle liti potenziali

D. L’art. 15 della legge finanziaria per il 2003 prevede la possibilità di definire gli inviti al contraddittorio di cui agli artt. 5 e 11 del decreto legislativo n. 218 del 1997, per i quali, alla data di entrata in vigore della legge, non è ancora intervenuta la definizione. Si chiede di conoscere il momento in cui tale definizione si considera avvenuta; in particolare se ci si deve riferire alla firma dell’atto di adesione o al perfezionamento dello stesso che avviene con il pagamento delle somme concordate.

R. Come precisato nella circolare n. 3 del 15 gennaio 2003, al paragrafo 9.1.2, per “definizione degli inviti al contraddittorio” deve intendersi il perfezionamento dell’atto di adesione, che avviene con il versamento delle somme dovute, ai sensi dell’art. 9 del decreto legislativo n. 218 del 1997.

Pertanto, il contribuente che ha firmato l’atto di adesione, ma che alla data di entrata in vigore della legge finanziaria per il 2003 (1 gennaio 2003) non ha ancora versato le somme dovute ai fini del perfezionamento dell’atto stesso, può beneficiare della definizione dell’invito al contraddittorio ai sensi dell’art 15 della predetta legge finanziaria.

10.3 Processi verbali per violazioni non sostanziali

D. Si chiede con quali modalità possono essere definiti i processi verbali di constatazione notificati entro il 1 gennaio 2003, contenenti solo rilievi sanzionatori (ad es. irregolarità in materia di tenuta delle scritture contabili, di emissione di scontrini e ricevute fiscali). In particolare si chiede se sia corretto ritenere che, in assenza di imponibile, non possano essere oggetto di definizione ex art. 15, ma che restino assorbiti da un’eventuale integrazione ex art. 8 della legge finanziaria per il 2003.

R. Come si desume dalla circolare n. 3 del 15 gennaio 2003, ai paragrafi 2.6.1 e 9.3, la definizione prevista dall’art. 15 della legge finanziaria del 2003 non è possibile con riferimento ai processi verbali dai quali emerge la constatazione della violazione di una norma tributaria comportante l’applicazione della sola sanzione. I processi verbali di constatazione definibili ai sensi dell’art 15, infatti, sono solo quelli con esito positivo che contengono rilievi sostanziali e la cui notifica entro il 1 gennaio 2003 preclude la definizione ai sensi degli artt. 7, 8 e 9 della predetta legge finanziaria. Si ritiene, inoltre, che i processi verbali di constatazione contenenti solo rilievi sanzionatori restano assorbiti da un’eventuale integrazione degli imponibili ai degli articoli 7 e 9 e anche dell’8, ma in quest’ultimo caso solo se connessi con le operazioni che hanno dato luogo ai maggiori imponibili indicati nella dichiarazione integrativa.

10.4 Liti potenziali – definizione parziale (art. 15)

D. E’ consentito definire solo parzialmente un processo verbale di constatazione, limitatamente cioè ad una annualità, oppure ad un tributo, od ancora a singoli rilievi (tralasciando, dunque, quelli che appaiono infondati), oppure la definizione deve riguardare l’atto nel suo complesso?

R. La circolare n. 3/E del 15 gennaio 2003 ha precisato che ai fini della definizione ai sensi dell’articolo 15 la norma deve intendersi riferita non al processo verbale nel suo insieme bensì ai singoli rilievi in esso contenuti, e. pertanto la definizione può riguardare anche una singola annualità e una singola imposta e non necessariamente tutte le annualità e tutte le imposte interessate dai rilievi contenuti nel verbale.

10.5 Definizione liti potenziali – calcolo dell’Iva.

D. Come deve essere calcolata la somma da versare per definire, nell’ambito di un processo verbale, i rilievi di indebita detrazione agli effetti dell’Iva, oppure di errata applicazione del pro-rata ai fini della stessa imposta?

R. Come precisato nella circolare n. 3/E, in caso che nel processo verbale sia constatata un’indebita detrazione IVA, ovvero l’errata applicazione del pro rata è possibile la definizione ai sensi dell’articolo 15, comma 4, lett. b) versando un importo pari alla metà dell’imposta illegittimamente detratta.

10.6 Definizione liti potenziali – contraddittorio in corso.

D. Ai sensi del comma 8, sono sospesi fino al 18 marzo i termini per il perfezionamento della definizione di cui al d.lgs. n. 218/97, relativamente agli inviti al contraddittorio notificati entro il 31/12/2002.

La previsione sembra riguardare la fattispecie dell’avvenuta sottoscrizione dell’atto di adesione, in relazione al quale viene differito il termine per il pagamento ex art. 8, d.lgs. citato. Come dovranno comportarsi i contribuenti e gli uffici nel caso in cui, invece, a fronte della notifica dell’invito, non sia stato ancora redatto l’atto di adesione e risulti, invece, fissato il contraddittorio in una data compresa tra l’1/1/2003 ed il 17/3/2003, ovvero sia in corso il contraddittorio stesso?

R. Ai sensi dell’articolo 15, comma 8, è disposta la sospensione dei termini, dall’entrata in vigore della legge n. 289 fino al 18 marzo 2003, per il perfezionamento della definizione di cui al decreto legislativo n. 218 del 1997. Poiché l’accertamento con adesione del contribuente si perfeziona con il versamento delle somme dovute entro i venti giorni successivi alla stipula dell’atto di adesione di cui all’articolo 7 del riferito decreto n. 218, è evidente che la sospensione dei termini riguarda detto lasso di tempo, ed opera fino alla data del 18 marzo 2003. In tale arco temporale il contribuente può scegliere di definire l’invito al contraddittorio ai sensi dell’art. 15.

10.7 Perfezionamento dell’invito al contraddittorio

D. Ho sottoscritto l’atto di definizione derivante da un accertamento con adesione e non ho provveduto ancora a versare le relative somme. Posso accedere alla definizione di cui all’articolo 15 della legge 289 del 2002?

R. L’art.15, comma 1, della legge n. 289 del 2002, prevede la definizione degli inviti al contraddittorio di cui agli articoli 5 e 11 del decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218, per i quali non è ancora intervenuta la definizione, alla data di entrata in vigore della presente legge.

Come precisato nella circolare n. 3 del 2003, per definizione degli inviti al contraddittorio deve intendersi il perfezionamento dell’atto di adesione. Quest’ultimo, a norma dell’articolo 9 del citato d.lgs. 218 del 1997, avviene con il versamento delle somme dovute ovvero con il versamento della prima rata e la presentazione della garanzia.

In particolare, il versamento unico o della prima rata – nell’ipotesi di pagamento rateale – deve essere effettuato entro 20 giorni dalla redazione dell’atto di adesione.

Pertanto, qualora un contribuente, che ha sottoscritto un atto di adesione, non abbia versato le relative imposte alla data di entrata in vigore della legge finanziaria per il 2003 può accedere alla definizione di cui all’articolo 15 sulla base del contenuto dell’invito al contraddittorio a suo tempo ricevuto.

11 ARTICOLO 16 – CHIUSURA DELLE LITI FISCALI PENDENTI

11.1 Definizione liti pendenti – tributi locali

D. Un accertamento ai fini dell’ICI pendente davanti alle commissioni tributarie può essere definito ai sensi dell’articolo 16, oppure occorre rapportarsi esclusivamente alle disposizioni dell’articolo 13 circa le prerogative degli enti locali? Nella seconda ipotesi, quale sorte subirebbero le controversie che dovessero diventare definitive prima dell’emanazione dei provvedimenti da parte degli enti competenti?

R. Questo quesito riguarda un tributo non amministrato dall’Agenzia delle Entrate; tuttavia si esprime un parere.

Le liti definibili ai sensi delle disposizioni recate dall’articolo 16 della finanziaria 2003 sono quelle in cui è parte l’Amministrazione finanziaria dello Stato. La stessa non ha competenza in materia di accertamento, contenzioso e riscossione dell’imposta comunale sugli immobili. Conseguentemente una controversia concernente l’ICI non è definibile ai sensi del citato articolo 16.

I tributi locali formano invece oggetto della disciplina recata dal precedente articolo 13, il quale prevede che le regioni, le province e i comuni possono stabilire con riferimento ai tributi propri delle agevolazioni anche nelle ipotesi di procedimenti contenziosi in sede giurisdizionale.

11.2 Definizione delle liti pendenti.

D. Il comma 3 dell’articolo 16 della legge n. 289 del 2002 definisce lite pendente anche quella per la quale, alla data del 29 settembre 2002, non sia intervenuta sentenza passata in giudicato. Tale precisazione deve essere intesa nel senso che è possibile accedere alla chiusura agevolata anche per le liti non più pendenti in quanto caratterizzate dalla presenza di una sentenza passata in giudicato dopo il 29 settembre 2002 e prima del 31 dicembre 2002? Più in generale, la presenza di una sentenza passata in giudicato (prima del 29 settembre 2002) preclude l’applicabilità dell’articolo 16?

R. L’articolo 16, con la disposizione contenuta nell’ultima parte della lettera a) del comma 3, consente eccezionalmente la definizione della lite anche se è intervenuta una pronuncia passata in giudicato nel periodo compreso tra il 30 settembre e il 31 dicembre 2002. Infatti, ai soli fini dell’applicazione della definizione delle liti fiscali pendenti, il legislatore ha considerato “liti pendenti” anche quelle aventi ad oggetto un rapporto tributario divenuto definitivo nel citato periodo a causa della mancata impugnazione della relativa pronuncia. Il valore della lite da assumere a base della liquidazione del costo della definizione andrà comunque determinato con riferimento alla contestazione nel primo grado del giudizio.

Occorre precisare che tale disposizione non comporta una riapertura dei termini di impugnazione delle sentenze in questione, bensì soltanto un ampliamento delle liti definibili.

Se invece la pronuncia giurisdizionale era divenuta definitiva prima del 30 settembre 2002 non è ammessa la chiusura della lite.

11.3 Chiusura delle liti in presenza di coobbligati.

D. Quali sono gli effetti della chiusura delle liti nei casi di presenza di coobbligati? Più precisamente quali sono gli effetti nei seguenti casi:

– presentazione del ricorso da parte di tutti i coobbligati

– presentazione di ricorsi distinti da parte di tutti i coobbligati

– presentazione del ricorso da parte di un solo coobbligato (o comunque non di tutti i coobbligati).

R. In linea di principio, ai sensi del comma 10 dell’articolo 16 della finanziaria 2003, si può affermare che la definizione della lite da parte di uno dei coobbligati ha effetto anche per gli altri. Per un dettagliato elenco delle diverse ipotesi si rinvia al punto 10.5 della circolare n. 3/E del 15 gennaio 2003, dove sono descritti gli effetti per i coobbligati ricollegati alla definizione della controversia.

11.4 Liti fiscali pendenti – Caso in cui al 1 gennaio non sia stata effettuata la costituzione in giudizio.

D. Si chiede di conoscere se, ai fini della concreta applicabilità delle disposizioni di cui all’articolo 16 della legge n. 289 del 2002, il richiamo contenuto nel comma 3, lettera a) della norma alla proposizione dell’atto introduttivo del giudizio, consenta di affermare che sia sufficiente la proposizione del ricorso senza la necessità di procedere alla costituzione in giudizio.

R. Ai sensi della lettera a) del comma 3 dell’articolo 16 della finanziaria 2003, la lite è definibile quando è stato proposto l’atto introduttivo del giudizio alla data del 1 gennaio 2003, mentre non è richiesto che alla stessa data sia stata effettuata anche la costituzione in giudizio del ricorrente, come precisato al punto 10.2 della circolare n. 3/E del 2003.

Al riguardo va però evidenziato che la norma non prevede alcuna sospensione del termine di trenta giorni entro il quale effettuare il deposito e che, pertanto, il ricorrente non è esonerato dal rispetto, a pena di inammissibilità, dei termini di cui all’articolo 22 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546.

La costituzione in giudizio del ricorrente si rende necessaria essenzialmente al fine di consentire l’eventuale prosecuzione del giudizio in caso di diniego della definizione.

Anche per la definizione delle liti pendenti dinanzi all’autorità giudiziaria ordinaria è sufficiente che sia stato notificato l’atto di citazione.

11.5 Definizione liti pendenti – cartella conseguente ad accertamento non impugnato.

D. Un contribuente ha impugnato la cartella di pagamento notificata dal concessionario a seguito di avviso di accertamento resosi definitivo per mancata impugnazione. Quali somme devono essere versate per la definizione della controversia per la quale si è tuttora in attesa della sentenza di primo grado?

R. L’articolo 16 della finanziaria 2003 prevede la chiusura delle liti fiscali pendenti aventi ad oggetto avvisi di accertamento, provvedimenti di irrogazione delle sanzioni e ogni altro atto di imposizione.

Il caso sottoposto, così come prospettato, non può essere oggetto di definizione. Infatti, come chiarito al punto 10.3 della circolare n. 3/E del 2003, non sono definibili l’avviso di liquidazione, l’ingiunzione e il ruolo, in considerazione della natura di tali atti, finalizzati alla liquidazione e alla riscossione del tributo e degli accessori.

Si deroga a tale principio solo nel caso in cui uno dei predetti atti assolve anche alla funzione di atto di imposizione, oltre che di liquidazione e riscossione.

In particolare, la lite è definibile ai sensi dell’articolo 16 della legge finanziaria se l’avviso di accertamento non è mai stato notificato al contribuente.

Si segnala che, in alternativa alla definizione della lite, nel caso in cui il ruolo sia stato affidato al concessionario del servizio di riscossione entro il 30 giugno 1999, è possibile definire lo stesso ai sensi dell’articolo 12 della legge finanziaria, mediante il pagamento di una somma pari al 25% dell’importo iscritto a ruolo (capitale, interessi e sanzioni) e delle somme dovute al concessionario a titolo di rimborso delle spese dallo stesso sostenute per l’espletamento di procedure esecutive; non sono dovuti gli interessi di mora maturati. In tal caso, dal perfezionamento della definizione del ruolo ai sensi del citato articolo 12 consegue anche l’estinzione del relativo giudizio per cessazione della materia del contendere, essendo stata definita con la norma agevolativa in esame la pretesa oggetto di lite.

11.6 Definizione liti pendenti – cartella per tributi non pagati

D. E’ corretto ritenere che possa formare oggetto di definizione agevolata anche la cartella di pagamento relativa all’iscrizione a ruolo conseguente al mancato versamento dei tributi, previo pagamento del 10% del valore della lite (importo dell’imposta) e fermo restando il pagamento dell’intero tributo dovuto?

R. La definizione può riguardare anche le controversie aventi ad oggetto le cartelle di pagamento emesse a seguito di liquidazioni ai sensi degli articoli 36-bis e 36-ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 e dell’articolo 54-bis del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633. In questo caso, tuttavia, la convenienza della definizione va valutata con particolare attenzione, tenuto presente che in pendenza di giudizio – salvo che sia già intervenuta una pronuncia favorevole al contribuente – sono comunque dovute per intero le imposte ed i relativi interessi e sanzioni. Solo queste ultime, in caso di chiusura della lite, non saranno più dovute. Al riguardo, va tuttavia evidenziato che non è consentito il rimborso delle somme eventualmente già versate.

11.7 Definizione liti pendenti – contributo al servizio sanitario nazionale

D. Ai sensi del comma 3, lettera c), dell’articolo 16 della L. n. 289 del 2002, per valore della lite si intende l’importo dell’imposta che ha formato oggetto di contestazione in primo grado, al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni collegate al tributo. Non si deve tenere conto, dunque, del contributo al servizio sanitario nazionale? Nulla è dovuto, quindi, a tale titolo?

R. La definizione deve avere per oggetto il contenuto complessivo di ogni singola controversia, in quanto non è ammessa la definizione parziale, riferita cioè ad una sola parte della materia del contendere, così come circoscritta con l’atto introduttivo del giudizio.

Anche il contributo al servizio sanitario nazionale rileva ai fini della determinazione del valore della lite.

Per vero, all’accertamento e riscossione del contributo al servizio sanitario nazionale si applica la disciplina prevista in materia di imposte sui redditi e le relative controversie sono attribuite alla giurisdizione delle commissioni tributarie.

Ciò posto e considerato che il predetto contributo risulta sicuramente definibile ai sensi delle disposizioni in commento, in quanto non espressamente escluso, lo stesso concorre alla determinazione del valore della lite. Peraltro, l’utilizzo dell’espressione “imposta” nell’articolo in esame va riferito genericamente alla pretesa manifestata dall’Amministrazione finanziaria e che forma oggetto della lite fiscale.

Diversamente, si dovrebbero escludere anche gli atti impositivi che riguardino le tasse.

11.8 Definizione liti pendenti – diniego di rimborso.

D. E’ suscettibile di definizione la controversia avente per oggetto un provvedimento di diniego di rimborso d’imposta ovvero il silenzio-rifiuto?

R. L’articolo 16 della L. n. 289 del 2002 consente la chiusura delle liti fiscali pendenti mediante il pagamento del 10% del valore della lite (o di 150 euro per le liti di valore fino a 2.000 euro). Inoltre, non si fa luogo al rimborso delle somme già versate.

Da ciò consegue che non è sostanzialmente ravvisabile un interesse del contribuente a definire la lite quando la stessa concerne istanze di rimborso.

11.9 Esclusione dei rimborsi

D. L’articolo 16, comma 5, ultimo periodo, della legge n. 289 del 2002 stabilisce che “la definizione non dà comunque luogo alla restituzione delle somme già versate”.

Si chiede di sapere se tale espressione vada intesa nel senso che la restituzione è sempre esclusa ovvero se il rimborso spetta nel caso in cui il diritto allo stesso è maturato in data antecedente a quella di esecuzione del versamento mediante il quale si chiude la lite. Può accadere, ad esempio, che la lite pende presso la Commissione tributaria regionale, a seguito di appello dell’Ufficio di sentenza favorevole al contribuente ed ancora non è stato eseguito il rimborso di quanto versato in pendenza di lite.

R. Come correttamente rilevato nel quesito, il comma 5 dell’articolo 16 stabilisce che la definizione non dà luogo alla restituzione delle somme già versate.

Atteso il tenore letterale della disposizione, il rimborso delle somme versate prima della chiusura della lite non deve essere effettuato neanche se il contribuente aveva maturato precedentemente il diritto al rimborso.

Tale posizione trova, tra l’altro, argomenti di sostegno nella sentenza della Corte di Cassazione n. 2133 dell’11 marzo 1999, con la quale, in relazione ad un disposto normativo di tenore analogo, è stato chiarito che la non rimborsabilità delle somme versate prima del condono non ammette deroga, in quanto “la formula usata dalla legge fa riferimento ad un pagamento inteso nella sua materialità”. Aggiunge la Corte che “se il legislatore avesse voluto riconoscere il diritto del contribuente al rimborso delle somme pagate in pendenza di giudizio, avrebbe dovuto prevedere un’ipotesi ulteriore con funzione derogatoria rispetto a quella indicata”.

11.10 Continuità normativa

D. Mi è stato notificato un invito al contraddittorio a seguito di accertamento su parametri. Nel 1998 è stato, però, avviato a mio carico un procedimento penale per utilizzazione di fatture false con contestazione del solo art. 4 lett. d) della L 516/82. Quelle fatture non sono poi state inserite in dichiarazione, per cui in base alle regole di successione delle leggi nel tempo e per mancata continuità tra l’ipotesi sanzionata dalla L 516/82 e il d.lgs. 74/2000 il procedimento dovrebbe essere estinto. Se l’estinzione si verifica entro il 16 marzo prossimo posso accedere alla sanatoria?

R. In conformità all’orientamento della Corte di Cassazione, la circolare 88/E del 27 dicembre 2002, ha chiarito quali sono i casi in cui è ravvisabile continuità normativa tra le vecchie e le nuove figure di reato (in particolare, per il rapporto tra la fattispecie di cui all’abrogato art. 4 lett. d) della L 516/82 e le ipotesi criminose di cui al d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, si veda il punto 3 della circolare citata).

La mancanza di continuità normativa con le ipotesi di reato previste dal decreto 74 è dunque da sola sufficiente ad escludere l’operatività della specifica causa di preclusione dall’accesso alle sanatorie costituita dalla formale conoscenza dell’avvio di un procedimento penale.

11.11 Nozione di lite pendente

D. Qualora, a seguito di una sentenza della Corte di Cassazione che rinvia alla Commissione tributaria regionale per la rideterminazione delle sole sanzioni e il giudizio sia stato riassunto dinanzi al giudice di rinvio, tenuto conto che le sanzioni erano collegate ad un tributo non più in discussione, la controversia è suscettibile di definizione ai sensi dell’articolo 16 della legge finanziaria per il 2003?

R. Il caso di specie segnalato è suscettibile di definizione ai sensi del citato articolo 16, in quanto nella nozione di “liti pendenti” sono ricomprese anche le controversie devolute al giudice tributario o al giudice ordinario a seguito di rinvio, come espressamente previsto al comma 1.

Al riguardo si precisa che il valore della lite da assumere ai fini della definizione (e quindi per il calcolo del 10%) va determinato con riferimento all’imposta contestata con l’atto introduttivo del giudizio in primo grado, senza considerare gli interessi e le sanzioni.

Si evidenzia che, nel caso in esame, la lite è stata originariamente instaurata allo scopo di contestare imposte e sanzioni e solo successivamente (all’esito del giudizio innanzi alla Corte di Cassazione che ha confermato definitivamente le imposte accertate), per effetto del rinvio al giudice di merito per la sola rideterminazione delle sanzioni, la materia del contendere è venuta a circoscriversi a queste ultime.

Considerato, dunque, che in primo grado il giudizio verteva sul tributo e sulle sanzioni ad esso collegate, è al tributo originariamente contestato che occorre fare riferimento per la determinazione del valore della lite.

Diversa è l’ipotesi in cui la lite sia stata, sin dall’origine, limitata alla contestazione delle sole sanzioni, avendo il contribuente prestato acquiescenza al tributo. In tal caso, come chiarito nella circolare n. 3/E del 2003, al punto 10.3, si ritiene che il giudizio possa essere definito avendo riguardo all’ammontare delle sanzioni.

Per quanto riguarda la determinazione delle ulteriori somme dovute ai sensi del comma 5 dell’articolo 16 in esame, ferma restando la debenza delle imposte e dei relativi interessi nell’ammontare deciso dalla Corte di Cassazione, per effetto della chiusura della lite non saranno più dovute le sanzioni. Tuttavia, qualora queste ultime siano state già versate, non si farà luogo a rimborso.

11.12 Definizione parziale

D. Nel caso di lite pendente che prevede più imposte di cui alcune non definibili è possibile una definizione parziale della lite pendente?

R. Come già precisato nella circolare n. 3/E del 2003, le disposizioni di favore in commento non sembrano consentire la definizione parziale di una lite pendente.

Tuttavia nelle rarissime ipotesi in cui una lite autonoma ha per oggetto sia tributi definibili che tributi non definibili, il valore della lite va determinato senza tener conto dei tributi non definibili; in relazione a questi ultimi la lite proseguirà.

11.13 Interessi legali per tardivo pagamento

D. In relazione ai meccanismi di definizione di cui all’articolo 16 della finanziaria 2003, gli interessi legali in caso di tardivo pagamento e quelli relativi alla prima rata da quando decorrono, dal 17 o dal 18 marzo 2003?

R. Il pagamento degli interessi legali è previsto dall’articolo 16 citato solo sulle rate successiva alla prima.

Inoltre, il legislatore ha esplicitamente stabilito che l’omesso o tardivo versamento delle rate successive alla prima non determina l’inefficacia della definizione, bensì la riscossione mediante ruolo delle somme non versate, maggiorate di sanzioni (pari al 30%) ed interessi legali.

Più precisamente, il comma 2 del predetto articolo 16 prevede che “gli interessi legali sono calcolati dal 17 marzo 2003 sull’importo delle rate successive”.

Il legislatore ha previsto tale disciplina esclusivamente per le ipotesi di tardivo o omesso versamento delle rate successive alla prima, in quanto il tempestivo versamento in unica soluzione ovvero della prima rata costituisce condizione essenziale per la validità della definizione e quindi in tal caso non è prevista la riscossione coattiva delle somme non versate, delle sanzioni e degli interessi legali.

11.14 Uffici competenti a comunicare gli elenchi delle liti pendenti

D. L’articolo 16, comma 8 della finanziaria 2003 prevede che gli uffici del comma 1 dello stesso articolo comunichino alle Commissioni tributarie e all’Autorità giudiziaria ordinaria entro il 30 giugno 2003 un elenco delle liti pendenti per le quali è stata presentata domanda di definizione. Quali sono questi uffici?

R. Gli uffici che, ai sensi del comma 8 dell’articolo 16 della finanziaria 2003, devono trasmettere agli organi giurisdizionali gli elenchi delle liti di cui è stata richiesta la definizione sono quelli dell’Amministrazione finanziaria dello Stato.

A questa conclusione si perviene attraverso la lettura dell’intero articolo 16 ed in particolare del comma 4, nel quale è contenuto un diretto riferimento all’Amministrazione finanziaria dello Stato.

11.15 Sospensione delle liti

D. Ai sensi del comma 6 dell’art. 16 le liti fiscali che possono essere definite sono sospese fino al 30 giugno 2003, ma nel caso in cui sia stata già fissata la trattazione della lite in una data compresa tra il 1 gennaio e il 30 giugno 2003, la sospensione del giudizio consegue alla richiesta del contribuente che dichiari di volersi avvalere della disposizione di favore. L’atto con cui viene richiesta la sospensione del giudizio deve scontare l’imposta di bollo?

R. La sospensione del giudizio può essere chiesta con atto depositato presso la segreteria della commissione tributaria. Trattandosi di atto del processo, deve chiaramente scontare l’imposta di bollo ai sensi dell’art. 20 della parte prima della tariffa allegata al DPR n. 642 del 1972. Infatti per tali istanze non opera l’esenzione dall’imposta di bollo prevista dall’art. 5 della Tabella allegata al citato DPR n. 642/72 che prevede espressamente “con esclusione di ricorsi, opposizioni ed altri atti difensivi del contribuente”.

Si evidenzia, peraltro, che nel caso in cui la trattazione avvenga in pubblica udienza la sospensione può essere chiesta oralmente.

L’imposta non è invece dovuta per le liti fiscali definibili pendenti dinanzi al tribunale e alla corte d’appello, in quanto per i giudizi civili è dovuto il contributo unificato di iscrizione al ruolo che sostituisce, tra l’altro, l’imposta di bollo (cfr. risoluzioni n. 315 del 1 ottobre 2002 e n. 319 del 4 ottobre 2002).

12 REDDITO D’IMPRESA – LA DIT

D. Con la circolare 85/E del 2002 l’Agenzia delle Entrate ha specificato che la nuova regola che sterilizza la base Dit nel metodo alternativo e cioè nell’ipotesi di incremento della consistenza di partecipazioni deve considerarsi di carattere temporaneo. Questo dovrebbe significare che le sterilizzazioni di carattere temporaneo dovrebbero continuare ad essere applicate con le regole ordinarie anche dopo le disposizioni introdotte dall’articolo 5 della legge 383 del 2001 che specifica l’irrilevanza dei conferimenti in denaro e degli accantonamenti di utili effettuati dopo il 30 giugno 2001. Questa risposta dell’Agenzia non è in contrasto con quella contenuta nella circolare 4/E del 18 gennaio 2002 dove è stato specificato a proposito di un’altra causa di sterilizzo temporaneo che l’eventuale riduzione dei crediti di finanziamento infragruppo non può dar luogo a incrementi di base DIT successivamente al 30 giugno 2001? Si può considerare superato il contenuto della circolare n. 4?

R. No. L’interpretazione fornita con la circolare n. 4/E del 18 gennaio 2002, si riferisce ad una sterilizzazione da considerare definitiva in quanto come precisato nella medesima circolare “l’eventuale decremento dell’ammontare dei crediti di finanziamento rispetto all’importo iscritto nel bilancio dell’esercizio in corso al 30/09/1996 non può dare luogo ad incrementi della base DIT successivamente al 30 giugno 2001. Viceversa, l’incremento di detti crediti dovrà essere computato in diminuzione del reddito dittabile”.

La sterilizzazione da incremento delle partecipazioni, introdotta con il decreto legge n. 209/2002, ha carattere temporaneo, nel senso che è suscettibile di essere riassorbita qualora l’incremento degli investimenti in partecipazioni venga a ridursi nei periodi d’imposta successivi. Anche in questo caso, peraltro, restano valide le disposizioni dell’articolo 5 della legge 18 ottobre 2001, n. 383 in base alle quali la c.d. “base DIT” non può comunque incrementarsi rispetto al valore determinato al 30 giugno 2001.

Pertanto, un’eventuale diminuzione nella consistenza delle partecipazioni in anni successivi può dare luogo ad un ripristino della “base DIT” solo fino a concorrenza di quella esistente al 30 giugno 2001.

D. Per l’applicazione delle cause di sterilizzo dell’incremento delle consistenze di partecipazioni le Finanze, nella circolare 85/E, hanno ritenuto di considerare dati di confronto risultanti da bilanci civilistici.

Questo significa, come ha bene chiarito Assonime nella circolare n. 71, che dovrebbero assumere rilevanza anche svalutazioni o riprese di valore delle partecipazioni a prescindere dalla circostanza che queste siano o meno riconosciute ai fini del reddito d’impresa?

R. Sì. Ai fini della determinazione del valore delle consistenze delle partecipazioni occorre far riferimento al dato di bilancio: questo non solo è il risultato di acquisti e cessioni ma, naturalmente, è influenzato anche da riprese di valori e svalutazioni effettuate in sede civilistica.

D. Dopo le modifiche introdotte dal D.L. 209 del 2002 quali sono le modalità e le alternative per l’applicazione delle disposizioni DIT da parte di ditte individuali e società di persone?

R. Al pari degli altri contribuenti, i soggetti IRPEF che intendono fruire della DIT possono optare per il nuovo regime o per quello ordinario rettificato.

In base al nuovo regime, l’unica novità per tali soggetti consiste nell’applicare un coefficiente di remunerazione ordinaria pari al saggio degli interessi legali.

Se, viceversa, scelgono il c.d. “regime ordinario rettificato” dovranno tener conto esclusivamente della nuova ipotesi di sterilizzazione della base DIT, collegata all’incremento della consistenza delle partecipazioni rispetto a quella risultante dal bilancio relativo all’esercizio in corso al 30 settembre 1996.

13 REDDITO D’IMPRESA – LA SVALUTAZIONE DELLE PARTECIPAZIONI

D. Cosa si intende per minusvalenze non realizzate riferite a partecipazioni che costituiscono immobilizzazioni finanziarie? Le Finanze hanno dato quale riferimento legislativo l’articolo 66, comma 1 del Tuir che definisce il concetto di minusvalenze realizzate da cui per differenza dovrebbero risultare le minusvalenze non realizzate. Questa interpretazione porterebbe a rateizzare in 5 quote costanti anche le minusvalenze derivanti da liquidazione volontaria di società ovvero da fallimenti delle medesime. E’ questa la volontà dell’Agenzia delle Entrate?

R. Le minusvalenze derivanti dal fallimento o dalla liquidazione volontaria della partecipata si considerano realizzate, e dunque non soggette alla rateizzazione, solo al momento della chiusura della procedura di fallimento, ovvero alla chiusura della procedura di liquidazione volontaria della società partecipata.

Al di fuori di queste ipotesi, tali minusvalenze sono soggette alla deducibilità per quote costanti stabilita dall’articolo 1, comma 1, lettera b), del decreto legge n. 209/2002.

D. Le nuove regole relative alla irrilevanza della distribuzione degli utili nel conteggio della svalutazione delle partecipazioni che costituiscono immobilizzazioni finanziarie in società non quotate vanno a modificare e integrare anche le disposizioni contenute negli articoli 96 e 96 bis del Tuir che si occupano delle medesime fattispecie?

R. Sì. Le disposizioni dettate dall’articolo 1, comma 1, del decreto legge n. 209/2002, avendo una portata più generale, integrano quelle dell’articolo 96 e 96-bis del TUIR: sono in grado di sterilizzare, infatti, l’intera riduzione patrimoniale derivante dalla distribuzione di riserve di utili, a prescindere dalla quota di detti utili che concorre al reddito della partecipante residente.

Occorre tenere presente, tuttavia, che la sterilizzazione prevista dal decreto legge in esame, diversamente dalle disposizioni contenute nell’articolo 96 e 96-bis del TUIR, opera esclusivamente con riferimento a partecipazioni in società non quotate in mercati regolamentati che costituiscono immobilizzazioni finanziarie.

D. I versamenti sotto zero, cioè quelli effettuati dal socio a ripianamento delle perdite che eccedono il patrimonio netto della partecipata, rientrano tra le minusvalenze non realizzate con deducibilità per quinti oppure sono da considerarsi immediatamente deducibili continuando ad applicarsi l’articolo 61, comma 5 del TUIR?

R. Per i versamenti dei soci a copertura perdite, per la parte che eccede il patrimonio netto della partecipata, continua a valere il regime di deduzione immediata (e facoltativa) disposto dall’articolo 61, comma 5, del TUIR.

Tali versamenti non attengono alla valutazione del valore minimo delle partecipazioni, ma si riferiscono a perdite che vanno oltre lo zero. Sotto il profilo tecnico questi oneri costituiscono una spesa d’esercizio, e non una svalutazione, la cui deducibilità è subordinata all’effettivo ripiano del sottozero da parte dei soci.

D. A fine 2002 una società ha stipulato un preliminare di cessione di quote che determinerà una perdita superiore a 5.000.000 di euro. Essendo previsto che la cessione definitiva della partecipazione avverrà nel primo semestre 2003 si intende riclassificare, come prevede il principio contabile n. 20, le quote di partecipazione delle immobilizzazioni finanziarie all’attivo circolante.

E’ corretto non effettuare alcuna comunicazione al Fisco in quanto al momento della cessione manca il requisito oggettivo previsto dalla norma e cioè che si tratta di “partecipazioni che costituiscono immobilizzazioni finanziarie realizzate”.?

R. La comunicazione di cui all’art. 1, comma 4 del d.l. n. 209 del 24/09/2002 così come convertito dalla legge n. 265 del 22/11/2002 deve essere effettuata da parte del contribuente allorquando si realizzino minusvalenze, di ammontare complessivo superiore a 5.000.000 di euro, derivanti da cessioni di partecipazioni che costituiscono immobilizzazioni finanziarie.

Ciò che rileva, ai fini di tale norma, è la originaria o preventiva iscrizione delle partecipazioni tra le immobilizzazioni finanziarie, a prescindere dalla circostanza, come nella fattispecie rappresentata, che le partecipazioni oggetto di cessione siano successivamente riclassificate ed inserite nell’attivo circolante.

Le Direzioni Regionali vigileranno sulla corretta applicazione delle presenti istruzioni.

11 ARTICOLO 16 – CHIUSURA DELLE LITI FISCALI PENDENTI

11.1 Definizione liti pendenti – tributi locali

D. Un accertamento ai fini dell’ICI pendente davanti alle commissioni tributarie può essere definito ai sensi dell’articolo 16, oppure occorre rapportarsi esclusivamente alle disposizioni dell’articolo 13 circa le prerogative degli enti locali? Nella seconda ipotesi, quale sorte subirebbero le controversie che dovessero diventare definitive prima dell’emanazione dei provvedimenti da parte degli enti competenti?

R. Questo quesito riguarda un tributo non amministrato dall’Agenzia delle Entrate; tuttavia si esprime un parere.

Le liti definibili ai sensi delle disposizioni recate dall’articolo 16 della finanziaria 2003 sono quelle in cui è parte l’Amministrazione finanziaria dello Stato. La stessa non ha competenza in materia di accertamento, contenzioso e riscossione dell’imposta comunale sugli immobili. Conseguentemente una controversia concernente l’ICI non è definibile ai sensi del citato articolo 16.

I tributi locali formano invece oggetto della disciplina recata dal precedente articolo 13, il quale prevede che le regioni, le province e i comuni possono stabilire con riferimento ai tributi propri delle agevolazioni anche nelle ipotesi di procedimenti contenziosi in sede giurisdizionale.

11.2 Definizione delle liti pendenti.

D. Il comma 3 dell’articolo 16 della legge n. 289 del 2002 definisce lite pendente anche quella per la quale, alla data del 29 settembre 2002, non sia intervenuta sentenza passata in giudicato. Tale precisazione deve essere intesa nel senso che è possibile accedere alla chiusura agevolata anche per le liti non più pendenti in quanto caratterizzate dalla presenza di una sentenza passata in giudicato dopo il 29 settembre 2002 e prima del 31 dicembre 2002? Più in generale, la presenza di una sentenza passata in giudicato (prima del 29 settembre 2002) preclude l’applicabilità dell’articolo 16?

R. L’articolo 16, con la disposizione contenuta nell’ultima parte della lettera a) del comma 3, consente eccezionalmente la definizione della lite anche se è intervenuta una pronuncia passata in giudicato nel periodo compreso tra il 30 settembre e il 31 dicembre 2002. Infatti, ai soli fini dell’applicazione della definizione delle liti fiscali pendenti, il legislatore ha considerato “liti pendenti” anche quelle aventi ad oggetto un rapporto tributario divenuto definitivo nel citato periodo a causa della mancata impugnazione della relativa pronuncia. Il valore della lite da assumere a base della liquidazione del costo della definizione andrà comunque determinato con riferimento alla contestazione nel primo grado del giudizio.

Occorre precisare che tale disposizione non comporta una riapertura dei termini di impugnazione delle sentenze in questione, bensì soltanto un ampliamento delle liti definibili.

Se invece la pronuncia giurisdizionale era divenuta definitiva prima del 30 settembre 2002 non è ammessa la chiusura della lite.

11.3 Chiusura delle liti in presenza di coobbligati.

D. Quali sono gli effetti della chiusura delle liti nei casi di presenza di coobbligati? Più precisamente quali sono gli effetti nei seguenti casi:

– presentazione del ricorso da parte di tutti i coobbligati

– presentazione di ricorsi distinti da parte di tutti i coobbligati

– presentazione del ricorso da parte di un solo coobbligato (o comunque non di tutti i coobbligati).

R. In linea di principio, ai sensi del comma 10 dell’articolo 16 della finanziaria 2003, si può affermare che la definizione della lite da parte di uno dei coobbligati ha effetto anche per gli altri. Per un dettagliato elenco delle diverse ipotesi si rinvia al punto 10.5 della circolare n. 3/E del 15 gennaio 2003, dove sono descritti gli effetti per i coobbligati ricollegati alla definizione della controversia.

11.4 Liti fiscali pendenti – Caso in cui al 1 gennaio non sia stata effettuata la costituzione in giudizio.

D. Si chiede di conoscere se, ai fini della concreta applicabilità delle disposizioni di cui all’articolo 16 della legge n. 289 del 2002, il richiamo contenuto nel comma 3, lettera a) della norma alla proposizione dell’atto introduttivo del giudizio, consenta di affermare che sia sufficiente la proposizione del ricorso senza la necessità di procedere alla costituzione in giudizio.

R. Ai sensi della lettera a) del comma 3 dell’articolo 16 della finanziaria 2003, la lite è definibile quando è stato proposto l’atto introduttivo del giudizio alla data del 1 gennaio 2003, mentre non è richiesto che alla stessa data sia stata effettuata anche la costituzione in giudizio del ricorrente, come precisato al punto 10.2 della circolare n. 3/E del 2003.

Al riguardo va però evidenziato che la norma non prevede alcuna sospensione del termine di trenta giorni entro il quale effettuare il deposito e che, pertanto, il ricorrente non è esonerato dal rispetto, a pena di inammissibilità, dei termini di cui all’articolo 22 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546.

La costituzione in giudizio del ricorrente si rende necessaria essenzialmente al fine di consentire l’eventuale prosecuzione del giudizio in caso di diniego della definizione.

Anche per la definizione delle liti pendenti dinanzi all’autorità giudiziaria ordinaria è sufficiente che sia stato notificato l’atto di citazione.

11.5 Definizione liti pendenti – cartella conseguente ad accertamento non impugnato.

D. Un contribuente ha impugnato la cartella di pagamento notificata dal concessionario a seguito di avviso di accertamento resosi definitivo per mancata impugnazione. Quali somme devono essere versate per la definizione della controversia per la quale si è tuttora in attesa della sentenza di primo grado?

R. L’articolo 16 della finanziaria 2003 prevede la chiusura delle liti fiscali pendenti aventi ad oggetto avvisi di accertamento, provvedimenti di irrogazione delle sanzioni e ogni altro atto di imposizione.

Il caso sottoposto, così come prospettato, non può essere oggetto di definizione. Infatti, come chiarito al punto 10.3 della circolare n. 3/E del 2003, non sono definibili l’avviso di liquidazione, l’ingiunzione e il ruolo, in considerazione della natura di tali atti, finalizzati alla liquidazione e alla riscossione del tributo e degli accessori.

Si deroga a tale principio solo nel caso in cui uno dei predetti atti assolve anche alla funzione di atto di imposizione, oltre che di liquidazione e riscossione.

In particolare, la lite è definibile ai sensi dell’articolo 16 della legge finanziaria se l’avviso di accertamento non è mai stato notificato al contribuente.

Si segnala che, in alternativa alla definizione della lite, nel caso in cui il ruolo sia stato affidato al concessionario del servizio di riscossione entro il 30 giugno 1999, è possibile definire lo stesso ai sensi dell’articolo 12 della legge finanziaria, mediante il pagamento di una somma pari al 25% dell’importo iscritto a ruolo (capitale, interessi e sanzioni) e delle somme dovute al concessionario a titolo di rimborso delle spese dallo stesso sostenute per l’espletamento di procedure esecutive; non sono dovuti gli interessi di mora maturati. In tal caso, dal perfezionamento della definizione del ruolo ai sensi del citato articolo 12 consegue anche l’estinzione del relativo giudizio per cessazione della materia del contendere, essendo stata definita con la norma agevolativa in esame la pretesa oggetto di lite.

11.6 Definizione liti pendenti – cartella per tributi non pagati

D. E’ corretto ritenere che possa formare oggetto di definizione agevolata anche la cartella di pagamento relativa all’iscrizione a ruolo conseguente al mancato versamento dei tributi, previo pagamento del 10% del valore della lite (importo dell’imposta) e fermo restando il pagamento dell’intero tributo dovuto?

R. La definizione può riguardare anche le controversie aventi ad oggetto le cartelle di pagamento emesse a seguito di liquidazioni ai sensi degli articoli 36-bis e 36-ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 e dell’articolo 54-bis del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633. In questo caso, tuttavia, la convenienza della definizione va valutata con particolare attenzione, tenuto presente che in pendenza di giudizio – salvo che sia già intervenuta una pronuncia favorevole al contribuente – sono comunque dovute per intero le imposte ed i relativi interessi e sanzioni. Solo queste ultime, in caso di chiusura della lite, non saranno più dovute. Al riguardo, va tuttavia evidenziato che non è consentito il rimborso delle somme eventualmente già versate.

11.7 Definizione liti pendenti – contributo al servizio sanitario nazionale

D. Ai sensi del comma 3, lettera c), dell’articolo 16 della L. n. 289 del 2002, per valore della lite si intende l’importo dell’imposta che ha formato oggetto di contestazione in primo grado, al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni collegate al tributo. Non si deve tenere conto, dunque, del contributo al servizio sanitario nazionale? Nulla è dovuto, quindi, a tale titolo?

R. La definizione deve avere per oggetto il contenuto complessivo di ogni singola controversia, in quanto non è ammessa la definizione parziale, riferita cioè ad una sola parte della materia del contendere, così come circoscritta con l’atto introduttivo del giudizio.

Anche il contributo al servizio sanitario nazionale rileva ai fini della determinazione del valore della lite.

Per vero, all’accertamento e riscossione del contributo al servizio sanitario nazionale si applica la disciplina prevista in materia di imposte sui redditi e le relative controversie sono attribuite alla giurisdizione delle commissioni tributarie.

Ciò posto e considerato che il predetto contributo risulta sicuramente definibile ai sensi delle disposizioni in commento, in quanto non espressamente escluso, lo stesso concorre alla determinazione del valore della lite. Peraltro, l’utilizzo dell’espressione “imposta” nell’articolo in esame va riferito genericamente alla pretesa manifestata dall’Amministrazione finanziaria e che forma oggetto della lite fiscale.

Diversamente, si dovrebbero escludere anche gli atti impositivi che riguardino le tasse.

11.8 Definizione liti pendenti – diniego di rimborso.

D. E’ suscettibile di definizione la controversia avente per oggetto un provvedimento di diniego di rimborso d’imposta ovvero il silenzio-rifiuto?

R. L’articolo 16 della L. n. 289 del 2002 consente la chiusura delle liti fiscali pendenti mediante il pagamento del 10% del valore della lite (o di 150 euro per le liti di valore fino a 2.000 euro). Inoltre, non si fa luogo al rimborso delle somme già versate.

Da ciò consegue che non è sostanzialmente ravvisabile un interesse del contribuente a definire la lite quando la stessa concerne istanze di rimborso.

11.9 Esclusione dei rimborsi

D. L’articolo 16, comma 5, ultimo periodo, della legge n. 289 del 2002 stabilisce che “la definizione non dà comunque luogo alla restituzione delle somme già versate”.

Si chiede di sapere se tale espressione vada intesa nel senso che la restituzione è sempre esclusa ovvero se il rimborso spetta nel caso in cui il diritto allo stesso è maturato in data antecedente a quella di esecuzione del versamento mediante il quale si chiude la lite. Può accadere, ad esempio, che la lite pende presso la Commissione tributaria regionale, a seguito di appello dell’Ufficio di sentenza favorevole al contribuente ed ancora non è stato eseguito il rimborso di quanto versato in pendenza di lite.

R. Come correttamente rilevato nel quesito, il comma 5 dell’articolo 16 stabilisce che la definizione non dà luogo alla restituzione delle somme già versate.

Atteso il tenore letterale della disposizione, il rimborso delle somme versate prima della chiusura della lite non deve essere effettuato neanche se il contribuente aveva maturato precedentemente il diritto al rimborso.

Tale posizione trova, tra l’altro, argomenti di sostegno nella sentenza della Corte di Cassazione n. 2133 dell’11 marzo 1999, con la quale, in relazione ad un disposto normativo di tenore analogo, è stato chiarito che la non rimborsabilità delle somme versate prima del condono non ammette deroga, in quanto “la formula usata dalla legge fa riferimento ad un pagamento inteso nella sua materialità”. Aggiunge la Corte che “se il legislatore avesse voluto riconoscere il diritto del contribuente al rimborso delle somme pagate in pendenza di giudizio, avrebbe dovuto prevedere un’ipotesi ulteriore con funzione derogatoria rispetto a quella indicata”.

11.10 Continuità normativa

D. Mi è stato notificato un invito al contraddittorio a seguito di accertamento su parametri. Nel 1998 è stato, però, avviato a mio carico un procedimento penale per utilizzazione di fatture false con contestazione del solo art. 4 lett. d) della L 516/82. Quelle fatture non sono poi state inserite in dichiarazione, per cui in base alle regole di successione delle leggi nel tempo e per mancata continuità tra l’ipotesi sanzionata dalla L 516/82 e il d.lgs. 74/2000 il procedimento dovrebbe essere estinto. Se l’estinzione si verifica entro il 16 marzo prossimo posso accedere alla sanatoria?

R. In conformità all’orientamento della Corte di Cassazione, la circolare 88/E del 27 dicembre 2002, ha chiarito quali sono i casi in cui è ravvisabile continuità normativa tra le vecchie e le nuove figure di reato (in particolare, per il rapporto tra la fattispecie di cui all’abrogato art. 4 lett. d) della L 516/82 e le ipotesi criminose di cui al d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, si veda il punto 3 della circolare citata).

La mancanza di continuità normativa con le ipotesi di reato previste dal decreto 74 è dunque da sola sufficiente ad escludere l’operatività della specifica causa di preclusione dall’accesso alle sanatorie costituita dalla formale conoscenza dell’avvio di un procedimento penale.

11.11 Nozione di lite pendente

D. Qualora, a seguito di una sentenza della Corte di Cassazione che rinvia alla Commissione tributaria regionale per la rideterminazione delle sole sanzioni e il giudizio sia stato riassunto dinanzi al giudice di rinvio, tenuto conto che le sanzioni erano collegate ad un tributo non più in discussione, la controversia è suscettibile di definizione ai sensi dell’articolo 16 della legge finanziaria per il 2003?

R. Il caso di specie segnalato è suscettibile di definizione ai sensi del citato articolo 16, in quanto nella nozione di “liti pendenti” sono ricomprese anche le controversie devolute al giudice tributario o al giudice ordinario a seguito di rinvio, come espressamente previsto al comma 1.

Al riguardo si precisa che il valore della lite da assumere ai fini della definizione (e quindi per il calcolo del 10%) va determinato con riferimento all’imposta contestata con l’atto introduttivo del giudizio in primo grado, senza considerare gli interessi e le sanzioni.

Si evidenzia che, nel caso in esame, la lite è stata originariamente instaurata allo scopo di contestare imposte e sanzioni e solo successivamente (all’esito del giudizio innanzi alla Corte di Cassazione che ha confermato definitivamente le imposte accertate), per effetto del rinvio al giudice di merito per la sola rideterminazione delle sanzioni, la materia del contendere è venuta a circoscriversi a queste ultime.

Considerato, dunque, che in primo grado il giudizio verteva sul tributo e sulle sanzioni ad esso collegate, è al tributo originariamente contestato che occorre fare riferimento per la determinazione del valore della lite.

Diversa è l’ipotesi in cui la lite sia stata, sin dall’origine, limitata alla contestazione delle sole sanzioni, avendo il contribuente prestato acquiescenza al tributo. In tal caso, come chiarito nella circolare n. 3/E del 2003, al punto 10.3, si ritiene che il giudizio possa essere definito avendo riguardo all’ammontare delle sanzioni.

Per quanto riguarda la determinazione delle ulteriori somme dovute ai sensi del comma 5 dell’articolo 16 in esame, ferma restando la debenza delle imposte e dei relativi interessi nell’ammontare deciso dalla Corte di Cassazione, per effetto della chiusura della lite non saranno più dovute le sanzioni. Tuttavia, qualora queste ultime siano state già versate, non si farà luogo a rimborso.

11.12 Definizione parziale

D. Nel caso di lite pendente che prevede più imposte di cui alcune non definibili è possibile una definizione parziale della lite pendente?

R. Come già precisato nella circolare n. 3/E del 2003, le disposizioni di favore in commento non sembrano consentire la definizione parziale di una lite pendente.

Tuttavia nelle rarissime ipotesi in cui una lite autonoma ha per oggetto sia tributi definibili che tributi non definibili, il valore della lite va determinato senza tener conto dei tributi non definibili; in relazione a questi ultimi la lite proseguirà.

11.13 Interessi legali per tardivo pagamento

D. In relazione ai meccanismi di definizione di cui all’articolo 16 della finanziaria 2003, gli interessi legali in caso di tardivo pagamento e quelli relativi alla prima rata da quando decorrono, dal 17 o dal 18 marzo 2003?

R. Il pagamento degli interessi legali è previsto dall’articolo 16 citato solo sulle rate successiva alla prima.

Inoltre, il legislatore ha esplicitamente stabilito che l’omesso o tardivo versamento delle rate successive alla prima non determina l’inefficacia della definizione, bensì la riscossione mediante ruolo delle somme non versate, maggiorate di sanzioni (pari al 30%) ed interessi legali.

Più precisamente, il comma 2 del predetto articolo 16 prevede che “gli interessi legali sono calcolati dal 17 marzo 2003 sull’importo delle rate successive”.

Il legislatore ha previsto tale disciplina esclusivamente per le ipotesi di tardivo o omesso versamento delle rate successive alla prima, in quanto il tempestivo versamento in unica soluzione ovvero della prima rata costituisce condizione essenziale per la validità della definizione e quindi in tal caso non è prevista la riscossione coattiva delle somme non versate, delle sanzioni e degli interessi legali.

11.14 Uffici competenti a comunicare gli elenchi delle liti pendenti

D. L’articolo 16, comma 8 della finanziaria 2003 prevede che gli uffici del comma 1 dello stesso articolo comunichino alle Commissioni tributarie e all’Autorità giudiziaria ordinaria entro il 30 giugno 2003 un elenco delle liti pendenti per le quali è stata presentata domanda di definizione. Quali sono questi uffici?

R. Gli uffici che, ai sensi del comma 8 dell’articolo 16 della finanziaria 2003, devono trasmettere agli organi giurisdizionali gli elenchi delle liti di cui è stata richiesta la definizione sono quelli dell’Amministrazione finanziaria dello Stato.

A questa conclusione si perviene attraverso la lettura dell’intero articolo 16 ed in particolare del comma 4, nel quale è contenuto un diretto riferimento all’Amministrazione finanziaria dello Stato.

11.15 Sospensione delle liti

D. Ai sensi del comma 6 dell’art. 16 le liti fiscali che possono essere definite sono sospese fino al 30 giugno 2003, ma nel caso in cui sia stata già fissata la trattazione della lite in una data compresa tra il 1 gennaio e il 30 giugno 2003, la sospensione del giudizio consegue alla richiesta del contribuente che dichiari di volersi avvalere della disposizione di favore. L’atto con cui viene richiesta la sospensione del giudizio deve scontare l’imposta di bollo?

R. La sospensione del giudizio può essere chiesta con atto depositato presso la segreteria della commissione tributaria. Trattandosi di atto del processo, deve chiaramente scontare l’imposta di bollo ai sensi dell’art. 20 della parte prima della tariffa allegata al DPR n. 642 del 1972. Infatti per tali istanze non opera l’esenzione dall’imposta di bollo prevista dall’art. 5 della Tabella allegata al citato DPR n. 642/72 che prevede espressamente “con esclusione di ricorsi, opposizioni ed altri atti difensivi del contribuente”.

Si evidenzia, peraltro, che nel caso in cui la trattazione avvenga in pubblica udienza la sospensione può essere chiesta oralmente.

L’imposta non è invece dovuta per le liti fiscali definibili pendenti dinanzi al tribunale e alla corte d’appello, in quanto per i giudizi civili è dovuto il contributo unificato di iscrizione al ruolo che sostituisce, tra l’altro, l’imposta di bollo (cfr. risoluzioni n. 315 del 1 ottobre 2002 e n. 319 del 4 ottobre 2002).

12 REDDITO D’IMPRESA – LA DIT

D. Con la circolare 85/E del 2002 l’Agenzia delle Entrate ha specificato che la nuova regola che sterilizza la base Dit nel metodo alternativo e cioè nell’ipotesi di incremento della consistenza di partecipazioni deve considerarsi di carattere temporaneo. Questo dovrebbe significare che le sterilizzazioni di carattere temporaneo dovrebbero continuare ad essere applicate con le regole ordinarie anche dopo le disposizioni introdotte dall’articolo 5 della legge 383 del 2001 che specifica l’irrilevanza dei conferimenti in denaro e degli accantonamenti di utili effettuati dopo il 30 giugno 2001. Questa risposta dell’Agenzia non è in contrasto con quella contenuta nella circolare 4/E del 18 gennaio 2002 dove è stato specificato a proposito di un’altra causa di sterilizzo temporaneo che l’eventuale riduzione dei crediti di finanziamento infragruppo non può dar luogo a incrementi di base DIT successivamente al 30 giugno 2001? Si può considerare superato il contenuto della circolare n. 4?

R. No. L’interpretazione fornita con la circolare n. 4/E del 18 gennaio 2002, si riferisce ad una sterilizzazione da considerare definitiva in quanto come precisato nella medesima circolare “l’eventuale decremento dell’ammontare dei crediti di finanziamento rispetto all’importo iscritto nel bilancio dell’esercizio in corso al 30/09/1996 non può dare luogo ad incrementi della base DIT successivamente al 30 giugno 2001. Viceversa, l’incremento di detti crediti dovrà essere computato in diminuzione del reddito dittabile”.

La sterilizzazione da incremento delle partecipazioni, introdotta con il decreto legge n. 209/2002, ha carattere temporaneo, nel senso che è suscettibile di essere riassorbita qualora l’incremento degli investimenti in partecipazioni venga a ridursi nei periodi d’imposta successivi. Anche in questo caso, peraltro, restano valide le disposizioni dell’articolo 5 della legge 18 ottobre 2001, n. 383 in base alle quali la c.d. “base DIT” non può comunque incrementarsi rispetto al valore determinato al 30 giugno 2001.

Pertanto, un’eventuale diminuzione nella consistenza delle partecipazioni in anni successivi può dare luogo ad un ripristino della “base DIT” solo fino a concorrenza di quella esistente al 30 giugno 2001.

D. Per l’applicazione delle cause di sterilizzo dell’incremento delle consistenze di partecipazioni le Finanze, nella circolare 85/E, hanno ritenuto di considerare dati di confronto risultanti da bilanci civilistici.

Questo significa, come ha bene chiarito Assonime nella circolare n. 71, che dovrebbero assumere rilevanza anche svalutazioni o riprese di valore delle partecipazioni a prescindere dalla circostanza che queste siano o meno riconosciute ai fini del reddito d’impresa?

R. Sì. Ai fini della determinazione del valore delle consistenze delle partecipazioni occorre far riferimento al dato di bilancio: questo non solo è il risultato di acquisti e cessioni ma, naturalmente, è influenzato anche da riprese di valori e svalutazioni effettuate in sede civilistica.

D. Dopo le modifiche introdotte dal D.L. 209 del 2002 quali sono le modalità e le alternative per l’applicazione delle disposizioni DIT da parte di ditte individuali e società di persone?

R. Al pari degli altri contribuenti, i soggetti IRPEF che intendono fruire della DIT possono optare per il nuovo regime o per quello ordinario rettificato.

In base al nuovo regime, l’unica novità per tali soggetti consiste nell’applicare un coefficiente di remunerazione ordinaria pari al saggio degli interessi legali.

Se, viceversa, scelgono il c.d. “regime ordinario rettificato” dovranno tener conto esclusivamente della nuova ipotesi di sterilizzazione della base DIT, collegata all’incremento della consistenza delle partecipazioni rispetto a quella risultante dal bilancio relativo all’esercizio in corso al 30 settembre 1996.

13 REDDITO D’IMPRESA – LA SVALUTAZIONE DELLE PARTECIPAZIONI

D. Cosa si intende per minusvalenze non realizzate riferite a partecipazioni che costituiscono immobilizzazioni finanziarie? Le Finanze hanno dato quale riferimento legislativo l’articolo 66, comma 1 del Tuir che definisce il concetto di minusvalenze realizzate da cui per differenza dovrebbero risultare le minusvalenze non realizzate. Questa interpretazione porterebbe a rateizzare in 5 quote costanti anche le minusvalenze derivanti da liquidazione volontaria di società ovvero da fallimenti delle medesime. E’ questa la volontà dell’Agenzia delle Entrate?

R. Le minusvalenze derivanti dal fallimento o dalla liquidazione volontaria della partecipata si considerano realizzate, e dunque non soggette alla rateizzazione, solo al momento della chiusura della procedura di fallimento, ovvero alla chiusura della procedura di liquidazione volontaria della società partecipata.

Al di fuori di queste ipotesi, tali minusvalenze sono soggette alla deducibilità per quote costanti stabilita dall’articolo 1, comma 1, lettera b), del decreto legge n. 209/2002.

D. Le nuove regole relative alla irrilevanza della distribuzione degli utili nel conteggio della svalutazione delle partecipazioni che costituiscono immobilizzazioni finanziarie in società non quotate vanno a modificare e integrare anche le disposizioni contenute negli articoli 96 e 96 bis del Tuir che si occupano delle medesime fattispecie?

R. Sì. Le disposizioni dettate dall’articolo 1, comma 1, del decreto legge n. 209/2002, avendo una portata più generale, integrano quelle dell’articolo 96 e 96-bis del TUIR: sono in grado di sterilizzare, infatti, l’intera riduzione patrimoniale derivante dalla distribuzione di riserve di utili, a prescindere dalla quota di detti utili che concorre al reddito della partecipante residente.

Occorre tenere presente, tuttavia, che la sterilizzazione prevista dal decreto legge in esame, diversamente dalle disposizioni contenute nell’articolo 96 e 96-bis del TUIR, opera esclusivamente con riferimento a partecipazioni in società non quotate in mercati regolamentati che costituiscono immobilizzazioni finanziarie.

D. I versamenti sotto zero, cioè quelli effettuati dal socio a ripianamento delle perdite che eccedono il patrimonio netto della partecipata, rientrano tra le minusvalenze non realizzate con deducibilità per quinti oppure sono da considerarsi immediatamente deducibili continuando ad applicarsi l’articolo 61, comma 5 del TUIR?

R. Per i versamenti dei soci a copertura perdite, per la parte che eccede il patrimonio netto della partecipata, continua a valere il regime di deduzione immediata (e facoltativa) disposto dall’articolo 61, comma 5, del TUIR.

Tali versamenti non attengono alla valutazione del valore minimo delle partecipazioni, ma si riferiscono a perdite che vanno oltre lo zero. Sotto il profilo tecnico questi oneri costituiscono una spesa d’esercizio, e non una svalutazione, la cui deducibilità è subordinata all’effettivo ripiano del sottozero da parte dei soci.

D. A fine 2002 una società ha stipulato un preliminare di cessione di quote che determinerà una perdita superiore a 5.000.000 di euro. Essendo previsto che la cessione definitiva della partecipazione avverrà nel primo semestre 2003 si intende riclassificare, come prevede il principio contabile n. 20, le quote di partecipazione delle immobilizzazioni finanziarie all’attivo circolante.

E’ corretto non effettuare alcuna comunicazione al Fisco in quanto al momento della cessione manca il requisito oggettivo previsto dalla norma e cioè che si tratta di “partecipazioni che costituiscono immobilizzazioni finanziarie realizzate”.?

R. La comunicazione di cui all’art. 1, comma 4 del d.l. n. 209 del 24/09/2002 così come convertito dalla legge n. 265 del 22/11/2002 deve essere effettuata da parte del contribuente allorquando si realizzino minusvalenze, di ammontare complessivo superiore a 5.000.000 di euro, derivanti da cessioni di partecipazioni che costituiscono immobilizzazioni finanziarie.

Ciò che rileva, ai fini di tale norma, è la originaria o preventiva iscrizione delle partecipazioni tra le immobilizzazioni finanziarie, a prescindere dalla circostanza, come nella fattispecie rappresentata, che le partecipazioni oggetto di cessione siano successivamente riclassificate ed inserite nell’attivo circolante.

Le Direzioni Regionali vigileranno sulla corretta applicazione delle presenti istruzioni.

11 ARTICOLO 16 – CHIUSURA DELLE LITI FISCALI PENDENTI

11.1 Definizione liti pendenti – tributi locali

D. Un accertamento ai fini dell’ICI pendente davanti alle commissioni tributarie può essere definito ai sensi dell’articolo 16, oppure occorre rapportarsi esclusivamente alle disposizioni dell’articolo 13 circa le prerogative degli enti locali? Nella seconda ipotesi, quale sorte subirebbero le controversie che dovessero diventare definitive prima dell’emanazione dei provvedimenti da parte degli enti competenti?

R. Questo quesito riguarda un tributo non amministrato dall’Agenzia delle Entrate; tuttavia si esprime un parere.

Le liti definibili ai sensi delle disposizioni recate dall’articolo 16 della finanziaria 2003 sono quelle in cui è parte l’Amministrazione finanziaria dello Stato. La stessa non ha competenza in materia di accertamento, contenzioso e riscossione dell’imposta comunale sugli immobili. Conseguentemente una controversia concernente l’ICI non è definibile ai sensi del citato articolo 16.

I tributi locali formano invece oggetto della disciplina recata dal precedente articolo 13, il quale prevede che le regioni, le province e i comuni possono stabilire con riferimento ai tributi propri delle agevolazioni anche nelle ipotesi di procedimenti contenziosi in sede giurisdizionale.

11.2 Definizione delle liti pendenti.

D. Il comma 3 dell’articolo 16 della legge n. 289 del 2002 definisce lite pendente anche quella per la quale, alla data del 29 settembre 2002, non sia intervenuta sentenza passata in giudicato. Tale precisazione deve essere intesa nel senso che è possibile accedere alla chiusura agevolata anche per le liti non più pendenti in quanto caratterizzate dalla presenza di una sentenza passata in giudicato dopo il 29 settembre 2002 e prima del 31 dicembre 2002? Più in generale, la presenza di una sentenza passata in giudicato (prima del 29 settembre 2002) preclude l’applicabilità dell’articolo 16?

R. L’articolo 16, con la disposizione contenuta nell’ultima parte della lettera a) del comma 3, consente eccezionalmente la definizione della lite anche se è intervenuta una pronuncia passata in giudicato nel periodo compreso tra il 30 settembre e il 31 dicembre 2002. Infatti, ai soli fini dell’applicazione della definizione delle liti fiscali pendenti, il legislatore ha considerato “liti pendenti” anche quelle aventi ad oggetto un rapporto tributario divenuto definitivo nel citato periodo a causa della mancata impugnazione della relativa pronuncia. Il valore della lite da assumere a base della liquidazione del costo della definizione andrà comunque determinato con riferimento alla contestazione nel primo grado del giudizio.

Occorre precisare che tale disposizione non comporta una riapertura dei termini di impugnazione delle sentenze in questione, bensì soltanto un ampliamento delle liti definibili.

Se invece la pronuncia giurisdizionale era divenuta definitiva prima del 30 settembre 2002 non è ammessa la chiusura della lite.

11.3 Chiusura delle liti in presenza di coobbligati.

D. Quali sono gli effetti della chiusura delle liti nei casi di presenza di coobbligati? Più precisamente quali sono gli effetti nei seguenti casi:

– presentazione del ricorso da parte di tutti i coobbligati

– presentazione di ricorsi distinti da parte di tutti i coobbligati

– presentazione del ricorso da parte di un solo coobbligato (o comunque non di tutti i coobbligati).

R. In linea di principio, ai sensi del comma 10 dell’articolo 16 della finanziaria 2003, si può affermare che la definizione della lite da parte di uno dei coobbligati ha effetto anche per gli altri. Per un dettagliato elenco delle diverse ipotesi si rinvia al punto 10.5 della circolare n. 3/E del 15 gennaio 2003, dove sono descritti gli effetti per i coobbligati ricollegati alla definizione della controversia.

11.4 Liti fiscali pendenti – Caso in cui al 1 gennaio non sia stata effettuata la costituzione in giudizio.

D. Si chiede di conoscere se, ai fini della concreta applicabilità delle disposizioni di cui all’articolo 16 della legge n. 289 del 2002, il richiamo contenuto nel comma 3, lettera a) della norma alla proposizione dell’atto introduttivo del giudizio, consenta di affermare che sia sufficiente la proposizione del ricorso senza la necessità di procedere alla costituzione in giudizio.

R. Ai sensi della lettera a) del comma 3 dell’articolo 16 della finanziaria 2003, la lite è definibile quando è stato proposto l’atto introduttivo del giudizio alla data del 1 gennaio 2003, mentre non è richiesto che alla stessa data sia stata effettuata anche la costituzione in giudizio del ricorrente, come precisato al punto 10.2 della circolare n. 3/E del 2003.

Al riguardo va però evidenziato che la norma non prevede alcuna sospensione del termine di trenta giorni entro il quale effettuare il deposito e che, pertanto, il ricorrente non è esonerato dal rispetto, a pena di inammissibilità, dei termini di cui all’articolo 22 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546.

La costituzione in giudizio del ricorrente si rende necessaria essenzialmente al fine di consentire l’eventuale prosecuzione del giudizio in caso di diniego della definizione.

Anche per la definizione delle liti pendenti dinanzi all’autorità giudiziaria ordinaria è sufficiente che sia stato notificato l’atto di citazione.

11.5 Definizione liti pendenti – cartella conseguente ad accertamento non impugnato.

D. Un contribuente ha impugnato la cartella di pagamento notificata dal concessionario a seguito di avviso di accertamento resosi definitivo per mancata impugnazione. Quali somme devono essere versate per la definizione della controversia per la quale si è tuttora in attesa della sentenza di primo grado?

R. L’articolo 16 della finanziaria 2003 prevede la chiusura delle liti fiscali pendenti aventi ad oggetto avvisi di accertamento, provvedimenti di irrogazione delle sanzioni e ogni altro atto di imposizione.

Il caso sottoposto, così come prospettato, non può essere oggetto di definizione. Infatti, come chiarito al punto 10.3 della circolare n. 3/E del 2003, non sono definibili l’avviso di liquidazione, l’ingiunzione e il ruolo, in considerazione della natura di tali atti, finalizzati alla liquidazione e alla riscossione del tributo e degli accessori.

Si deroga a tale principio solo nel caso in cui uno dei predetti atti assolve anche alla funzione di atto di imposizione, oltre che di liquidazione e riscossione.

In particolare, la lite è definibile ai sensi dell’articolo 16 della legge finanziaria se l’avviso di accertamento non è mai stato notificato al contribuente.

Si segnala che, in alternativa alla definizione della lite, nel caso in cui il ruolo sia stato affidato al concessionario del servizio di riscossione entro il 30 giugno 1999, è possibile definire lo stesso ai sensi dell’articolo 12 della legge finanziaria, mediante il pagamento di una somma pari al 25% dell’importo iscritto a ruolo (capitale, interessi e sanzioni) e delle somme dovute al concessionario a titolo di rimborso delle spese dallo stesso sostenute per l’espletamento di procedure esecutive; non sono dovuti gli interessi di mora maturati. In tal caso, dal perfezionamento della definizione del ruolo ai sensi del citato articolo 12 consegue anche l’estinzione del relativo giudizio per cessazione della materia del contendere, essendo stata definita con la norma agevolativa in esame la pretesa oggetto di lite.

11.6 Definizione liti pendenti – cartella per tributi non pagati

D. E’ corretto ritenere che possa formare oggetto di definizione agevolata anche la cartella di pagamento relativa all’iscrizione a ruolo conseguente al mancato versamento dei tributi, previo pagamento del 10% del valore della lite (importo dell’imposta) e fermo restando il pagamento dell’intero tributo dovuto?

R. La definizione può riguardare anche le controversie aventi ad oggetto le cartelle di pagamento emesse a seguito di liquidazioni ai sensi degli articoli 36-bis e 36-ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 e dell’articolo 54-bis del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633. In questo caso, tuttavia, la convenienza della definizione va valutata con particolare attenzione, tenuto presente che in pendenza di giudizio – salvo che sia già intervenuta una pronuncia favorevole al contribuente – sono comunque dovute per intero le imposte ed i relativi interessi e sanzioni. Solo queste ultime, in caso di chiusura della lite, non saranno più dovute. Al riguardo, va tuttavia evidenziato che non è consentito il rimborso delle somme eventualmente già versate.

11.7 Definizione liti pendenti – contributo al servizio sanitario nazionale

D. Ai sensi del comma 3, lettera c), dell’articolo 16 della L. n. 289 del 2002, per valore della lite si intende l’importo dell’imposta che ha formato oggetto di contestazione in primo grado, al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni collegate al tributo. Non si deve tenere conto, dunque, del contributo al servizio sanitario nazionale? Nulla è dovuto, quindi, a tale titolo?

R. La definizione deve avere per oggetto il contenuto complessivo di ogni singola controversia, in quanto non è ammessa la definizione parziale, riferita cioè ad una sola parte della materia del contendere, così come circoscritta con l’atto introduttivo del giudizio.

Anche il contributo al servizio sanitario nazionale rileva ai fini della determinazione del valore della lite.

Per vero, all’accertamento e riscossione del contributo al servizio sanitario nazionale si applica la disciplina prevista in materia di imposte sui redditi e le relative controversie sono attribuite alla giurisdizione delle commissioni tributarie.

Ciò posto e considerato che il predetto contributo risulta sicuramente definibile ai sensi delle disposizioni in commento, in quanto non espressamente escluso, lo stesso concorre alla determinazione del valore della lite. Peraltro, l’utilizzo dell’espressione “imposta” nell’articolo in esame va riferito genericamente alla pretesa manifestata dall’Amministrazione finanziaria e che forma oggetto della lite fiscale.

Diversamente, si dovrebbero escludere anche gli atti impositivi che riguardino le tasse.

11.8 Definizione liti pendenti – diniego di rimborso.

D. E’ suscettibile di definizione la controversia avente per oggetto un provvedimento di diniego di rimborso d’imposta ovvero il silenzio-rifiuto?

R. L’articolo 16 della L. n. 289 del 2002 consente la chiusura delle liti fiscali pendenti mediante il pagamento del 10% del valore della lite (o di 150 euro per le liti di valore fino a 2.000 euro). Inoltre, non si fa luogo al rimborso delle somme già versate.

Da ciò consegue che non è sostanzialmente ravvisabile un interesse del contribuente a definire la lite quando la stessa concerne istanze di rimborso.

11.9 Esclusione dei rimborsi

D. L’articolo 16, comma 5, ultimo periodo, della legge n. 289 del 2002 stabilisce che “la definizione non dà comunque luogo alla restituzione delle somme già versate”.

Si chiede di sapere se tale espressione vada intesa nel senso che la restituzione è sempre esclusa ovvero se il rimborso spetta nel caso in cui il diritto allo stesso è maturato in data antecedente a quella di esecuzione del versamento mediante il quale si chiude la lite. Può accadere, ad esempio, che la lite pende presso la Commissione tributaria regionale, a seguito di appello dell’Ufficio di sentenza favorevole al contribuente ed ancora non è stato eseguito il rimborso di quanto versato in pendenza di lite.

R. Come correttamente rilevato nel quesito, il comma 5 dell’articolo 16 stabilisce che la definizione non dà luogo alla restituzione delle somme già versate.

Atteso il tenore letterale della disposizione, il rimborso delle somme versate prima della chiusura della lite non deve essere effettuato neanche se il contribuente aveva maturato precedentemente il diritto al rimborso.

Tale posizione trova, tra l’altro, argomenti di sostegno nella sentenza della Corte di Cassazione n. 2133 dell’11 marzo 1999, con la quale, in relazione ad un disposto normativo di tenore analogo, è stato chiarito che la non rimborsabilità delle somme versate prima del condono non ammette deroga, in quanto “la formula usata dalla legge fa riferimento ad un pagamento inteso nella sua materialità”. Aggiunge la Corte che “se il legislatore avesse voluto riconoscere il diritto del contribuente al rimborso delle somme pagate in pendenza di giudizio, avrebbe dovuto prevedere un’ipotesi ulteriore con funzione derogatoria rispetto a quella indicata”.

11.10 Continuità normativa

D. Mi è stato notificato un invito al contraddittorio a seguito di accertamento su parametri. Nel 1998 è stato, però, avviato a mio carico un procedimento penale per utilizzazione di fatture false con contestazione del solo art. 4 lett. d) della L 516/82. Quelle fatture non sono poi state inserite in dichiarazione, per cui in base alle regole di successione delle leggi nel tempo e per mancata continuità tra l’ipotesi sanzionata dalla L 516/82 e il d.lgs. 74/2000 il procedimento dovrebbe essere estinto. Se l’estinzione si verifica entro il 16 marzo prossimo posso accedere alla sanatoria?

R. In conformità all’orientamento della Corte di Cassazione, la circolare 88/E del 27 dicembre 2002, ha chiarito quali sono i casi in cui è ravvisabile continuità normativa tra le vecchie e le nuove figure di reato (in particolare, per il rapporto tra la fattispecie di cui all’abrogato art. 4 lett. d) della L 516/82 e le ipotesi criminose di cui al d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, si veda il punto 3 della circolare citata).

La mancanza di continuità normativa con le ipotesi di reato previste dal decreto 74 è dunque da sola sufficiente ad escludere l’operatività della specifica causa di preclusione dall’accesso alle sanatorie costituita dalla formale conoscenza dell’avvio di un procedimento penale.

11.11 Nozione di lite pendente

D. Qualora, a seguito di una sentenza della Corte di Cassazione che rinvia alla Commissione tributaria regionale per la rideterminazione delle sole sanzioni e il giudizio sia stato riassunto dinanzi al giudice di rinvio, tenuto conto che le sanzioni erano collegate ad un tributo non più in discussione, la controversia è suscettibile di definizione ai sensi dell’articolo 16 della legge finanziaria per il 2003?

R. Il caso di specie segnalato è suscettibile di definizione ai sensi del citato articolo 16, in quanto nella nozione di “liti pendenti” sono ricomprese anche le controversie devolute al giudice tributario o al giudice ordinario a seguito di rinvio, come espressamente previsto al comma 1.

Al riguardo si precisa che il valore della lite da assumere ai fini della definizione (e quindi per il calcolo del 10%) va determinato con riferimento all’imposta contestata con l’atto introduttivo del giudizio in primo grado, senza considerare gli interessi e le sanzioni.

Si evidenzia che, nel caso in esame, la lite è stata originariamente instaurata allo scopo di contestare imposte e sanzioni e solo successivamente (all’esito del giudizio innanzi alla Corte di Cassazione che ha confermato definitivamente le imposte accertate), per effetto del rinvio al giudice di merito per la sola rideterminazione delle sanzioni, la materia del contendere è venuta a circoscriversi a queste ultime.

Considerato, dunque, che in primo grado il giudizio verteva sul tributo e sulle sanzioni ad esso collegate, è al tributo originariamente contestato che occorre fare riferimento per la determinazione del valore della lite.

Diversa è l’ipotesi in cui la lite sia stata, sin dall’origine, limitata alla contestazione delle sole sanzioni, avendo il contribuente prestato acquiescenza al tributo. In tal caso, come chiarito nella circolare n. 3/E del 2003, al punto 10.3, si ritiene che il giudizio possa essere definito avendo riguardo all’ammontare delle sanzioni.

Per quanto riguarda la determinazione delle ulteriori somme dovute ai sensi del comma 5 dell’articolo 16 in esame, ferma restando la debenza delle imposte e dei relativi interessi nell’ammontare deciso dalla Corte di Cassazione, per effetto della chiusura della lite non saranno più dovute le sanzioni. Tuttavia, qualora queste ultime siano state già versate, non si farà luogo a rimborso.

11.12 Definizione parziale

D. Nel caso di lite pendente che prevede più imposte di cui alcune non definibili è possibile una definizione parziale della lite pendente?

R. Come già precisato nella circolare n. 3/E del 2003, le disposizioni di favore in commento non sembrano consentire la definizione parziale di una lite pendente.

Tuttavia nelle rarissime ipotesi in cui una lite autonoma ha per oggetto sia tributi definibili che tributi non definibili, il valore della lite va determinato senza tener conto dei tributi non definibili; in relazione a questi ultimi la lite proseguirà.

11.13 Interessi legali per tardivo pagamento

D. In relazione ai meccanismi di definizione di cui all’articolo 16 della finanziaria 2003, gli interessi legali in caso di tardivo pagamento e quelli relativi alla prima rata da quando decorrono, dal 17 o dal 18 marzo 2003?

R. Il pagamento degli interessi legali è previsto dall’articolo 16 citato solo sulle rate successiva alla prima.

Inoltre, il legislatore ha esplicitamente stabilito che l’omesso o tardivo versamento delle rate successive alla prima non determina l’inefficacia della definizione, bensì la riscossione mediante ruolo delle somme non versate, maggiorate di sanzioni (pari al 30%) ed interessi legali.

Più precisamente, il comma 2 del predetto articolo 16 prevede che “gli interessi legali sono calcolati dal 17 marzo 2003 sull’importo delle rate successive”.

Il legislatore ha previsto tale disciplina esclusivamente per le ipotesi di tardivo o omesso versamento delle rate successive alla prima, in quanto il tempestivo versamento in unica soluzione ovvero della prima rata costituisce condizione essenziale per la validità della definizione e quindi in tal caso non è prevista la riscossione coattiva delle somme non versate, delle sanzioni e degli interessi legali.

11.14 Uffici competenti a comunicare gli elenchi delle liti pendenti

D. L’articolo 16, comma 8 della finanziaria 2003 prevede che gli uffici del comma 1 dello stesso articolo comunichino alle Commissioni tributarie e all’Autorità giudiziaria ordinaria entro il 30 giugno 2003 un elenco delle liti pendenti per le quali è stata presentata domanda di definizione. Quali sono questi uffici?

R. Gli uffici che, ai sensi del comma 8 dell’articolo 16 della finanziaria 2003, devono trasmettere agli organi giurisdizionali gli elenchi delle liti di cui è stata richiesta la definizione sono quelli dell’Amministrazione finanziaria dello Stato.

A questa conclusione si perviene attraverso la lettura dell’intero articolo 16 ed in particolare del comma 4, nel quale è contenuto un diretto riferimento all’Amministrazione finanziaria dello Stato.

11.15 Sospensione delle liti

D. Ai sensi del comma 6 dell’art. 16 le liti fiscali che possono essere definite sono sospese fino al 30 giugno 2003, ma nel caso in cui sia stata già fissata la trattazione della lite in una data compresa tra il 1 gennaio e il 30 giugno 2003, la sospensione del giudizio consegue alla richiesta del contribuente che dichiari di volersi avvalere della disposizione di favore. L’atto con cui viene richiesta la sospensione del giudizio deve scontare l’imposta di bollo?

R. La sospensione del giudizio può essere chiesta con atto depositato presso la segreteria della commissione tributaria. Trattandosi di atto del processo, deve chiaramente scontare l’imposta di bollo ai sensi dell’art. 20 della parte prima della tariffa allegata al DPR n. 642 del 1972. Infatti per tali istanze non opera l’esenzione dall’imposta di bollo prevista dall’art. 5 della Tabella allegata al citato DPR n. 642/72 che prevede espressamente “con esclusione di ricorsi, opposizioni ed altri atti difensivi del contribuente”.

Si evidenzia, peraltro, che nel caso in cui la trattazione avvenga in pubblica udienza la sospensione può essere chiesta oralmente.

L’imposta non è invece dovuta per le liti fiscali definibili pendenti dinanzi al tribunale e alla corte d’appello, in quanto per i giudizi civili è dovuto il contributo unificato di iscrizione al ruolo che sostituisce, tra l’altro, l’imposta di bollo (cfr. risoluzioni n. 315 del 1 ottobre 2002 e n. 319 del 4 ottobre 2002).

12 REDDITO D’IMPRESA – LA DIT

D. Con la circolare 85/E del 2002 l’Agenzia delle Entrate ha specificato che la nuova regola che sterilizza la base Dit nel metodo alternativo e cioè nell’ipotesi di incremento della consistenza di partecipazioni deve considerarsi di carattere temporaneo. Questo dovrebbe significare che le sterilizzazioni di carattere temporaneo dovrebbero continuare ad essere applicate con le regole ordinarie anche dopo le disposizioni introdotte dall’articolo 5 della legge 383 del 2001 che specifica l’irrilevanza dei conferimenti in denaro e degli accantonamenti di utili effettuati dopo il 30 giugno 2001. Questa risposta dell’Agenzia non è in contrasto con quella contenuta nella circolare 4/E del 18 gennaio 2002 dove è stato specificato a proposito di un’altra causa di sterilizzo temporaneo che l’eventuale riduzione dei crediti di finanziamento infragruppo non può dar luogo a incrementi di base DIT successivamente al 30 giugno 2001? Si può considerare superato il contenuto della circolare n. 4?

R. No. L’interpretazione fornita con la circolare n. 4/E del 18 gennaio 2002, si riferisce ad una sterilizzazione da considerare definitiva in quanto come precisato nella medesima circolare “l’eventuale decremento dell’ammontare dei crediti di finanziamento rispetto all’importo iscritto nel bilancio dell’esercizio in corso al 30/09/1996 non può dare luogo ad incrementi della base DIT successivamente al 30 giugno 2001. Viceversa, l’incremento di detti crediti dovrà essere computato in diminuzione del reddito dittabile”.

La sterilizzazione da incremento delle partecipazioni, introdotta con il decreto legge n. 209/2002, ha carattere temporaneo, nel senso che è suscettibile di essere riassorbita qualora l’incremento degli investimenti in partecipazioni venga a ridursi nei periodi d’imposta successivi. Anche in questo caso, peraltro, restano valide le disposizioni dell’articolo 5 della legge 18 ottobre 2001, n. 383 in base alle quali la c.d. “base DIT” non può comunque incrementarsi rispetto al valore determinato al 30 giugno 2001.

Pertanto, un’eventuale diminuzione nella consistenza delle partecipazioni in anni successivi può dare luogo ad un ripristino della “base DIT” solo fino a concorrenza di quella esistente al 30 giugno 2001.

D. Per l’applicazione delle cause di sterilizzo dell’incremento delle consistenze di partecipazioni le Finanze, nella circolare 85/E, hanno ritenuto di considerare dati di confronto risultanti da bilanci civilistici.

Questo significa, come ha bene chiarito Assonime nella circolare n. 71, che dovrebbero assumere rilevanza anche svalutazioni o riprese di valore delle partecipazioni a prescindere dalla circostanza che queste siano o meno riconosciute ai fini del reddito d’impresa?

R. Sì. Ai fini della determinazione del valore delle consistenze delle partecipazioni occorre far riferimento al dato di bilancio: questo non solo è il risultato di acquisti e cessioni ma, naturalmente, è influenzato anche da riprese di valori e svalutazioni effettuate in sede civilistica.

D. Dopo le modifiche introdotte dal D.L. 209 del 2002 quali sono le modalità e le alternative per l’applicazione delle disposizioni DIT da parte di ditte individuali e società di persone?

R. Al pari degli altri contribuenti, i soggetti IRPEF che intendono fruire della DIT possono optare per il nuovo regime o per quello ordinario rettificato.

In base al nuovo regime, l’unica novità per tali soggetti consiste nell’applicare un coefficiente di remunerazione ordinaria pari al saggio degli interessi legali.

Se, viceversa, scelgono il c.d. “regime ordinario rettificato” dovranno tener conto esclusivamente della nuova ipotesi di sterilizzazione della base DIT, collegata all’incremento della consistenza delle partecipazioni rispetto a quella risultante dal bilancio relativo all’esercizio in corso al 30 settembre 1996.

13 REDDITO D’IMPRESA – LA SVALUTAZIONE DELLE PARTECIPAZIONI

D. Cosa si intende per minusvalenze non realizzate riferite a partecipazioni che costituiscono immobilizzazioni finanziarie? Le Finanze hanno dato quale riferimento legislativo l’articolo 66, comma 1 del Tuir che definisce il concetto di minusvalenze realizzate da cui per differenza dovrebbero risultare le minusvalenze non realizzate. Questa interpretazione porterebbe a rateizzare in 5 quote costanti anche le minusvalenze derivanti da liquidazione volontaria di società ovvero da fallimenti delle medesime. E’ questa la volontà dell’Agenzia delle Entrate?

R. Le minusvalenze derivanti dal fallimento o dalla liquidazione volontaria della partecipata si considerano realizzate, e dunque non soggette alla rateizzazione, solo al momento della chiusura della procedura di fallimento, ovvero alla chiusura della procedura di liquidazione volontaria della società partecipata.

Al di fuori di queste ipotesi, tali minusvalenze sono soggette alla deducibilità per quote costanti stabilita dall’articolo 1, comma 1, lettera b), del decreto legge n. 209/2002.

D. Le nuove regole relative alla irrilevanza della distribuzione degli utili nel conteggio della svalutazione delle partecipazioni che costituiscono immobilizzazioni finanziarie in società non quotate vanno a modificare e integrare anche le disposizioni contenute negli articoli 96 e 96 bis del Tuir che si occupano delle medesime fattispecie?

R. Sì. Le disposizioni dettate dall’articolo 1, comma 1, del decreto legge n. 209/2002, avendo una portata più generale, integrano quelle dell’articolo 96 e 96-bis del TUIR: sono in grado di sterilizzare, infatti, l’intera riduzione patrimoniale derivante dalla distribuzione di riserve di utili, a prescindere dalla quota di detti utili che concorre al reddito della partecipante residente.

Occorre tenere presente, tuttavia, che la sterilizzazione prevista dal decreto legge in esame, diversamente dalle disposizioni contenute nell’articolo 96 e 96-bis del TUIR, opera esclusivamente con riferimento a partecipazioni in società non quotate in mercati regolamentati che costituiscono immobilizzazioni finanziarie.

D. I versamenti sotto zero, cioè quelli effettuati dal socio a ripianamento delle perdite che eccedono il patrimonio netto della partecipata, rientrano tra le minusvalenze non realizzate con deducibilità per quinti oppure sono da considerarsi immediatamente deducibili continuando ad applicarsi l’articolo 61, comma 5 del TUIR?

R. Per i versamenti dei soci a copertura perdite, per la parte che eccede il patrimonio netto della partecipata, continua a valere il regime di deduzione immediata (e facoltativa) disposto dall’articolo 61, comma 5, del TUIR.

Tali versamenti non attengono alla valutazione del valore minimo delle partecipazioni, ma si riferiscono a perdite che vanno oltre lo zero. Sotto il profilo tecnico questi oneri costituiscono una spesa d’esercizio, e non una svalutazione, la cui deducibilità è subordinata all’effettivo ripiano del sottozero da parte dei soci.

D. A fine 2002 una società ha stipulato un preliminare di cessione di quote che determinerà una perdita superiore a 5.000.000 di euro. Essendo previsto che la cessione definitiva della partecipazione avverrà nel primo semestre 2003 si intende riclassificare, come prevede il principio contabile n. 20, le quote di partecipazione delle immobilizzazioni finanziarie all’attivo circolante.

E’ corretto non effettuare alcuna comunicazione al Fisco in quanto al momento della cessione manca il requisito oggettivo previsto dalla norma e cioè che si tratta di “partecipazioni che costituiscono immobilizzazioni finanziarie realizzate”.?

R. La comunicazione di cui all’art. 1, comma 4 del d.l. n. 209 del 24/09/2002 così come convertito dalla legge n. 265 del 22/11/2002 deve essere effettuata da parte del contribuente allorquando si realizzino minusvalenze, di ammontare complessivo superiore a 5.000.000 di euro, derivanti da cessioni di partecipazioni che costituiscono immobilizzazioni finanziarie.

Ciò che rileva, ai fini di tale norma, è la originaria o preventiva iscrizione delle partecipazioni tra le immobilizzazioni finanziarie, a prescindere dalla circostanza, come nella fattispecie rappresentata, che le partecipazioni oggetto di cessione siano successivamente riclassificate ed inserite nell’attivo circolante.

Le Direzioni Regionali vigileranno sulla corretta applicazione delle presenti istruzioni.