Civile

Friday 18 February 2005

Extracomunitari: la sola denuncia non blocca la regolarizzazione.

Extracomunitari: la sola denuncia
non blocca la regolarizzazione.

Corte costituzionale n° 78/2005
del 18.2.2005.

SENTENZA della Corte
costituzionale N. 78 dell’ANNO 2005

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta
dai signori:

– Fernanda CONTRI Presidente

– Guido NEPPI MODONA Giudice

– Piero Alberto CAPOTOSTI "

– Annibale MARINI "

– Franco BILE "

– Giovanni Maria FLICK "

– Francesco AMIRANTE "

– Ugo DE SIERVO "

– Romano VACCARELLA "

– Paolo MADDALENA "

– Alfio FINOCCHIARO "

– Alfonso
QUARANTA "

– Franco GALLO "

ha
pronunciato la seguente

SENTENZA

nei
giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 8, lettera c), del
decreto-legge 9 settembre 2002, n. 195 (Disposizioni urgenti in materia di
legalizzazione del lavoro irregolare di extracomunitari), convertito, con
modificazioni, nella legge 9 ottobre 2002, n. 222 e dell’art. 33, comma 7,
lettera c), della legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifica alla normativa in
materia di immigrazione e di asilo), promossi con ordinanze del Tribunale di
Vicenza del 26 agosto 2003, del TAR per la Lombardia, sezione staccata di
Brescia, del 7 novembre 2003, del Tribunale di Catania del 4 dicembre 2003, del
Tribunale di Prato del 18 novembre 2003, del TAR per il Veneto del 10 febbraio
2004, del TAR per la Lombardia, sezione staccata di Brescia, del 12 febbraio
2004 e del TAR per il Veneto del 10 marzo 2004, rispettivamente iscritte al n.
1146 del registro ordinanze 2003 ed ai n. 20, n. 232, n. 265, n. 451, n. 548 e
n. 610 del registro ordinanze 2004 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 3, n. 8, n. 14, n. 15, nella edizione straordinaria del 3 giugno
2004, n. 24 e n. 27, prima serie speciale, dell’anno 2004.

Visti gli atti di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito
nella camera di consiglio del 1° dicembre 2004 il Giudice relatore Francesco
Amirante.

Ritenuto in fatto

1.–– Nel corso di due analoghi
giudizi di impugnazione, promossi da due cittadini
extracomunitari avverso i decreti di espulsione tramite accompagnamento alla
frontiera, il Tribunale di Vicenza e il Tribunale di Prato, con ordinanze
rispettivamente del 26 agosto 2003 (r.o. n. 1146 del 2003) e 18 novembre 2003 (r.o. n. 265 del 2004), hanno sollevato – il primo in riferimento agli artt. 24, primo comma, e 27, secondo
comma, della Costituzione, e il secondo in riferimento
agli artt. 3 e 27 Cost. – questione di legittimità costituzionale dell’art. 1,
comma 8, lettera c), del decreto-legge 9 settembre 2002, n. 195 (Disposizioni
urgenti in materia di legalizzazione del lavoro irregolare di
extracomunitari), convertito, con modificazioni, nella legge 9 ottobre
2002, n. 222, nella parte in cui non consente di procedere alla legalizzazione
dei lavoratori extracomunitari in posizione irregolare che siano stati
semplicemente denunciati per uno dei reati di cui agli artt. 380 e 381 del
codice di procedura penale.

In punto di rilevanza i
remittenti precisano che la questione sollevata è decisiva nei rispettivi
giudizi in quanto dal suo eventuale accoglimento potrebbe derivare la
disapplicazione del provvedimento di espulsione
impugnato che è teleologicamente connesso con quello di rigetto dell’istanza di
regolarizzazione cui direttamente si riferisce la disposizione censurata.

Quanto al merito della questione,
il primo degli indicati remittenti ritiene che la norma in questione sia in
contrasto con l’art. 24, primo comma, Cost., in quanto
l’interessato non è posto in condizione di opporsi alla semplice denuncia, e
con l’art. 27, secondo comma, Cost., perché sarebbe violata la presunzione di
innocenza che dovrebbe valere fino alla condanna definitiva. Il Tribunale di
Prato svolge analoga argomentazione in riferimento
all’art. 27 Cost. e soggiunge un profilo di censura riferito all’art. 3 Cost.,
perché vengono parificati i reati per i quali l’arresto in flagranza è
obbligatorio a quelli per i quali è facoltativo – e cioè consentito solo dopo
un esame sulla pericolosità del soggetto e sulla gravità del fatto (art. 381,
comma 4, cod. proc. pen.) – in violazione dei principi
di proporzione ed adeguatezza su cui si fonda il principio di uguaglianza.

2.–– Analoga questione è stata
sollevata dal TAR per la Lombardia, sezione staccata di Brescia, con ordinanza
del 7 novembre 2003 (r.o. n. 20 del 2004) e dal TAR
per il Veneto con ordinanza del 10 febbraio 2004 (r.o.
n. 451 del 2004), nel corso di due giudizi avverso il
provvedimento prefettizio di rigetto della domanda diretta ad ottenere la
regolarizzazione di un rapporto di lavoro di cittadini extracomunitari.

Entrambi i remittenti affermano
la rilevanza della sollevata questione nei rispettivi procedimenti e, quanto
alla non manifesta infondatezza, evocano parametri solo in parte coincidenti.

Infatti, le relative censure vengono riferite dal TAR per la Lombardia ai seguenti
parametri costituzionali: art. 2 Cost., perché il previsto collegamento alla sola
ricorrenza di una notitia criminis, neppure preventivamente sottoposta ad una
verifica seppure sommaria di fondatezza quale si potrebbe avere con il rinvio a
giudizio dell’interessato, comporta la violazione della garanzia dei diritti
inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali in cui si
svolge la sua personalità; art. 3 Cost., in quanto del tutto irragionevolmente
si attribuisce un ruolo determinante ad un elemento – la semplice denuncia –
del tutto inidoneo rispetto alla finalità perseguita; art. 4 Cost., in quanto
il disposto collegamento tra la mera esistenza di una notizia di reato e
l’esclusione dalla possibilità di ottenere la legalizzazione in oggetto si
traduce in una violazione del principio fondamentale di tutela del diritto al
lavoro; art. 27 Cost., perché si fanno discendere effetti potenzialmente
definitivi – quali la perdita del lavoro e il conseguente allontanamento dal
territorio nazionale – dalla semplice iscrizione nel registro delle notizie di
reato, violando il principio di cui al secondo comma dell’art. 27 Cost. che
riconnette la qualificazione di un soggetto in termini di colpevolezza
all’esistenza di una sentenza definitiva di condanna, eludendo così anche il
principio del giusto processo contemplato nell’art. 111 della Costituzione.

Il TAR per il Veneto fa, invece,
esclusivo riferimento all’art. 3 Cost. sotto il profilo che si differenziano automaticamente gli stranieri meritevoli di
ottenere la sanatoria rispetto a quelli immeritevoli in base alla semplice
esistenza di una notizia di reato, senza dare all’interessato la possibilità di
verificarne, in contraddittorio, l’attendibilità nel corso del procedimento di
regolarizzazione.

3.–– La stessa questione viene sollevata dal Tribunale di Catania, con ordinanza del
4 dicembre 2003 (r.o. n. 232 del 2004), nel corso di un giudizio di impugnazione promosso da un cittadino extracomunitario
avverso il decreto di espulsione emanato nei suoi confronti, con riguardo
all’art. 33, comma 7, lettera c), della legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifica
alla normativa in materia di immigrazione e di asilo), contenente una norma di
contenuto eguale a quella dell’art. 1, comma 8, lettera c), del d.l. n. 195 del
2002, da applicare ai lavoratori domestici e assimilati.

Dopo aver affermato la rilevanza
della questione sul presupposto della sua incidenza in ordine
all’accoglimento del ricorso contro il provvedimento di espulsione, che
rappresenta l’antecedente necessario dell’intervenuto rigetto dell’istanza di
regolarizzazione, il remittente passa all’esame del merito della questione. Al
riguardo, egli ravvisa violazione: dell’art. 2 Cost.,
perché il gravissimo pregiudizio che lo straniero subisce fa sì che
l’ordinamento non appaia ispirato, sul punto, a principi di doverosa solidarietà;
dell’art. 3 Cost., per il trattamento irragionevolmente diverso di situazioni
giuridiche uguali; dell’art. 24 Cost., perché lo straniero patisce la censurata
ingiustizia senza avere alcuna possibilità di difendersi dalla denuncia,
facendo valere la propria innocenza; dell’art. 27 Cost., perché viene violata
la presunzione di innocenza che dovrebbe valere fino alla condanna definitiva;
dell’art. 35 Cost., "perché si incide in maniera grave e definitiva sul
diritto al lavoro nel nostro Paese di una persona che si trova nelle condizioni
previste dalla legge per avere riconosciuto quel diritto"; dell’art. 41
Cost., perché in modo del tutto illogico il datore di lavoro viene costretto a
rinunciare a mantenere alle proprie dipendenze il lavoratore extracomunitario
da lui scelto; ed infine dell’art. 97 Cost., perché la norma impugnata
determina nell’amministrazione un modo di procedere che non ne assicura
l’imparzialità, dal momento che la scelta dei lavoratori ammessi alla sanatoria
finirebbe per essere affidata al caso.

4.–– Questione analoga a quella
prospettata dal Tribunale di Catania è stata sollevata, con riguardo alla
medesima disposizione, dal TAR per la Lombardia, sezione staccata di Brescia,
con ordinanza del 12 febbraio 2004 (r.o. n. 548 del
2004) e dal TAR per il Veneto, con ordinanza del 10 marzo 2004 (r.o. n. 610 del 2004), nel corso di due giudizi instaurati
da lavoratori extracomunitari, svolgenti in modo irregolare un rapporto di
lavoro compreso tra quelli cui si riferisce l’art. 33 della legge n. 189 del
2002, avverso i provvedimenti prefettizi di rigetto della domanda diretta ad
ottenere la legalizzazione dei suddetti rapporti di
lavoro.

Dopo aver affermato la rilevanza
della questione, i remittenti fanno riferimento, quanto al merito della stessa,
a parametri solo in parte coincidenti.

Precisamente il TAR per la
Lombardia invoca altresì – oltre agli artt. 2, 3, 4 e 27 Cost.,
con argomentazioni analoghe a quelle sviluppate nella propria precedente
ordinanza n. 20 del 2004 relativa all’art. 1, comma 8, lettera c), del d.l. n.
195 del 2002 – i seguenti parametri: art. 13 Cost.,
perché da una semplice denuncia deriva una lesione del diritto dello straniero
alla libertà personale; art. 16 Cost., per asserita lesione del diritto
dell’interessato alla libera circolazione; art. 29 Cost., richiamato unitamente
all’art. 2 Cost., in quanto la disposizione censurata, utilizzando uno
strumento del tutto inadeguato rispetto al fine perseguito, verrebbe a
sacrificare il diritto dello straniero all’unità familiare.

Il TAR per il Veneto, invece, si
limita a richiamare l’art. 3 Cost. sotto il profilo già illustrato nella
propria precedente ordinanza n. 451 del 2004 relativa all’art.
1, comma 8, lettera c), del d.l. n. 195 del 2002, secondo cui la disposizione censurata
prevede che la semplice denuncia per uno dei reati ivi indicati comporta
automaticamente l’esclusione dello straniero dal beneficio della regolarizzazione, senza attribuire all’interessato la
facoltà di ottenere, nel corso del procedimento di regolarizzazione, la
verifica dell’attendibilità del contenuto della denuncia stessa.

5.–– Nei giudizi promossi con le
ordinanze n. 1146 del 2003, n. 20 del 2004, n. 232 del 2004 e n. 610 del 2004 è
intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione venga dichiarata infondata.

Osserva la difesa del Governo che
le norme del d.l. n. 195 del 2002 hanno la finalità di consentire la regolarizzazione dei lavoratori extracomunitari che, seppure
illegalmente presenti nel territorio dello Stato, svolgono attività di lavoro
subordinato. La presunzione di innocenza di cui
all’art. 27 Cost. non esclude che il legislatore possa valorizzare la presenza
di una denuncia penale a carico dello straniero, considerandola indice
sintomatico di una possibile inclinazione a delinquere, tanto più che la norma
ha individuato una ristretta serie di ipotesi, ossia quelle dei reati per i
quali è previsto l’arresto obbligatorio o facoltativo in flagranza, nelle quali
la presenza di una denuncia implica il rigetto dell’istanza di
regolarizzazione. Né dovrebbe essere dimenticato,
secondo l’Avvocatura dello Stato, che la normativa del 2002 è finalizzata a
consentire la sanatoria del c.d. lavoro "nero", ossia un’attività
svolta da chi si è illegalmente introdotto nel territorio dello Stato; non è
irragionevole, perciò, che il legislatore, nel disporre una normativa per la
regolarizzazione di situazioni illegali, abbia ritenuto di dover escludere
soggetti che versano in situazioni di un certo tipo, come quella di chi ha
subito una denuncia per alcuni reati.

Il testo unico di cui al decreto
legislativo 25 luglio 1998, n. 286, d’altra parte, prevede all’art. 17 la
possibilità, per il cittadino extracomunitario illegalmente presente nel
territorio dello Stato, di permanervi per il tempo necessario all’esercizio del
diritto di difesa.

Ne consegue che il riferimento
alla semplice denuncia penale non contrasta, di per sé, con i principi
costituzionali, purché la denuncia "sia assunta non già come mero dato
formale, bensì quale effetto di una condotta materiale realizzata dal
soggetto".

Considerato in diritto

1.— La Corte è chiamata a
pronunciarsi sulla legittimità costituzionale di due norme – l’art. 33, comma
7, lettera c), della legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifica alla normativa in
materia di immigrazione e di asilo), e l’art. 1, comma
8, lettera c), del decreto-legge 9 settembre 2002, n. 195 (Disposizioni urgenti
in materia di legalizzazione del lavoro irregolare di extracomunitari),
convertito, con modificazioni, nella legge 9 ottobre 2002, n. 222 – le quali
vietano (1’art. 33, comma 7, citato con riguardo ai lavoratori domestici e
l’art. l, comma 8, citato con riguardo ai dipendenti delle imprese) la
regolarizzazione – chiamata "emersione" o "legalizzazione"
– della posizione lavorativa degli stranieri extracomunitari che siano stati
denunciati per uno dei reati per i quali gli articoli 380 e 381 cod. proc. pen. prevedono l’arresto obbligatorio o facoltativo in
flagranza.

Le norme suindicate sono
denunciate, sotto diversi profili, per contrasto con gli artt. 2, 3, 4, 13, 16,
24, 27, 29, 35, 41 e 97 Cost., e tutti i remittenti
hanno fornito motivazioni non implausibili della rilevanza della questione nei
rispettivi giudizi.

2.— Poiché la questione non si
pone in termini diversi per i lavoratori domestici e per i dipendenti da
imprese, tutti i giudizi vanno riuniti per essere decisi con unica sentenza.

3.— La questione è fondata con
riferimento all’art. 3 della Costituzione.

Se è indubitabile che rientra
nella discrezionalità del legislatore stabilire i requisiti che i lavoratori
extracomunitari debbono avere per ottenere le
autorizzazioni che consentano loro di trattenersi e lavorare nel territorio
della Repubblica, è altresì vero che il suo esercizio deve essere rispettoso
dei limiti segnati dai precetti costituzionali. A prescindere dal rispetto di altri parametri, per essere in armonia con l’art. 3 Cost.
la normativa deve anzitutto essere conforme a criteri di intrinseca
ragionevolezza (cfr. sentenze n. 62 e n. 283 del
1994).

Ora, nel nostro ordinamento la
denuncia, comunque formulata e ancorché contenga
l’espresso riferimento a una o a più fattispecie criminose, è atto che nulla
prova riguardo alla colpevolezza o alla pericolosità del soggetto indicato come
autore degli atti che il denunciante riferisce. Essa obbliga soltanto gli
organi competenti a verificare se e quali dei fatti esposti in denuncia corrispondano alla realtà e se essi rientrino in ipotesi
penalmente sanzionate, ossia ad accertare se sussistano le condizioni per
l’inizio di un procedimento penale.

Considerazioni analoghe sono alla
base della sentenza n. 173 del 1997 la quale, nel
dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 47-ter, ultimo comma, della
legge 26 luglio 1975, n. 354, rilevò che era l’automatismo delle conseguenze
ricollegate alla sola denuncia a urtare contro il principio di ragionevolezza.

Le norme censurate fanno
irragionevolmente derivare dalla denuncia conseguenze molto gravi in danno di
chi della medesima è soggetto passivo, imponendo il rigetto dell’istanza di regolarizzazione che lo riguarda e l’emissione nei
suoi confronti dell’ordinanza di espulsione; conseguenze tanto più gravi
qualora s’ipotizzino denunce non veritiere per il perseguimento di finalità
egoistiche del denunciante e si abbia riguardo allo stato di indebita
soggezione in cui, nella vigenza delle norme stesse, vengono a trovarsi i
lavoratori extracomunitari.

Si deve pertanto dichiarare, in riferimento all’art. 3 Cost., l’illegittimità
costituzionale delle norme impugnate nella parte in cui fanno derivare
automaticamente il rigetto della istanza di regolarizzazione del lavoratore
extracomunitario dalla presentazione nei suoi confronti di una denuncia per uno
dei reati per i quali gli artt. 380 e 381 cod. proc. pen.
prevedono l’arresto obbligatorio o facoltativo in flagranza.

Restano assorbiti tutti gli altri
profili di censura.

per
questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti
i giudizi,

dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’art. 33, comma 7, lettera c), della legge
30 luglio 2002, n. 189 (Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di
asilo), e dell’art. 1, comma 8, lettera c), del decreto-legge 9 settembre 2002,
n. 195 (Disposizioni urgenti in materia di legalizzazione del lavoro irregolare
di extracomunitari), convertito, con modificazioni, nella legge 9 ottobre 2002,
n. 222, nella parte in cui fanno derivare automaticamente il rigetto della
istanza di regolarizzazione del lavoratore extracomunitario dalla presentazione
di una denuncia per uno dei reati per i quali gli articoli 380 e 381 cod. proc.
pen. prevedono l’arresto obbligatorio o facoltativo in
flagranza.

Così deciso in
Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10
febbraio 2005.

F.to:

Fernanda CONTRI, Presidente

Francesco AMIRANTE, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 18
febbraio 2005.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA