Penale
Esecuzione penale. La novella del patteggiamento allargato avrebbe dovuto comportare anche la riforma dell’ art. 188 disp. Att. c.p.p. (applicazione della disciplina del reato continuato). I dubbi di costituzionalità del Tribunale di Milano. O
Esecuzione penale. La novella del patteggiamento allargato avrebbe dovuto comportare anche la riforma dellart. 188 disp. Att. c.p.p. (applicazione della disciplina del reato continuato). I dubbi di costituzionalità del Tribunale di Milano
ORDINANZA (Atto di promovimento) 9 Dicembre 2003 – 9 Dicembre 2003, n. 560
Ordinanza emessa il 9 dicembre 2003 dal G.I.P. del Tribunale di Milano nel procedimento di esecuzione nei confronti Parrinello Guglielmo Esecuzione penale – Applicazione della disciplina del reato continuato – Applicazione subordinata al limite non superabile di pena di due anni di reclusione o di arresto anziche’ al limite di complessivi cinque anni – Disparita’ di trattamento rispetto a quanto previsto nella fase del giudizio di merito ex art. 444 cod. proc. pen., come novellato dalla legge n. 134/2003. – Disp. att. cod. proc. pen., art. 188. – Costituzione, art. 3, primo comma. (GU n. 25 del 30-6-2004
IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
Premesso che Parrinello Guglielmo nato a Marsala il giorno
29 gennaio 1948 residente a Milano, Corso di Ripa Ticinese n. 119;
difensore di fiducia avv. Giuseppe Lucibello, con studio in Milano,
via San Barnaba n. 39, ha chiesto riconoscersi la continuazione tra i
seguenti reati:
1. – reati di cui agli artt. 110 c.p., 216 comma 1 n. 1 e 2,
219 comma 1 e 2 n. 1, 223 comma 1 R.D. n. 267/1942 + 61 n. 2, 81, 110
c.p., 2621 e 2640 c. civ. + 81 cpv. 61 n. 2, 110 c.p., 4 n. 5 legge
n. 516/1982 e succ. modif. + 81 cpv. 61 n. 2, 110 c.p., 4 n. 5 legge
n. 516/1982 e succ. modif. + 81 cpv. 61 n. 2, 110 c.p., 4 n. 5 legge
n. 516/1982 e succ. modif. commessi in Milano ed altrove a far tempo
dal 1990 all’anno 1994, per i quali gli fu applicata ex art. 444
c.p.p. dal G.i.p. presso Tribunale di Milano, con sentenza in data
6 luglio 1995 (irrevocabile), la pena di anni due di reclusione;
2. – reato di cui agli artt. 110 c.p., 216 comma 1 n. 1 e 2,
219 comma 1 e 2 n. 1, 223 comma 1 R.D. n. 267/1942 commesso in Milano
fino al 20 febbraio 1996, per il quale gli fu applicata ex art. 444
c.p.p. dal G.i.p. presso Tribunale di Milano, con sentenza in data
8 novembre 2002 (irrevocabile dal 31 gennaio 2003), la pena di anni
uno e mesi sei di reclusione;
Rilevato
Che l’applicazione della disciplina del reato continuato non e’
stata esclusa dai giudici della cognizione;
Che il condannato con precedente istanza ha formulato richiesta
di applicazione della disciplina del reato continuato in relazione
alle sentenze di cui in premessa;
Che questo giudice con ordinanza in data 6 giugno 2003 ha
rigettato le predetta istanza rilevando testualmente che:
ýLa situazione sottoposta all’esame di questo giudice e’
espressamente regolata dall’art. 188 Disp. Attuaz. c.p.p. che
stabilisce espressamente che nel caso di piu’ sentenze di
applicazione della pena su richiesta delle parti pronunciate in
procedimenti distinti contro la stessa persona, questa e il pubblico
ministero possono chiedere al giudice dell’esecuzione l’applicazione
della disciplina del concorso formale o del reato continuato, quando
concordano sulla entita’ della sanzione sostitutiva o della pena,
sempre che quest’ultima non superi complessivamente due anni di
reclusione o di arresto, soli o congiunti a pena pecuniaria.
In sostanza l’applicazione, in sede esecutiva, dell’istituto
della continuazione in caso di piu’ reati per i quali siano
pronunciate distinte sentenze di applicazione della pena su richiesta
e’ sempre subordinato, ai sensi dell’art. 188 disp. att. c.p.p., al
non superamento del limite dei due anni di pena detentiva, sola o
congiunta con pena pecuniaria, trovando cio’ giustificazione
essenzialmente nella complementarieta’ logica della suddetta
disposizione normativa rispetto alla generale disciplina del
ýpatteggiamentoý (caratterizzata da analogo limite), quale prevista
dall’art. 444 cod. proc. pen.; complementarieta’ logica riconoscibile
e giustificabile – anche sul piano dei principi dettati dagli
artt. 3, comma primo, e 25, comma secondo, Cost. ove si consideri
che, altrimenti, postulandosi l’operativita’, nell’ipotesi data, del
solo art. 671 cod. proc. pen. (che regola in via generale
l’applicazione della continuazione in sede esecutiva, oltre a non
potersi piu’ individuare la ragion d’essere dell’art. 188 disp. att.
c.p.p., si darebbe anche luogo all’incongruenza costituita dal fatto
che l’interessato potrebbe fruire, in sede esecutiva, di vantaggi
maggiori di quelli dei quali avrebbe potuto fruire in sede di
cognizione; e tutto cio’ senza che in contrario possa neppure
invocarsi il disposto di cui all’art. 137, comma secondo, disp. att.
c.p.p., il quale riguarda soltanto il diverso caso in cui la
continuazione in sede esecutiva venga richiesta fra reati per i quali
vi e’ stato patteggiamento ed altri reati. (Cass. Sez. I, sent.
n. 6208 del 12 febbraio 1996, Talevi).
Nel caso di specie, stante l’ammontare della prima sanzione
applicata (anni due di reclusione) il predetto limite di pena
sarebbe, attraverso il riconoscimento della continuazione
evidentemente superato.
In ogni caso, la richiesta cosi’ come formulata difetta anche
sotto il profilo contenutistico dato che la S.C. (in conformita’ del
resto al testo normativo regolante la fattispecie – n.d.r.) ha
precisato che nel caso di piu’ sentenze di applicazione della pena su
richiesta, pronunciate in procedimenti distinti nei confronti della
stessa persona, la richiesta di riconoscimento della continuazione in
sede esecutiva, ai sensi dell’art. 188 disp. att. c.p.p., deve
contenere anche l’indicazione della entita’ della pena o della
sanzione sostitutiva da determinare in conseguenza di detto
riconoscimento (Cass. Sez. I, sent. n. 474 del 25 marzo 1997,
Simone), indicazione che nel caso di specie pacificamente difettaý.
Che in data 17 ottobre 2003 la difesa del condannato ha
depositato nuova richiesta in tal senso questa volta rispondente ai
requisiti contenutistici di cui all’art. 188 disp. attuaz c.p.p.,
richiesta sulla quale il pubblico ministero ha dichiarato di
concordare;
Che, in caso di accoglimento della richiesta 17 ottobre 2003, la
pena complessiva applicanda al Parrinello assurgerebbe ad anni 2 e
mesi 5 di reclusione;
Che la nuova richiesta difensiva e’ asseritamente legata
all’intervenuta modificazione della normativa in ordine alla
applicazione della pena su richiesta delle parti di cui alla legge
12 giugno 2003 n. 134;
Che sia la difesa del condannato che il pubblico ministero hanno
chiesto, in caso di mancato accoglimento dell’istanza del Parrinello
per ragioni legate al superamento dei limiti di cui all’art. 188
disp.attuaz. c.p.p. di sollevare questione di costituzionalita’ della
predetta disposizione normativa in relazione all’art. 3 della
Costituzione.
O s s e r v a
Come noto, a seguito della modificazione del primo comma
dell’art. 444 c.p.p. operata con l’art. 1 della legge 12 giugno 2003
n. 134, introduttivo del c.d. ýpatteggiamento allargatoý, in
relazione processi per reati come quelli di cui trattasi nella
presente sede e’ possibile addivenire alla applicazione di una pena
detentiva purche’ la stessa sia contenuta entro il limite massimo di
cinque anni (soli o congiunti a pena pecuniaria).
La novella legislativa non ha tuttavia investito l’art. 188 disp.
attuaz. c.p.p. il testo del quale e’ pertanto rimasto assolutamente
invariato con la conseguenza che e’ rimasto invariato anche il limite
di due anni per la pena detentiva applicanda in caso del ricorso alla
disciplina del reato continuato nella fase dell’esecuzione.
E’ venuto pertanto meno quel principio di ýcomplementarieta’
logicaý della disposizione dell’art. 188 disp. attuaz. c.p.p.
rispetto alla generale disciplina del ýpatteggiamentoý
(caratterizzata ora da diverso limite di pena edittale) che bene era
stato rimarcato nella citata sentenza ýTaleviý n. 6208 del
12 febbraio 1996 della S.C.
Detta situazione si risolve in un oggettivo trattamento
discriminatorio tra chi nella fase del giudizio di merito, essendo
imputato di piu’ fatti reato, previa applicazione della disciplina
del reato continuato, chiede ed ottiene una applicazione di pena
detentiva che puo’ giungere sino a cinque anni, rispetto a chi si
vede costretto a richiedere l’applicazione della predetta disciplina
nella fase del procedimento di esecuzione nel qual caso il limite di
ammissibilita’ della richiesta e’ legato al fatto che la pena
complessiva non superi i due anni.
Tra l’altro, detta diversita’ di trattamento, nella maggior parte
dei casi (come anche in quello in esame in questa sede) e’
conseguenza non di una condotta dell’imputato quanto piuttosto e’
legata a situazioni esterne alla sfera di controllo dello stesso
quali ad esempio la decisione del pubblico ministero di esercitare o
meno contestualmente l’azione penale per piu’ fatti-reato nei
confronti del medesimo imputato o, ancora, l’esistenza di vizi
procedurali che implichino in corso di giudizio la separazione degli
atti per taluni fatti-reato rispetto ad altri contestati al medesimo
imputato.
Il tutto con la conseguenza che l’imputato che avra’ la sorte di
essere processato in un unico giudizio per piu’ fatti-reato legati
tra loro dal vincolo della continuazione potra’ beneficiare di
un’applicazione di pena fino a 5 anni di reclusione mentre chi non
avra’ avuto tale sorte potra’, in fase di esecuzione, ricorrere al
medesimo istituto ma nei limiti massimi di una pena complessiva di
due anni.
La discriminazione di trattamento tra due posizioni
sostanzialmente identiche e’ evidente e, di conseguenza, appare
altrettanto evidente il contrasto dell’art. 188 disp. attuaz. c.p.p.
(nella parte in cui non indica in complessivi anni cinque di
reclusione o di arresto il limite non superabile di pena in caso di
applicazione della disciplina del reato continuato nella fase
dell’esecuzione) con il disposto dell’art. 3, primo comma, della
Costituzione.
La questione di costituzionalita’ appare altresi’ in questa sede
rilevante in quanto il giudizio di esecuzione sulla domanda del
Parrinello non puo’ essere definito indipendentemente dalla
risoluzione della sopra evidenziata questione di legittimita’
costituzionale dell’art. 188 disp. attuaz. c.p.p.
La questione non e’ altresi’ manifestamente infondata per le
ragioni sopra evidenziate.
P. Q. M.
Visto l’art. 23 della legge 11 marzo 1953 n. 87.
Solleva questione di legittimita’ costituzionale dell’art. 188
del d.lgs. 28 luglio 1989 n. 271 (Norme di attuazione, di
coordinamento e transitorie del codice di procedura penale) in
relazione all’art. 3, primo comma, della Costituzione nella parte in
cui non indica in complessivi anni cinque di reclusione o di arresto
il limite non superabile di pena in caso di applicazione della
disciplina del reato continuato nella fase dell’esecuzione.
Ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.
Dispone che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia
notificata al condannato Parrinello Guglielmo, al suo difensore, al
pubblico ministero, al Presidente del Consiglio dei ministri e che
sia comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
Sospende la decisione sull’istanza avanzata nell’interesse del
condannato Parrinello sino alla decisione della Corte costituzionale
sul punto.
Cosi’ deciso in Milano, il 9 dicembre 2003.
Il giudice: Alma