Penale

Wednesday 04 May 2005

Falso in bilancio. Il testo della sentenza 3.5.2005 della Corte di Giustizia UE che salva la riforma del 2002

Falso in bilancio. Il testo della sentenza 3.5.2005 della Corte di
Giustizia UE che salva la riforma del 2002

Corte di giustizia Europea – Grande
Sezione – sentenza 3 maggio 2005 – Presidente Skouris
– Relatore Timmermans – Ricorrente Berlusconi ed altri

Causa C-387/02 C-391/02 C-403/02
«Diritto societario – Articoli 5 del Trattato Cee
(divenuto articolo 5 del Trattato Ce, a sua volta divenuto articolo 10 Ce) e
54, n. 3, lett. g), del Trattato Cee (divenuto
articolo 54, n. 3, lett. g), del Trattato Ce, a sua volta divenuto, in seguito
a modifica, articolo 44, n. 2, lett. g), Ce) – Prima direttiva 68/151/Cee, quarta direttiva 78/660/Cee
e settima direttiva 83/349/Cee – Conti annuali –
Principio del quadro fedele – Sanzioni previste in caso di false comunicazioni
sociali (falsità in scritture contabili) – Articolo 6 della prima direttiva
68/151 – Requisito dell’adeguatezza delle sanzioni per violazioni del diritto
comunitario»

1. Le domande di pronuncia
pregiudiziale vertono sull’interpretazione della prima direttiva del Consiglio
9 marzo 1968, 68/151/Cee, intesa a coordinare, per
renderle equivalenti, le garanzie che sono richieste, negli Stati membri, alle
società a mente dell’articolo 58, secondo comma, del Trattato per proteggere
gli interessi dei soci e dei terzi (GU L 65, pag. 8;
in prosieguo: la «prima direttiva sul diritto societario»), in particolare
dell’articolo 6 della medesima, della quarta direttiva del Consiglio 25 luglio
1978, 78/660/Cee, basata sull’articolo 54, paragrafo
3, lettera g), del Trattato e relativa ai conti annuali di taluni tipi di
società (GU L 222, pag. 11; in prosieguo: la «quarta direttiva sul diritto
societario»), in particolare dell’articolo 2 della medesima, e della settima
direttiva del Consiglio 13 giugno 1983, 83/349/Cee,
basata sull’articolo 54, paragrafo 3, lettera g), del Trattato e relativa ai
conti consolidati (GU L 193, pag. 1; in prosieguo: la «settima direttiva sul
diritto societario»), in particolare dell’articolo 16 della medesima, nonché
degli articoli 5 del Trattato Cee (divenuto articolo
5 del Trattato Ce, a sua volta divenuto articolo 10 Ce) e 54, n. 3, lett. g),
del Trattato Cee (divenuto articolo 54, n. 3, lett.
g), del Trattato Ce, a sua volta divenuto, in seguito a modifica, articolo 44,
n. 2, lett. g), Ce).

2 Tali domande sono state presentate
nell’ambito di procedimenti penali avviati a carico dei sigg. Berlusconi (causa C-387/02), Adelchi (causa C-391/02) e
Dell’Utri e a. (causa
C-403/02) per presunta violazione delle disposizioni in materia di false comunicazioni
sociali (falsità in scritture contabili) previste dal codice civile italiano
(in prosieguo: il «codice civile»).

Contesto normativo

Disciplina comunitaria

3 In forza dell’articolo 54, n. 3,
lett. g), del Trattato, il Consiglio dell’Unione europea e la Commissione delle
Comunità europee operano al fine della soppressione delle restrizioni relative alla libertà di stabilimento coordinando, nella
necessaria misura e al fine di renderle equivalenti, le garanzie che sono
richieste, negli Stati membri, alle società ai sensi dell’articolo 58, secondo
comma, del Trattato Cee (divenuto articolo 58,
secondo comma, del Trattato Ce, a sua volta divenuto articolo 48, secondo
comma, Ce), per proteggere gli interessi tanto dei soci quanto dei terzi.

4 Su tale fondamento sono state
quindi adottate dal Consiglio varie direttive, di cui
le seguenti in particolare assumono rilevanza nelle cause principali.

5 La prima
direttiva sul diritto societario si applica, conformemente al suo articolo 1,
alle società di capitali, vale a dire, per l’Italia, ai seguenti tipi di
società: la società per azioni (in prosieguo: la «SpA»), la società in accomandita per azioni e la società a
responsabilità limitata (in prosieguo: la «Srl»).

6 Tale direttiva prevede tre misure
dirette a proteggere i terzi che trattino con tali società, vale a dire la
costituzione di un fascicolo contenente talune informazioni obbligatorie tenuto
per ogni società presso il registro di commercio territorialmente competente,
l’armonizzazione delle disposizioni nazionali concernenti la
validità e l’opponibilità degli obblighi assunti in nome di una società
(comprese le società in formazione) e la fissazione di un elenco tassativo dei
casi di nullità delle società.

7 Ai sensi dell’articolo 2 della
prima direttiva sul diritto societario:

«1. Gli Stati membri adottano le
misure necessarie perché l’obbligo della pubblicità per le società concerna
almeno gli atti e le indicazioni seguenti:

(…)

f) il bilancio ed il conto profitti e
perdite di ogni esercizio. Il documento che contiene
il bilancio deve indicare le generalità delle persone che ai sensi di legge
sono tenute a certificare il bilancio. Tuttavia, per le società a
responsabilità limitata di diritto tedesco, belga, francese, italiano e
lussemburghese, enumerate all’articolo 1, nonché per
le società anonime chiuse dell’ordinamento olandese, l’applicazione
obbligatoria di questa disposizione è rinviata sino alla data di attuazione di
una direttiva concernente il coordinamento del contenuto dei bilanci e dei
conti profitti e perdite e comportante l’esenzione dall’obbligo di pubblicare,
integralmente o parzialmente, tali documenti per le società di questo tipo con
un ammontare di bilancio inferiore alla cifra che sarà fissata nella direttiva
stessa. Il Consiglio adotterà tale direttiva nei due anni successivi
all’adozione della presente direttiva;

(…)».

8 L’articolo
3, nn. 1 e 2, di questa
direttiva dispone che:

«1. In ciascuno Stato membro viene costituito un fascicolo, o presso un registro
centrale, o presso il registro di commercio o registro delle imprese, per ogni
società iscritta.

2. Tutti gli atti e indicazioni
soggetti all’obbligo della pubblicità a norma dell’articolo 2
sono inseriti nel fascicolo o trascritti nel registro; dal fascicolo deve in
ogni caso risultare l’oggetto delle trascrizioni fatte nel registro».

9 Ai sensi dell’articolo 6 della
detta direttiva:

«Gli Stati membri stabiliscono
adeguate sanzioni per i casi di:

– mancata
pubblicità del bilancio e del conto profitti e perdite, come prescritta dall’articolo
2, paragrafo 1, lettera f);

(…)».

10 La quarta direttiva sul diritto
societario, che per quanto riguarda l’Italia si applica ai medesimi tipi di
società a cui fa riferimento la prima direttiva sul diritto societario, citati al punto 5 della presente sentenza, armonizza le
disposizioni nazionali relative alla redazione, al contenuto, alla struttura e
alla pubblicità dei conti annuali delle società.

11 L’articolo 2 di questa direttiva
prevede quanto segue:

«1. I conti annuali comprendono lo stato
patrimoniale, il conto profitti e perdite e l’allegato. Questi documenti
formano un tutto inscindibile.

2. I conti annuali devono essere
elaborati con chiarezza ed essere conformi alla presente direttiva.

3. I conti annuali devono dare un
quadro fedele della situazione patrimoniale, di quella finanziaria nonché del risultato economico della società.

4. Quando
l’applicazione della presente direttiva non basta per fornire il quadro fedele
di cui al paragrafo 3, si devono fornire informazioni complementari.

5. Se, in casi eccezionali,
l’applicazione di una disposizione della presente direttiva contrasta con
l’obbligo di cui al paragrafo 3, occorre derogare alla disposizione in
questione onde fornire il quadro fedele di cui al
paragrafo 3. Tale deroga deve essere menzionata nell’allegato
e debitamente motivata con l’indicazione della sua influenza sulla
situazione patrimoniale, su quella finanziaria nonché sul risultato economico.
Gli Stati membri possono precisare i casi eccezionali e fissare il corrispondente
regime derogatorio.

6. Gli Stati membri possono
autorizzare o esigere che nei conti annuali vengano
divulgate altre informazioni oltre a quelle la cui divulgazione è richiesta
dalla presente direttiva».

12 L’articolo 11 della detta
direttiva prevede che gli Stati membri possono permettere che le società che
non superano taluni limiti numerici relativi al totale dello stato
patrimoniale, all’importo netto del volume d’affari e al numero dei dipendenti redigano uno stato patrimoniale in forma abbreviata. L’articolo
12 della medesima direttiva contiene altre precisazioni a tale riguardo.

13 L’articolo
47, n.1, della quarta direttiva sul diritto
societario, figurante nella sezione 10 della medesima, intitolata «Pubblicità»,
dispone quanto segue:

«I conti annuali regolarmente
approvati e la relazione sulla gestione, nonché la
relazione redatta dalla persona incaricata della revisione dei conti formano
oggetto di una pubblicità effettuata nei modi prescritti dalla legislazione di
ogni Stato membro conformemente all’articolo 3 della direttiva 68/151/Cee.

(…)».

14 Ai sensi
dell’articolo 51 della quarta direttiva sul diritto societario, figurante nella
sezione 11 della stessa, intitolata «Controllo»:

«1. a) Le società devono far
controllare i loro conti annuali da una o più persone abilitate ai sensi della
legge nazionale alla revisione dei conti.

b) La persona o le persone incaricate
della revisione dei conti devono altresì controllare
che la relazione sulla gestione concordi con i conti annuali di esercizio.

2. Gli Stati membri possono esentare
dall’obbligo previsto al paragrafo 1 le società di cui all’articolo 11.

L’articolo 12 è applicabile.

3. Nell’ipotesi di cui al paragrafo 2
gli Stati membri introducono nella loro legislazione adeguate sanzioni nel caso
in cui i conti annuali o la relazione sulla gestione delle società in questione
non siano redatti conformemente alla presente
direttiva».

15 La settima direttiva sul diritto
societario, che per quanto riguarda l’Italia si applica ai medesimi tipi di
società a cui fanno riferimento la prima e la quarta direttiva sul diritto
societario, citati ai punti 5 e 10 della presente sentenza, prescrive
misure di coordinamento delle disposizioni nazionali relative ai conti
consolidati delle società di capitali.

16 L’articolo
16, nn. 2‑6, della settima direttiva sul
diritto societario contiene, in materia di conti consolidati, in sostanza,
disposizioni identiche a quelle dell’articolo 2, nn.
2‑6, della quarta direttiva sul diritto societario per i conti
annuali, ricordate al punto 11 della presente
sentenza.

17 L’articolo
38, nn. 1, 4 e 6, figurante nella
sezione 5 della settima direttiva sul diritto societario, intitolata
«Pubblicità dei conti consolidati», così dispone:

«1. I conti consolidati regolarmente
approvati e la relazione consolidata sulla gestione nonché
la relazione della persona incaricata del controllo dei conti consolidati
formano oggetto di una pubblicità effettuata dall’impresa che ha redatto i
conti consolidati nei modi prescritti dalla legislazione dello Stato membro cui
l’impresa è soggetta conformemente all’articolo 3 della direttiva 68/151/Cee.

(…)

4. Tuttavia, qualora l’impresa che ha
redatto i conti consolidati sia organizzata in una
forma diversa da quelle elencate all’articolo 4 e non sia soggetta, a norma
della legislazione nazionale, a un obbligo di pubblicità per i documenti di cui
al paragrafo 1, analogo a quello previsto all’articolo 3 della direttiva
68/151/Cee, essa deve almeno tenerli a disposizione
del pubblico presso la propria sede sociale. (…)

(…)

6. Gli Stati membri prevedono
sanzioni appropriate in caso di mancata pubblicità ai sensi del presente
articolo».

Normativa nazionale

Il diritto societario

18 Il decreto legislativo del
presidente della Repubblica 11 aprile 2002, n. 61, relativo alla disciplina degli illeciti penali e amministrativi riguardanti le
società commerciali, a norma dell’articolo 11 della legge 366/01 (Guri 15 aprile 2002, n. 88, pag. 4; in prosieguo: il «D. Lgs. 61/2002»), entrato in vigore il 16 aprile 2002, ha
sostituito il titolo XI del libro V del codice civile con il nuovo titolo XI,
intitolato «Disposizioni penali in materia di società e di
consorzi».

19 Questo decreto legislativo è
intervenuto nell’ambito della riforma del diritto societario italiano attuata
mediante un complesso di decreti legislativi adottati in base alla delega
contenuta nella legge 3 ottobre 2001, n. 366 (Guri
234/01).

20 L’articolo
2621 Cc, intitolato «False comunicazioni ed illegale
ripartizione di utili o di acconti sui dividendi»,
nella sua versione precedente all’entrata in vigore del D. Lgs
61/2002 (in prosieguo: l’«originario articolo 2621 Cc»),
disponeva quanto segue:

«Salvo che il fatto costituisca reato più grave, sono puniti con la reclusione
da uno a cinque anni e con la multa da 1032 euro a 10329 euro:

1) i promotori, i soci fondatori, gli
amministratori, i direttori generali, i sindaci e i liquidatori, i quali nelle
relazioni, nei bilanci o in altre comunicazioni sociali, fraudolentemente
espongono fatti non rispondenti al vero sulla costituzione o sulle condizioni
economiche della società o nascondono in tutto o in parte fatti concernenti le
condizioni medesime;

(…)».

21 Il D. Lgs.
61/2002 ha introdotto, in particolare, negli articoli 2621 e 2622 Cc nuove disposizioni penali che reprimono la presentazione
di false comunicazioni sociali, reato denominato anche «falsità in scritture
contabili» (in prosieguo, a seconda dei casi, il
«nuovo articolo 2621 Cc», il «nuovo articolo 2622 del
codice civile» o «i nuovi articoli 2621 e 2622 del codice civile»), che
prevedono quanto segue:

«Articolo 2621 (False comunicazioni
sociali)

Salvo quanto
previsto dall’articolo 2622, gli amministratori, i direttori generali, i sindaci e i
liquidatori, i quali, con l’intenzione di ingannare i soci o il pubblico e al
fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, nei bilanci, nelle
relazioni o nelle altre comunicazioni sociali previste dalla legge, dirette ai
soci o al pubblico, espongono fatti materiali non rispondenti al vero ancorché
oggetto di valutazioni ovvero omettono informazioni la cui comunicazione è
imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale, o finanziaria
della società o del gruppo al quale essa appartiene, in modo idoneo ad indurre
in errore i destinatari sulla predetta situazione, sono puniti con l’arresto
fino ad un anno e sei mesi.

La punibilità è estesa anche al caso
in cui le informazioni riguardino beni posseduti od
amministrati dalla società per conto di terzi.

La punibilità è esclusa se le falsità
o le omissioni non alterano in modo sensibile la rappresentazione della
situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al
quale essa appartiene. La punibilità è comunque
esclusa se le falsità o le omissioni determinano una variazione del risultato
economico di esercizio, al lordo delle imposte, non superiore al 5% o una
variazione del patrimonio netto non superiore all’1 per cento.

In ogni caso il fatto non è punibile
se conseguenza di valutazioni estimative che, singolarmente considerate,
differiscono in misura non superiore al 10 per cento da quella corretta.

Articolo 2622 (False comunicazioni
sociali in danno dei soci o dei creditori)

Gli amministratori, i direttori
generali, i sindaci e i liquidatori, i quali, con l’intenzione di ingannare i
soci o il pubblico e al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto
profitto, nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali
previste dalla legge, dirette ai soci o al pubblico, esponendo fatti materiali
non rispondenti al vero ancorché oggetto di valutazioni, ovvero
omettendo informazioni la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla
situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al
quale essa appartiene, in modo idoneo ad indurre in errore i destinatari sulla
predetta situazione, cagionano un danno patrimoniale ai soci o ai creditori
sono puniti, a querela della persona offesa, con la reclusione da sei mesi a
tre anni.

Si procede a querela
anche se il fatto integra altro delitto, ancorché aggravato a danno del
patrimonio di soggetti diversi dai soci e dai creditori, salvo che sia commesso
in danno dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità europee.

Nel caso di società soggette alle
disposizioni della parte IV, titolo III, capo II, del decreto legislativo 24
febbraio 1998, n. 58, la pena per i fatti previsti al primo comma è da uno a
quattro anni e il delitto è procedibile d’ufficio.

La punibilità per i fatti previsti
dal primo e terzo comma è estesa anche al caso in cui
le informazioni riguardino beni posseduti o amministrati dalla società per
conto di terzi.

La punibilità per i fatti previsti
dal primo e terzo comma è esclusa se le falsità o le
omissioni non alterano in modo sensibile la rappresentazione della situazione
economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale essa
appartiene. La punibilità è comunque esclusa se le
falsità o le omissioni determinano una variazione del risultato economico di
esercizio, al lordo delle imposte, non superiore al 5 per cento o una variazione
del patrimonio netto non superiore all’1 per cento.

In ogni caso il fatto non è punibile
se conseguenza di valutazioni estimative che, singolarmente considerate,
differiscono in misura non superiore al 10 per cento da quella corretta».

Il diritto penale generale

22 Ai sensi dell’articolo 2,
secondo-quarto comma, del codice penale italiano (in prosieguo: il «codice penale»), intitolato «Successione di leggi penali»:

«Nessuno può essere punito per un
fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato; e, se vi è
stata condanna, ne cessano l’esecuzione e gli effetti penali.

Se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica
quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo, salvo che sia stata
pronunciata sentenza irrevocabile.

Se si tratta di leggi eccezionali o
temporanee, non si applicano le disposizioni dei capoversi precedenti».

23 Secondo l’articolo 39 del codice penale, i
reati si suddividono essenzialmente in delitti e contravvenzioni e per i delitti,
conformemente all’articolo 17 dello stesso codice, sono stabiliti taluni tipi
di pene più gravi che per le contravvenzioni.

24 Dall’articolo 158, primo comma, di
questo codice emerge che il termine di prescrizione decorre dal giorno della
consumazione del reato e non dalla sua scoperta.

25 Risulta
inoltre dagli articoli 157 e 160 del detto codice che i termini di prescrizione
vanno da tre anni a non oltre quattro anni e mezzo per contravvenzioni quali
quelle previste dal nuovo articolo 2621 del codice civile, e da cinque anni a
non oltre sette anni e mezzo per delitti quali quelli enunciati dall’originario
articolo 2621 del codice civile e quelli previsti dal nuovo articolo 2622 del
medesimo codice. L’articolo 160 del codice penale fissa la durata massima dei
termini di prescrizione in caso di interruzione di quest’ultima.

Controversie principali e questioni
pregiudiziali

26 Dalle ordinanze di rinvio emerge
che, nei tre procedimenti penali in questione nelle cause principali, i reati
contestati agli imputati sono stati commessi durante la vigenza dell’originario
articolo 2621 del codice civile, vale a dire prima dell’entrata in vigore del D.Lgs 61/2002 e dei nuovi articoli 2621 e 2622 del detto
codice.

27 Nella causa C-387/02, il giudice
per le indagini preliminari del Tribunale di Milano, con decreto 26 novembre
1999, ha rinviato a giudizio il sig. Berlusconi
dinanzi alla Prima Sezione penale di tale Tribunale. Nei confronti
dell’imputato viene fatta valere la responsabilità di
alcuni falsi commessi tra il 1986 e il 1989 e relativi ai conti annuali della
società Fininvest S.p.A e
di altre società dell’omonimo gruppo, in qualità di presidente di tali società
e di azionista di riferimento delle società del detto gruppo. Tali falsi
avrebbero consentito di alimentare riserve occulte destinate
a finanziare talune operazioni ritenute illegali.

28 Nella causa C‑403/02, dall’ordinanza di rinvio
emerge che i sigg. Dell’Utri, Luzi
e Comincioli sono imputati dinanzi alla Quarta
Sezione penale del Tribunale di Milano per falsi in bilancio commessi sino al
1993.

29 La causa C‑391/02 trae origine dall’appello
proposto dal sig. Adelchi contro la sentenza del Tribunale di Lecce 9 gennaio
2001 che lo ha riconosciuto colpevole di falsi relativi alle società La Nuova Adelchi Srl e
Calzaturificio Adelchi Srl, di cui era amministratore
unico. Tali fatti, commessi nel 1992 e nel 1993, vertono su operazioni doganali
di esportazione e d’importazione ritenute fittizie,
nonché sull’emissione, da parte di tali società, di fatture ritenute false.
Essi avrebbero avuto l’inevitabile conseguenza di far apparire nei bilanci
delle dette società costi superiori a quelli reali e ricavi
puramente apparenti e, pertanto, un fatturato diverso da quello effettivo.

30 In seguito all’entrata in vigore
del d. lgs. n. 61/2002, gli
imputati in tali tre procedimenti hanno fatto valere che dovevano essere loro
applicati i nuovi articoli 2621 e 2622 del codice civile.

31 I giudici del rinvio rilevano che
l’applicazione di tali nuove disposizioni avrebbe la conseguenza di impedire
che i fatti, inizialmente perseguiti quali fattispecie delittuose previste dall’originario
articolo 2621 del codice civile, possano essere perseguiti penalmente per le
seguenti ragioni.

32 In primo luogo, sebbene i fatti
possano, in linea di principio, essere perseguiti d’ufficio, quindi in assenza
di querela, dal pubblico ministero sulla base del nuovo
articolo 2621 del codice civile, il reato previsto da tale articolo
costituisce adesso una contravvenzione che, pertanto, è soggetta ad un termine
di prescrizione massimo di quattro anni e mezzo e non integra più gli estremi
del delitto, comportante un termine di prescrizione massimo di sette anni e
mezzo, previsto dall’originario articolo 2621 del codice civile. Orbene, nelle
controversie principali, il reato previsto dal nuovo articolo 2621 del codice
civile sarebbe inesorabilmente prescritto.

33 In secondo luogo, secondo tali
giudici, tale modifica della qualificazione del reato implica anche che i reati
connessi, quali l’associazione a delinquere, il
delitto di riciclaggio di danaro o la ricettazione, non potrebbero più dar luogo
ad azioni penali poiché tali delitti sono legati alla previa esistenza di un
delitto e non a quella di una contravvenzione.

34 In terzo luogo, anche se, con
riferimento al delitto previsto dal nuovo articolo 2622 del codice civile, i
fatti in questione nella causa principale non dovessero essere già prescritti,
essi non potrebbero essere perseguiti in base a tale
articolo in assenza di querela da parte di un socio o di un creditore che si
ritenga leso dal falso, in quanto la presentazione di una querela è, infatti,
una condizione di procedibilità necessaria sulla base di tale disposizione,
perlomeno nel caso in cui, come è stato rilevato nei procedimenti penali
principali, i falsi riguardino società non quotate in borsa.

35 Infine, i detti giudici rilevano
che il perseguimento dei fatti potrebbe trovare un
ostacolo anche nelle soglie previste, in termini identici, ai nuovi articoli
2621, terzo e quarto comma, e 2622, quinto e sesto comma, del codice civile,
che comportano l’esclusione della punibilità per i falsi aventi effetti non
significativi o d’importanza minima, vale a dire quelli che abbiano avuto in
particolare come conseguenza solo una variazione o del risultato dell’esercizio
lordo non superiore al 5%, o del patrimonio netto non eccedente l’1%.

36 Tenuto conto di tali
considerazioni, i giudici del rinvio ritengono, così come il pubblico
ministero, che i procedimenti pendenti sollevino
questioni relative all’adeguatezza o meno delle sanzioni previste dai nuovi
articoli 2621 e 2622 del codice civile con riferimento o all’articolo 6 della
prima direttiva sul diritto societario, come interpretato dalla Corte in
particolare nella sentenza 4 dicembre 1997, causa C‑97/96, Daihatsu
Deutschland (Racc. pag.I‑6843), oppure all’articolo 5 del
Trattato, da cui deriva, secondo una giurisprudenza costante a partire dalla
sentenza 21 settembre 1989, causa 68/88, Commissione/Grecia (Racc. pag.2965, punti 23 e 24),
che le sanzioni per violazione di disposizioni del diritto comunitario devono
essere effettive, proporzionate e dissuasive.

37 È in un tale contesto
che, per quanto riguarda la causa C‑387/02, il Tribunale di Milano ha
deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte talune
questioni pregiudiziali che, alla luce della motivazione dell’ordinanza di
rinvio, possono essere intese come segue:

1) Se l’articolo 6 della prima direttiva
sul diritto societario si applichi non solo in caso di omessa
pubblicazione di comunicazioni sociali, ma anche in caso di pubblicazione di
false comunicazioni sociali.

2) Se il rispetto dei criteri di
effettività, proporzionalità e capacità dissuasiva delle sanzioni in caso di
violazione di disposizioni comunitarie debba essere valutato con riferimento
alla natura o al tipo della sanzione prevista astrattamente o con riferimento
alla sua concreta applicabilità, tenuto conto delle caratteristiche strutturali
dell’ordinamento giuridico cui afferisce.

3) Se i principi che derivano dalla
quarta e dalla settima direttiva sul diritto societario ostino
ad una disciplina nazionale che fissa soglie al di sotto delle quali le
informazioni inesatte contenute nei conti annuali e nelle relazioni di gestione
delle società per azioni, in accomandita per azioni ed a responsabilità
limitata sono irrilevanti.

38 Nella causa C‑391/02, la Corte d’appello di Lecce
ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti
questioni pregiudiziali:

«1) Se, con
riferimento all’obbligo dei singoli Stati membri di adottare “adeguate
sanzioni” per le violazioni previste dalle direttive 68/151 e 78/660, le direttive stesse e,
in particolare, il combinato disposto degli articoli 44, [n 02], lett. g), Ce
(…), 2, n.1, lett. f), e 6 della
direttiva 68/151, e 2, nn. 2-3-4, della
direttiva 78/660 (come integrata dalle direttive 83/349 e 90/605) debba[no]
essere interpretat[i] (…) nel senso che tali norme ost[a]no ad una legge di uno Stato membro che, modificando
la disciplina sanzionatoria già in vigore in materia di reati societari, a
fronte della violazione degli obblighi imposti per la tutela del principio di
pubblica e fedele informazione delle società, preveda
un sistema sanzionatorio in concreto non improntato a criteri di effettività,
proporzionalità e dissuasività delle sanzioni poste a
presidio di tale tutela.

2) Se le citate
direttive e, in particolare, le norme di cui all’articolo 44, [n. 2], lett.g), Ce, articoli 2, n. 1, lett. f), e 6 della
direttiva 68/151, ed articolo 2, nn. 2-3-4,
della direttiva 78/660 (come integrata dalle direttive 83/349 e 90/605) debbano
essere interpretate (…) nel senso che (tali norme) ost[a]no
ad una legge di uno Stato membro che escluda la
punibilità della violazione degli obblighi di pubblicità e fedele informazione
di certi atti societari (tra cui il bilancio ed il conto profitti e perdite),
allorquando la falsa comunicazione sociale o l’omessa informazione determin[a]no una variazione del risultato economico di
esercizio o una variazione del patrimonio sociale netto non superiori ad una
certa soglia percentuale.

3) Se le citate
direttive e, in particolare, le norme di cui all’articolo 44, [n. 2], lett.g),
Ce, articoli 2, n.1, lett.f),
e 6 della direttiva 68/151, ed articolo 2, nn.2‑3‑4, della direttiva 78/660 (come
integrata dalle direttive 83/349 e 90/605) debbano essere interpretate (…) nel
senso che (tali norme) ost[a]no ad una legge di uno
Stato membro che escluda la punibilità della violazione degli obblighi di
pubblicità e fedele informazione gravanti sulle società, allorquando s[o]no fornite indicazioni che, quantunque finalizzate ad
ingannare i soci o il pubblico a scopo d’ingiusto profitto, siano conseguenza
di valutazioni estimative che, singolarmente considerate, differisc[o]no
in misura non superiore ad una determinata soglia.

4) Se,
indipendentemente da limiti progressivi o soglie, le citate direttive e, in
particolare, le norme di cui all’articolo 44, [n.2],
lett. g), Ce,
articoli 2, n.1, lett.f), e
6 della direttiva 68/151, ed articolo 2, nn.2‑3‑4, della direttiva 78/660 (come
integrata dalle direttive 83/349 e 90/605) debbano essere interpretate (…) nel
senso che (tali norme) ost[a]no ad una legge di uno
Stato membro che escluda la punibilità della violazione degli obblighi di
pubblicità e fedele informazione gravanti sulle società, allorquando le falsità
o le omissioni fraudolente e, comunque, le
comunicazioni e informazioni non fedelmente rappresentative della situazione
patrimoniale, finanziaria e del risultato economico della società, non
alter[a]no “in modo sensibile” la situazione patrimoniale o finanziaria del
gruppo (sebbene sia rimessa al legislatore nazionale l’individuazione della
nozione di “alterazione sensibile”).

5) Se le citate direttive e, in
particolare, le norme di cui all’articolo 44, [n.2], lett.g), CE, articoli2, n.1, lett.f), e 6 della direttiva 68/151, ed articolo2, nn.2-3-4, della direttiva 78/660 (come integrata dalle
direttive 83/349 e 90/605) debbano essere interpretate (…) nel senso che (tali
norme) ost[a]no ad una legge di uno Stato membro che,
a fronte della violazione di quegli obblighi di pubblicità e fedele
informazione gravanti sulle società, posti a presidio della tutela degli
“interessi tanto dei soci come dei terzi”, preveda solo per i soci ed i creditori il diritto di chiedere la sanzione, con
conseguente esclusione di una tutela generalizzata ed effettiva dei terzi.

6)Se le citate direttive e, in
particolare, le norme di cui all’articolo44, [n.2], lett.g), CE, articoli2, n.1, lett.f), e 6 della direttiva 68/151, ed articolo2, nn.2-3-4, della direttiva 78/660 (come integrata dalle
direttive 83/349 e 90/605) debbano essere interpretate (…) nel senso che (tali
norme) ost[a]no ad una legge di uno Stato membro che,
a fronte della violazione di quegli obblighi di pubblicità e fedele
informazione gravanti sulle società, posti a tutela degli “interessi tanto dei
soci come dei terzi”, preveda un meccanismo di perseguibilità ed un sistema
sanzionatorio particolarmente differenziati,
riservando esclusivamente alle violazioni in danno di soci e creditori la
punibilità a querela e sanzioni più gravi ed effettive».

39 Nella causa C‑403/02, il Tribunale di Milano ha
deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti
questioni pregiudiziali:

«1) Se l’articolo6 della direttiva
68/151 possa essere inteso nel senso di obbligare gli Stati membri a stabilire
adeguate sanzioni non solo per la mancata pubblicità
del bilancio e del conto profitti e perdite delle società commerciali, ma anche
per la falsificazione dello stesso, delle altre comunicazioni sociali dirette
ai soci o al pubblico, o di qualsiasi informazione sulla situazione economica,
patrimoniale o finanziaria che la società abbia obbligo di fornire sulla
società stessa o sul gruppo alla quale essa appartiene.

2) Se, anche ai sensi dell’articolo5
del Trattato Cee, il concetto di “adeguatezza” della
sanzione debba essere inteso in modo concretamente valutabile nell’ambito
normativo (sia penale che procedurale) del paese
membro, e cioè come sanzione “efficace, effettiva, realmente dissuasiva”.

3) Se, infine, tali caratteristiche
siano riscontrabili nel combinato disposto dei novellati articoli2621 e 2622
del codice civile così modificati dal [decreto legislativo n.61/2002]:
in particolare se possa definirsi “efficacemente dissuasiva” e “concretamente
adeguata” la norma che prevede (al citato articolo2621 del codice civile) per i
reati di falso in bilancio non causativi di danno patrimoniale, ovvero causativi di danno ma ritenuti improcedibili
ex articolo2622 del codice civile per carenza di querela, una pena
contravvenzionale di anni l e mesi 6 di arresto; se, infine, risulti adeguato
prevedere, per i reati previsti dal primo comma dell’articolo2622 del codice
civile (e cioè commessi nell’ambito di società commerciali non quotate in
borsa) una procedibilità a querela di parte (e cioè a querela di soci e di
creditori) anche in relazione alla concreta tutela del bene collettivo della
“trasparenza” del mercato societario sotto il profilo della possibile
estensione comunitaria dello stesso».

40 Con ordinanza del presidente della
Corte 20 gennaio 2003, le cause C‑387/02, C‑391/02 e C‑403/02 sono state riunite ai fini
delle fasi scritta e orale del procedimento nonché
della sentenza.

Sulle questioni pregiudiziali

Osservazioni presentate alla Corte

41 I sigg. Berlusconi
e Dell’Utri contestano la ricevibilità
delle questioni pregiudiziali presentate rispettivamente nelle cause C‑387/02 e C‑403/02. Anche
il governo italiano solleva dubbi a tale proposito.

42 Le questioni sottoposte avrebbero
lo scopo di evitare l’applicazione dei nuovi articoli2621 e 2622 del codice civile
di modo che il procedimento penale possa essere
avviato in base all’originario articolo 2621 del codice civile, disposizione
nettamente meno favorevole agli imputati.

43 Orbene, anche ipotizzando che i
nuovi articoli2621 e 2622 del codice civile si rivelino incompatibili con la
prima o la quarta direttiva sul diritto societario, sarebbe escluso che, in
mancanza di una disposizione penale dell’ordinamento nazionale vigente, gli
imputati possano essere perseguiti e che possano
essere loro inflitte sanzioni diverse e più severe in base alle dette
direttive.

44 Dalla giurisprudenza della Corte
emergerebbe infatti che una direttiva non può di per
sé creare obblighi in capo ad un soggetto e non può quindi essere fatta valere
in quanto tale nei confronti dello stesso. Una direttiva non potrebbe nemmeno
avere come effetto, di per sé e indipendentemente da una legge interna di uno
Stato membro adottata per la sua attuazione, di determinare o aggravare la
responsabilità penale delle persone che agiscono in violazione delle sue
disposizioni.

45 La soluzione chiesta alla Corte
sarebbe irrilevante ai fini della soluzione delle controversie pendenti dinanzi
ai giudici del rinvio poiché in ogni caso, nelle
controversie principali, l’originario articolo2621 del codice civile non
potrebbe essere applicato.

46 Il principio dell’applicazione
retroattiva all’imputato della legge penale più favorevole, diritto
fondamentale che fa parte, così come il principio di legalità di cui
costituirebbe un aspetto importante, dell’ordinamento giuridico comunitario,
osterebbe ad un tale risultato.

47 La Commissione fa invece valere
che le questioni pregiudiziali sono ricevibili.

48 La ricevibilità
delle stesse non sarebbe pregiudicata da un’eventuale
applicazione del principio di legalità nell’ipotesi in cui dalla soluzione data
dalla Corte derivasse un’incompatibilità dei nuovi articoli2621 e 2622 del
codice civile con il diritto comunitario, ipotesi che può avere come
conseguenza l’avvio di azioni penali sulla base dell’originario articolo2621
del detto codice, meno favorevole agli imputati.

49 Andrebbe infatti
rilevato che, all’epoca dell’accertamento dei fatti all’origine dei
procedimenti penali avviati nei confronti degli imputati nelle controversie
principali, tali fatti potevano essere repressi penalmente, vale a dire in base
all’originario articolo2621 del codice civile, e che solo successivamente sono
state adottate disposizioni nazionali più favorevoli agli imputati, ma la cui
compatibilità con il diritto comunitario viene messa in questione per taluni
aspetti, per cui il giudice nazionale potrebbe eventualmente essere tenuto a disapplicarle.

50 In una situazione di questo tipo,
non sarebbe la normativa comunitaria a determinare o aggravare la
responsabilità penale. Si tratterebbe semplicemente di conservare gli effetti
della legge nazionale, in vigore all’epoca dei fatti e conforme al diritto
comunitario, disapplicando una legge successiva più
favorevole ma contraria a tale diritto.

51Il principio del primato del diritto
comunitario osterebbe all’applicazione di disposizioni nazionali nuove più
favorevoli all’imputato a fatti anteriori alle stesse, ove risultasse che tali
disposizioni non sanzionano adeguatamente la violazione delle norme di diritto
comunitario e sono, di conseguenza, incompatibili con lo stesso, come
interpretato dalla Corte.

Giudizio della Corte

52Con le questioni sollevate, i giudici
del rinvio cercano essenzialmente di sapere se, in ragione di talune
disposizioni che essi contengono, i nuovi articoli2621 e 2622 del codice civile
siano compatibili con l’esigenza del diritto comunitario afferente
all’adeguatezza delle sanzioni per violazione di disposizioni dell’ordinamento
comunitario (v. punto 36 della presente sentenza).

Sull’esigenza del diritto comunitario
relativa all’adeguatezza delle sanzioni

53In via preliminare, occorre esaminare
se l’esigenza afferente all’adeguatezza delle sanzioni per reati risultanti da
falsità in scritture contabili, come quelli previsti dai nuovi articoli2621 e
2622 del codice civile, venga imposta dall’articolo 6 della prima direttiva sul
diritto societario, oppure derivi dall’articolo5 del Trattato che, secondo una
giurisprudenza costante ricordata al punto 36 della presente sentenza, implica
che le sanzioni per la violazione di disposizioni del diritto comunitario
devono essere effettive, proporzionate e dissuasive.

54A tal riguardo, va constatato che
sanzioni per reati risultanti da falsità in scritture contabili, come quelli
previsti dai nuovi articoli 2621 e 2622 del codice civile, mirano a reprimere
violazioni gravi e manifeste del principio fondamentale, il cui rispetto
costituisce l’obiettivo di massima rilevanza della quarta direttiva sul diritto
societario, che deriva dal quarto ‘considerando’ e dall’articolo 2, nn.3 e 5, di questa direttiva, secondo cui i conti annuali
delle società a cui si riferisce la detta direttiva devono fornire un quadro
fedele della situazione patrimoniale e finanziaria nonché del risultato
economico della stessa (v., in tal senso, sentenza 7 gennaio 2003, causa C‑306/99, BIAO, Racc.pag.I‑1, punto 72 e giurisprudenza ivi
citata).

55 Tale constatazione può essere
estesa del resto alla settima direttiva sul diritto societario che,
all’articolo16, nn.3 e 5, prevede in sostanza, in
materia di conti consolidati, disposizioni identiche a quelle enunciate dall’articolo2, nn.3 e
5, della quarta direttiva sul diritto societario per i conti annuali.

56 Per quanto riguarda il regime
sanzionatorio previsto all’articolo 6 della prima direttiva sul diritto
societario, la formulazione di tale disposizione fornisce di per sé un indizio
nel senso che tale regime deve essere inteso come concernente non solo i casi
di un’omissione di qualsiasi pubblicità dei conti annuali, ma anche quelli di
una pubblicità di conti annuali non redatti conformemente alle disposizioni
previste dalla quarta direttiva sul diritto societario relativamente
al contenuto di tali conti.

57 Infatti,
il detto articolo6 non si limita a prevedere l’obbligo per gli Stati membri di
stabilire sanzioni adeguate per mancata pubblicazione del bilancio e del conto
profitti e perdite, ma prevede un obbligo di tale tipo per mancata
pubblicazione di tali documenti come prescritta dall’articolo2, n.1, lett.f), della prima
direttiva sul diritto societario. Orbene, quest’ultima
disposizione fa espresso riferimento all’armonizzazione prevista delle norme relative al contenuto dei conti annuali, la quale è stata
realizzata dalla quarta direttiva sul diritto societario.

58 Dall’economia della quarta
direttiva sul diritto societario, la quale completa, per gli stessi tipi di
società, gli obblighi stabiliti dalla prima direttiva sul diritto societario, e
dall’assenza in tale direttiva di norme generali relative alle sanzioni, risulta che, a prescindere dai casi coperti dalla deroga
specifica prevista all’articolo51, n.3, della quarta
direttiva sul diritto societario, il legislatore comunitario ha voluto
effettivamente estendere l’applicazione del regime sanzionatorio di cui
all’articolo6 della prima direttiva sul diritto societario alle violazioni
degli obblighi contenuti nella quarta direttiva sul diritto societario e, in
particolare, alla mancata pubblicazione di conti annuali conformi, quanto al
loro contenuto, alle norme previste a tal riguardo.

59 La settima direttiva sul diritto
societario prevede, invece, una norma generale di tale tipo all’articolo38, n.6. Non si può contestare che tale norma generale si
applichi anche alla pubblicità di conti consolidati non redatti conformemente
alle norme stabilite da questa stessa direttiva.

60 Tale differenza di contenuto tra la quarta e la
settima direttiva sul diritto societario si spiega per il fatto che l’articolo
2, n.1, lett.f), della
prima direttiva sul diritto societario non fa alcun riferimento ai conti
consolidati. L’articolo 6 di questa direttiva non può quindi essere considerato
come applicabile al caso di inosservanza degli
obblighi relativi ai conti consolidati.

61 Un’interpretazione del detto articolo 6 nel senso che esso si applica anche alla mancata
pubblicazione di conti annuali redatti conformemente alle norme previste per
quanto riguarda il contenuto degli stessi è inoltre confermata dal contesto e
dagli obiettivi delle direttive in questione.

62 A tale riguardo, occorre prendere
in considerazione, in particolare, come rilevato dall’avvocato generale ai
paragrafi 72‑75 delle sue conclusioni, il ruolo
fondamentale della pubblicità dei conti annuali delle società di capitali e, a
maggior ragione, dei conti annuali redatti conformemente alle norme armonizzate
relative al loro contenuto, al fine di tutelare gli interessi dei terzi, obiettivo chiaramente sottolineato nei preamboli
sia della prima sia della quarta direttiva sul diritto societario.

63 Ne consegue che l’esigenza relativa all’adeguatezza delle sanzioni come quelle previste
dai nuovi articoli 2621 e 2622 del codice civile per i reati risultanti da
falsità in scritture contabili è imposto dall’articolo 6 della prima direttiva
sul diritto societario.

64 Ciò non toglie che, per chiarire
la portata dell’esigenza relativa all’adeguatezza
delle sanzioni stabilite al detto articolo 6, può essere utilmente presa in
considerazione la giurisprudenza costante della Corte relativa all’articolo 5
del Trattato, da cui deriva un’esigenza di identica natura.

65 Secondo tale giurisprudenza, pur
conservando la scelta delle sanzioni, gli Stati membri devono segnatamente
vegliare a che le violazioni del diritto comunitario siano
punite, sotto il profilo sostanziale e procedurale, in forme analoghe a quelle
previste per le violazioni del diritto interno simili per natura e importanza e
che, in ogni caso, conferiscano alla sanzione stessa un carattere effettivo,
proporzionale e dissuasivo (v., in particolare, sentenze Commissione/Grecia, cit., punti 23 e 24; 10 luglio 1990, causa C‑326/88, Hansen,
Racc.pag.I‑2911, punto 17; 30 settembre 2003,
causa C‑167/01, Inspire
Art, Racc.pag.I‑10155,
punto 62, e 15 gennaio 2004, causa C‑230/01, Penycoed, non ancora
pubblicata nella Raccolta, punto 36 e giurisprudenza ivi citata).

Sul principio dell’applicazione
retroattiva della pena più mite

66 A prescindere dall’applicabilità
dell’articolo 6 della prima direttiva sul diritto societario alla mancata
pubblicazione dei conti annuali, va osservato che, in virtù dell’articolo 2 del
codice penale, che enuncia il principio dell’applicazione retroattiva della
pena più mite, i nuovi articoli 2621 e 2622 del codice civile dovrebbero essere
applicati anche se sono entrati in vigore solo
successivamente alla commissione dei fatti che sono all’origine delle azioni
penali avviate nelle cause principali.

67 Va a tal riguardo ricordato che,
secondo una giurisprudenza costante, i diritti fondamentali costituiscono parte
integrante dei principi generali del diritto di cui la
Corte garantisce l’osservanza. A tal fine, quest’ultima
s’ispira alle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri e alle
indicazioni fornite dai trattati internazionali in materia di tutela dei
diritti dell’uomo cui gli Stati membri hanno cooperato
o aderito (v., in particolare, sentenze 12 giugno 2003, causa C‑112/00, Schmidberger,
Racc. pag. I‑5659, punto 71 e giurisprudenza ivi citata, e 10 luglio 2003,
cause riunite C‑20/00
e C‑64/00, Booker
Aquaculture e Hydro Seafood, Racc. pag. I‑7411, punto 65 e giurisprudenza ivi citata).

68 Orbene, il principio
dell’applicazione retroattiva della pena più mite fa parte delle tradizioni
costituzionali comuni degli Stati membri

69 Ne deriva che tale principio deve
essere considerato come parte integrante dei principi generali del diritto
comunitario che il giudice nazionale deve osservare quando
applica il diritto nazionale adottato per attuare l’ordinamento comunitario e,
nella fattispecie, in particolare, le direttive sul diritto societario.

Sulla possibilità di invocare la prima
direttiva sul diritto societario

70 Si pone
tuttavia la questione se il principio dell’applicazione retroattiva della pena
più mite si applichi qualora questa sia contraria ad altre norme di diritto
comunitario.

71 Non è però necessario decidere
tale questione ai fini delle controversie principali, poiché la norma
comunitaria in questione è contenuta in una direttiva fatta valere nei
confronti di un soggetto dall’autorità giudiziaria nell’ambito di procedimenti
penali.

72 E’ vero che, nel caso in cui i
giudici del rinvio, sulla base delle soluzioni loro fornite
dalla Corte, dovessero giungere alla conclusione che i nuovi articoli 2621 e
2622 del codice civile, a causa di talune disposizioni in essi contenute, non
soddisfano l’obbligo del diritto comunitario relativo all’adeguatezza delle
sanzioni, ne deriverebbe, secondo una giurisprudenza consolidata della Corte,
che gli stessi giudici del rinvio sarebbero tenuti a disapplicare, di loro
iniziativa, i detti nuovi articoli, senza che ne debbano chiedere o attendere
la previa rimozione in via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento
costituzionale (v., in particolare, sentenze 9 marzo 1978, causa 106/77, Simmenthal, Racc. pag.629, punti 21 e 24; 4 giugno 1992, cause riunite C‑13/91 e C‑113/91, Debus,
Racc. pag. I‑3617,
punto 32, e 22 ottobre 1998, cause riunite da C‑10/97
a C‑22/97, IN. CO. GE.’90 e a., Racc.pag.I‑6307, punto 20).

73 Tuttavia, la Corte ha anche
dichiarato in maniera costante che una direttiva non può di per sé creare
obblighi a carico di un soggetto e non può quindi essere fatta valere in quanto
tale nei suoi confronti (v., in particolare, sentenza 5 ottobre 2004, cause
riunite da C‑397/01 a C‑403/01, Pfeiffer
e a., non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 108 e giurisprudenza ivi
citata).

74 Nel contesto
specifico di una situazione in cui una direttiva viene invocata nei confronti
di un soggetto dalle autorità di uno Stato membro nell’ambito di procedimenti
penali, la Corte ha precisato che una direttiva non può avere come effetto, di
per sé e indipendentemente da una legge interna di uno Stato membro adottata
per la sua attuazione, di determinare o aggravare la responsabilità penale di
coloro che agiscono in violazione delle dette disposizioni (v., in particolare,
sentenze 8 ottobre 1987, causa 80/86, Kolpinghuis Nijmegen, Racc. pag.3969, punto 13, e 7 gennaio 2004, causa C‑60/02, X, non ancora pubblicata nella
Raccolta, punto 61 e giurisprudenza ivi citata).

75 Orbene, far valere nel caso di
specie l’articolo 6 della prima direttiva sul diritto societario al fine di far
controllare la compatibilità con tale disposizione dei nuovi articoli 2621 e
2622 del codice civile potrebbe avere l’effetto di escludere l’applicazione del
regime sanzionatorio più mite previsto dai detti articoli.

76 Infatti,
dalle ordinanze di rinvio risulta che, se i nuovi articoli 2621 e 2622 del
codice civile dovessero essere disapplicati a causa
della loro incompatibilità con il detto articolo 6 della prima direttiva sul
diritto societario, ne potrebbe derivare l’applicazione di una sanzione penale
manifestamente più pesante, come quella prevista dall’originario articolo 2621
di tale codice, durante la cui vigenza sono stati commessi i fatti all’origine
delle azioni penali avviate nelle cause principali.

77 Una tale conseguenza
contrasterebbe con i limiti derivanti dalla natura stessa di qualsiasi
direttiva, che vietano, come risulta dalla
giurisprudenza ricordata ai punti 73 e 74 della presente sentenza, che una
direttiva possa avere il risultato di determinare o di aggravare la
responsabilità penale degli imputati.

78 Tenuto conto di tutto quanto precede, le
questioni pregiudiziali vanno risolte dichiarando che, in circostanze come
quelle in questione nelle cause principali, la prima direttiva sul diritto
societario non può essere invocata in quanto tale dalle autorità di uno Stato
membro nei confronti degli imputati nell’ambito di procedimenti penali, poiché
una direttiva non può avere come effetto, di per sé e indipendentemente da una legge
interna di uno Stato membro adottata per la sua attuazione, di determinare o
aggravare la responsabilità penale degli imputati.

Sulle spese

79 Nei confronti delle parti nella
causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi
al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese
sostenute per sottoporre osservazioni alla Corte, diverse da quelle delle dette
parti, non possono dar luogo a rifusione.

PQM

la Corte (Grande Sezione) dichiara:

In circostanze come quelle in
questione nelle cause principali, la prima direttiva del Consiglio 9 marzo
1968, 68/151/Cee, intesa a coordinare, per renderle
equivalenti, le garanzie che sono richieste, negli Stati membri, alle società a
mente dell’articolo 58, secondo comma, del Trattato per proteggere gli
interessi dei soci e dei terzi, non può essere
invocata in quanto tale dalle autorità di uno Stato membro nei confronti degli
imputati nell’ambito di procedimenti penali, poiché una direttiva non può avere
come effetto, di per sé e indipendentemente da una legge interna di uno Stato
membro adottata per la sua attuazione, di determinare o aggravare la
responsabilità penale degli imputati.