Penale

Friday 02 July 2004

Esecuzione penale. La novella del patteggiamento allargato avrebbe dovuto comportare anche la riforma dell’ art. 188 disp. Att. c.p.p. (applicazione della disciplina del reato continuato). I dubbi di costituzionalità del Tribunale di Milano. O

Esecuzione penale. La novella del patteggiamento allargato avrebbe dovuto comportare anche la riforma dellart. 188 disp. Att. c.p.p. (applicazione della disciplina del reato continuato). I dubbi di costituzionalità del Tribunale di Milano

ORDINANZA (Atto di promovimento) 9 Dicembre 2003 – 9 Dicembre 2003, n. 560

  Ordinanza emessa il 9 dicembre 2003 dal G.I.P. del Tribunale di Milano nel procedimento di esecuzione nei confronti Parrinello Guglielmo Esecuzione penale – Applicazione della disciplina del reato continuato – Applicazione subordinata al limite non superabile di pena di due anni di reclusione o di arresto anziche’ al limite di complessivi cinque anni – Disparita’ di trattamento rispetto a quanto previsto nella fase del giudizio di merito ex art. 444 cod. proc. pen., come novellato dalla legge n. 134/2003. – Disp. att. cod. proc. pen., art. 188. – Costituzione, art. 3, primo comma. (GU n. 25 del 30-6-2004

            IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI

    Premesso  che  Parrinello  Guglielmo  nato  a  Marsala  il giorno

29 gennaio  1948  residente  a Milano, Corso di Ripa Ticinese n. 119;

difensore  di  fiducia avv. Giuseppe Lucibello, con studio in Milano,

via San Barnaba n. 39, ha chiesto riconoscersi la continuazione tra i

seguenti reati:

        1.  – reati di cui agli artt. 110 c.p., 216 comma 1 n. 1 e 2,

219 comma 1 e 2 n. 1, 223 comma 1 R.D. n. 267/1942 + 61 n. 2, 81, 110

c.p.,  2621  e 2640 c. civ. + 81 cpv. 61 n. 2, 110 c.p., 4 n. 5 legge

n. 516/1982  e succ. modif. + 81 cpv. 61 n. 2, 110 c.p., 4 n. 5 legge

n. 516/1982  e succ. modif. + 81 cpv. 61 n. 2, 110 c.p., 4 n. 5 legge

n. 516/1982  e succ. modif. commessi in Milano ed altrove a far tempo

dal  1990  all’anno  1994,  per  i quali gli fu applicata ex art. 444

c.p.p.  dal  G.i.p.  presso Tribunale di Milano, con sentenza in data

6 luglio 1995 (irrevocabile), la pena di anni due di reclusione;

        2.  – reato di cui agli artt. 110 c.p., 216 comma 1 n. 1 e 2,

219 comma 1 e 2 n. 1, 223 comma 1 R.D. n. 267/1942 commesso in Milano

fino  al  20 febbraio 1996, per il quale gli fu applicata ex art. 444

c.p.p.  dal  G.i.p.  presso Tribunale di Milano, con sentenza in data

8 novembre  2002  (irrevocabile dal 31 gennaio 2003), la pena di anni

uno e mesi sei di reclusione;

                               Rilevato

    Che  l’applicazione  della disciplina del reato continuato non e’

stata esclusa dai giudici della cognizione;

    Che  il  condannato con precedente istanza ha formulato richiesta

di  applicazione  della  disciplina del reato continuato in relazione

alle sentenze di cui in premessa;

    Che  questo  giudice  con  ordinanza  in  data  6 giugno  2003 ha

rigettato le predetta istanza rilevando testualmente che:

        ýLa  situazione  sottoposta  all’esame  di  questo giudice e’

espressamente   regolata  dall’art.  188  Disp.  Attuaz.  c.p.p.  che

stabilisce   espressamente   che   nel   caso  di  piu’  sentenze  di

applicazione  della  pena  su  richiesta  delle  parti pronunciate in

procedimenti  distinti contro la stessa persona, questa e il pubblico

ministero  possono chiedere al giudice dell’esecuzione l’applicazione

della  disciplina del concorso formale o del reato continuato, quando

concordano  sulla  entita’  della  sanzione sostitutiva o della pena,

sempre  che  quest’ultima  non  superi  complessivamente  due anni di

reclusione o di arresto, soli o congiunti a pena pecuniaria.

    In  sostanza  l’applicazione,  in  sede  esecutiva, dell’istituto

della  continuazione  in  caso  di  piu’  reati  per  i  quali  siano

pronunciate distinte sentenze di applicazione della pena su richiesta

e’  sempre  subordinato, ai sensi dell’art. 188 disp. att. c.p.p., al

non  superamento  del  limite  dei due anni di pena detentiva, sola o

congiunta   con   pena   pecuniaria,  trovando  cio’  giustificazione

essenzialmente   nella   complementarieta’   logica   della  suddetta

disposizione   normativa   rispetto   alla  generale  disciplina  del

ýpatteggiamentoý  (caratterizzata  da analogo limite), quale prevista

dall’art. 444 cod. proc. pen.; complementarieta’ logica riconoscibile

e  giustificabile  –  anche  sul  piano  dei  principi  dettati dagli

artt. 3,  comma  primo,  e  25, comma secondo, Cost. ove si consideri

che,  altrimenti, postulandosi l’operativita’, nell’ipotesi data, del

solo   art. 671   cod.   proc.   pen. (che  regola  in  via  generale

l’applicazione  della  continuazione  in  sede esecutiva, oltre a non

potersi  piu’ individuare la ragion d’essere dell’art. 188 disp. att.

c.p.p.,  si darebbe anche luogo all’incongruenza costituita dal fatto

che  l’interessato  potrebbe  fruire,  in sede esecutiva, di vantaggi

maggiori  di  quelli  dei  quali  avrebbe  potuto  fruire  in sede di

cognizione;  e  tutto  cio’  senza  che  in  contrario  possa neppure

invocarsi  il disposto di cui all’art. 137, comma secondo, disp. att.

c.p.p.,  il  quale  riguarda  soltanto  il  diverso  caso  in  cui la

continuazione in sede esecutiva venga richiesta fra reati per i quali

vi  e’  stato  patteggiamento  ed  altri  reati. (Cass. Sez. I, sent.

n. 6208 del 12 febbraio 1996, Talevi).

    Nel  caso  di  specie,  stante  l’ammontare  della prima sanzione

applicata  (anni  due  di  reclusione)  il  predetto  limite  di pena

sarebbe,    attraverso    il   riconoscimento   della   continuazione

evidentemente superato.

    In  ogni  caso,  la  richiesta cosi’ come formulata difetta anche

sotto  il profilo contenutistico dato che la S.C. (in conformita’ del

resto  al  testo  normativo  regolante  la  fattispecie  – n.d.r.) ha

precisato che nel caso di piu’ sentenze di applicazione della pena su

richiesta,  pronunciate  in procedimenti distinti nei confronti della

stessa persona, la richiesta di riconoscimento della continuazione in

sede  esecutiva,  ai  sensi  dell’art.  188  disp.  att. c.p.p., deve

contenere  anche  l’indicazione  della  entita’  della  pena  o della

sanzione   sostitutiva   da   determinare  in  conseguenza  di  detto

riconoscimento  (Cass.  Sez.  I,  sent.  n. 474  del  25 marzo  1997,

Simone), indicazione che nel caso di specie pacificamente difettaý.

    Che   in  data  17 ottobre  2003  la  difesa  del  condannato  ha

depositato  nuova  richiesta in tal senso questa volta rispondente ai

requisiti  contenutistici  di  cui  all’art. 188 disp. attuaz c.p.p.,

richiesta   sulla  quale  il  pubblico  ministero  ha  dichiarato  di

concordare;

    Che,  in caso di accoglimento della richiesta 17 ottobre 2003, la

pena  complessiva  applicanda  al Parrinello assurgerebbe ad anni 2 e

mesi 5 di reclusione;

    Che   la   nuova  richiesta  difensiva  e’  asseritamente  legata

all’intervenuta   modificazione   della   normativa  in  ordine  alla

applicazione  della  pena  su richiesta delle parti di cui alla legge

12 giugno 2003 n. 134;

    Che  sia la difesa del condannato che il pubblico ministero hanno

chiesto,  in caso di mancato accoglimento dell’istanza del Parrinello

per  ragioni  legate  al  superamento  dei limiti di cui all’art. 188

disp.attuaz. c.p.p. di sollevare questione di costituzionalita’ della

predetta   disposizione   normativa  in  relazione  all’art. 3  della

Costituzione.

                            O s s e r v a

    Come   noto,  a  seguito  della  modificazione  del  primo  comma

dell’art. 444  c.p.p. operata con l’art. 1 della legge 12 giugno 2003

n. 134,   introduttivo   del   c.d.  ýpatteggiamento  allargatoý,  in

relazione  processi  per  reati  come  quelli  di  cui trattasi nella

presente  sede  e’ possibile addivenire alla applicazione di una pena

detentiva  purche’ la stessa sia contenuta entro il limite massimo di

cinque anni (soli o congiunti a pena pecuniaria).

    La novella legislativa non ha tuttavia investito l’art. 188 disp.

attuaz.  c.p.p.  il testo del quale e’ pertanto rimasto assolutamente

invariato con la conseguenza che e’ rimasto invariato anche il limite

di due anni per la pena detentiva applicanda in caso del ricorso alla

disciplina del reato continuato nella fase dell’esecuzione.

    E’  venuto  pertanto  meno  quel  principio di ýcomplementarieta’

logicaý   della   disposizione  dell’art. 188  disp.  attuaz.  c.p.p.

rispetto    alla    generale    disciplina    del    ýpatteggiamentoý

(caratterizzata  ora da diverso limite di pena edittale) che bene era

stato   rimarcato   nella   citata   sentenza  ýTaleviý  n. 6208  del

12 febbraio 1996 della S.C.

    Detta   situazione   si   risolve  in  un  oggettivo  trattamento

discriminatorio  tra  chi  nella fase del giudizio di merito, essendo

imputato  di  piu’  fatti reato, previa applicazione della disciplina

del  reato  continuato,  chiede  ed  ottiene una applicazione di pena

detentiva  che  puo’  giungere  sino a cinque anni, rispetto a chi si

vede  costretto a richiedere l’applicazione della predetta disciplina

nella  fase del procedimento di esecuzione nel qual caso il limite di

ammissibilita’  della  richiesta  e’  legato  al  fatto  che  la pena

complessiva non superi i due anni.

    Tra l’altro, detta diversita’ di trattamento, nella maggior parte

dei  casi  (come  anche  in  quello  in  esame  in  questa  sede)  e’

conseguenza  non  di  una  condotta dell’imputato quanto piuttosto e’

legata  a  situazioni  esterne  alla  sfera di controllo dello stesso

quali  ad esempio la decisione del pubblico ministero di esercitare o

meno   contestualmente  l’azione  penale  per  piu’  fatti-reato  nei

confronti  del  medesimo  imputato  o,  ancora,  l’esistenza  di vizi

procedurali  che implichino in corso di giudizio la separazione degli

atti  per taluni fatti-reato rispetto ad altri contestati al medesimo

imputato.

    Il  tutto con la conseguenza che l’imputato che avra’ la sorte di

essere  processato  in  un unico giudizio per piu’ fatti-reato legati

tra  loro  dal  vincolo  della  continuazione  potra’  beneficiare di

un’applicazione  di  pena  fino a 5 anni di reclusione mentre chi non

avra’  avuto  tale  sorte potra’, in fase di esecuzione, ricorrere al

medesimo  istituto  ma  nei limiti massimi di una pena complessiva di

due anni.

    La    discriminazione    di   trattamento   tra   due   posizioni

sostanzialmente  identiche  e’  evidente  e,  di  conseguenza, appare

altrettanto  evidente il contrasto dell’art. 188 disp. attuaz. c.p.p.

(nella  parte  in  cui  non  indica  in  complessivi  anni  cinque di

reclusione  o  di arresto il limite non superabile di pena in caso di

applicazione   della  disciplina  del  reato  continuato  nella  fase

dell’esecuzione)  con  il  disposto  dell’art. 3,  primo comma, della

Costituzione.

    La  questione di costituzionalita’ appare altresi’ in questa sede

rilevante  in  quanto  il  giudizio  di  esecuzione sulla domanda del

Parrinello   non   puo’   essere   definito  indipendentemente  dalla

risoluzione   della   sopra  evidenziata  questione  di  legittimita’

costituzionale dell’art. 188 disp. attuaz. c.p.p.

    La  questione  non  e’  altresi’  manifestamente infondata per le

ragioni sopra evidenziate.

                              P. Q. M.

    Visto l’art. 23 della legge 11 marzo 1953 n. 87.

    Solleva  questione  di  legittimita’ costituzionale dell’art. 188

del   d.lgs.   28   luglio  1989  n. 271  (Norme  di  attuazione,  di

coordinamento  e  transitorie  del  codice  di  procedura  penale) in

relazione  all’art. 3, primo comma, della Costituzione nella parte in

cui  non indica in complessivi anni cinque di reclusione o di arresto

il  limite  non  superabile  di  pena  in  caso di applicazione della

disciplina del reato continuato nella fase dell’esecuzione.

    Ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.

    Dispone  che  a  cura della cancelleria la presente ordinanza sia

notificata  al  condannato Parrinello Guglielmo, al suo difensore, al

pubblico  ministero,  al  Presidente del Consiglio dei ministri e che

sia comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.

    Sospende  la  decisione  sull’istanza avanzata nell’interesse del

condannato  Parrinello sino alla decisione della Corte costituzionale

sul punto.

        Cosi’ deciso in Milano, il 9 dicembre 2003.

                          Il giudice: Alma