Penale

Friday 15 October 2004

Falso in bilancio. Le conclusioni fiume dell’ avvocato generale bocciano la riforma. Ora la decisione spetta alla Corte di Giustizia Europea. Corte di giustizia europea – Conclusioni dell’ avvocato generale Juliane Kokott 14 ottobre 2004

Falso in bilancio. Le conclusioni fiume
dell’avvocato generale bocciano la riforma. Ora la
decisione spetta alla Corte di Giustizia Europea

Corte di giustizia europea –
Conclusioni dell’avvocato generale Juliane Kokott

14 ottobre 2004

Ricorrente Silvio Berlusconi
e altri

Cause C-387-391-403/02
«Diritto societario – Prima, quarta e settima direttiva – Conti annuali e conti
consolidati – Principio di pubblica e fedele informazione – Sanzioni
adeguate per false comunicazioni – Limiti all’applicazione delle direttive nei
procedimenti penali – Principio dell’applicazione retroattiva della legge
penale più favorevole»

Indice

I – Introduzione

II – Contesto
normativo

A – Il diritto comunitario

1. Sintesi

2. Le disposizioni rilevanti
della prima direttiva

3. Le disposizioni rilevanti
della quarta direttiva

4. Le disposizioni della
settima direttiva

B – Il diritto nazionale

1. Normativa precedente

2. Nuova normativa

3. Norme penali generali

III – Fatti, cause principali
e questioni pregiudiziali

A – Osservazioni generali

B – Causa C‑387/02, Silvio Berlusconi

C – Causa C‑391/02, Sergio Adelchi

D – Causa C‑403/02, Marcello Dell’Utri e
altri

E – Procedimento dinanzi alla Corte di giustizia

IV – In diritto

A – Ricevibilità
delle ordinanze di rinvio

1. Descrizione dei fatti

2. Descrizione della
normativa

3. Rilevanza ai fini della
decisione

4. Conclusione

B – Esame
nel merito delle questioni pregiudiziali

1. Sull’ambito di applicazione ratione materiae dell’articolo 6 della prima direttiva

2. Sull’adeguatezza delle
sanzioni per false comunicazioni sociali

a)
Efficacia, proporzionalità e capacità dissuasiva delle sanzioni

b) Soglie di tolleranza

c) Termini di prescrizione
per l’azione penale

d) Sistema di sanzioni a più
livelli e presupposti per l’azione penale

e) Quadro complessivo delle disposizioni di diritto
civile, penale e amministrativo

C – Effetti
di una violazione delle direttive da parte delle disposizioni dello Stato
membro sui procedimenti penali pendenti dinanzi ai giudici del rinvio

1. Sull’obbligo
dei giudici nazionali di dare applicazione ai precetti del diritto comunitario

2. Sui limiti
all’applicazione delle direttive nei procedimenti penali

a) Principi sviluppati in
giurisprudenza

b) Esame dei principi in relazione al caso di specie

3. Sull’applicazione
retroattiva della legge penale più favorevole

4. Risultato dell’analisi

V – Conclusione

I –
Introduzione

1. Dinanzi a due organi
giurisdizionali italiani, il Tribunale di Milano e la Corte d’appello di Lecce
(in prosieguo, anche: i «giudici del rinvio»), sono pendenti diversi
procedimenti penali nei quali gli imputati sono ogni volta
accusati di false comunicazioni sociali; nel linguaggio corrente tali
pratiche vengono generalmente denominate anche «falsi in bilancio».

2. Successivamente
alla realizzazione di tali fatti e all’avvio della relativa azione penale, il
legislatore italiano ha mitigato le fattispecie di reato corrispondenti e ne ha
reso più complesso il perseguimento rispetto alla normativa preesistente. Con
riferimento a tale modifica legislativa i giudici del rinvio vogliono sapere,
in sostanza, cosa si debba intendere per sanzioni
adeguate per l’ipotesi di false comunicazioni sociali. Essi chiedono inoltre
se, ai sensi delle direttive comunitarie di diritto societario pertinenti, la
pubblicazione di una falsa comunicazione sociale vada equiparata alla sua
omessa pubblicazione.

3. Nel caso in cui una
normativa quale la legge di modifica italiana dovesse
rivelarsi contrastante con le direttive comunitarie di diritto societario
pertinenti, va inoltre chiarito se nel procedimento penale una legge penale
successiva più favorevole possa essere applicata retroattivamente a favore
dell’imputato nonostante la sua contrarietà al diritto comunitario.

II – Contesto
normativo

A – Il diritto comunitario

1. Sintesi

4. L’articolo 44, n. 1, CE costituisce un fondamento normativo per l’adozione di
direttive volte alla realizzazione della libertà di stabilimento. Ai sensi del
n. 2, lettera g), di tale disposizione spetta al Consiglio e alla Commissione:

«coordina[re], nella
necessaria misura e al fine di renderle equivalenti, le garanzie che sono
richieste, negli Stati membri, alle società a mente dell’articolo 48, secondo
comma per proteggere gli interessi tanto dei soci come dei terzi».

5. La Comunità ha adottato
diverse direttive sul diritto societario. Particolarmente rilevanti per la
presente causa sono:

– la prima
direttiva del Consiglio 9 marzo 1968, 68/151/CEE, intesa a coordinare, per
renderle equivalenti, le garanzie che
sono richieste, negli Stati membri, alle società a mente dell’articolo 58,
secondo comma, del trattato per proteggere gli interessi dei soci e dei terzi
(2) (in prosieguo: la «prima direttiva» o la «direttiva 68/151»), e

– la quarta
direttiva del Consiglio 25 luglio 1978, 78/660/CEE, basata sull’articolo 54,
paragrafo 3, lettera g), del trattato e relativa ai conti annuali di taluni tipi di società (3) (in
prosieguo: la «quarta direttiva» o la «direttiva 78/660»),

che nel caso dell’Italia si applicano alle seguenti
società di capitali: la società per azioni (Spa), la
società in accomandita per azioni e la società a responsabilità limitata (Srl) (4).

6. Va inoltre fatto
riferimento alla settima direttiva del Consiglio 13 giugno 1983, 83/349/CEE,
basata sull’articolo 54, paragrafo 3, lettera g), del
Trattato e relativa ai conti consolidati (5) (in prosieguo: la «settima
direttiva» o la «direttiva 83/349») (6).

2. Le disposizioni rilevanti
della prima direttiva

7. L’articolo 2, n. 1,
lettera f), della prima direttiva obbliga gli Stati membri ad
adottare le misure necessarie perché l’obbligo di pubblicazione degli atti
della società riguardi almeno il bilancio ed il conto profitti e perdite di
ogni esercizio. La disposizione prevede inoltre che il Consiglio adotti, nei
due anni successivi all’adozione della prima direttiva, un’ulteriore
direttiva concernente il coordinamento del contenuto dei bilanci e dei conti
profitti e perdite.

8. L’articolo
3, nn. 1‑3,
della prima direttiva così recita:

«1. In ciascuno Stato membro viene costituito un fascicolo, o presso un registro
centrale, o presso il registro di commercio o registro delle imprese, per ogni
società iscritta.

2. Tutti gli atti e
indicazioni soggetti all’obbligo della pubblicità a norma dell’articolo
2 sono inseriti nel fascicolo o trascritti nel registro; dal fascicolo
deve in ogni caso risultare l’oggetto delle trascrizioni fatte nel registro.

3. Copia integrale o parziale
di ogni atto o indicazione di cui all’articolo 2 deve
potersi ottenere per corrispondenza senza che il costo di tale copia possa
superare il costo amministrativo (…)».

9. Ai sensi dell’ articolo 6, primo trattino, della prima direttiva gli
Stati membri stabiliscono «adeguate sanzioni per i casi di (…) mancata
pubblicità del bilancio e del conto profitti e perdite, come prescritta
dall’articolo 2, paragrafo 1, lettera f)».

3. Le disposizioni rilevanti
della quarta direttiva

10. L’articolo 2 della quarta
direttiva prevede, nelle parti qui rilevanti, quanto segue:

«1. I conti annuali
comprendono lo stato patrimoniale, il conto profitti e perdite e l’allegato.
Questi documenti formano un tutto inscindibile.

2. I conti annuali devono
essere elaborati con chiarezza ed essere conformi alla presente direttiva.

3. I conti annuali devono
dare un quadro fedele della situazione patrimoniale, di quella finanziaria nonché del risultato economico della società.

4. Quando
l’applicazione della presente direttiva non basta per fornire il quadro fedele
di cui al paragrafo 3, si devono fornire informazioni complementari.

5 Se, in casi eccezionali,
l’applicazione di una disposizione della presente direttiva contrasta con
l’obbligo di cui al paragrafo 3, occorre derogare alla disposizione in
questione onde fornire il quadro fedele di cui al
paragrafo 3 (…)».

11. L’articolo 47, n. 1,
primo comma, della quarta direttiva prevede quanto segue:

«I conti annuali regolarmente
approvati e la relazione sulla gestione, nonché la
relazione redatta dalla persona incaricata della revisione dei conti formano
oggetto di una pubblicità effettuata nei modi prescritti dalla legislazione di
ogni Stato membro conformemente all’articolo 3 della direttiva 68/151/CEE».

12. L’articolo 47, n. 1bis,
della quarta direttiva (7) così recita, per quanto possa
qui rilevare:

«Lo Stato membro cui è
soggetta la [società interessata] può dispensare la medesima dalla
pubblicazione dei conti in conformità dell’articolo 3 della
direttiva 68/151/CEE, purché tali conti siano a disposizione del pubblico
presso la sede della società, qualora (…).

Deve essere possibile
ottenere, su richiesta, copie dei conti. Il prezzo di
dette copie non deve essere superiore al costo amministrativo. Opportune
sanzioni devono essere previste per la mancata ottemperanza all’obbligo di
pubblicazione, stabilito nel presente paragrafo».

13. Ai sensi dell’articolo
51, n. 1, della quarta direttiva, le società devono far controllare i loro
conti annuali da una o più persone abilitate, ai sensi della legge nazionale,
alla revisione dei conti.

4. Le disposizioni della
settima direttiva

14. L’articolo 16 della
settima direttiva contiene disposizioni per i conti consolidati di gruppi di imprese che corrispondono essenzialmente a quelle di cui
all’articolo 2 della quarta direttiva; in particolare il conto consolidato deve
fornire un quadro fedele della situazione patrimoniale, di quella finanziaria
nonché del risultato economico dell’insieme delle imprese incluse nel
consolidamento. L’articolo 37 della settima direttiva corrisponde all’articolo 51 della quarta direttiva e prevede un obbligo
di controllo dei conti consolidati. L’articolo 38, n. 1, della settima
direttiva, per quanto riguarda la pubblicità dei conti consolidati, rinvia
parimenti all’articolo 3 della prima direttiva, come
avviene già nella quarta direttiva (articolo 47, n. 1, primo comma) per quanto
riguarda i conti annuali. Inoltre, l’articolo 38, n. 6, della settima direttiva
obbliga gli Stati membri a prevedere sanzioni appropriate per l’ipotesi di omissione di una tale pubblicazione.

B – Il diritto nazionale

15. Le disposizioni di
diritto italiano rilevanti nelle cause in esame sono state sostanzialmente
modificate dal decreto legislativo (8) del Presidente della Repubblica 11
aprile 2002, n. 61, entrato in vigore il 16 aprile 2002 (in prosieguo: il «D.Lgs 61/2002») (9). In prosieguo verrà
quindi descritta prima la precedente normativa e poi quella nuova, attualmente
vigente.

1. Normativa precedente

16. Ai sensi della precedente
normativa, in Italia le false comunicazioni sociali erano passibili di sanzione
ai sensi dell’articolo 2621 del Cc
(10) (in prosieguo: l’«originario articolo 2621 del Cc»).
Tale disposizione recitava quanto segue:

«Salvo che il fatto costituisca reato più grave, sono puniti con la reclusione
da uno a cinque anni e con la multa da lire due milioni a venti milioni:

1) i promotori, i soci
fondatori, gli amministratori, i direttori generali, i sindaci e i liquidatori,
i quali nelle relazioni, nei bilanci o in altre comunicazioni sociali,
fraudolentemente espongono fatti non rispondenti al vero sulla costituzione o
sulle condizioni economiche della società o nascondono in tutto o in parte
fatti concernenti le condizioni medesime; (…)».

17. Nella sua precedente
versione, l’articolo 2621 del Cc riguardava un
delitto che poteva essere perseguito d’ufficio e che era soggetto a un termine di prescrizione decennale. In caso di atti interruttivi tale termine
poteva essere aumentato di altri cinque anni (11).

18. Secondo la giurisprudenza
italiana l’articolo 2621 del Cc
non tutelava solo gli specifici interessi dei soci e dei creditori, ma anche
l’interesse generale al regolare funzionamento delle società commerciali. Lo
scopo di tutela della norma si estendeva a qualsiasi attività diretta ad
alterare la situazione obiettiva di una società (12).

19. Secondo la precedente
normativa era considerata circostanza aggravante il fatto che dalle false
comunicazioni sociali ai sensi dell’originario articolo 2621 derivasse
all’impresa un danno di gravità rilevante; in tal caso la pena, ai sensi
dell’articolo 2640 del Cc (in prosieguo:
l’«originario articolo 2640 del Cc»), era aumentata
fino alla metà.

2. Nuova normativa

20. Con il D.Lgs 61/2002 è stato, tra l’altro, sostituito l’originario
articolo 2621 del Cc con le seguenti due disposizioni:

«Articolo 2621 (False
comunicazioni sociali)

Salvo
quanto previsto dall’articolo 2622,
gli amministratori, i direttori generali, i sindaci e i liquidatori, i quali,
con l’intenzione di ingannare i soci o il pubblico e al fine di conseguire per
sé o per altri un ingiusto profitto, nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre
comunicazioni sociali previste dalla legge, dirette ai soci o al pubblico,
espongono fatti materiali non rispondenti al vero ancorché oggetto di
valutazioni ovvero omettono informazioni la cui comunicazione è imposta dalla
legge sulla situazione economica, patrimoniale, o finanziaria della società o
del gruppo al quale essa appartiene, in modo idoneo ad indurre in errore i
destinatari sulla predetta situazione, sono puniti con l’arresto fino ad un
anno e sei mesi.

La punibilità è estesa anche
al caso in cui le informazioni riguardino beni
posseduti od amministrati dalla società per conto di terzi.

La punibilità è esclusa se le
falsità o le omissioni non alterano in modo sensibile la rappresentazione della
situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al
quale essa appartiene. La punibilità è comunque
esclusa se le falsità o le omissioni determinano una variazione del risultato
economico di esercizio, al lordo delle imposte, non superiore al 5% o una
variazione del patrimonio netto non superiore all’1 per cento.

In ogni caso il fatto non è
punibile se conseguenza di valutazioni estimative che, singolarmente
considerate, differiscono in misura non superiore al 10 per cento da quella
corretta.

Articolo 2622 (Comunicazioni
sociali in danno dei soci o dei creditori)

Gli amministratori, i
direttori generali, i sindaci e i liquidatori, i quali, con l’intenzione di
ingannare i soci o il pubblico e al fine di conseguire per sé o per altri un
ingiusto profitto, nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni
sociali previste dalla legge, dirette ai soci o al pubblico, esponendo fatti
materiali non rispondenti al vero ancorché oggetto di valutazioni, ovvero omettendo informazioni la cui comunicazione è imposta
dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della
società o del gruppo al quale essa appartiene, in modo idoneo ad indurre in
errore i destinatari sulla predetta situazione, cagionano un danno patrimoniale
ai soci o ai creditori, sono puniti, a querela della persona offesa, con la
reclusione da sei mesi a tre anni.

Si procede a querela anche se il fatto integra altro delitto, ancorché
aggravato, a danno del patrimonio di soggetti diversi dai soci e dai creditori,
salvo che sia commesso in danno dello Stato, di altri enti pubblici o delle
Comunità europee.

Nel caso di società soggette
alle disposizioni della parte IV, titolo III, capo II, del decreto legislativo
58/1998, la pena per i fatti previsti al primo comma è da uno a quattro anni e
il delitto è procedibile d’ufficio.

La punibilità per i fatti
previsti dal primo e terzo comma è estesa anche al
caso in cui le informazioni riguardino beni posseduti o amministrati dalla società
per conto di terzi.

La punibilità per i fatti
previsti dal primo e terzo comma è esclusa se le
falsità o le omissioni non alterano in modo sensibile la rappresentazione della
situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al
quale essa appartiene. La punibilità è comunque
esclusa se le falsità o le omissioni determinano una variazione del risultato
economico di esercizio, al lordo delle imposte, non superiore al 5 per cento o
una variazione del patrimonio netto non superiore all’1 per cento.

In ogni caso il fatto non è
punibile se conseguenza di valutazioni estimative che, singolarmente
considerate, differiscono in misura non superiore al 10 per cento da quella
corretta».

21. Il
nuovo articolo 2621 può essere considerato una fattispecie residuale
rispetto al nuovo articolo 2622 del Cc (13). A causa
della sanzione penale più favorevole rispetto alla precedente normativa, il
nuovo articolo 2621 prevede ormai solo una contravvenzione; il relativo termine
di prescrizione più breve per tale reato è ormai di tre anni; in caso di atti interruttivi la
prescrizione interviene al più tardi dopo, complessivamente, quattro anni e sei
mesi.

22. Quanto
ai nuovi requisiti per proporre querela di cui al nuovo articolo 2622, primo
comma, del Cc, l’articolo 5 del D.Lgs
61/2002 prevede una disciplina transitoria. Ai sensi della stessa per i
reati commessi prima della data di entrata in vigore
del D.Lgs 61/2002 il termine per la presentazione
della querela decorre da quest’ultima data.

23. L’articolo 2630 del Cc, nella versione di cui al D.Lgs
61/2002 (in prosieguo: il «nuovo articolo 2630 del Cc»),
prevede una sanzione amministrativa pecuniaria da EUR 206 a
EUR 2 065 per la mancata esecuzione, nei termini prescritti, delle
comunicazioni sociali previste dalla legge. La sanzione amministrativa
pecuniaria è aumentata di un terzo se non vengono
depositati i bilanci.

24. Occorre inoltre fare
riferimento ad una nuova disposizione relativa alle
sanzioni amministrative pecuniarie per le società, che è stata parimenti
introdotta dal D.Lgs 61/2002. Essa, tuttavia, non è
stata inserita nel Cc, ma, come articolo 25ter, nel
decreto legislativo 231/01 (14) (in prosieguo: il «D.Lgs
n. 231/2001»), e disciplina la «responsabilità amministrativa delle società»
(15) come segue:

«1. In
relazione ai reati in materia societaria previsti dal Cc, se commessi nell’interesse della società, da
amministratori, direttori generali o liquidatori o da persone sottoposte alla
loro vigilanza, qualora il fatto non si fosse realizzato se essi avessero
vigilato in conformità degli obblighi inerenti alla loro carica, si applicano
le seguenti sanzioni pecuniarie:

a) per la contravvenzione di
false comunicazioni sociali, prevista dall’articolo 2621
del Cc, la sanzione pecuniaria da cento a
centocinquanta quote;

b) per il
delitto di false comunicazioni sociali in danno dei soci o dei creditori,
previsto dall’articolo 2622, primo comma, del Cc, la
sanzione pecuniaria da
centocinquanta a trecentotrenta quote;

c) per il
delitto di false comunicazioni sociali in danno dei soci o dei creditori,
previsto dall’articolo 2622, terzo comma, del Cc, la
sanzione pecuniaria da duecento a
quattrocento quote;

(…)

3. Se,
in seguito alla commissione dei reati di cui al comma 1, l’ente ha conseguito un
profitto di rilevante entità, la sanzione pecuniaria è aumentata di un terzo».

3. Norme penali generali

25. Il principio della
legalità della pena è stabilito all’articolo 25,
secondo comma, della Costituzione italiana e all’articolo 2, primo comma, del
codice penale (16).

26. In caso di divergenza tra
la legge vigente al momento in cui è stato commesso il
reato e le leggi posteriori, l’articolo 2, terzo comma, del codice penale
prevede che debba essere applicata quella le cui disposizioni sono più favorevoli
al reo, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile.

27. Per
quanto riguarda i termini di prescrizione per l’azione penale, la normativa
italiana prevede, in particolare, quanto segue: ai sensi dell’articolo 157 del
codice penale la prescrizione estingue il reato una volta decorsi, tra l’altro,
i seguenti termini:

– dieci anni, se si tratta di
delitto per cui la legge stabilisce la pena della
reclusione non inferiore a cinque anni;

– cinque anni, se si tratta
di delitto per cui la legge stabilisce la pena della
reclusione inferiore a cinque anni, o la pena della multa;

– tre anni, se si tratta di
contravvenzione per cui la legge stabilisce la pena
dell’arresto.

L’articolo 160, terzo comma,
del codice penale prevede che la prescrizione interrotta comincia nuovamente a
decorrere dal giorno dell’interruzione. In presenza di
più atti interruttivi, la prescrizione decorre
dall’ultimo di essi, ma in nessun caso i termini stabiliti nell’articolo 157
possono essere prolungati di oltre la metà.

III – Fatti, cause principali
e questioni pregiudiziali

A – Osservazioni generali

28. Gli imputati delle tre
cause principali sono accusati di false comunicazioni sociali; tutti i reati di
cui trattasi sono stati commessi, e i relativi procedimenti penali sono stati
avviati, prima dell’entrata in vigore del D.Lgs
61/2002, quindi in un periodo in cui in Italia era ancora in vigore
l’originario articolo 2621 del Cc.

29. In pendenza dei diversi
procedimenti penali è entrato in vigore il D.Lgs
61/2002. Gli imputati fanno quindi ora valere l’applicabilità dei nuovi
articoli 2621 e 2622 del Cc dalla quale, secondo i
giudici nazionali, conseguirebbe la non punibilità degli stessi.

30. I giudici del rinvio sottolineano essenzialmente i seguenti aspetti della nuova
disciplina.

31. Sia nel
nuovo articolo 2621 sia nel nuovo articolo 2622 del Cc
la pena per le false comunicazioni sociali sarebbe stata chiaramente diminuita
rispetto alla vecchia normativa. Quanto al nuovo articolo 2621 del Cc, il Tribunale di Milano osserva, ad esempio, nella causa
C‑403/02, che «le violazioni di tipo contravvenzionale
sono punite con pene risibili in termini quantitativi» e che le pene previste
sono «inferiori quasi sempre a due anni di reclusione
e quindi rientranti nell’ambito della sospensione condizionale della pena».

32. Un confronto tra il nuovo
articolo 2621 e il nuovo articolo 2622 del Cc
mostrerebbe che la nuova disciplina legislativa effettua
una distinzione a seconda che le false comunicazioni sociali cagionino o meno
un danno ai soci o ai creditori. Solo qualora venga
cagionato un tale danno, il reato configurerebbe un delitto (nuovo articolo
2622 del Cc), in caso contrario configurerebbe una
semplice contravvenzione (nuovo articolo 2621 del Cc).

33. La classificazione di un
reato come delitto o contravvenzione non si tradurrebbe solo in una diversa
misura della pena, ma avrebbe anche altre conseguenze pratiche rilevanti. Così,
ad esempio, reati come il riciclaggio di denaro sporco o la ricettazione, che presuppongono un delitto, non potrebbero essere realizzati
in relazione ad una semplice contravvenzione come quella di cui al nuovo
articolo 2621 del Cc.

34. Inoltre le due nuove
fattispecie di reato presupporrebbero, come ulteriore
elemento soggettivo del reato, accanto all’intenzione di ingannare, una sorta
di intento di arricchimento.

35. Sia ai sensi del nuovo
articolo 2621 sia ai sensi del nuovo articolo 2622 del Cc
la punibilità sarebbe esclusa se le falsità o le omissioni non alterano in modo
sensibile la rappresentazione della situazione economica, patrimoniale o
finanziaria della società o del gruppo di imprese. Ciò
deriverebbe dalle soglie di tolleranza previste dal nuovo
articolo 2621, terzo e quarto comma, e dal nuovo articolo 2622, quinto e
sesto comma, del Cc.

36. Il termine di
prescrizione per l’azione penale ai sensi del nuovo articolo 2621 sarebbe molto
più corto rispetto alla precedente normativa. Poiché
tale termine decorrerebbe già dal momento della commissione del reato, le
indagini, spesso lunghe e dispendiose, e il procedimento giudiziario, che
generalmente si protrarrebbe per tre gradi di giudizio, normalmente non
terminerebbero prima dell’avvenuta prescrizione.

37. L’azione penale, ai sensi
del nuovo articolo 2622 del Cc, presupporrebbe la
querela del danneggiato, salvo che si tratti di una
società quotata in borsa o il reato sia commesso a danno dello Stato, di altri
enti pubblici o delle Comunità europee (17).

38. I Pm
competenti nelle cause principali ritengono che la nuova normativa, alla luce
delle sue descritte particolarità, contrasti con la Costituzione italiana
e con il diritto comunitario.

B – Causa C‑387/02, Silvio Berlusconi

39. L’imputato Silvio Berlusconi è accusato, per gli anni 1986-1989, in quanto
presidente e principale azionista della Fininvest SpA e di altre società del
medesimo gruppo, di aver pubblicato false comunicazioni sociali. Secondo
l’accusa tali atti sarebbero stati diretti a nascondere operazioni finanziarie
e a creare, al di fuori della contabilità societaria, provviste di contanti
(18), poi impiegate in operazioni riservate ed illecite. I reati sono stati
contestati ai sensi dell’originario articolo 2621 del Cc
(19).

40. In seguito all’entrata in
vigore del D.Lgs 61/2002 sarebbe ormai applicabile
solo il nuovo articolo 2621 del Cc. In tal caso il
reato sarebbe però già prescritto. La prescrizione sarebbe addirittura avvenuta
già molto prima dell’avvio dell’azione penale. Un’applicazione del nuovo
articolo 2622 del Cc non sarebbe possibile, poiché
non sarebbe stata proposta una valida querela e le
società interessate all’epoca dei fatti non erano nemmeno quotate in borsa, per
cui sarebbe esclusa anche la procedibilità d’ufficio.

41. Con ordinanza 26 ottobre
2002 il Tribunale di Milano, dinanzi alla cui Prima Sezione penale il sig. Berlusconi e altri sono imputati, ha deciso di sospendere
il procedimento e di sottoporre alla Corte tre questioni pregiudiziali le quali
possono essere riassunte come segue (20).

1) Se si debba presupporre
che l’articolo 6 della direttiva 68/151 riguardi non solo il caso di omessa pubblicazione del bilancio o del conto profitti e
perdite, ma anche il caso di avvenuta pubblicazione di tali atti con contenuti
non veritieri, attesa l’evidente maggiore lesività,
in tale ipotesi, degli interessi dei soci e dei terzi. Oppure
se la direttiva intenda stabilire un livello minimo di tutela comunitaria,
lasciando agli Stati membri il compito di attivare mezzi di tutela per il caso
di presentazione di bilanci o di comunicazioni sociali false.

2) Se i criteri di effettività, proporzionalità e dissuasività,
a cui le sanzioni che vanno adottate dagli Stati membri devono rispondere per
essere «adeguate», siano riferibili alla natura o al tipo della sanzione
astrattamente considerata, ovvero alla sua concreta applicabilità, tenuto conto
delle caratteristiche strutturali dell’ordinamento cui afferisce.

3) Se i principi che derivano
dalle direttive 78/660, 83/349 nonché 90/605, cui si
devono uniformare le disposizioni nazionali per quanto attiene ai criteri di
redazione e al contenuto dei conti annuali nonché della relazione di gestione,
segnatamente per le società di capitali, ostino a che gli Stati membri fissino
soglie al di sotto delle quali non è punibile l’infedele rappresentazione nei
conti annuali e nelle relazioni di gestione attinenti [al]le società per
azioni, in accomandita per azioni ed a responsabilità limitata.

C – Causa C‑391/02, Sergio Adelchi

42. Il 9 gennaio 2001
l’imputato Sergio Adelchi è stato condannato in primo grado dal Tribunale di
Lecce, in base all’originario articolo 2621 del Cc,
per false comunicazioni sociali negli anni 1992 e 1993 per le società La Nuova Adelchi Srl e
Calzaturificio Adelchi Srl. Il sig. Adelchi era
amministratore unico di tali società. I bilanci delle stesse sarebbero
incontestabilmente falsi in quanto sarebbero state
emesse fatture false e sarebbero state dichiarate operazioni fittizie di
importazione e di esportazione oltre i confini doganali comunitari; tali
operazioni avrebbero alterato l’importo dei costi e del fatturato delle due
società.

43. L’imputato Adelchi ha
impugnato la sentenza di condanna di primo grado dinanzi alla Corte d’appello
di Lecce. In seguito all’entrata in vigore del D.Lgs
61/2002 sarebbe ora comunque applicabile il nuovo
articolo 2621 del Cc. Pertanto, l’imputato Adelchi si
appella all’avvenuta prescrizione e fa inoltre valere l’assenza di un’alterazione
sensibile della situazione economica, patrimoniale e finanziaria delle due
società da lui amministrate (21). L’applicabilità del nuovo articolo 2622 del Cc sarebbe esclusa a priori in quanto non è stata proposta
una valida querela e le società interessate non sono nemmeno quotate in borsa, per cui è esclusa inoltre la procedibilità d’ufficio.

44. Con ordinanza 7 ottobre
2002 la Corte d’appello di Lecce, sezione penale, ha sospeso il procedimento e
ha sottoposto alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

1) Se, con
riferimento all’obbligo dei singoli Stati membri di adottare «adeguate
sanzioni» per le violazioni previste dalle direttive 68/151 e 78/660, le direttive stesse e, in particolare, il
combinato disposto dell’articolo 44, [n. 2], lettera g), del
Trattato istitutivo delle Comunità europee, articoli 2, n. 1, lettera f), e 6
della direttiva 68/151 e articoli 2, nn.
2-3-4, della direttiva 78/660 (come integrata dalle direttive 83/349 e 90/605)
debba[no] essere interpretat[i] (o meno) nel senso che
tali norme ost[a]no ad una legge di uno Stato membro
che, modificando la disciplina sanzionatoria già in vigore in materia di reati
societari, a fronte della violazione degli obblighi imposti per la tutela del
principio di pubblica e fedele informazione delle società, preveda
un sistema sanzionatorio in concreto non improntato a criteri di effettività,
proporzionalità e dissuasività delle sanzioni poste a
presidio di tale tutela.

2) Se le
citate direttive e, in particolare, le norme di cui all’articolo 44, [n. 2], lettera g), CE, articoli 2, n.
1, lettera f), e 6 della direttiva 68/151 ed articolo 2, nn.
2-3-4, della direttiva 78/660 (come integrata dalle direttive 83/349 e 90/605)
debbano essere interpretate (o meno) nel senso che
(tali norme) ost[a]no ad una legge di uno Stato
membro che escluda la punibilità della violazione degli obblighi di pubblicità
e fedele informazione di certi atti societari (tra cui il bilancio ed il conto
profitti e perdite), allorquando la falsa comunicazione sociale o l’omessa
informazione determin[a]no una variazione del
risultato economico di esercizio o una variazione del patrimonio sociale netto
non superiori ad una certa soglia percentuale.

3) Se le
citate direttive e, in particolare, le norme di cui all’articolo 44, [n. 2], lettera g), CE, articoli 2, n.
1, lettera f), e 6 della direttiva 68/151 ed articolo 2, nn.
2‑3‑4,
della direttiva 78/660 (come integrata dalle direttive 83/349 e 90/605) debbano
essere interpretate (o meno) nel senso che (tali
norme) ost[a]no ad una legge di uno Stato membro che
escluda la punibilità della violazione degli obblighi di pubblicità e fedele
informazione gravanti sulle società, allorquando sono fornite indicazioni che,
quantunque finalizzate ad ingannare i soci o il pubblico a scopo d’ingiusto
profitto, siano conseguenza di valutazioni estimative che, singolarmente
considerate, differisc[o]no in misura non superiore
ad una determinata soglia.

4) Se,
indipendentemente da limiti progressivi o soglie, le citate direttive e, in
particolare, le norme di cui all’articolo 44, [n. 2], lettera g), CE, articoli 2, n.
1, lettera f), e 6 della direttiva 68/151 ed articolo 2, nn.
2‑3‑4,
della direttiva 78/660 (come integrata dalle direttive 83/349 e 90/605) debbano
essere interpretate (o meno) nel senso che (tali
norme) ost[a]no ad una legge di uno Stato membro che
escluda la punibilità della violazione degli obblighi di pubblicità e fedele
informazione gravanti sulle società allorquando le falsità o le omissioni
fraudolente e, comunque, le comunicazioni e informazioni non fedelmente
rappresentative della situazione patrimoniale, finanziaria e del risultato
economico della società, non alterino «in modo sensibile» la situazione
patrimoniale o finanziaria del gruppo (sebbene sia rimessa al legislatore nazionale
l’individuazione della nozione di «alterazione sensibile»);

5) Se le
citate direttive e, in particolare, le norme di cui all’articolo 44, [n. 2], lettera g), CE, articoli 2, n.
1, lettera f), e 6 della direttiva 68/151 ed articolo 2, nn.
2-3-4, della direttiva 78/660 (come integrata dalle direttive 83/349 e 90/605)
debbano essere interpretate (o meno) nel senso che
(tali norme) ostino ad una legge di uno Stato membro che, a fronte della
violazione di quegli obblighi di pubblicità e fedele informazione gravanti
sulle società, posti a presidio della tutela degli «interessi tanto dei soci
come dei terzi», preveda solo per i soci ed i creditori il diritto di chiedere
la sanzione, con conseguente esclusione di una tutela generalizzata ed
effettiva dei terzi.

6) Se le
citate direttive e, in particolare, le norme di cui all’articolo 44, [n. 2], lettera g), CE, articoli 2, n.
1, lettera f), e 6 della direttiva 68/151 ed articolo 2, nn.
2-3-4, della direttiva 78/660 (come integrata dalle direttive 83/349 e 90/605)
debbano essere interpretate (o meno) nel senso che
(tali norme) ost[a]no ad una legge di uno Stato
membro che, a fronte della violazione di quegli obblighi di pubblicità e fedele
informazione gravanti sulle società, posti a tutela degli «interessi tanto dei
soci come dei terzi», preveda un meccanismo di perseguibilità ed un sistema
sanzionatorio particolarmente differenziati, riservando esclusivamente alle
violazioni in danno di soci e creditori la punibilità a querela e sanzioni più
gravi ed effettive.

D – Causa C‑403/02, Marcello Dell’Utri e
altri

45. Agli imputati Marcello
Dell’Utri, Romano Luzi e
Romano Comincioli sono stati contestati, tra l’altro,
falsi in bilancio commessi fino al 1993 (22).
All’epoca dei fatti tali reati erano sanzionati dagli
originari articoli 2621 e 2640 del Cc. Dall’entrata
in vigore del D.Lgs 61/2002, essi rientrano
nell’ambito di applicazione del nuovo articolo 2622
del Cc.

46. Con ordinanza 29 ottobre
2002 il Tribunale di Milano, Quarta Sezione penale, ha deciso di sospendere il
procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

1) Se l’articolo 6 della
direttiva 68/151possa essere inteso nel senso di obbligare gli Stati membri a
stabilire adeguate sanzioni non solo per la mancata
pubblicità del bilancio e del conto profitti e perdite delle società
commerciali, ma anche per la falsificazione dello stesso, delle altre
comunicazioni sociali dirette ai soci o al pubblico, o di qualsiasi
informazione sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria che la
società abbia obbligo di fornire sulla società stessa o sul gruppo alla quale
essa appartiene.

2) Se, anche ai sensi
dell’articolo 5 del Trattato CEE, il concetto di «adeguatezza» della sanzione
debba essere inteso in modo concretamente valutabile nell’ambito normativo (sia
penale che procedurale) del paese membro, e cioè come
sanzione «efficace, effettiva, realmente dissuasiva».

3) Se, infine, tali
caratteristiche siano riscontrabili nel combinato disposto dei novellati
articoli 2621 e 2622 del Cc così modificati dal
decreto legislativo emanato dallo Stato italiano l’11 aprile 2002, n. 61: in
particolare se possa definirsi «efficacemente dissuasiva» e «concretamente
adeguata» la norma che prevede (al citato articolo 2621 del Cc)
per i reati di falso in bilancio non causativi di danno patrimoniale, ovvero causativi di danno ma ritenuti improcedibili
ex articolo 2622 del Cc per carenza di querela, una
pena contravvenzionale di anni l e mesi 6 di arresto; se, infine, risulti
adeguato prevedere, per i reati previsti dal primo comma dell’articolo 2622 del
Cc (e cioè commessi nell’ambito di società
commerciali non quotate in borsa) una procedibilità a querela di parte (e cioè
a querela di soci e di creditori) anche in relazione alla concreta tutela del
bene collettivo della «trasparenza» del mercato societario sotto il profilo
della possibile estensione comunitaria dello stesso.

E – Procedimento dinanzi alla Corte di giustizia

47. Con ordinanza del
presidente della Corte 20 gennaio 2003, i tre procedimenti C‑387/02,
C‑391/02 e C‑403/02 sono stati
riuniti ai fini delle fasi scritta e orale, nonché
della sentenza.

48. Gli imputati Berlusconi e Dell’Utri, la Procura generale presso la Corte di appello
di Lecce (23), il governo italiano nonché la Commissione hanno
presentato osservazioni scritte alla Corte. All’udienza del 13 luglio 2004 i
rappresentanti degli imputati Berlusconi, Adelchi e
Dell’Utri, della Procura della Repubblica presso il
Tribunale ordinario di Milano (24), della Procura generale presso la Corte di appello
di Lecce, del governo italiano nonché della Commissione hanno svolto
osservazioni orali.

IV – In diritto

A – Ricevibilità
delle ordinanze di rinvio

49. Gli imputati Berlusconi e Dell’Utri nonché il governo italiano esprimono dubbi sulla ricevibilità delle ordinanze di rinvio.

1. Descrizione dei fatti

50. L’imputato Dell’Utri allega innanzitutto che
l’ordinanza di rinvio nella causa C‑403/02 non
conterrebbe alcuna descrizione dei fatti del procedimento principale, per cui
sarebbe irricevibile.

51. Non condivido tale
preoccupazione. È vero che il Tribunale di Milano si è limitato ad esporre in
modo estremamente sintetico alla Corte che gli
imputati sono stati accusati, tra l’altro, di falsi in bilancio commessi sino
al 1993, che tali fatti erano in precedenza punibili ai sensi degli originari
articoli 2621 e 2640 del Cc e che ora ricadono nel
nuovo articolo 2622 del Cc. Tali dati sono tuttavia
sufficienti per la comprensione delle questioni pregiudiziali sottoposte alla
Corte.

52. È noto che la Corte nel
procedimento pregiudiziale non deve esprimersi sulla concreta interpretazione e
applicazione del diritto penale nazionale. In particolare, essa non decide la
questione se l’imputato abbia commesso o meno falsi in
bilancio. Perciò non è rilevante per la Corte conoscere nei particolari quali
atti vengano contestati all’imputato. È sufficiente
invece la notizia che determinati atti – non meglio precisati – hanno portato ad una imputazione per falso in bilancio e che
è pendente un processo penale a tale proposito.

53. Entrambi i problemi
essenziali di cui si deve occupare la
Corte nella fattispecie, vale a dire, da una parte, la
questione se ai sensi delle pertinenti direttive sul diritto societario (25) la
pubblicazione di una falsa comunicazione sociale vada
equiparata alla sua omessa pubblicazione e, dall’altra, la questione cosa di si
debba intendere per sanzioni adeguate per le false comunicazioni sociali,
possono essere utilmente risolti sulla base delle informazioni sommarie
fornite.

2. Descrizione della
normativa

54. Gli imputati Berlusconi e Dell’Utri sostengono
inoltre che nelle ordinanze di rinvio delle cause C‑387/02
e C‑403/02 la normativa nazionale sarebbe descritta in
modo incompleto, perché praticamente si farebbe ivi
riferimento solo all’originario articolo 2621, al nuovo articolo 2621 e al
nuovo articolo 2622 del Cc, ma non al quadro
complessivo delle disposizioni italiane applicabili alle false comunicazioni
sociali e adottate in attuazione delle direttive sul diritto societario.

55. Non condivido nemmeno
tale preoccupazione. La descrizione sufficiente della normativa e dei fatti
mira, da un lato, a consentire alla Corte di fornire un’interpretazione del
diritto comunitario che sia utile per il giudice nazionale e, dall’altro, a
dare ai governi degli Stati membri, nonché agli altri
interessati, la possibilità di presentare osservazioni in conformità
all’articolo 23 dello Statuto della Corte di giustizia (26). È facendo
riferimento a tale obiettivo che occorre esaminare se le informazioni
presentate nelle ordinanze di rinvio siano sufficienti
o meno.

56. In entrambe le ordinanze
di rinvio vengono esposti e comparati gli elementi
essenziali della precedente e della nuova normativa italiana. In particolare i
giudici del rinvio hanno sufficientemente descritto le fattispecie di reato che
sono chiamati ad applicare nei procedimenti penali
pendenti. Pertanto, il caso di specie non è per nulla paragonabile a quei
procedimenti in cui la Corte dichiara irricevibili le
questioni pregiudiziali per grave mancanza di riferimenti al contesto
fattuale o giuridico (27).

57. È vero che è esatta
l’osservazione che le ordinanze di rinvio non descrivono anche tutte le altre
disposizioni che sono state adottate in Italia in attuazione delle direttive sul
diritto societario. Inoltre, come rileva la Commissione, non viene nemmeno fatto riferimento alla possibile dichiarazione
di nullità delle deliberazioni sociali (28) e nemmeno alla responsabilità
civile degli amministratori per falso in bilancio, tuttavia, la mancanza di
tali indicazioni aggiuntive non rende affatto incomprensibili o inutilizzabili
le ordinanze di rinvio. Informazioni complementari di tale tipo non sono
indispensabili ai fini della soluzione delle questioni pregiudiziali e per le
osservazioni dei partecipanti al procedimento. Inoltre, come rilevato, esse
possono essere introdotte, dalla parte che lo ritenga
utile, nel procedimento pregiudiziale presentando osservazioni ai sensi
dell’articolo 23 dello Statuto della Corte di giustizia.

3. Rilevanza ai fini della
decisione

58. Infine, gli imputati Berlusconi e Dell’Utri nonché il governo italiano considerano irricevibili
i rinvii pregiudiziali anche perché le questioni poste sarebbero irrilevanti
per le rispettive cause principali. Per i principi di legalità della pena (nullum crimen, nulla poena sine lege)
e i principi di applicazione retroattiva della legge
penale più favorevole sarebbe chiaro a priori che le imputazioni andrebbero
comunque giudicate secondo il nuovo contesto normativo, vale a dire ai sensi
dei nuovi articoli 2621 e 2622 del Cc nella versione
di cui al D.Lgs 61/2002. La
fattispecie di reato di cui all’originario articolo 2621 del Cc, in vigore all’epoca dei fatti, non potrebbe essere
applicata in nessun caso. Né una sentenza della
Corte di giustizia a seguito di rinvio pregiudiziale, né il controllo di
costituzionalità che i giudici del rinvio intendono chiedere alla Corte
costituzionale italiana (29) potrebbero modificare tale circostanza. Sarebbe
quindi inutile un esame della conformità della nuova normativa al diritto
comunitario.

59. Tale opinione non
convince per i seguenti motivi.

60. Le questioni
pregiudiziali in tutte e tre le cause sono relative a
concreti procedimenti penali. La prosecuzione di tali procedimenti dipende in
modo decisivo dalla questione se le norme nazionali introdotte dal legislatore
italiano con il D.Lgs 61/2002 contrastino
con le direttive sul diritto societario o siano conformi alle stesse. Tale
questione sarebbe irrilevante ai fini della prosecuzione dei procedimenti
principali solo sefosse effettivamente certo a priori
che disposizioni come quelle dei nuovi articoli 2621 e 2622 del Cc, in quanto leggi penali più favorevoli, vanno in ogni
caso applicate retroattivamente, anche qualora siano
in contrasto con il diritto comunitario. Ma non è
così, anzi non è assolutamente ovvio che leggi penali più favorevoli vadano
applicate retroattivamente nonostante la loro contrarietà al diritto
comunitario. È almeno altrettanto plausibile invece una soluzione secondo la
quale nuove fattispecie di reato vengano disapplicate se e in quanto siano in contrasto con
disposizioni del diritto comunitario, e che vengano applicate invece le
disposizioni precedenti in vigore all’epoca dei fatti (30). La Corte non ha ancora
esaminato approfonditamente tale problematica.

61. È, inoltre, irrilevante
ai fini della ricevibilità delle questioni
pregiudiziali, contrariamente a quanto sostengono gli imputati e il governo
italiano, se le risposte della Corte di giustizia possano
essere utilizzate o meno successivamente in un procedimento dinanzi alla Corte
costituzionale italiana. La rilevanza delle questioni pregiudiziali va valutata
non con riferimento a un eventuale procedimento
successivo dinanzi alla Corte costituzionale, ma esclusivamente con riferimento
ai procedimenti penali attualmente pendenti dinanzi ai giudici del rinvio. Tali
giudici sono infatti già tenuti, in forza del diritto
comunitario, adisapplicare di propria iniziativa
qualsiasi disposizione di diritto nazionale contrastante con il diritto
comunitario (31). A tal fine non è necessario il previo svolgimento di un
giudizio di costituzionalità.

62. Pur ipotizzando che i
giudici del rinvio abbiano proposto le loro questioni
esclusivamente in preparazione di successivi giudizi di costituzionalità
dinanzi alla Corte costituzionale, secondo una giurisprudenza costante della
Corte di giustizia spetterebbe innanzitutto a questi tre giudici valutare la
necessità delle loro questioni pregiudiziali. Infatti, secondo costante
giurisprudenza, spetta esclusivamente al giudice nazionale cui è stata
sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità dell’emananda decisione giurisdizionale valutare, alla luce
delle particolari circostanze di ciascuna causa, sia la necessità di una
pronuncia pregiudiziale ai fini dell’emanazione della propria sentenza, sia la
rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte. Se le questioni sollevate dal giudice nazionale vertono
sull’interpretazione del diritto comunitario, la Corte è quindi, in linea di
principio, tenuta a statuire. La Corte può rifiutarsi di rispondere a una questione pregiudiziale sollevata da un giudice
nazionale solo qualora risulti manifestamente che l’interpretazione o la
valutazione della validità di una norma comunitaria, richiesta dal giudice
nazionale, non ha alcuna relazione con i fatti o con l’oggetto della causa
principale, oppure qualora il problema sia di natura ipotetica, o anche nel
caso in cui la Corte non disponga degli elementi di fatto o di diritto
necessari per fornire una risposta utile alle questioni che le vengono
sottoposte (32).

63. Nella fattispecie non è
per nulla evidente che le questioni pregiudiziali non siano
in relazione con i fatti o con l’oggetto di eventuali giudizi di legittimità
costituzionale da predisporre o che vertano su problemi di natura ipotetica. È
vero che la Corte
costituzionale ha recentemente dichiarato inammissibili le questioni di
legittimità costituzionale di tre giudici italiani in
relazione ai nuovi articoli 2621 e 2622 del Cc
(33). Ma lo stesso giorno, in un altro giudizio di legittimità costituzionale,
essa ha espressamente sospeso l’esame degli aspetti comunitari che potrebbero rilevare specialmente in relazione all’articolo
117, primo comma, della Costituzione italiana (34), fino alla pronuncia della
Corte di giustizia sui ricorsi pregiudiziali in esame; essa ha addirittura
fatto riferimento direttamente ai procedimenti C‑387/02,
C‑391/02 e C‑403/02 pendenti
dinanzi alla Corte di giustizia (35). Quindi nemmeno
in tale prospettiva possono essere considerate irrilevanti le questioni
pregiudiziali sottoposte alla Corte di giustizia.

4. Conclusione

64. Per tali motivi considero
ricevibili le tre ordinanze di pronuncia pregiudiziale (36).

B – Esame nel merito delle
questioni pregiudiziali

65. Per semplicità è
opportuno raggruppare le diverse questioni dei tre giudici del rinvio secondo
il loro contenuto sostanziale e suddividerle in due complessi tematici: da una parte, la questione sull’ambito di
applicazione ratione materiae
dell’articolo 6, primo trattino, della prima direttiva e, dall’altra, la
questione dell’adeguatezza della sanzione per false comunicazioni sociali nei
conti annuali.

66. Per i conti consolidati
si pongono gli stessi problemi interpretativi relativamente
all’articolo 38, n. 6, della settima direttiva; sotto tale profilo le
seguenti osservazioni valgono anche per essi.

1. Sull’ambito di applicazione ratione materiae dell’articolo 6 della prima direttiva

67. Innanzitutto,
tutti i giudici del rinvio vogliono sapere, essenzialmente, se l’articolo 6,
primo trattino, della prima direttiva prescriva agli Stati membri di adottare
adeguate sanzioni solo per l’ipotesi in cui i conti annuali (37) non vengano
pubblicati per nulla o invece anche per l’ipotesi in cui vengano pubblicati
conti annuali aventi un falso contenuto (38).

68. Secondo la sua
formulazione letterale, l’articolo 6, primo trattino, della prima direttiva
obbliga gli Stati membri a stabilire adeguate sanzioni per il caso in cui venga omessa (39) la pubblicazione dei conti annuali
prevista dall’articolo 2, n. 1, lettera f), della medesima direttiva.

69. Diversamente dalla
Commissione e dai due Pm, gli imputati Berlusconi e dell’Utri, in
accordo con il governo italiano, sostengono che, data tale formulazione
letterale, l’obbligo di adottare sanzioni adeguate comprende solo un’armonizzazione minima e non si estende alla pubblicazione di
conti annuali falsi. La prima direttiva prevederebbe
semplicemente una «pubblicità formale». Una determinazione
del contenuto di tale pubblicità vi sarebbe solo nella quarta direttiva,
la quale non conterrebbe però una disposizione autonoma, relativa alle
sanzioni, paragonabile a quella di cui all’articolo 6 della prima direttiva.

70. A tale proposito va innanzitutto osservato che la formulazione letterale
dell’articolo 6 della prima direttiva non è affatto così chiara. La
disposizione può infatti ben essere intesa nel senso
che le sanzioni per la mera omissione di qualsiasi pubblicazione possono essere
applicate anche all’omissione della prescritta pubblicazione, quindi all’omessa
pubblicazione di un conto annuale avente un contenuto veritiero ai sensi del
combinato disposto degli articoli 2 e 47, n. 1, primo comma, della quarta
direttiva e dell’articolo 3 della prima direttiva.

71. Ma, anche se si dovesse
adottare il punto di vista restrittivo degli imputati e del governo italiano,
andrebbe considerato quanto segue: secondo una costante giurisprudenza, ai fini
dell’interpretazione di una disposizione di diritto comunitario si deve tener
conto non soltanto della lettera della stessa, ma anche del suo contesto e degli scopi perseguiti dalla normativa di cui
essa fa parte (40). Considerando il contesto e gli
scopi della prima direttiva, si ricava quanto verrà ora esposto.

72. Da una parte emerge che
tale direttiva dà una particolare rilevanza alla tutela degli interessi dei
terzi. Tale aspetto viene già espressamente evidenziato dal Trattato
nell’attribuzione di funzioni al legislatore comunitario (articolo 44, n. 2,
lettera g), CE). Inoltre, all’importanza della tutela degli interessi dei terzi
viene attribuito un particolare rilievo nel secondo e
nel quarto ‘considerando’ della prima direttiva, nonché nel primo
‘considerando’ della quarta direttiva e nel primo ‘considerando’ della settima
direttiva. L’obbligo di pubblicità previsto da tali direttive deve consentire
ai terzi di essere informati sugli atti essenziali di una società, come ad
esempio il suo conto annuale.

73. D’altra parte, l’articolo
2, n. 3, della quarta direttiva nonché il quarto
‘considerando’ della medesima introducono il principio fondamentale secondo cui
il conto annuale deve dare un quadro fedele della situazione patrimoniale, di
quella finanziaria nonché del risultato economico della società (41). Tale
principio svolge un ruolo importante non solo nell’ambito della quarta
direttiva, ma anche nell’interpretazione e applicazione della prima direttiva. Poiché, infatti, la quarta direttiva colma le lacune legislative
della prima relativa ai contenuti dei conti annuali (42) e, a tale scopo, le
due direttive fanno anche riferimento espressamente l’una all’altra (43), esse
devono essere lette e interpretate congiuntamente.

74. Pertanto, in sede di interpretazione e applicazione dell’articolo 6 della
prima direttiva va posta particolare attenzione alla tutela degli interessi dei
terzi e al principio della fedele rappresentazione della situazione
patrimoniale, di quella finanziaria nonché del risultato economico della
società. Non solo le controparti attuali, ma anche quelle future, soprattutto i
potenziali creditori e investitori di altri Stati
membri, devono essere in condizione di farsi, in qualsiasi momento, un quadro
affidabile di un’impresa, per valutare meglio i rischi di un rapporto
commerciale e di uno stanziamento di finanziamenti. In quanto soggetti esterni,
essi necessitano, per loro natura, di una maggior
protezione rispetto, ad esempio, ai soci di riferimento, i quali dispongono in
misura incomparabilmente maggiore di informazioni, o comunque possono
assumerle, sulla situazione patrimoniale, su quella finanziaria nonché sul
risultato economico della società interessata e contribuiscono alle decisioni
di questa (44). La possibilità per tutti i terzi di consultare i conti annuali
di una società dà affidamento alle potenziali
controparti e favorisce così, in ultima analisi, l’avvio di iniziative – di
natura anche internazionale – sul mercato interno (45).

75. Orbene, la necessità di
proteggere i terzi è particolarmente elevata qualora, pur essendo pubblicato un
conto annuale, questo dia una falsa rappresentazione della situazione
patrimoniale, di quella finanziaria nonché del
risultato economico della società. Infatti mentre nel
caso di omessa pubblicazione di un conto annuale il terzo è messo sull’avviso e
non può assolutamente fare affidamento sulla situazione patrimoniale, su quella
finanziaria nonché sul risultato economico della società interessata, esso
troverebbe estremamente difficile, se non impossibile, scoprire, senza
conoscenze approfondite sull’impresa, errori in un conto annuale pubblicato. La
tesi del governo italiano secondo cui ognuno potrebbe verificare la correttezza
di un conto annuale pubblicato non è quindi
convincente. Al contrario i terzi, nel caso di pubblicazione di un conto
annuale, generalmente fanno affidamento sulla correttezza delle dichiarazioni
in esso contenute. Diventa quindi ancora più
importante tutelare tale affidamento e, in ultima analisi, la fiducia del
pubblico e dei mercati (46).

76. Dal contesto
dell’articolo 6 della prima direttiva nonché dallo scopo e dal senso di tale
disposizione deriva quindi per gli Stati membri un obbligo di comminare
sanzioni adeguate per l’ipotesi non solo di omessa pubblicazione dei conti
annuali ma, a fortiori, anche di pubblicazione di conti annuali aventi un falso
contenuto.

77. A tale conclusione non
può essere eccepito che la lettera della quarta direttiva non contiene obblighi
sanzionatori autonomi per gli Stati membri (47).
Sulla base del contesto normativo risultante dalla
prima e dalla quarta direttiva, prima descritto, non rileva infatti se la
quarta direttiva contenga una disposizione propria paragonabile all’articolo 6
della prima direttiva. Proprio perché la quarta direttiva completa
il contenuto della prima direttiva e l’articolo 47, n. 1, primo comma, della
quarta direttiva rinvia espressamente alle disposizioni della prima direttiva
relative alla pubblicità, non era affatto necessaria una disposizione autonoma
sulle sanzioni nella quarta direttiva. Viceversa (e logicamente) la quarta
direttiva, quando non rinvia alle disposizioni della prima direttiva relative alla pubblicità (v. articolo 47, n. 1bis, della
quarta direttiva (48)), contiene effettivamente un obbligo autonomo per gli
Stati membri di comminare sanzioni adeguate. Tutto ciò porta alla conclusione
che il legislatore comunitario con la prima e con la quarta direttiva voleva
obbligare gli Stati membri ad adottare un sistema
sanzionatorio privo di lacune e che normalmente sulla base del rinvio alla
prima direttiva dovrebbero essere automaticamente applicate anche le sanzioni
ivi previste all’articolo 6; solo le lacune per le quali non si faccia rinvio
alla prima direttiva vengono colmate mediante un obbligo sanzionatorio autonomo
nella quarta direttiva (v. articolo 47, n. 1bis, ultima frase, della stessa).

78. La tesi dell’imputato
Dell’Utri secondo cui gli Stati membri sono tenuti ad adottare sanzioni per conti annuali aventi un contenuto
falso solo nei casi eccezionali espressamente previsti dalla quarta direttiva
non è convincente. Poiché le disposizioni derogatorie della quarta direttiva,
in particolare l’articolo 47, n. 1bis, riguardano prevalentemente le piccole
imprese, tale orientamento avrebbe infatti l’assurda
conseguenza che, nel caso di false comunicazioni sociali, le piccole imprese
sarebbero perseguite con maggior rigore rispetto alle grandi imprese.

79. Anche
la sentenza Rabobank (49), citata in proposito
dall’imputato Berlusconi, non conduce ad altro
risultato. Tale sentenza non si occupa affatto delle
disposizioni della prima direttiva relative alla pubblicità, ma del potere di
rappresentanza degli organi delle società di capitali. Dalla stessa non si può
dedurre che tutte le disposizioni della prima direttiva debbano essere
interpretate nel modo più restrittivo e letterale possibile. Al
contrario, anche nella sentenza Rabobank la Corte si
richiama al metodo dell’interpretazione sistematica, in quanto include nelle
sue considerazioni la proposta della Commissione di una quinta direttiva
in materia di diritto societario (50). Quindi nella sentenza Rabobank la Corte procede, dal punto di vista metodico, in
modo molto simile a quello da me proposto prima, quando ho rinviato al contesto normativo risultante dal combinato disposto della
prima e della quarta direttiva.

80. Del resto, anche se non
dovesse esser seguita l’interpretazione qui proposta
dell’articolo 6 della prima direttiva, gli Stati membri sarebbero tenuti
anche in forza del loro obbligo comunitario di lealtà a punire efficacemente la
pubblicazione di conti annuali aventi un falso contenuto. Infatti, qualora una
normativa comunitaria non preveda alcuna sanzione per il caso di violazione
della stessa o faccia rinvio, al riguardo, alle disposizioni legislative,
regolamentari ed amministrative nazionali, l’articolo 10 CE
impone agli Stati membri di adottare tutte le misure atte ad assicurare la
validità e l’efficacia del diritto comunitario (51).

81. In sintesi, quindi, si
può affermare quanto segue.

Il combinato disposto
dell’articolo 6, primo trattino, della prima direttiva, degli articoli 2, n. 3,
e 47, n. 1, primo comma, della quarta direttiva e dell’articolo 10 CE impone agli Stati membri di adottare adeguate sanzioni
non solo per l’ipotesi in cui i conti annuali non vengano pubblicati per nulla,
ma anche per l’ipotesi in cui vengano pubblicati conti annuali aventi un falso
contenuto. In tal senso va interpretato anche l’articolo 38, n. 6, della
settima direttiva, applicabile ai conti consolidati.

2. Sull’adeguatezza delle
sanzioni per false comunicazioni sociali

82. Quanto al resto, i
giudici del rinvio vogliono essenzialmente sapere cosa si debba
intendere per sanzioni appropriate («adeguate sanzioni») per false
comunicazioni sociali. Da una parte, essi desiderano essenzialmente sapere, in generale, quali siano i criteri per la valutazione
dell’adeguatezza delle sanzioni (52); dall’altra, e in particolare, fanno
riferimento soprattutto a disposizioni come quelle di cui al D.Lgs 61/2002, che introducono un sistema di sanzioni a più
livelli (53), producono effetti sulla prescrizione dei reati (54), introducono
il presupposto della querela (55) e prevedono soglie di tolleranza al di sotto
delle quali dev’essere esclusa la punibilità per
false comunicazioni sociali (56).

83. Gli imputati e il governo
italiano sostengono che disposizioni come quelle introdotte
dal D.Lgs 61/2002 sono conformi al diritto
comunitario. La
Commissione e i due Pm, che hanno
partecipato al procedimento dinanzi alla Corte, sono di avviso
opposto.

84. È vero che la Corte non può, ai sensi
dell’articolo 234 CE, statuire sulla compatibilità di una norma di diritto
interno con il diritto comunitario o
sull’interpretazione di disposizioni nazionali. Per questo essa
non può, ad esempio, pronunciarsi sulla misura della pena di cui al nuovo
articolo 2621 del Cc (57), ma è competente a fornire
ai giudici del rinvio tutti gli elementi per l’interpretazione del diritto
comunitario atti a consentire agli stessi di pronunciarsi sulla compatibilità
del diritto nazionale con il diritto comunitario nelle cause dinanzi a loro
pendenti (58).

a) Efficacia, proporzionalità
e capacità dissuasiva delle sanzioni

85. L’articolo 6, primo
trattino, della prima direttiva si limita ad obbligare gli Stati membri ad adottare adeguate sanzioni per l’ipotesi di violazione
dell’obbligo di pubblicità già descritto. La disposizione, come previsto
dall’articolo 249, terzo comma, CE, lascia così alle
autorità nazionali la scelta in merito alla forma e ai mezzi, concedendo loro
quindi un potere discrezionale non irrilevante.

86. Tale potere discrezionale
non è tuttavia illimitato. Qualora infatti una
normativa comunitaria non preveda alcuna sanzione per il caso di violazione
della stessa o faccia rinvio, al riguardo, alle disposizioni legislative, regolamentari
ed amministrative nazionali, l’articolo 10 CE impone agli Stati membri di
adottare tutte le misure atte ad assicurare la piena efficacia del diritto
comunitario. Pur conservando un potere discrezionale in merito alla scelta
delle sanzioni, gli Stati membri devono vegliare a che le violazioni del
diritto comunitario siano sanzionate, sotto il profilo
sostanziale e procedurale, in termini analoghi a quelli previsti per le
violazioni del diritto interno simili per natura e per gravità e, in ogni caso,
devono conferire alla sanzione stessa caratteri di efficacia, proporzionalità e
capacità dissuasiva (59).

87. Nel presente caso non vi
sono i presupposti per una discriminazione tra fattispecie puramente interne e
comunitarie. Per cui quanto verrà ora esposto
riguarderà solo i criteri di efficacia, proporzionalità e capacità dissuasiva;
nel caso di specie essi costituiscono il metro in base al quale valutare la
questione se disposizioni quali quelle introdotte dal D.Lgs
61/2002 siano compatibili con l’articolo 6 della prima direttiva. Particolare
importanza, con riferimento agli scopi già esposti della prima e della quarta
direttiva (60), va data non solo agli interessi dei
soci e dei creditori, ma anche alla tutela degli interessi e dell’affidamento
di altri terzi su una rappresentazione veritiera della situazione patrimoniale,
della situazione finanziaria nonché del risultato economico della società. Anche e soprattutto questa tutela deve essere garantita in
modo efficace, proporzionato e dissuasivo dalle sanzioni che il diritto
nazionale è tenuto a prevedere.

88. Efficace è una disciplina
sanzionatoria strutturata in modo tale che l’irrogazione della sanzione
prevista (e quindi la realizzazione degli scopi previsti dal diritto
comunitario (61)) non venga resa praticamente
impossibile o eccessivamente difficile. Ciò discende dal principio di effettività (62) il quale, secondo la giurisprudenza,
trova applicazione in tutti i casi in cui una fattispecie ha una relazione con
il diritto comunitario, ma – ad esempio, per la procedura da seguire – non
esiste una disciplina comunitaria e di conseguenza gli Stati membri applicano
norme nazionali. Il principio di effettività non si
applica solo quando un soggetto fa valere i suoi diritti derivanti
dall’ordinamento comunitario nei confronti di uno Stato membro, ma anche al
contrario, quando uno Stato membro applica nei confronti di un soggetto i
precetti del diritto comunitario (63).

89. Dissuasiva è una sanzione
che induce l’individuo ad astenersi dal violare gli scopi e le norme di diritto
comunitario (64). A tal proposito non contano solo il tipo e la misura della
sanzione (65), ma anche la probabilità con la quale la stessa può essere irrogata: chi commette un’infrazione deve temere di essere
effettivamente punito con una sanzione. Sotto questo profilo il criterio della
capacità dissuasiva si sovrappone a quello dell’efficacia.

90. Una sanzione è proporzionata quando è idonea (quindi in particolare
efficace e dissuasiva) e necessaria per il conseguimento degli scopi da essa
legittimamente perseguiti. Qualora sia possibile una
scelta tra più misure (ugualmente) appropriate, si deve ricorrere alla meno
gravosa. Inoltre gli effetti della sanzione sull’interessato non devono essere sproporzionati rispetto agli scopi perseguiti
(66).

91. Il problema se una
disposizione di diritto nazionale contenga una sanzione in tal senso efficace,
proporzionata e dissuasiva dev’essere esaminato, in
tutti i casi in cui sorge, tenendo conto del ruolo di
detta norma nell’ordinamento giuridico complessivo ivi compreso lo svolgimento
della procedura e delle peculiarità di quest’ultima
dinanzi alle diverse autorità nazionali (67).

92. In sintesi, quindi, si
può affermare quanto segue.

Ai sensi dell’articolo 6 della prima
direttiva, le sanzioni sono adeguate quando sono
efficaci, proporzionate e dissuasive. A tale proposito va dato particolare
rilievo non solo all’interesse dei soci e dei creditori, ma anche all’interesse
di altri terzi e alla tutela del loro affidamento su una rappresentazione
fedele della situazione patrimoniale, della situazione finanziaria nonché del risultato economico della società. Il problema se
una disposizione di diritto nazionale contenga una sanzione efficace,
proporzionata e dissuasiva dev’essere esaminato, in tutti
i casi in cui sorge, tenendo conto del ruolo di detta
norma nell’ordinamento giuridico complessivo, ivi compreso lo svolgimento della
procedura e delle peculiarità di quest’ultima dinanzi
alle diverse autorità nazionali.

b) Soglie di tolleranza

93. Sia al terzo comma, prima frase, del nuovo articolo 2621, sia al quinto comma,
prima frase, del nuovo articolo 2622 del Cc, la
punibilità per false comunicazioni sociali è esclusa se la falsità o le
omissioni non alterano in modo sensibile la rappresentazione della situazione
economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale essa
appartiene. Inoltre, entrambe le disposizioni prevedono soglie di tolleranza
espresse in valori percentuali (v. nuovo articolo 2621, terzo comma, seconda frase,
e quarto comma, nonché nuovo articolo 2622, quinto
comma, seconda frase, e sesto comma, del Cc). Poiché tali disposizioni sono identiche nelle due norme
penali, è opportuno esaminarle per prime.

94. Nella valutazione di tali
disposizioni bisogna tener conto della ratio della
quarta direttiva. Di fatto, l’articolo 2, n. 3, della quarta direttiva
prescrive che i conti annuali di una società devono dare un quadro fedele della
situazione patrimoniale, di quella finanziaria nonché
del risultato economico della stessa. Tale principio riveste una particolare
importanza nell’ambito delle disposizioni delle direttive relative
ai conti annuali (68). Ciò viene illustrato in
particolare ai nn. 4 e 5 dell’articolo 2 della quarta
direttiva, alla luce dei quali in caso di dubbio si deve addirittura derogare
alle altre disposizioni della quarta direttiva per garantire che il conto
annuale dia un quadro fedele (articolo 2, n. 5, prima frase) e può essere
addirittura necessario imporre, a tal fine, obblighi
ulteriori rispetto a quanto prescritto dalla direttiva (articolo 2, n.
4) (69).

95. Come già osservato,
attraverso tali disposizioni viene tutelato
l’affidamento, sia del socio sia dei terzi, sulla correttezza sostanziale dei
conti annuali.

96. Da ciò deriva sostanzialmente
che, se gli errori in un conto annuale o in un conto consolidato sono idonei a
far venire meno l’affidamento sulla correttezza della rappresentazione della
situazione patrimoniale, finanziaria o del risultato economico di una società,
allora, per il principio di effettività delle sanzioni
essi non possono essere tollerati, altrimenti lo scopo perseguito dalla
direttiva verrebbe frustrato. Se, al contrario, gli
errori in un bilancio non sono idonei a far venire meno tale affidamento, le
sanzioni previste possono essere ridotte o escluse del tutto.

97. Disposizioni che lascino un margine sufficiente per tenere in considerazione
le circostanze del caso concreto possono soddisfare tali criteri mediante una
interpretazione e applicazione conformi alla direttiva. Al contrario, gli
effetti meramente quantitativi di una mancanza, a cui fanno riferimento il
nuovo articolo 2621, terzo comma, seconda frase, e quarto comma, nonché il nuovo articolo 2622, quinto comma, seconda frase,
e sesto comma, del Cc, possono costituire solo un
punto di partenza per valutare se detta mancanza sia idonea a far venire meno
l’affidamento sulla correttezza della rappresentazione della situazione
patrimoniale e finanziaria nonché del risultato economico di una società.

98. È vero che gli interessi
dei soci e dei terzi nonché la tutela del loro
affidamento sulla correttezza dei conti annuali normalmente non sono minacciati
finché per eventuali irregolarità contabili la situazione economica,
patrimoniale e finanziaria della società o del gruppo di imprese sia falsata
solo in modo numericamente irrilevante. Per prevenire però abusi e indurre alla
maggior cura possibile nella redazione dei conti annuali, decidere se si tratti di un’imprecisione dagli effetti irrilevanti o di una
falsificazione intollerabile deve sempre dipendere da una valutazione del caso
concreto. Altrimenti vi sarebbe, davvero, un grave pericolo che all’ombra delle
soglie di tolleranza concesse dal legislatore si realizzino
nei conti annuali troppe imprecisioni volutamente calcolate. Uno sviluppo in
tal senso potrebbe ledere in modo duraturo soprattutto l’affidamento dei terzi,
e quindi degli operatori commerciali nel loro complesso, sulla correttezza dei
conti annuali.

99. In particolare non può
essere assolutamente tollerato che, come presuppongono i nuovi articoli 2621 e
2622 del Cc, vengano
inserite in un conto annuale e poi pubblicate informazioni false
intenzionalmente nonché con l’obiettivo di ingannare o di arricchirsi, anche
qualora gli effetti della falsificazione siano quantitativamente minimi. Il
principio della ricostruzione fedele della situazione patrimoniale, di quella
finanziaria nonché del risultato economico di una
società mira, come già osservato, alla tutela dell’interesse dei terzi e
dell’affidamento che gli operatori commerciali pongono sulla correttezza dei
conti annuali. Se si consentisse che nei conti annuali vengano
effettuate dichiarazioni false, intenzionalmente e con l’obiettivo di ingannare
o di arricchirsi, tale affidamento verrebbe leso in modo duraturo e verrebbero
quindi violati gli scopi delle direttive sul diritto societario.

100. In un contesto
del genere soglie di tolleranza o cause di non punibilità quali previste dal Cc al nuovo articolo 2621, terzo e quarto comma, nonché al
nuovo articolo 2622, quinto e sesto comma, appaiono inidonee a soddisfare il
requisito posto dal diritto comunitario di sanzioni efficaci (e anche
dissuasive).

101. Va osservato, per
inciso, che anche negli Stati Uniti d’America, ad esempio nella prassi amministrativa
della Securities and
Exchange Commission (organo di vigilanza sulle borse;
in prosieguo: la «SEC»), si presuppone l’inadeguatezza delle soglie di
tolleranza quantitative, e ciò almeno qualora con le stesse debba essere
motivata una presunzione iuris et
de iure senza la possibilità di valutare
complessivamente tutte le circostanze del caso concreto (70).

102. Contro la tesi qui
condivisa non può nemmeno essere sostenuto che le «discipline de minimis» sono generalmente ammesse nel diritto comunitario
(71). È vero che nel diritto comunitario della concorrenza esistono determinate
soglie di rilevanza, ma tali soglie vanno applicate
solo qualora venga garantito che il senso, lo scopo nonché l’efficacia pratica
delle norme in materia di concorrenza non risultino compromessi.

103. Così, ad esempio, nel
settore degli aiuti di Stato l’articolo 3 del relativo regolamento di esenzione per categoria (72) richiede l’effettuazione di
taluni controlli per garantire che gli aiuti de minimis
concessi non ostacolino il commercio tra gli Stati membri e non falsino la
concorrenza (73). Un confronto con tale disciplina de minimis
porta quindi semmai alla seguente conclusione: vi possono essere soglie di
tolleranza solo qualora tramite le stesse non si eluda lo scopo e il senso
delle disposizioni giuridiche pertinenti, vale a dire, nel caso dei conti
annuali, la tutela dell’affidamento dei terzi e del pubblico sulle
comunicazioni sociali.

104. Non meno utile è il
confronto con la disciplina de minimis in vigore nell’ambito dell’articolo 81 CE. In tale settore vengono infatti escluse a priori dall’applicazione della regola de minimis alcune restrizioni particolarmente rilevanti come
le intese sui prezzi o la creazione di cartelli regionali (c.d. restrizioni
gravi); queste rimangono quindi illimitatamente soggette all’ambito di
applicazione del diritto comunitario in materia di cartelli (74). Se si estende
tale discorso all’ambito delle false comunicazioni sociali allora
si può, semmai, giungere alla conclusione seguente: gli abusi particolarmente
gravi a danno dell’affidamento dei terzi o del pubblico sulla correttezza delle
comunicazioni di una società, in particolare dichiarazioni false effettuate nei
conti annuali intenzionalmente e con l’obiettivo di ingannare o di arricchirsi,
non possono essere tollerate nemmeno quando le falsità alterino solo in modo
numericamente irrilevante il risultato economico, la situazione patrimoniale e
la situazione finanziaria di una società o di un gruppo di imprese.

105. In sintesi, quindi, si
può affermare quanto segue.

È vero che il combinato
disposto dell’articolo 6, primo trattino, della prima direttiva e dell’articolo
2, n. 3, nonché dell’articolo 47, n. 1, primo comma,
della quarta direttiva non osta ad una normativa nazionale secondo cui è
esclusa la punibilità delle false comunicazioni sociali, quando queste non
alterino in modo sensibile la rappresentazione della situazione economica,
patrimoniale e finanziaria della società o del gruppo di imprese, a meno che il
fatto sia stato commesso intenzionalmente e con l’obiettivo di ingannare o di
arricchirsi.

Tuttavia le
medesime disposizioni ostano ad una normativa nazionale secondo cui la
punibilità delle false comunicazioni sociali sia sempre esclusa – senza
valutare complessivamente tutte le circostanze del caso concreto – quando le
falsità o le omissioni determinano una variazione che non superi una
determinata percentuale del valore corretto.

In tal senso va interpretato
anche il combinato disposto dell’articolo 38, nn. 6 e 1, nonché dell’articolo
16, n. 3, della settima direttiva.

c) Termini di prescrizione
per l’azione penale

106. Per quanto riguarda la
prescrizione, il D.Lgs 61/2002ha
sostanzialmente ridotto i termini applicabili. Tale circostanza ha effetti in
particolare sul perseguimento dei reati secondo il nuovo articolo 2621 del Cc. Per tale contravvenzione, che rappresenta la
fattispecie generale del reato di false comunicazioni sociali, il termine di
prescrizione è oramai di tre anni; in caso di interruzione
di tale termine la prescrizione interviene al massimo dopo un periodo
complessivo di quattro anni e sei mesi (75).

107. In linea di principio,
non vi sono obiezioni a che gli Stati membri assoggettino
a prescrizione le sanzioni che devono introdurre in forza del diritto
comunitario. Tali termini di prescrizione assicurano infatti
la certezza del diritto e questo principio è riconosciuto come principio
generale del diritto anche a livello comunitario (76). Di conseguenza anche il
diritto comunitario prevede termini di prescrizione paragonabili, ad esempio
nell’ambito delle disposizioni relative alla tutela
degli interessi finanziari delle Comunità (77) e nell’ambito della politica
della concorrenza (78).

108. Come mostra inoltre
l’esistenza di termini di prescrizione di tal genere, il diritto comunitario non dispone affatto che in ogni singolo caso debba essere
anche irrogata effettivamente una sanzione. Deve essere invece garantito che le
norme sulla prescrizione applicabili non annullino nel loro insieme l’efficacia
e la capacità dissuasiva delle sanzioni previste (79). Le false comunicazioni
sociali non possono quindi essere sanzionate solo teoricamente. Il sistema
sanzionatorio va strutturato, al contrario, in modo
tale che chiunque presenti un conto annuale falso debba effettivamente temere
di essere punito (80).

109. Il problema se
disposizioni relative alla prescrizione come quelle
applicabili al nuovo articolo 2621 e al nuovo articolo 2622 del Cc corrispondano ai requisiti appena menzionati relativi a
sanzioni efficaci e dissuasive va valutato tenendo conto, da una parte, del
tipo e della gravità del reato considerato e, dall’altra, della struttura della
disciplina relativa alle prescrizioni prevista dal diritto nazionale (81). A
tal proposito non rileva solo la durata del termine di prescrizione, ma
rilevano anche, ad esempio, il momento in cui tale termine inizia a decorrere,
gli atti sospensivi o interruttivi della prescrizione
e gli effetti di una tale sospensione o interruzione. Parimenti, non può essere
trascurato il dato relativo al tempo che richiedono
normalmente le indagini e l’esperimento di un procedimento giurisdizionale in
relazione alla complessità delle circostanze di fatto nonché alla disponibilità
di uomini e mezzi dell’apparato giudiziario. All’opposto, va tenuto conto del
fatto che l’articolo 6, n. 1, prima frase, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali (82) nonché l’articolo 47, n. 2, prima frase, della Carta dei
diritti fondamentali dell’Unione europea (83) tutelano chiunque, e specialmente
l’imputato in un procedimento penale, contro una durata eccessiva del
procedimento; d’altro canto, nella valutazione della durata di un procedimento
vanno prese in considerazione le circostanze del caso concreto nonché la sua
complessità (84).

110. Se una disciplina relativa alla prescrizione che tenga conto di tutti questi
aspetti ha come conseguenza che la pena comminata non viene mai, o solo
raramente, irrogata, allora non si può parlare di sanzione efficace e
dissuasiva.

111. Secondo
tutti i giudici del rinvio, soprattutto nel caso di una contravvenzione
ai sensi del nuovo articolo 2621 del Cc, le indagini
– spesso lunghe e dispendiose – e il procedimento giudiziario, che generalmente
si protrae per tre gradi di giudizio, normalmente non termineranno prima
dell’avvenuta prescrizione. In un contesto simile
sussistono notevoli dubbi sul fatto che una disposizione come quella del nuovo
articolo 2621 del Cc possa essere considerata come
sanzione efficace e dissuasiva ai sensi dell’articolo 6, primo trattino, della
prima direttiva.

112. In sintesi, quindi, si
può affermare quanto segue.

Il combinato disposto
dell’articolo 6, primo trattino, della prima direttiva e dell’articolo 2, n. 3,
nonché dell’articolo 47, n. 1, primo comma, della
quarta direttiva osta ad una disciplina relativa alla prescrizione secondo la
quale non sia prevedibile, o lo sia solo raramente, un’effettiva irrogazione
delle sanzioni comminate. In tal senso va interpretato anche il
combinato disposto dell’articolo 38, nn. 6 e
1, nonché dell’articolo 16, n. 3, della settima
direttiva.

d) Sistema di sanzioni a più
livelli e presupposti per l’azione penale

113. La fattispecie di reato
di cui al nuovo articolo 2622 del Cc è contrassegnata
da una pena sostanzialmente più severa rispetto a quella di cui al nuovo
articolo 2621 ed è soggetta anche a termini di prescrizione più lunghi, di
regola però essa consente l’azione penale solo su
querela del socio o del creditore danneggiato. Il reato così, di regola, non
può essere perseguito d’ufficio e nemmeno su querela da parte di terzi diversi
dai creditori danneggiati.

114. È vero che è consentito
agli Stati membri introdurre un sistema di sanzioni a più livelli e, ad
esempio, prevedere pene più severe per il caso in cui le false comunicazioni
sociali – oltre ai danni morali che generalmente derivano dalla lesione
dell’affidamento sulla correttezza dei conti annuali – causino
danni patrimoniali. Il principio di proporzionalità delle sanzioni consente
addirittura di introdurre fattispecie di reato qualificate, che prevedano pene più elevate in caso di danni patrimoniali
rispetto alle fattispecie generali di reato, il cui perseguimento, in compenso,
può essere assoggettato alla presentazione di una querela da parte del
danneggiato.

115. Di per
sé tuttavia le disposizioni che richiedono una querela non sono idonee a
soddisfare l’obbligo di diritto comunitario, che incombe agli Stati membri ai
sensi dell’articolo 6 della prima direttiva, di prevedere adeguate sanzioni.
Poiché la presentazione della querela è riservata ai
soci e ai creditori danneggiati, una disposizione come quella di cui al nuovo
articolo 2622 del Cc non può, infatti, garantire
efficacemente la tutela degli interessi di tutti i terzi, ma al massimo la
tutela di determinati terzi. Come la Corte ha però già
affermato nella sentenza Daihatsu Deutschland,
l’articolo 6 della prima direttiva osta alle disposizioni di uno Stato membro
che prevedano solo per i soci, i creditori e per la commissione interna
centrale o la commissione interna della società il diritto di chiedere
l’applicazione della sanzione (85). Per i motivi prima indicati (86) le
considerazioni esposte nella sentenza Daihatsu Deutschland non sono assolutamente
limitate al caso dell’omessa pubblicazione dei conti annuali, anzi, esse devono
valere a maggior ragione – contrariamente all’opinione degli imputati Berlusconi e Dell’Utri – nel caso
di pubblicazione di conti annuali falsi.

116. Fattispecie di reato qualificate come quelle di cui al nuovo articolo 2622 del Cc possono così al massimo completare un sistema di
sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive già previsto dal diritto
nazionale. Al contrario non sono adeguate, in quanto limitate alla tutela degli
interessi dei soci e dei creditori, a compensare eventuali carenze
nella tutela degli interessi di (altri) terzi per quanto riguarda i possibili
danni patrimoniali e nemmeno per quanto riguarda semplicemente i danni morali
che possono derivare dalla lesione dell’affidamento del pubblico sulla
correttezza dei conti annuali.

117. Se i giudici del rinvio
dovessero giungere quindi alla conclusione che la fattispecie generale di reato
del nuovo articolo 2621 del Cc non contiene, ad
esempio a causa delle soglie di tolleranza o del regime di prescrizione ad essa applicabile, una sanzione efficace e dissuasiva (87),
allora nemmeno una disposizione come quella di cui al nuovo articolo 2622 del Cc, che riserva il presupposto della querela solo ai soci e
ai creditori, potrebbe colmare tale carenza.

118. Del resto, per la
valutazione complessiva di tale disposizione non può rilevare
il fatto che comunque continui ad essere eccezionalmente prevista la
procedibilità d’ufficio, ai sensi del nuovo articolo 2622, secondo e terzo
comma, del Cc. È palese che nel valutare l’efficacia
e la capacità dissuasiva di sanzioni non bisogna tener conto solo di eventuali false comunicazioni sociali delle poche società
quotate in borsa o di reati a danno dello Stato o delle Comunità europee. Al
contrario devono essere presi in considerazione tutti
i casi di false comunicazioni sociali, non da ultimo quelli relativi a società
non quotate e che non hanno effetti pregiudizievoli per la pubblica
amministrazione.

119. In sintesi, quindi, si
può affermare quanto segue.

Il combinato disposto
dell’articolo 6, primo trattino, della prima direttiva e dell’articolo 2, n. 3,
nonché dell’articolo 47, n. 1, primo comma, della
quarta direttiva non osta ad una normativa nazionale secondo la quale le
sanzioni con cui vengono tutelati gli interessi patrimoniali di determinate
persone possono di regola essere irrogate solo su richiesta del danneggiato.
Ciò presuppone tuttavia l’esistenza di un’ulteriore
norma generale che, a tutela degli interessi dei terzi, preveda, anche indipendentemente
da un eventuale danno patrimoniale, sanzioni efficaci, proporzionate e
dissuasive applicabili d’ufficio. In tal senso va interpretato anche il combinato disposto dell’articolo 38, nn.
6 ed 1, nonché dell’articolo 16, n. 3, della settima
direttiva.

e) Quadro complessivo delle disposizioni di diritto
civile, penale e amministrativo

120. Gli imputati Berlusconi, Adelchi e Dell’Utri nonché il governo italiano osservano che nella valutazione
della nuova disciplina sanzionatoria italiana per false comunicazioni sociali
non dovrebbero essere prese in considerazione solo le componenti di diritto
penale, ma anche le disposizioni di diritto civile e amministrativo. Anche le osservazioni della Commissione possono essere
intese in tal senso, almeno in linea di massima. In tale contesto
si rinvia, a titolo di esempio, alle seguenti disposizioni:

– la responsabilità civile
per i responsabili di false comunicazioni sociali (88);

– la facoltà di impugnare la
delibera sociale di approvazione di un (falso)
bilancio (89);

– la possibilità di irrogare talune sanzioni amministrative (ammende) alla
società stessa per false comunicazioni sociali effettuate nel suo interesse
(90);

– la possibilità di applicare
sanzioni pecuniarie per omessa presentazione o presentazione tardiva dei
bilanci (91) , e

– le disposizioni relative al controllo dei conti annuali e dei conti
consolidati da parte di una persona espressamente autorizzata e soggetta a
particolari responsabilità (92).

121. Come già osservato (93),
l’articolo 6 della prima direttiva concede agli Stati membri un margine
discrezionale non irrilevante nello strutturare la loro disciplina
sanzionatoria nazionale. Per questo motivo, dall’articolo 6 della prima
direttiva non deriva assolutamente che debbano essere
comminate solo sanzioni di diritto penale (94). Dal punto di vista del diritto
comunitario, in linea di principio non va criticata neppure una combinazione di
norme penali con disposizioni di diritto civile e di diritto
amministrativo. Per la valutazione del combinato effetto di tali disposizioni
vale esclusivamente il principio dell’efficacia, proporzionalità e capacità
dissuasiva delle sanzioni.

122. Spetta al giudice del
rinvio valutare il sistema sanzionatorio previsto dal legislatore italiano nel
suo complesso, commisurandolo ai criteri di efficacia,
proporzionalità e capacità dissuasiva (95). A tal proposito la Corte può solo
dare indicazioni relative all’interpretazione del
diritto comunitario che consentano al giudice nazionale di effettuare una tale
valutazione del proprio ordinamento.

123. In tale contesto va innanzi tutto ricordato che sanzioni che possono
essere applicate solo su richiesta di determinate persone, cioè soci e
creditori, non possono essere adeguate a priori a compensare eventuali carenze
nella tutela generale degli interessi dei terzi (96). La tutela degli interessi
dei terzi non può essere nemmeno subordinata ad un qualsiasi danno a tali
terzi. Non devono essere tutelati solo gli interessi patrimoniali dei terzi, ma
anche, e soprattutto, gli interessi morali dei medesimi ad un’informazione
veritiera sulla situazione patrimoniale, sulla situazione finanziaria e sul
risultato economico della società e quindi l’affidamento che tra gli operatori
commerciali viene fatto sulla correttezza dei conti
annuali. Se non viene garantita tale tutela, allora
alle sanzioni manca a priori il requisito dell’efficacia.

124. Per poter parlare di
sanzione efficace non è nemmeno sufficiente, di per sé, la circostanza che
anche i terzi possano eventualmente chiedere l’adozione di misure di diritto
civile, come ad esempio la dichiarazione di nullità delle deliberazioni
societarie che approvano i conti annuali (97).
L’efficacia e, soprattutto, il carattere dissuasivo delle sanzioni presuppongono, come già osservato, che chiunque presenti
conti annuali falsi debba anche temere effettivamente l’irrogazione di
sanzioni. Perciò vanno perlomeno esaminate, in aggiunta, la probabilità (98)
con cui terzi potrebbero ricorrere con successo ad un
rimedio giuridico quale l’azione diretta ad ottenere una declaratoria di
nullità dinanzi ai giudici nazionali competenti.

125. Qualora altre
disposizioni si ricolleghino alle fattispecie dei nuovi articoli 2621 e 2622
del Cc, nel giudicarle occorre tener conto del fatto
che eventuali carenze di tali fattispecie di reato, ad
esempio le soglie di tolleranza, possono avere effetti indiretti sulle
disposizioni che ne discendono, inficiandone l’efficacia e la capacità
dissuasiva. Ciò vale ad esempio per una disposizione come l’articolo 2641 del Cc (99), che prevede la confisca del prodotto o del
profitto del reato e dei beni utilizzati per commetterlo, e vale anche per
sanzioni amministrative come quelle introdotte dall’articolo 25ter del D.Lgs 231/01, riferentesi
anch’esse alle fattispecie di reato previste di cui ai nuovi articoli 2621 e
2622 del Cc.

126. Per quanto riguarda
l’articolo 25ter del D.Lgs 231/01, va inoltre tenuto
conto del fatto che tale disposizione si applica esclusivamente ai reati
commessi nell’interesse della società e che la società
in talune circostanze si può discolpare (100). Disposizioni il cui ambito di applicazione viene in tal modo limitato possono
costituire un complemento sensato della disciplina sanzionatoria
complessiva, ma non possono compensare eventuali carenze nella tutela generale
degli interessi dei terzi. La tutela dell’interesse dei terzi ad
un’informazione veritiera sulla situazione patrimoniale, sulla situazione
finanziaria e sul risultato economico della società interessata va infatti garantita in modo efficace anche quando qualcuno
effettui false dichiarazioni in un conto annuale a suo vantaggio personale, e
non necessariamente nell’interesse della società o a danno di altri.

127. Per
quanto riguarda il resto, in disposizioni come quelle di cui all’articolo 25ter
del D.Lgs 231/01 va esaminata anche la misura della
sanzione comminata con riferimento al suo effetto dissuasivo. Se le
ammende previste sono di importo talmente basso da non
essere adeguate né alla gravità delle esaminate violazioni delle disposizioni
relative al bilancio, né alle dimensioni dell’impresa interessata, allora
disposizioni di questo tipo non possono essere considerate dissuasive. Non
sarebbero quindi idonee, anche per questo motivo, a compensare eventuali carenze nelle sanzioni penali come quelle di cui ai nuovi
articoli 2621 e 2622 del Cc.

128. Con riferimento a
disposizioni come il nuovo articolo 2630 del Cc basta
osservare che l’articolo 6 della prima direttiva, come prima indicato (101),
impone adeguate sanzioni non solo per il caso di
omessa pubblicazione dei conti annuali, ma anche per l’ipotesi di pubblicazione
di conti annuali falsi.

129. La verifica dei bilanci
da parte dei revisori dei conti (102) rappresenta indubbiamente una parte
essenziale degli strumenti normativi che devono
garantire la correttezza del contenuto delle comunicazioni sociali. Tuttavia
nel caso della revisione contabile si tratta di un
controllo preventivo. Stando invece alla lettera dell’articolo 6 della
direttiva («adeguate sanzioni») (103) agli Stati membri viene
richiesta anche, perlomeno, una misura appropriata di natura repressiva. Lo
stesso emerge inoltre dal contesto della quarta e
della settima direttiva nonché dal senso e dallo scopo delle disposizioni
relative alla revisione contabile: l’attività preventiva dei revisori dei conti
non deve in alcun caso sostituire le misure repressive degli Stati membri o
compensare le loro carenze, ma al contrario essa è intesa come una seconda
colonna, autonoma, del sistema attraverso il quale deve essere garantita la
correttezza del contenuto dei conti annuali e dei conti consolidati. Il
legislatore comunitario obbliga gli Stati membri ad assicurare un controllo
efficace sia preventivo sia repressivo.

130. Nell’ambito del diritto
penale va infine tenuto in considerazione che determinate disposizioni
presuppongono il compimento di un delitto (104) e che quindi una
contravvenzione come quella di cui al nuovo articolo 2621
del Cc non può essere considerata, a priori, un
valido presupposto per le stesse.

C – Effetti
di una violazione delle direttive da parte delle disposizioni dello Stato
membro sui procedimenti penali pendenti dinanzi ai giudici del rinvio

131. Per poter fornire ai
giudici del rinvio una risposta utile ai fini della decisione dei procedimenti
penali dinanzi ad essi pendenti, va inoltre esaminato
quale effetto abbia l’interpretazione qui proposta delle direttive sul diritto
societario in un procedimento dinanzi ad un giudice nazionale (105). A tal
proposito, da un lato, occorre rinviare all’obbligo, generale e universalmente
noto, dei giudici nazionali di dare applicazione ai precetti del diritto
comunitario e, dall’altro, occorre esaminare i limiti all’applicazione delle
direttive nei procedimenti penali e, infine, il principio dell’applicazione
retroattiva della legge penale più favorevole.

1. Sull’obbligo
dei giudici nazionali di dare applicazione ai precetti del diritto comunitario

132. In almeno due
procedimenti principali i Pm competenti hanno
sostenuto dinanzi ai rispettivi giudici nazionali che le modifiche normative
introdotte dal D.Lgs 61/2002 sono incostituzionali
(106). Tutti e tre i giudici del rinvio intendono sollevare una questione di
legittimità costituzionale del D.Lgs 61/2002 dinanzi
alla Corte costituzionale italiana. Nell’ordinanza di rinvio relativa
alla causa C‑387/02, ad esempio, il Tribunale di Milano osserva che
«la decisione finale della causa è condizionata da un giudizio di
costituzionalità o meno, di competenza della Corte costituzionale».

133. Al riguardo va rilevato
quanto segue. È ovvio che non rientra nella competenza della Corte di giustizia
esprimersi sull’interpretazione della Costituzione di
uno Stato membro o esaminare la conformità di una norma giuridica nazionale con
la stessa. Il compito della Corte di giustizia invece è quello di garantire,
attraverso la sua giurisprudenza, l’attuazione uniforme ed effettiva del
diritto comunitario in tutti gli Stati membri. A tale scopo la Corte di
giustizia, nell’ambito della sua competenza, può fornire ai giudici del rinvio
le indicazioni giuridiche necessarie per l’interpretazione del diritto
comunitario.

134. Secondo una
giurisprudenza costante e consolidata della Corte di giustizia, i giudici
nazionali hanno l’obbligo di applicare il diritto comunitario e di disapplicare le disposizioni del diritto nazionale
eventualmente contrastanti. Questa è la logica conseguenza del primato
applicativo del diritto comunitario (107). Nella sentenza Simmenthal
la Corte ha osservato al riguardo che il giudice nazionale deve dare
applicazione al diritto comunitario «(…) disapplicando
le disposizioni eventualmente contrastanti della legge interna, sia anteriore
sia successiva alla norma comunitaria (…)» (108).

135. Inoltre, il giudice
nazionale deve garantire la piena efficacia del diritto comunitario «disapplicando all’ occorrenza, di
propria iniziativa, qualsiasi disposizione contrastante della legislazione
nazionale, anche posteriore, senza doverne chiedere o attendere la previa
rimozione in via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento
costituzionale» (109).

136. I giudici del rinvio
sono quindi obbligati, in forza del diritto comunitario, in particolare ai
sensi degli articoli 10 CE e 249, terzo comma, CE, a dare applicazione, nei
procedimenti penali dinanzi ad essi pendenti, ai
precetti contenuti nelle direttive sul diritto societario senza necessità di
una preventiva pronuncia della Corte costituzionale italiana sulla possibile
incostituzionalità del D.Lgs 61/2002.

137. Ovviamente tutto ciò non
esclude che un atto legislativo nazionale, come il D.Lgs
61/2002, venga sottoposto, ai sensi della rispettiva
normativa nazionale, in aggiunta, ad un esame da parte di un giudice
costituzionale, con cui venga valutata, in linea generale, la sua legittimità
costituzionale e, se del caso, la sua validità.

138. Indipendentemente
dall’effettuazione di un tale controllo di costituzionalità e indipendentemente
dalla conformità o non conformità del D.Lgs 61/2002
alla Costituzione italiana, i giudici del rinvio, nel caso concreto, cioè nei procedimenti penali dinanzi ad essi pendenti,
devono già disapplicare tale decreto legislativo
nella parte in cui le novità ivi previste non sono conformi al diritto
comunitario. La risposta della Corte di giustizia alle questioni sottopostele dai giudici del rinvio è vincolante per tutti
i giudici nazionali competenti per le cause principali (110). Inoltre,
dall’interpretazione della Corte di giustizia derivano il senso e la portata
secondo cui devono, o dovevano, essere intese ed
applicate le disposizioni delle direttive sul diritto societario sin dalla loro
entrata in vigore (111).

2. Sui limiti
all’applicazione delle direttive nei procedimenti penali

139. Gli imputati Berlusconi, Adelchi e Dell’Utri nonché il governo italiano fanno riferimento al principio
della legalità della pena. Da tale principio emergerebbe che gli imputati, in
applicazione delle direttive sul diritto societario, non potrebbero essere
assoggettati né ad un’azione penale né a pene diverse e più severe rispetto a
quelle previste dai nuovi articoli 2621 e 2622 del Cc.
Di avviso opposto sono la Procura generale di Milano,
che ha partecipato al procedimento, e la Commissione.

a) Principi sviluppati in
giurisprudenza

140. In giurisprudenza è già
stato chiarito che una direttiva non può avere l’effetto, di per sé e
indipendentemente da una legge interna di uno Stato membro adottata per la sua
attuazione, di stabilire o di aggravare la responsabilità penale di coloro che agiscono in violazione delle sue disposizioni
(112).

141. Da una parte, tale
affermazione deriva dal principio della legalità della pena (nullum crimen, nulla poena sine lege)
(113) , che appartiene ai principi generali del
diritto, comuni alle tradizioni costituzionali degli Stati membri, e che è
sancito anche dall’articolo 7 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti
dell’uomo e delle libertà fondamentali, dall’articolo 15, n. 1, prima frase,
del Patto internazionale sui diritti civili e politici (114) nonché
dall’articolo 49, n. 1, prima frase, della Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione europea (115). In base a tale regola, che
vieta anche l’interpretazione estensiva di norme penali a sfavore
dell’interessato, l’interpretazione conforme alle direttive nel procedimento
penale è inoltre soggetta a limiti rigorosi (116).

142. D’altra parte, la Corte
ha basato la regola secondo cui le direttive non possono essere richiamate
direttamente per istituire o rendere più gravosa la punibilità sul principio che la direttiva non può di per sé creare obblighi a carico
dei soggetti (117).

143. È vero che l’avvocato
generale Ruiz-Jarabo Colomer
ha recentemente messo in questione, nella causa Pfeiffer,
il principio che la direttiva non possa di per sé creare obblighi a carico di
un soggetto nel caso di diretta applicazione di una direttiva nei rapporti tra
due privati (118). Egli stesso ha tuttavia sottolineato
che in procedimenti penali, in cui un soggetto è opposto allo Stato, valgono
altri parametri (119). In conclusione resta pacifico
che l’efficacia diretta di una direttiva nel procedimento penale non può
comunque avere la conseguenza di creare obblighi a carico di un soggetto.

b) Esame dei principi in relazione al caso di specie

144. Nel caso di specie
nessuno dei motivi che la Corte ha sviluppato per limitare l’efficacia delle
direttive nei procedimenti penali è rilevante.

145. Infatti, il principio
della legalità della pena non viene compromesso poiché
la responsabilità penale degli imputati nelle cause principali non deriverebbe
in nessun caso direttamente dalle direttive sul diritto societario e sarebbe
quindi indipendente dalle normative nazionali adottate per la loro attuazione
(120). La punibilità degli imputati non deriverebbe nemmeno direttamente dall’articolo 10 CE. Infatti, l’osservanza dell’articolo 10
CE nonché dei precetti delle direttive sul diritto
societario ha come unico effetto che le modifiche normative introdotte dal D.Lgs 61/2002, intervenute dopo la commissione del fatto e
che introducono pene più favorevoli e rendono più gravosa o addirittura
escludono l’azione penale, devono eventualmente essere disapplicate.
Resta invece applicabile la legge nazionale nella sua versione in vigore
all’epoca dei fatti. In tal modo la punibilità degli imputati si fonda sul diritto nazionale vigente all’epoca dei fatti, vale
a dire sull’originario articolo 2621 del Cc.

146. Non può essere eccepito
a tal proposito che la precedente fattispecie di reato, contenuta
nell’originario articolo 2621 del Cc, è «passata ad vitam aeternam»
a seguito della sua abrogazione da parte del D.Lgs
61/02 e che non può essere «risuscitata». Infatti, in
base all’obbligo sempre vigente di garantire sanzioni efficaci, proporzionate e
dissuasive, al legislatore nazionale è vietato, in forza del diritto
comunitario, abrogare improvvisamente un regime sanzionatorio
esistente senza sostituirlo contemporaneamente con altre sanzioni efficaci,
proporzionate e dissuasive. Il divieto di frustrare gli scopi di una direttiva
(121) non vale infatti solo prima della scadenza del
termine per la sua attuazione, ma a maggior ragione anche dopo. Se quindi un atto abrogativo, come quello di cui al D.Lgs 61/2002, contrasta con i precetti del diritto
comunitario, allora questo e proprio questo atto abrogativo deve essere disapplicato nelle cause principali. Se l’atto
abrogativo stesso viene disapplicato,
allora l’originario articolo 2621 del Cc non è
«passato ad vitam aeternam»
nel caso di specie e non si pone la questione se possa essere «risuscitato».

147. Pur
ipotizzando però che la legge penale precedente, quindi l’originario articolo
2621 del Cc, sia ormai abrogata, ciò non esclude
assolutamente che tale fattispecie di reato possa continuare ad applicarsi ai
fatti commessi prima della sua abrogazione. Corrisponde anzi proprio al
principio della legalità della pena (nullum crimen, nulla poena sine lege) commisurare sempre un
reato alla legge penale in vigore nel momento in cui è stato commesso. Ad
esempio nessuno dubiterebbe seriamente della costante applicabilità di una
norma anteriore più favorevole nel caso in cui il legislatore avesse nel
frattempo introdotto leggi penali più severe. Il fatto che nel caso di specie venga contestata, all’opposto, l’applicabilità della
precedente legge penale non riguarda, nell’essenza, tanto la questione se il principio
della legalità della pena sia garantito, ma al contrario la questione se a tale
principio possa essere fatta una deroga a vantaggio dell’applicazione
retroattiva della legge penale successiva più favorevole (122).

148. In un caso come quello
di specie non può essere temuta una violazione del
principio nullum crimen,
nulla poena sine lege. La Corte ha ribadito questo
anche nella sentenza Tombesi (123). In quel caso «(…)
all’epoca in cui sono stati commessi, i fatti che costituiscono oggetto delle
cause a quibus potevano essere puniti in base al
diritto nazionale e [le disposizioni nazionali] che li hanno sottratti
all’applicazione delle sanzioni risultanti dal [diritto nazionale] sono entrat[e] in vigore soltanto successivamente.
Pertanto, non vi è motivo di esaminare le conseguenze che potrebbero derivare
dal principio della legalità delle pene per l’applicazione del
regolamento (…)».

149. Tale affermazione è del tutto valida anche per il presente caso. Il procedimento
Tombesi, come del resto anche quello
Niselli (124), presenta analogie, nei punti
essenziali, con la presente fattispecie. In nessuno di questi casi è stata
messa in questione, in linea di principio, la punibilità di violazioni delle
disposizioni applicabili (norme in materia di rifiuti e, rispettivamente, di
bilancio). Ora come allora si tratta piuttosto di una modifica di elementi di una fattispecie di reato, che costituiscono
il fondamento della pena. Ora come allora la modifica della normativa nazionale
ha avuto come effetto l’impunità per fatti per i quali
precedentemente era prevista una pena. Come nella presente fattispecie sono
state introdotte nuove soglie di tolleranza al di sotto delle
quali è esclusa la punibilità per false comunicazioni sociali, così nei
procedimenti Tombesi e Niselli
era stata modificata (in senso più ristretto) la nozione di rifiuti e quindi la
punibilità per determinate violazioni della normativa sui rifiuti (125). È
decisiva la circostanza che in tutti questi casi i fatti, nel momento in cui
sono stati commessi, erano punibili secondo il diritto
nazionale.

150. Solo per completezza va
ancora osservato che nella presente fattispecie non è necessaria, riguardo al
diritto nazionale, alcuna interpretazione estensiva e
conforme alle direttive che possa violare il divieto di interpretazione
estensiva a sfavore dell’imputato. Come già osservato per giustificare la
punibilità – in caso di disapplicazione del D.Lgs 61/2002– sarebbe rilevante soprattutto l’originario
articolo 2621 del Cc, il quale, secondo i dati forniti
dai giudici del rinvio, già all’epoca dei fatti puniva indubbiamente le false
comunicazioni sociali che sono oggetto di imputazione
nel presente procedimento. Il diritto in vigore all’epoca dei fatti non deve
quindi assolutamente essere interpretato in maniera estensiva per conformarlo
ai precetti del diritto comunitario.

151. Infine, le direttive sul
diritto societario e l’articolo 10 CE non istituiscono, in quanto tali, nel
presente contesto alcun obbligo per i soggetti. A prescindere da ciò, la questione
relativa a quali obblighi incombano ai soggetti va
esaminata sempre alla luce del contesto normativo vigente all’epoca dei fatti
rilevanti, in quanto gli obblighi possono essere imposti solo in relazione ad
un comportamento futuro. Obblighi (o divieti) non possono
essere introdotti o modificati retroattivamente. Nel momento in cui sono stati
commessi, i reati di cui sono accusati gli imputati nelle cause principali
erano punibili ai sensi di una legge nazionale, in particolare dell’originario
articolo 2621 del Cc; la comminazione della pena
all’epoca dei fatti non derivava affatto direttamente
dalle direttive o dall’articolo 10 CE.

152. Il caso andrebbe
valutato diversamente, semmai, qualora le fattispecie oggetto di imputazione si fossero verificate dopo l’adozione del D.Lgs 61/2002. Se il D.Lgs
61/2002non venisse applicato per i fatti commessi dopo
la sua adozione sarebbe più facile sostenere che dall’applicazione di una
direttiva o dell’articolo 10 CE derivano direttamente obblighi. Tuttavia nella fattispecie tale punto non necessita ulteriori
approfondimenti poiché, come già osservato, tutti i reati contestati agli
imputati sono stati commessi, senza eccezioni, prima dell’adozione del D.Lgs 61/2002. Gli imputati quindi all’epoca dei fatti non
potevano fare affidamento sul fatto che i reati loro
contestati sarebbero stati puniti in modo meno severo rispetto al vecchio
articolo 2621 del Cc, o che non sarebbero stati
puniti per nulla.

153. Per tutti questi motivi
nella presente fattispecie il principio della legalità della pena non osta
assolutamente alla disapplicazione del D.Lgs 61/2002. L’osservanza delle direttive sul diritto
societario e dell’articolo 10 CE non ha certo l’effetto di introdurre obblighi
per gli imputati, ma ha al massimo conseguenze indirettamente
sfavorevoli per gli stessi. Ciò non esonera il giudice nazionale
dall’obbligo, ad esso derivante dagli articoli 249,
terzo comma, CE e 10 CE, di dare applicazione ai precetti di cui alle direttive
(126).

3. Sull’applicazione
retroattiva della legge penale più favorevole

154. Secondo la tesi degli
imputati Berlusconi e Dell’Utri
nonché del governo italiano, nelle cause principali
vanno tuttavia applicati in ogni caso retroattivamente i nuovi articoli 2621 e
2622 del Cc, introdotti dal D.Lgs
61/2002, in quanto leggi penali più favorevoli. La Procura generale di Milano e
la Commissione sono di parere opposto.

155. Nella
sua precedente giurisprudenza, la Corte ha considerato il problema
dell’applicabilità retroattiva della legge penale più favorevole come una
questione di diritto nazionale, che va decisa dai rispettivi giudici del rinvio
(127). Così, ad esempio, nella causa Allain (128)
essa ha riconosciuto che un comportamento originariamente contrastante con il
diritto comunitario, e quindi punibile secondo il diritto nazionale, può essere
riesaminato, in applicazione di principi procedurali nazionali (in particolare,
il principio dell’applicazione retroattiva della legge penale più favorevole),
qualora vi siano cambiamenti successivi delle circostanze di fatto o di
diritto.

156. Tuttavia il principio
dell’applicazione retroattiva della legge penale più favorevole non è
consacrato solo negli ordinamenti giuridici nazionali di quasi tutti i 25 Stati
membri (129), ma è anche internazionalmente riconosciuto
(130). Esso già da qualche tempo è stato introdotto anche nel diritto
comunitario derivato, ad esempio nelle norme relative alle
sanzioni amministrative per irregolarità a danno degli interessi finanziari
della Comunità (131). Tale principio è inoltre stato richiamato nell’articolo
49, n. 1, terza frase, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
europea.

157. Da quanto
precede deriva che questo principio non va assolutamente considerato un
principio giuridico puramente nazionale, ma anche un principio generale del
diritto comunitario (132) di cui il giudice nazionale deve tenere conto, in
linea di principio, quando applica il diritto nazionale adottato in attuazione
delle direttive sul diritto societario (133).

158. Con tale affermazione
non viene tuttavia ancora chiarito se leggi penali più favorevoli vadano
applicate retroattivamente anche qualora siano in contrasto con il diritto
comunitario; se, quindi, disposizioni come quelle di cui ai nuovi articoli 2621
e 2622 del Cc valgano retroattivamente per i reati
commessi prima della loro adozione anche se
contrastano con le direttive sul diritto societario. Per rispondere a tale
questione occorre esaminare più approfonditamente le ragioni alla base
dell’applicazione retroattiva delle leggi penali più favorevoli.

159. L’applicazione di leggi
penali successive più favorevoli costituisce una deroga al principio
fondamentale già esposto della legalità della pena (nullum
crimen, nulla poena sine lege), in quanto viene applicata retroattivamente una legge diversa da quella
in vigore all’epoca dei fatti.

160. Tale deroga è fondata
soprattutto su considerazioni di equità che non
possono avere un rango altrettanto elevato quanto quello, per esempio, della
ratio del principio della legalità della pena, vale a dire il principio della
certezza del diritto derivante da quello dello Stato di diritto. Infatti il principio dell’applicazione retroattiva della
legge penale più favorevole nella maggior parte degli ordinamenti giuridici
nazionali non ha rango costituzionale, ma solo di norma ordinaria. Inoltre
spesso è soggetto a restrizioni, ad esempio quando la
punibilità di un fatto deriva da una legge la cui validità era già stata
limitata nel tempo sin dall’inizio (134).

161. L’applicazione
retroattiva della legge penale più favorevole si fonda sulla considerazione che
un imputato non deve venire condannato sulla base di
un comportamento che, secondo il punto di vista (modificato) del legislatore,
non è più penalmente rilevante al momento del procedimento penale. Quindi le nuove valutazioni legislative devono essere a
vantaggio dell’imputato. In tal modo viene garantita
in particolare la coerenza dell’ordinamento giuridico. Inoltre l’applicazione
retroattiva della legge penale più favorevole deriva dalla circostanza che gli
scopi di prevenzione generale e speciale vengono meno quando
il comportamento in questione non è più soggetto a pena.

162. In un caso avente un
rapporto con il diritto comunitario, tuttavia, l’applicazione retroattiva della
legge penale più favorevole si giustifica solo se viene
garantito il primato del diritto comunitario, quindi se vengono tenuti in conto
anche gli obiettivi del legislatore comunitario e se la visione (mutata) del
legislatore nazionale è conforme ai precetti del diritto comunitario. Non è
comprensibile perché il singolo debba avvantaggiarsi retroattivamente di una
valutazione mutata del legislatore nazionale sulla rilevanza penale del suo
comportamento, qualora tale valutazione contrasti con i precetti comunitari
rimasti immutati (135).

163. Se
infatti, nell’adottare una nuova legge penale più favorevole, il
legislatore nazionale viola i precetti del diritto comunitario, esso non
garantisce affatto la coerenza delle disposizioni applicabili, al contrario,
mette in pericolo l’unità dell’ordinamento giuridico. In un caso simile non vi
è motivo di derogare a un principio fondamentale dello
Stato di diritto quale quello della legalità della pena. Al contrario è
necessario, al fine di garantire la coerenza dell’ordinamento giuridico, dare
attuazione al diritto comunitario, cui spetta il primato applicativo.

164. È ovvio che gli scopi
penali della prevenzione generale e speciale non vengono meno nemmeno quando un comportamento non sia punibile
esclusivamente secondo il legislatore nazionale, mentre per lo stesso
comportamento, ai sensi del diritto comunitario, continuano a dover essere
previste sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive.

165. Qualora
le disposizioni nazionali siano in contrasto con il diritto comunitario, i giudici
del rinvio rimangono dunque tenuti a garantire l’attuazione dei precetti del
diritto comunitario, disapplicando tali disposizioni
nazionali anche quando si tratti di leggi penali più favorevoli. Si potrebbe
osservare che una legge penale contrastante con il diritto comunitario adottata
successivamente non costituisce una legge penale più
favorevole applicabile.

166. Non cambierebbe nulla
inoltre se si dovesse considerare il principio dell’applicazione retroattiva
della legge penale più favorevole – contrariamente alla tesi qui sostenuta
(136) – non come un principio comunitario, ma solo come una questione di
diritto nazionale. Infatti, il diritto comunitario pone limiti alle competenze
degli Stati membri anche in sede di applicazione di
disposizioni nazionali (137). Dal primato del diritto comunitario deriva che i
giudici del rinvio, nei procedimenti penali pendenti, devono osservare il
diritto comunitario, nonché in particolare i precetti
e i giudizi di valore del legislatore comunitario che emergono dalle direttive
sul diritto societario (138).

167. Un’applicazione
retroattiva della legge penale più favorevole prevista dal diritto nazionale
non dovrebbe quindi mettere in pericolo l’applicazione effettiva e unitaria in
tutti gli Stati membri delle direttive sul diritto societario. Essa non
dovrebbe avere in alcun caso la conseguenza che per un comportamento punibile
all’epoca dei fatti venga esclusa la pena
retroattivamente in violazione dei precetti del diritto comunitario.

168. Nemmeno le dichiarazioni
della Corte nella sentenza Allain (139) contrastano
con la tesi qui esposta. Contrariamente al caso in esame, nella causa Allain il contesto fattuale e di diritto comunitario era successivamente
mutato a favore dell’imputato. Analoghe sono la causa Awoyemi
nonché la causa Skanavi e Chryssanthakopoulos, dove parimenti era nel frattempo
mutato il diritto comunitario (140). Tali fattispecie non possono essere
paragonate con un caso in cui, sul piano nazionale, è stata introdotta successivamente una normativa più favorevole per l’imputato macontrastante con il diritto comunitario.

4. Risultato dell’analisi

169. In conclusione va quindi dichiarato che il giudice di
uno Stato membro è tenuto a dare applicazione ai precetti di una direttiva,
senza adire preventivamente il giudice costituzionale nazionale, disapplicando una legge penale più favorevole adottata successivamente al reato, se e in quanto tale legge
contrasti con la direttiva.

V – Conclusione

170. Sulla base delle
considerazioni che precedono propongo alla Corte di risolvere le questioni
pregiudiziali sottopostele dal Tribunale di Milano e
dalla Corte di appello di Lecce come segue:

1) Il combinato disposto
dell’articolo 6, primo trattino, della prima direttiva del Consiglio 9 marzo
1968, 68/151/CEE, degli articoli 2, n. 3, e 47, n. 1, primo comma, della quarta
direttiva del Consiglio 25 luglio 1978, 78/660/CEE, e dell’articolo 10 CE impone agli Stati membri di adottare adeguate sanzioni
non solo per l’ipotesi in cui i conti annuali non vengano pubblicati per nulla,
ma anche per l’ipotesi in cui vengano pubblicati conti annuali aventi un falso
contenuto.

2) Ai sensi dell’articolo 6
della prima direttiva, le sanzioni sono adeguate quando
sono efficaci, proporzionate e dissuasive. A tale proposito va dato particolare
rilievo non solo all’interesse dei soci e dei creditori, ma anche all’interesse
di altri terzi e alla tutela del loro affidamento su una rappresentazione
fedele della situazione patrimoniale, della situazione finanziaria nonché del risultato economico della società. Il problema, se una disposizione di diritto nazionale contenga una
sanzione efficace, proporzionata e dissuasiva, dev’essere
esaminato, in tutti i casi in cui sorge, tenendo conto del ruolo di detta norma
nell’ordinamento giuridico complessivo, ivi compreso lo svolgimento della
procedura e le peculiarità di quest’ultima dinanzi
alle diverse autorità nazionali.

3) È vero che il combinato
disposto dell’articolo 6, primo trattino, della prima direttiva e dell’articolo
2, n. 3, nonché dell’articolo 47, n. 1, primo comma,
della quarta direttiva non osta ad una normativa nazionale secondo cui è
esclusa la punibilità delle false comunicazioni sociali, quando queste non
alterino in modo sensibile la rappresentazione della situazione economica,
patrimoniale e finanziaria della società o del gruppo di imprese, a meno che il
fatto sia stato commesso intenzionalmente e con l’obiettivo di ingannare o di
arricchirsi.

Tuttavia le
medesime disposizioni ostano ad una normativa nazionale secondo cui la
punibilità delle false comunicazioni sociali sia sempre esclusa – senza
valutare complessivamente tutte le circostanze del caso concreto – quando le
falsità o le omissioni determinano una variazione che non superi una
determinata percentuale del valore corretto.

4) Il combinato disposto
dell’articolo 6, primo trattino, della prima direttiva e dell’art 2, n. 3, nonché dell’articolo 47, n. 1, primo comma, della quarta
direttiva osta ad una disciplina relativa alla prescrizione secondo la quale
non sia prevedibile, o lo sia solo raramente, un’effettiva irrogazione delle
sanzioni comminate.

5) Il combinato disposto
dell’articolo 6, primo trattino, della prima direttiva e dell’articolo 2, n. 3,
nonché dell’articolo 47, n. 1, primo comma, della
quarta direttiva non osta ad una normativa nazionale secondo la quale le
sanzioni con cui vengono tutelati gli interessi patrimoniali di determinate
persone possono di regola essere irrogate solo su richiesta del danneggiato.
Ciò presuppone tuttavia l’esistenza di un’ulteriore
norma generale che, a tutela degli interessi dei terzi, preveda, anche
indipendentemente da un eventuale danno patrimoniale, sanzioni efficaci,
proporzionate e dissuasive, applicabili d’ufficio.

6) Con esiti analoghi va
interpretato anche il combinato disposto dell’articolo 38, nn.
6 e 1, nonché dell’articolo 16, n. 3, della settima
direttiva del Consiglio 13 giugno 1983, 83/349/CEE, applicabile ai conti
consolidati.

7) Il giudice di uno Stato
membro è tenuto a dare applicazione ai precetti di una direttiva, senza adire
preventivamente il giudice costituzionale nazionale, disapplicando
una legge penale più favorevole adottata successivamente
al reato, se e in quanto tale legge contrasti con la direttiva.

2 – GU L
65, pag. 8. L’articolo 58 del Trattato CEE è divenuto l’articolo 48 CE.

3 – GU L
222, pag. 11. L’articolo 54, n. 3, del Trattato CEE corrisponde all’articolo
44, n. 2, CE.

4 – V. articolo 1 della prima
direttiva e articolo 1, n. 1, della quarta direttiva.

5 – GU L
193, pag. 1. L’articolo 54, n. 3, del Trattato CEE corrisponde all’articolo 44,
n. 2, CE.

6 – La prima, la quarta e la
settima direttiva sono state da ultimo modificate dall’allegato II, sezione 4,
dell’Atto relativo alle condizioni di adesione della
Repubblica ceca, della Repubblica di Estonia, della Repubblica di Cipro, della
Repubblica di Lettonia, della Repubblica di Lituania,
della Repubblica di Ungheria, della Repubblica di Malta, della Repubblica di
Polonia, della Repubblica di Slovenia e della Repubblica slovacca e agli
adattamenti dei trattati sui quali si fonda l’Unione europea (GU 2003, L 236,
pag. 338). Le disposizioni rilevanti ai fini della presente domanda di
pronuncia pregiudiziale erano tuttavia, salvo indicazioni contrarie in
prosieguo, già contenute nella versione originaria della direttiva. Inoltre,
nel caso in esame sono irrilevanti, ratione temporis, le modifiche apportate alla prima direttiva
dall’articolo 1 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 15
luglio 2003, 2003/58/CE (GU L 221, pag. 13).

7 – Quarta direttiva nella
versione di cui alla direttiva del Consiglio 8 novembre 1990, 90/605/CEE, che
modifica le direttive 78/660/CEE e 83/349/CEE relative rispettivamente ai conti
annuali e ai conti consolidati per quanto riguarda il loro campo d’applicazione
(GU L 317, pag. 60; in prosieguo: la «direttiva
90/605»).

8 – Nota irrilevante ai fini
della traduzione delle presenti conclusioni.

9 – Il decreto legislativo è
stato pubblicato nella GURI del 15 aprile 2002, n. 88, pag. 4. Si basa su una
delega del Parlamento contenuta nell’articolo 11 della
legge 3 ottobre 2001, n. 366 (GURI dell’8 ottobre 2001, n. 234).

10 – Nota irrilevante ai fini
della traduzione delle presenti conclusioni.

11 – V.
punto 42 dell’ordinanza di rinvio nella causa C‑391/02.

12 – Così,
ai punti 19 e 20 dell’ordinanza di rinvio della Corte d’appello di Lecce nella
causa C‑391/02, con riferimento alla sentenza della Corte suprema di cassazione, Quinta Sezione, 20
febbraio 2001, n. 6889.

13 – In tal senso si è
espresso il Tribunale di Milano nella sua ordinanza di rinvio nella causa C‑403/02.

14 – GURI del 19 giugno 2001,
n. 140.

15 – Il fatto che si tratti
di sanzioni a carico delle società emerge dal titolo
dell’articolo 3 del D.Lgs 61/2002nonché dal contesto
generale del D.Lgs n. 231/2001, che disciplina la
«responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle
associazioni anche prive di personalità giuridica».

16 – Nota irrilevante ai fini
della traduzione delle presenti conclusioni.

17 – Nelle cause principali
non si tratta né di società quotate in borsa (all’epoca dei fatti), né di reati
a danno dello Stato, di altri enti pubblici o delle
Comunità europee.

18 – Dette anche, nel
linguaggio corrente, «fondi neri».

19 – Come emerge
dagli atti della causa principale nonché dalle dichiarazioni integrative
dell’imputato Berlusconi, l’accusa si basa inoltre su
altre ipotesi di reato, come l’originario articolo 2640 del Cc.

20 – V. anche GU 2003, C 19,
pag. 10.

21 – Il risultato economico
dell’anno di esercizio al lordo delle imposte non
sarebbe stato modificato in misura superiore al 5% né il patrimonio netto in
misura superiore all’1% (v. nuovo articolo 2621, terzo comma, del Cc).

22 – Come è
stato precisato dall’imputato Dell’Utri nelle sue
osservazioni scritte, nel suo caso viene contestata un’irregolarità contabile
nei bilanci della società Publitalia ‘80 SpA, concessionaria di pubblicità per il gruppo Fininvest, il cui presidente era il sig. Dell’Utri. L’accusa si basa, tra l’altro, sull’ipotizzata
creazione di fondi neri («riserve occulte»).

23 – Nota irrilevante ai fini
della traduzione delle presenti conclusioni.

24 – Nota irrilevante ai fini
della traduzione delle presenti conclusioni.

25 – Per semplicità, tale espressione verrà usata in prosieguo per indicare
congiuntamente la prima, la quarta e la settima direttiva.

26 – Sentenza 25 marzo 2004,
cause riunite da C‑480/00 a C‑482/00, C‑484/00,
C‑489/00, C‑490/00, C‑491/00
e da C‑497/00 a C‑499/00, Ribaldi (non
ancora pubblicata nella Raccolta, punto 73); ordinanza 11 febbraio 2004, cause
riunite C‑438/03, 439/03, C‑509/03 e C‑2/04,
Cannito e a. (non ancora
pubblicata nella Raccolta, punti 6‑8, ove figurano ulteriori riferimenti), e sentenza 26 gennaio 1993, cause
riunite da C‑320/90 a C‑322/90, Telemarsicabruzzo e a. (Racc. pag. I‑393, punto 6).

27 – V., per esempio,
ordinanza Cannito (in particolare punti 9 e 10) e
sentenza Telemarsicabruzzo (in particolare punti 8 e
9), entrambe cit. alla nota 26.

28 – Ad esempio la
dichiarazione di nullità della delibera di approvazione
del bilancio di una società.

29 –
Oggetto di un controllo di
costituzionalità potrebbe essere, secondo i giudici del rinvio, anche la
questione se il D.Lgs 61/2002sia incostituzionale per
violazione, da parte del legislatore, degli obblighi derivanti all’Italia dal
diritto comunitario.

30 – V., a tal proposito,
paragrafi 131 e segg. delle presenti conclusioni.

31 – Per i particolari, v.
paragrafi 132 e segg. delle presenti conclusioni.

32 – Sentenze Ribaldi (cit.
alla nota 26), punto 72; 7 gennaio 2003, causa C‑306/99,
BIAO (Racc. pag. I‑1, punti 88 e 89); 13
marzo 2001, causa C‑379/98, PreussenElektra (Racc. pag. I‑2099, punti 38 e 39),
e 15 dicembre 1995, causa C‑415/93, Bosman e a. (Racc. pag. I‑4921,
punti 59-61).

33 –
Sentenza della Corte costituzionale 26 maggio/1ºgiugno 2004, n. 161.

34 – L’articolo 117, primo
comma, della Costituzione italiana stabilisce che la potestà legislativa è
esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e
dagli obblighi internazionali.

35 –
Ordinanza della Corte
costituzionale 26 maggio/1ºgiugno 2004, n. 165.

36 – Solo marginalmente va
indicato che sinora la Corte ha sempre ritenuto ricevibili rinvii
pregiudiziali in casi simili. V. sentenze 26 settembre 1996, causa C‑341/94,
Allain (Racc. pag. I‑4631, punti 12 e 13); 25 giugno
1997, cause riunite C‑304/94, C‑330/94, C‑342/94 e C‑224/95, Tombesi
e a. (Racc. pag. I‑3561,
punti 39 e 40), e ordinanza 15 gennaio 2004, causa C‑235/02,
Saetti e Frediani (non ancora pubblicata nella
Raccolta, punto 26). V., inoltre, quanto esposto ai paragrafi 25-27 delle
conclusioni da me presentate il 10 giugno 2004 nella causa C‑457/02,
Niselli (non ancora pubblicate nella Raccolta).

37 – Per quanto riguarda la
nozione e la composizione del conto annuale v. articolo
2, n. 1, della quarta direttiva. La nozione di «conto annuale» verrà usata in prosieguo per ragioni di semplicità.

38 – Così
espressamente nella prima questione pregiudiziale, rispettivamente, nelle cause
C‑387/02 e C‑403/02. L’ordinanza di rinvio nella causa C‑391/02,
al suo punto 35, presuppone già che debbano essere adottate adeguate sanzioni
anche nel caso di pubblicazione di conti annuali aventi un falso contenuto.

39 – Una norma dal contenuto
identico è prevista dall’articolo 38, n. 6, della settima direttiva per i conti
consolidati di gruppi di imprese.

40 – V., ad esempio, sentenza
13 novembre 2003, causa C‑294/01, Granarolo (non
ancora pubblicata nella Raccolta, punto 34, ove figurano ulteriori riferimenti).

41 – V. anche a tal proposito
sentenze BIAO (cit. alla nota 32), punti 72 e segg., e, inoltre, 14 settembre 1999, causa C‑275/97,
DE+ES Bauunternehmung (Racc. pag. I‑5331, punti 26 e 27),
e 27 giugno 1996, causa C‑234/94, Tomberger (Racc. pag. I‑3133,
punto 17, rettificata con ordinanza della Corte 10 luglio 1997, non pubblicata
nella Raccolta). Per i conti consolidati emerge lo stesso dal combinato
disposto dell’articolo 16, n. 3, e del quinto ‘considerando’ della settima
direttiva.

42 – Sentenze 4 dicembre
1997, causa C‑97/96, Daihatsu Deutschland (Racc. pag. I‑6843,
punto 14), e 29 settembre 1998, causa C‑191/95,
Commissione/Germania (Racc. pag. I‑5449,
punto 66).

43 – L’articolo 47, n. 1,
primo comma, della quarta direttiva rinvia espressamente alla prima direttiva;
viceversa, la prima direttiva annuncia già, all’articolo 2, n. 1, lettera f),
l’adozione di una direttiva per il coordinamento del contenuto del bilancio e
del conto profitti e perdite, che è avvenuta con la
quarta direttiva.

44 – Sulla
carente conoscenza dei terzi della situazione contabile e finanziaria della
società v. anche sentenza Daihatsu Deutschland (cit. alla nota 42), punto 22. L’avvocato generale Cosmas
sottolinea anche, al paragrafo 32 delle conclusioni da
lui presentate il 5 giugno 1997 nella causa C‑191/95,
Commissione/Germania (Racc. 1998, pag. I‑5449,
in particolare pag. I‑5452), che l’obbligo di pubblicazione dei conti
annuali «ha lo scopo di informare le persone che non conoscono sufficientemente
bene la situazione e i progetti della società appunto perché possano, del pari,
valutare se sia opportuno instaurare un qualsivoglia rapporto giuridico».

45 – La rilevanza delle
direttive adottate ai sensi dell’articolo 44, n. 2, lettera g), CE per la
realizzazione del mercato interno viene sottolineata
anche dalla Corte nella sentenza Daihatsu Deutschland (cit. alla nota 42), punto 18; analogamente già
sentenza 12 novembre 1974, causa 32/74, Haaga (Racc. pag. 1201, punto 6).

46 – L’enorme rilevanza della
correttezza dei bilanci, non solo per soci e creditori, ma anche per i mercati
finanziari e per l’economia in generale, viene ad esempio sottolineata
nella relazione, pubblicata a Bruxelles il 4 novembre 2002, di un gruppo di
esperti di alto livello, incaricato dalla Commissione di adottare una
raccomandazione relativa al diritto societario europeo: Relazione finale del
Gruppo di esperti ad alto livello in diritto societario: «Un quadro normativo
moderno per il diritto societario in Europa», pagg. 71 e segg., sezione 4.3, primo paragrafo; consultabile [non in
italiano, N.d.T.] (20 luglio 2004) sul sito internet:
http://europa.eu.int/comm/internal_market/de/company/company/modern/index.htm.

47 –
Analogamente – anche se solo con riferimento alle sanzioni per l’omessa pubblicazione
dei conti annuali – l’avvocato generale Cosmas nelle conclusioni da lui presentate il 5 giugno 1997
nella causa C‑191/95 (cit. alla nota 44), paragrafo 30.

48 – L’articolo 47, n. 1bis,
della quarta direttiva è stato inserito mediante la direttiva 90/605.

49 –
Sentenza 16 dicembre 1997, causa C‑104/96,
Rabobank (Racc. pag. I‑7211,
in particolare punti 22-25).

50 – Sentenza Rabobank (cit. alla nota
49), punti 25-27.

51 –
Giurisprudenza costante sin dalla sentenza 21 settembre 1989, causa 68/88,
Commissione/Grecia (Racc. pag. 2965, punto 23); v. anche
sentenza Allain (cit. alla nota 36), punto 24, e
sentenze 30 settembre 2003, causa C‑167/01, Inspire Art (Racc. pag. I‑10155,
punto 62), e 15 gennaio 2004, causa C‑230/01, Penycoed (non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 36).

52 – V., in particolare, la
seconda questione, rispettivamente, nelle cause C‑387/02
e C‑403/02, nonché la prima questione nella causa C‑391/02.

53 – V., a tal proposito, in
particolare la sesta questione pregiudiziale nella causa C‑391/02.

54 – V., a tal proposito, la
motivazione della seconda questione pregiudiziale, rispettivamente, nelle cause
C‑387/02 e C‑403/02, nonché della
prima questione pregiudiziale nella causa C‑391/02.

55 – V., a tal proposito, la
quinta e la sesta questione pregiudiziale nella causa C‑391/02
e la terza questione pregiudiziale nella causa C‑403/02.

56 – V., a tal proposito, la
terza questione pregiudiziale nella causa C‑387/02, nonché la
seconda, la terza e la quarta questione pregiudiziale nella causa C‑391/02.

57 – A questo mira, ad
esempio, la prima parte della terza questione pregiudiziale nella causa C‑403/02.

58 –
Giurisprudenza costante; v., solo,
sentenza Tombesi (cit. alla nota 36), punto 36,
nonché sentenze 9 settembre 2003, causa C‑151/02, Jaeger (Racc. pag. I‑8389,
punto 43), 3 maggio 2001, causa C‑28/99, Verdonck e a. (Racc. pag. I‑3399, punto 28), e 15
dicembre 1993, causa C‑292/92, Hünermund e a. (Racc. pag. I‑6787,
punto 8). Analogamente la sentenza Inspire
Art (cit. alla nota 51), punto 63.

59 –
Giurisprudenza costante sin dalla sentenza Commissione/Grecia (cit. alla nota
51), punti 23 e 24. V. anche sentenze Allain (cit. alla nota
36), punto 24, e Inspire Art (cit. alla nota 51),
punto 62.

60 – V. il secondo
‘considerando’ della prima direttiva ed il primo ‘considerando’della quarta
direttiva nonché quanto esposto ai paragrafi 72-75
delle presenti conclusioni.

61 – Tale ultimo aspetto è sottolineato dall’avvocato generale Van
Gerven al paragrafo 8 delle conclusioni da lui
presentate il 5 dicembre 1989 nella causa C‑326/88, Hansen (Racc. 1990, pag. I‑2911,
in particolare pag. I‑2911). Efficace, a suo avviso, «significa tra l’altro
che gli Stati membri sono tenuti a cercare di raggiungere e a realizzare gli
scopi delle disposizioni di diritto comunitario di cui
trattasi».

62 – V. solo sentenze 7
gennaio 2004, causa C‑201/02, Delena Wells (non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 67, ove
figurano ulteriori riferimenti), e 14 dicembre 1995,
causa C‑312/93, Peterbroeck (Racc. pag. I‑4599, punto 12).

63 – V., ad esempio, sentenze
26 giugno 2003, causa C‑404/00, Commissione/Spagna (Racc.
pag. I‑6695, punto 24); 16 luglio 1998, causa C‑298/96,
Oelmühle Hamburg e Schmidt Söhne (Racc. pag. I‑4767,
punto 24), e 21 settembre 1983, cause riunite 205/82‑215/82,
Deutsche Milchkontor e a. (Racc. pag. 2633, punto
19).

64 –
Analogamente, l’avvocato generale Van Gerven nelle conclusioni da lui presentate il 5 dicembre
1989 nella causa Hansen (cit. alla nota 61), paragrafo 8 «I termini “dissuasive” e
“proporzionali” significano che le sanzioni debbono
essere sufficienti ma non sproporzionate quanto al loro rigore, alla luce degli
scopi perseguiti».

65 –
Sentenza 18 ottobre 2001, causa C‑354/99,
Commissione/Irlanda (Racc. pag. I‑7657, punto 47), inoltre il
paragrafo 27 delle conclusioni dell’avvocato generale Geelhoed
presentate il 5 aprile 2001 (Racc. pag. I‑7660).
V. anche sentenze 8 giugno 1994, causa C‑382/92,
Commissione/Regno Unito (Racc. pag. I‑2435,
punti 56-58), e causa C‑383/92,
Commissione/Regno Unito (Racc. pag. I‑2479,
punti 41 e 42).

66 – Per il principio di
proporzionalità v., ad esempio, sentenze 13 luglio 2003, causa C‑220/01,
Lennox (Racc. pag. I‑7091, punto 76); 12 marzo 2002,
cause riunite C‑27/00 e C‑122/00, Omega Air e a. (Racc. pag. I‑2569,
punto 62), e 11 luglio 1989, causa C‑265/87, Schräder (Racc. pag. 2237, punto 21). V. anche sentenza 23 gennaio 1997, causa C‑29/95,
Pastoors e Trans-Cap (Racc. pag. I‑285,
punti 24, ultima frase, e 25‑28).

67 – In tal senso, per quanto
riguarda la conformità di norme procedurali nazionali al principio di effettività, una giurisprudenza costante, v., ad esempio,
sentenza Peterbroeck (cit. alla nota 62), punto 14,
nonché sentenze 10 aprile 2003, causa C‑267/01, Steffensen (Racc. pag. I‑3735,
punto 66); 27 febbraio 2003, causa C‑327/00, Santex (Racc. pag. I‑1877,
punto 56), e 21 novembre 2002, causa C‑473/00, Cofidis (Racc. pag. I‑10875,
punto 37).

68 – V. a
tal proposito anche la giurisprudenza cit. alla nota 41.

69 – L’articolo 16 della
settima direttiva contiene disposizioni corrispondenti per i conti consolidati.

70 – SEC Staff
Accounting Bulletin N. 99,
17 CFR Parte 211 (Comunicato N. SAB 99), del 12 agosto 1999, consultabile (13
luglio 2004) sul sito Internet <www.sec.gov/interps/account/sab99.htm
>. L’amministrazione della SEC sostiene quanto
segue: «Exclusive reliance
on certain quantitative benchmarks
to assess materiality in preparing financial statements and performing audits of those financial statements is inappropriate; misstatements are not immaterial simply because they fall
beneath a numerical threshold» (È inopportuno fare esclusivo affidamento su
determinati livelli di riferimento quantitativi per valutare la rilevanza
giuridica di fatti concernenti la predisposizione di rendiconti finanziari o la
revisione contabile dei medesimi; le dichiarazioni
inesatte non sono irrilevanti solo perché non superano una soglia numerica).
Come criterio fra i tanti per valutare se uno scostamento quantitativamente
minimo sia tuttavia qualitativamente rilevante viene
ivi indicato anche: «Whether the misstatement
involves concealment of an unlawful transaction»
(Se la dichiarazione inesatta implichi la dissimulazione di un negozio illecito).
Anche l’intenzionalità di una dichiarazione inesatta
può rilevare ai fini della sua valutazione: «In certain
circumstances, intentional immaterial misstatements are unlawful» (In determinate circostanze, dichiarazioni
inesatte intenzionali e di scarso rilievo sono illecite).

71 – In tal senso invece
l’imputato Berlusconi nelle sue osservazioni scritte.

72 – Regolamento (CE) della
Commissione 12 gennaio 2001, n. 69, relativo all’applicazione degli articoli 87
[CE] e 88 [CE] agli aiuti d’importanza minore («de minimis»)
(GU L 10, pag. 30).

73 – V. il quinto e il
settimo ‘considerando’ del regolamento di esenzione
per categoria (cit. alla nota 72).

74 – V. punto 11 della
comunicazione della Commissione relativa agli accordi
di importanza minore che non determinano restrizioni sensibili della
concorrenza ai sensi dell’articolo 81, paragrafo 1, del trattato che istituisce
la Comunità europea (de minimis) (GU 2003, C 368,
pag. 13).

75 – Per fare un confronto:
per l’originario articolo 2621 del Cc era applicabile
un termine di prescrizione di dieci anni; in caso di interruzione
di tale termine la prescrizione interveniva al massimo dopo un periodo
complessivo di quindici anni (v., ad esempio, punto 42 dell’ordinanza di rinvio
nella causa C‑391/02).

76 –
Sentenza 24 giugno 2004, causa C‑278/02,
Handlbauer (non ancora pubblicata nella Raccolta,
punto 40), rettificata con ordinanza della Corte 14 luglio 2004 (non ancora
pubblicata nella Raccolta).

77 – Articolo 3 del
regolamento (CE, Euratom) del Consiglio 18 dicembre
1995, n. 2988, relativo alla tutela degli interessi finanziari delle Comunità
(GU L 312, pag. 1; in prosieguo: il «regolamento n.
2988/95»).

78 – Articoli 25 e 26 del
regolamento (CE) del Consiglio 16 dicembre 2002, n. 1/2003, concernente
l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli 81 [CE] e 82 [CE] (GU 2003, L 1, pag. 19). Una disciplina relativa a termini simili alla prescrizione si trova anche
all’articolo 15 del regolamento (CE) del Consiglio 22 marzo 1999, n. 659,
recante modalità di applicazione dell’articolo 93 (…) CE (GU L 83, pag. 1). Va sottolineato però che i termini di cui all’articolo 25, n.
6, del regolamento n. 1/2003 ed all’articolo 15, n. 2, quarta frase, del
regolamento n. 659/1999 sono entrambi sospesi finché è pendente un procedimento
giudiziario.

79 – Osservazioni simili
valgono anche in altri contesti, in particolare nella
giurisprudenza relativa all’applicabilità di alcuni termini procedurali del
diritto nazionale a fattispecie aventi una relazione con il diritto
comunitario. In tale ambito la Corte ammette, in via di principio, la
fissazione di termini (di decadenza), ma tali termini,
secondo il principio di effettività, non possono rendere praticamente
impossibile o eccessivamente difficile l’attuazione del diritto comunitario;
v., in proposito, sentenze 15 settembre 1998, causa C‑231/96,
Edis (Racc. pag. I‑4951,
punti 34 e 35), e 17 giugno 2004, causa C‑30/02, Recheio-Cash & Carry (non
ancora pubblicata nella Raccolta, punti 17 e 18).

80 – V. anche paragrafi 88 e
89 delle presenti conclusioni.

81 – Nel caso in cui i
giudici del rinvio si vogliano basare anche su statistiche per valutare la
disciplina italiana in materia di prescrizioni, come proposto dall’imputato Berlusconi, sarebbe sensato assicurarsi che tali
statistiche siano significative, cioè che si
riferiscano specificamente alle fattispecie di reato qui esaminate e consentano
un paragone tra gli effetti della prescrizione secondo la precedente e la nuova
normativa.

82 –
Sottoscritta a Roma il 4 novembre
1950.

83 – GU 2000, C 364, pag. 1.
Anche se tale Carta non produce ancora effetti giuridici vincolanti
paragonabili al diritto primario, essa, in quanto fonte di cognizione del
diritto, dà perlomeno indicazioni sui diritti fondamentali garantiti
dall’ordinamento comunitario; in tal senso anche il paragrafo 51 delle conclusioni
dell’avvocato generale Poiares Maduro
presentate il 29 giugno 2004 nella causa C‑181/03
P, Tardone (non ancora pubblicate nella Raccolta); paragrafo 126 delle
conclusioni dell’avvocato generale Mischo presentate
il 20 settembre 2001 nelle cause riunite C‑20/00 e C‑64/00,
Booker Aquaculture e Hydro Seafood (Racc. 2003, pag. 7411, in particolare pag. I‑7415);
paragrafo 28 delle conclusioni dell’avvocato generale Tizzano
presentate l’8 febbraio 2001 nella causa C‑173/99, BECTU (Racc. 2001, pag. I‑4881, in particolare
pag. I‑4883), nonché paragrafi 82 e 83 delle conclusioni
dell’avvocato generale Léger presentate il 10 luglio
2001 nella causa C‑353/99 P, Hautala (Racc. 2001, pag. I‑9565, in particolare
pag. I‑9567).

84 – Sentenze 17 dicembre
1998, causa C‑185/95 P, Baustahlgewebe (Racc. pag. I‑8147, in particolare
punti 21, 29 e 47), e 15 ottobre 2002, cause riunite C‑238/99
P, C‑244/99 P, C‑245/99 P, C‑247/99
P, C‑250/99 P, C‑251/99 P, C‑252/99
P e C‑254/99 P, Limburgse Vinyl Maatschappij e a. (Racc. pag. 8375, in
particolare punto 187).

85 –
Sentenza (cit. alla nota 42),
punto 23; v. anche sentenza Commissione/Germania (cit. alla nota 42), punto 67,
e ordinanza 23 settembre 2004, cause riunite C‑435/02
e C‑103/03, Springer e Weske (non ancora pubblicata nella Raccolta, punti 28-35).

86 – Paragrafi 67-81 delle
presenti conclusioni.

87 – V., a tal proposito,
paragrafi 93-104 e 106-111 delle presenti conclusioni.

88 – In tale contesto gli
imputati Berlusconi e Dell’Utri
menzionano, a titolo di esempio, gli articoli
2393-2395 del Cc.

89 – In tale contesto gli
imputati Berlusconi e Dell’Utri
rinviano, a titolo di esempio, all’articolo 2379 e al
nuovo articolo 2434bis del Cc.

90 – In tale contesto viene da più parti fatto rinvio al nuovo articolo
25 ter del D.Lgs n.
231/2001 (introdotto mediante il D.Lgs 61/2002).

91 – In tale contesto viene fatto segnatamente riferimento al nuovo
articolo 2630 del Cc.

92 – In tale contesto, gli imputati Berlusconi
e Dell’Utri fanno rinvio, a titolo di esempio, tra
l’altro, agli articoli 2409bis‑2409septies del Cc,
introdotti dal D.Lgs 17 gennaio 2003, n. 6 (GURI del
22 gennaio 2003, n. 17).

93 – V. paragrafi 85-87 delle
presenti conclusioni.

94 –
Sentenza 2 ottobre 1991, causa C‑7/90,
Vandevenne e a. (Racc. pag. I‑4371,
punto 17), e paragrafo 8 delle conclusioni dell’avvocato generale Van Gerven presentate il 19
febbraio 1991. Analogamente sentenza 12 settembre
1996, cause riunite C‑58/95, C‑75/95, C‑112/95,
C‑119/95, C‑123/95, C‑135/95, C‑140/95, C‑141/95, C‑154/95 e C‑157/95,
Gallotti e a. (Racc. pag. I‑4345, punti 14 e 15).

95 – V., in tal senso, ad esempio
la sentenza Inspire Art (cit. alla nota 51), punti 62
e 63. V. anche paragrafo 91 delle presenti conclusioni.

96 – V., a tal proposito,
paragrafi 115-117 delle presenti conclusioni, con riferimenti alle sentenze Daihatsu Deutschland e
Commissione/Germania (entrambe cit. alla nota 42).

97 – Gli imputati Berlusconi e Dell’Utri, ad
esempio, effettuano tali riferimenti nelle loro
osservazioni scritte. La Procura generale presso la Corte di appello
di Lecce invece sottolinea, nelle sue osservazioni scritte, che ad esempio in
società quotate in borsa non tutti i terzi possono chiedere una tale
dichiarazione di nullità. Anche gli imputati Berlusconi e Dell’Utri, nelle
loro memorie, menzionano talune limitazioni del diritto d’impugnazione dei
terzi (v. ad esempio articolo 2434bis del Cc).

98 – Come sottolineato
dall’avvocato generale Cosmas nelle conclusioni da
lui presentate il 5 luglio 1997 nella causa C‑191/95
(cit. alla nota 44), paragrafo 33, le persone legittimate non sempre hanno
interesse ad avviare il relativo procedimento.

99 – Nella versione di cui al
D.Lgs 61/2002. Sia l’imputato Berlusconi
sia l’imputato Dell’Utri rinviano
espressamente a questa disposizione.

100 – V. anche articoli 5 e 6
del D.Lgs n. 231/2001.

101 – Paragrafi 67-81 delle
presenti conclusioni.

102 – V., a tal proposito,
articolo 51 della quarta direttiva e articolo 37 della settima direttiva. V.,
inoltre, articoli 23-27 dell’ottava direttiva del Consiglio 10 aprile 1984,
84/253/CEE, basata sull’articolo 54, paragrafo 3, lettera g), del trattato,
relativa all’abilitazione delle persone incaricate del controllo di legge dei
documenti contabili (GU L 126, pag. 20, modificata da ultimo dall’allegato XXII
all’Accordo sullo Spazio economico europeo, GU 1994, L 1, pag. 517). L’articolo
54, n. 3, del Trattato CEE corrisponde all’articolo 44, n. 2, CE.

103 – [Nella versione
tedesca: «Maßregeln»] Ancora
più chiara rispetto alla versione tedesca è, ad esempio, l’espressione «sanctions appropriées» nella
versione francese, [la versione italiana], «sanciones
apropiadas» in quella spagnola, «sanções
apropriadas» nella versione portoghese, «passende sancties» nella versione
olandese e «appropriate penalties» nella versione
inglese.

104 – In udienza, ad esempio,
la Procura generale di Lecce ha sottolineato che
l’interdizione dagli uffici direttivi per gli amministratori di imprese può
essere irrogata solo in relazione ad un delitto.

105 – V. per lo stesso problema le conclusioni da me presentate nella causa Niselli (cit. alla nota 36), paragrafi 52-75.

106 – Si basano, a tal
riguardo, sull’articolo 3 della Costituzione italiana (principio della parità
di trattamento) nonché sugli articoli 11 e 117 della
Costituzione italiana (obblighi internazionali, in particolare comunitari,
dell’Italia); v. al riguardo anche nota 34.

107 –
Giurisprudenza costante sin dalla
sentenza 15 luglio 1964, causa 6/64, Costa/ENEL (Racc.
pag. 1129, in particolare pag. 1145).

108 –
Sentenza 9 marzo 1978, causa 106/77, Amministrazione delle Finanze dello Stato/Simmenthal (Racc. pag. 629, punti 21-23). V. anche sentenze 19 giugno 1990,
causa C‑213/89, Factortame (Racc. pag. I‑2433,
punto 20), e 19 novembre 1991, cause riunite C‑6/90
e C‑9/90, Francovich
e a. (Racc. pag. I‑5357,
punto 32).

109 –
Sentenza Simmenthal
(cit. alla nota 108), punto 24; il corsivo è mio. V. anche sentenze 8 giugno
2000, causa C‑258/98, Carra e a. (Racc. pag. I‑4217,
punto 16), e 18 settembre 2003, causa C‑416/00, Morellato (Racc. pag. I‑9343,
punti 43 e 44).

110 –
Sentenza 24 giugno 1969, causa 29/68, Milch-, Fett- und Eierkontor/Hauptzollamt Saarbrücken (Racc. pag. 165,
punti 2 e 3). V. anche sentenza 3 febbraio 1977, causa 52/76,
Benedetti/Munari (Racc. pag.
163, punti 26 e 27), e ordinanza 5 marzo 1986, causa 69/85, Wünsche III (Racc. pag. 947, punti 13-15); analogamente il parere14 dicembre 1991, 1/91,
SEE I (Racc. pag. I‑6079,
punto 61).

111 – Sentenze 27 marzo 1980,
causa 61/79, Denkavit italiana (Racc.
pag. 1205, punti 16 e 17), e cause riunite 66/79, 127/79 e 128/79, Meridionale Industria Salumi e a. (Racc. pag. 1237, punto 9), nonché
22 ottobre 1998, cause riunite da C‑10/97 a C‑22/97,
IN.CO.GE. ‘90 e a. (Racc. pag. I‑6307,
punto 23), e 13 gennaio 2004, causa C‑453/00, Kühne & Heitz (non ancora
pubblicata nella Raccolta, punto 21).

112 – Sentenze 11 giugno
1987, causa 14/86, Pretore di Salò/X (Racc. pag. 2545, punto 20); 26
settembre 1996, causa C‑168/95, Arcaro (Racc. pag. I‑4705, punto 36), e 7
gennaio 2004, causa C‑60/02, X (non ancora pubblicata nella Raccolta, punto
61).

113 –
Conclusioni dell’avvocato generale Ruiz-Jarabo Colomer presentate il 18 giugno 1996 nelle cause riunite C‑74/95
e C‑129/95, X (Racc. pag. I‑6609, in particolare pag. I‑6612,
paragrafo 43). Conclusioni dell’avvocato generale Jacobs presentate nelle cause riunite C‑304/94, C‑330/94, C‑342/94 e C‑224/95, Tombesi
e a. (Racc. 1997, pag.
I‑3564, paragrafo 37).

114 –
Aperto alla firma il 19 dicembre 1966 (UN Treaty Series, vol. 999, pag. 171).

115 – V., a tal proposito,
sentenza della Corte 12 dicembre 1996, cause riunite C‑74/95
e C‑129/95, X (Racc. pag. I‑6609, punto 25) con riferimento
alle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo 25 maggio 1993, Kokkinakis (Serie A, n. 260-A, § 52), e 22 novembre
1995, S. W./Regno Unito e C. R./Regno Unito (serie A, nn.
335-B, § 35 e 335-C, § 33). V.
inoltre sentenza della Corte 10 luglio 1984, causa 63/83, Kirk
(Racc. pag. 2689, punto 22).

116 – V. a
tal proposito, in particolare, la sentenza nelle cause riunite C‑74/95
e C‑129/95 (cit. alla nota 115), punti 24 e 25, e inoltre sentenza 8 ottobre 1987, causa 80/86, Kolpinghuis Nijmegen (Racc. pag. 3969, punto 13), e la
sentenza Arcaro (cit. alla nota 112), punto 42.

117 – Sentenze Pretore di Salò (cit. alla nota 112), punto 19, Arcaro
(cit. alla nota 112), punto 36, e Daihatsu Deutschland (cit. alla nota 42), punto 24, ciascuna facente
riferimento alla sentenza 26 febbraio 1986, causa 152/84, Marshall
(Racc. pag. 723, punto 48). V.
inoltre sentenza Tombesi (cit. alla nota 36), punto
42, e sentenza nelle cause riunite C‑74/95
e C‑129/95 (cit. alla nota 115),
punto 23.

118 –
Conclusioni presentate il 6 maggio 2003 nelle cause riunite da C‑397/01
a C‑403/01 (non ancora pubblicate nella Raccolta). Poiché secondo la Corte in
tal modo è stata sollevata la questione fondamentale dell’efficacia diretta
delle direttive tra soggetti, essa ha rinviato la causa alla Grande Sezione e
ha riaperto la trattazione orale. Nelle sue seconde conclusioni, presentate il
27 aprile 2004, l’avvocato generale ha confermato la sua posizione.

119 –
Paragrafo 38 delle (seconde) conclusioni presentate il 27 aprile 2004 nelle
cause riunite da C‑397/01 a C‑403/01 (Pfeiffer).

120 – V. a tal proposito i
riferimenti di cui alla nota 112.

121 – Sentenze 18 dicembre
1997, causa C‑126/96, Inter-Environment Wallonie (Racc. pag. I‑7411,
punto 45); 8 maggio 2003, causa C‑14/02, ATRAL (Racc. pag. I‑4431, punto 58), e 5
febbraio 2004, causa C‑157/02, Rieser (non ancora
pubblicata nella Raccolta, punto 66).

122 – V., a tal proposito, i
successivi paragrafi 154 e segg. delle presenti conclusioni.

123 – Cit. alla nota 36,
punto 43. V. inoltre l’ordinanza Saetti (cit. alla nota 36),
punto 26.

124 – Cit.
alla nota 36.

125 – Quanto alla paragonabilità della presente fattispecie con le cause Tombesi e Niselli è inoltre
irrilevante se il D.Lgs 61/2002abbia l’effetto di una
(parziale) «abolitio criminis»
come sostiene l’imputato Dell’Utri, o se vi sia una «continuità normativa» tra la precedente e la nuova
fattispecie di reato, come esposto dal Tribunale di Milano nella sua ordinanza
di rinvio nella causa C‑403/02 e dal governo italiano nelle sue memorie.
L’elemento decisivo è che in tutti questi casi, a seguito di una modifica
legislativa, determinati atti, precedentemente (e al
momento della loro commissione) soggetti a pena, diventano non punibili. La disputa
tra l’«abolitio criminis» e
la «continuità normativa» è puramente accademica.

126 – V.
sentenza Delena Wells (cit.
alla nota 62), punto 57, e le conclusioni da me presentate il 29 gennaio 2004
nella causa C‑127/02, Landelijke Vereniging tot Behoud van de Waddenzee
e a. (non ancora pubblicate nella Raccolta, paragrafi
146 e segg.).

127 – V. sentenza Allain (punto 12), l’ordinanza Saetti e Frediani
(punto 26) e la sentenza Tombesi (punti 42 e 43),
tutte citate alla nota 36. Analogamente
anche sentenze 23 febbraio 1995, cause riunite C‑358/93
e C‑416/93, Bordessa
e a. (Racc. pag. I‑361, punto 9); 14 dicembre
1995, cause riunite C‑163/94, C‑165/94 e C‑250/94, Sanz
de Lera e a. (Racc. pag. I‑4821, punto 14); 29
febbraio 1996, causa C‑193/94, Skanavi e Chryssanthakopoulos (Racc. pag. I‑929,
punto 17), e 29 ottobre 1998, causa C‑230/97, Awoyemi (Racc. pag. I‑6781,
punto 38). V., inoltre, le conclusioni dell’avvocato generale Jacobs presentate nella causa Tombesi
(cit. alla nota 113), paragrafo 35.

128 –
Sentenza cit. alla nota 36.

129 – In Italia, ad esempio,
tale principio è contenuto nell’articolo 2, terzo
comma, del codice penale, in Germania nell’articolo 2, n. 3, dello Strafgesetzbuch (codice penale tedesco). Tale principio non
viene invece riconosciuto, a quanto risulta, solo in
Irlanda e nel Regno Unito.

130 – V. ad esempio articolo
15, n. 1, terza frase, del Patto internazionale sui diritti civili e politici.

131 – V. articolo 2, n. 2,
del regolamento n. 2988/95; inoltre sentenza 1º luglio 2004, causa C‑295/02,
Gerken (non ancora pubblicata nella Raccolta, punti
52‑58).

132 – La questione se si tratti di un principio di diritto comunitario è già stata
messa in discussione dall’avvocato generale Fennelly
nelle conclusioni da lui presentate il 7 marzo 1996 nella causa C‑341/94,
Allain (Racc. 1996, pag. I‑4633,
paragrafo 43), ma alla fine non è stata risolta. L’avvocato generale Léger, nelle conclusioni da lui presentate
il 16 luglio 1998 nella causa C‑230/97, Awoyemi (Racc. 1998, pag. I‑6784,
paragrafi 31 e 32), l’ha risolta in senso negativo, facendo riferimento alla
giurisprudenza precedente.

133 – Sull’obbligo di
osservare i principi generali del diritto comunitario v., ad esempio, sentenza
26 ottobre 1995, causa C‑36/94, Siesse (Racc. pag. I‑3573, punto 21).

134 – In Italia, ad esempio,
l’applicazione retroattiva della legge penale più favorevole è esclusa quando sia già stata pronunciata una sentenza
irrevocabile o in caso di leggi eccezionali o temporanee (articolo 2, terzo e
quarto comma, del codice penale). La Commissione rinvia inoltre alla sentenza della Corte costituzionale italiana 19/22
febbraio 1985, n. 51, secondo cui il principio dell’applicazione retroattiva
della legge penale più favorevole non vale per un decreto legge che, dopo la
sua adozione, non è stato convertito in legge dal Parlamento e quindi ha perso
efficacia retroattivamente; v. a tal proposito articolo 77, terzo comma, della
Costituzione italiana.

135 – Diverso sarebbe nel
caso opposto, quando la legge penale in vigore all’epoca dei fatti era quella più favorevole o se all’epoca dei fatti la
punibilità era del tutto esclusa. In questo caso non si tratterebbe solo di una
deroga al principio della legalità della pena,
fondamentale per lo Stato di diritto, ma semplicemente della sua applicazione.
In tale situazione la legge penale più favorevole o l’impunità devono essere fatti valere anche qualora il contesto
normativo in vigore all’epoca dei fatti fosse in contrasto con il diritto
comunitario.

136 – Paragrafi 156 e 157
delle presenti conclusioni.

137 – Nel campo del diritto
penale e della procedura penale tale pensiero trova
espressione, ad esempio, nelle sentenze 2 febbraio 1989, causa 186/87, Cowan (Racc. pag. 195, punto 19), e 24 novembre 1998, causa C‑274/96,
Bickel e Franz (Racc. pag. I‑7637, punto 17).

138 – Sull’obbligo di
garantire la validità e l’efficacia pratica del diritto comunitario, v. anche
paragrafi 88 e 134-136 delle presenti conclusioni.

139 – Cit.
alla nota 36.

140 – Sentenze cit. alla nota
127.