Ultimi articoli

Friday 01 April 2005

E’legittima l’ordinanza di sospensione lavori in vista dell’ annullamento della concessione edilizia. CGA, SEZ. GIURISDIZIONALE – sentenza 15 marzo 2005 n. 169

E’ legittima l’ordinanza di sospensione lavori in vista dell’annullamento
della concessione edilizia.

CGA, SEZ. GIURISDIZIONALE – sentenza 15 marzo 2005 n. 169 – Pres. Virgilio, Est. Salvia – Comune di Giardini Naxos
(Avv. V. Gullotta) c. Spartà
(Avv.ti N. e F. Saitta) – (annulla T.A.R. Sicilia – Catania, Sez. I, 19 marzo 2003, n. 779).

F A T T O

Con la sentenza in epigrafe, il TAR
di Catania ha annullato: a ) l’ordinanza n. 33 del 22.11.2000 emessa dal Comune
di Giardini Naxos con la quale erano stati sospesi
taluni lavori intrapresi dalla sig.ra Spartà su
autorizzazione comunale per la recinzione di un appezzamento di terreno in via Zara; b) nonché l’ordinanza n. 5 del 14.2.2001, con la
quale lo stesso Comune aveva annullato in autotutela
l’autorizzazione edilizia n. 1 dell’8.1.1999, che aveva in un primo momento
assentito i medesimi. Ha respinto invece la domanda di risarcimento dei danni
per l’arresto dei lavori.

Contro tale sentenza propone ricorso
in appello il Comune, chiedendone la riforma, previa sospensione. La tesi di fondo sostenuta dall’appellante è che il terreno oggetto
della controversia, di cui la Spartà rivendica ora la
esclusività, non era più nella sua disponibilità, essendo stato asservito alla
concessione edilizia n. 27 del 6.4. 1984, ottenuta dai danti causa della
medesima per la costruzione di un fabbricato a tre elevazioni in Giardini Naxos, via Zara n. 20. Tale concessione – intestata
originariamente a Ricciardello Rosario – era stata infatti rilasciata con la espressa condizione (la n. 3)
della cessione gratuita al Comune del terreno in discussione; condizione
accettata sia dal predetto Ricciardello e dalla
allora proprietaria del terreno sig.ra Sgroi
Nunziata, madre della Spartà. Nell’appello si sottolinea inoltre che, a pochi mesi dal rilascio
dell’anzidetta concessione edilizia, l’odierna appellata e i suoi fratelli
avevano chiesto (precisamente con istanza dell’1.10.1984) la voltura della
medesima, dichiarando espressamente "di accettare fin d’ora le condizioni
e le prescrizioni previste nella concessione edilizia in argomento". Con
questi presupposti il Comune di Giardini Naxos il 7.1.1985 rilasciava agli interessati la richiesta
voltura. L’appellante sottolinea altresì di aver
invitato formalmente la Spartà (dopo l’avvenuta
voltura) a stipulare l’atto pubblico di trasferimento dell’anzidetto terreno,
senza riuscire mai nell’intento per la tenace volontà della medesima di
riappropriarsi del terreno, iniziando dalla recinzione. Ricorda in particolare
al riguardo che nel 1994 il Sindaco del tempo aveva rigettato (nota 7.12.1994
), analoga domanda della sig.ra Spartà
e con la stessa nota aveva invitato – senza esito – la medesima a formalizzare
la cessione dell’appezzamento di terreno in discussione. Secondo la ricostruzione
dell’appellante, pertanto, il provvedimento autorizzatorio
n. 1 dell’ 8.1.1999 dello stesso oggetto – che
consente alla Spartà ciò che prima le era stato
negato – sarebbe frutto di un errore del funzionario addetto al rilascio.
Errore peraltro causato da una confusa rappresentazione grafica dei luoghi.

Da qui appunto la piena legittimità
del provvedimento di sospensione dei lavori (n. 33 del 22.11.2000 e del
successivo provvedimento di annullamento della
concessione edilizia (n. 5 del 14.2.2001).

Questo Consiglio, chiamato a
pronunciarsi in via cautelare sulla sentenza di primo grado, ha accolto con
ordinanza n. 950/03 del 5 novembre 2003 l’istanza di
sospensione della efficacia della medesima, ritenendo sussistenti (prima facie) nell’appello "sufficienti requisiti di
fondatezza".

D I R I T T O

1. Il primo motivo di
appello riguarda il capo della sentenza relativo alla ordinanza di
sospensione dei lavori (n. 33 del 22.11.2000). Il TAR ha annullato tale
provvedimento, ritenendolo illegittimo per violazione (falsa applicazione)
dell’art. 4, 3° c. l. n. 47/1985. Sostiene in
particolare il giudice di primo grado che la vigente normativa urbanistica non
consente la sospensione dei lavori, in presenza di
permesso edilizio, sia pure illegittimo. La sospensione è prevista solo per le
opere edilizie non autorizzazione. L’applicazione analogica dell’anzidetto
articolo al caso in discussione, sarebbe inibita dai principi di legalità,
tipicità e nominatività che reggono gli atti
amministrativi. Da qui appunto la sua illegittimità.

Obietta però l’appellante che il provvedimento di
sospensione dei lavori è stato emesso ai sensi dell’art. 7 l. n. 241/1990 quale misura cautelare in vista del successivo
annullamento della concessione; non in base alla legge n. 47/1985. Ora,
poiché la sentenza in discussione non prende in esame questo rilievo – peraltro
ampiamente esplicitato nel giudizio di primo grado – la stessa
sarebbe viziata per omessa motivazione su un aspetto decisivo della vicenda.

L’appello per questa parte è fondato,
poiché, tutto il ragionamento del giudice di primo grado è in
effetti incentrato sull’art. 4, 3° c. l. n.
47/1985, non essendo stata neppure presa in considerazione l’ipotesi formulata
dal Comune, secondo cui la base normativa del provvedimento doveva invece
essere individuata nell’art. 7 della legge n. 241/1990.

2. Il secondo motivo del ricorso
riguarda specificamente l’ ordinanza n. 5 del
14.2.2001, con la quale il Comune ha annullato in autotutela
l’autorizzazione n. 1/1999 per la recinzione del terreno in contestazione.

La sentenza di primo grado,
accogliendo in pieno le argomentazioni a suo tempo formulate dalla Spartà nel ricorso, sostiene l’illegittimità di tale
provvedimento ablatorio, in base al rilievo
fondamentale della appartenenza dell’anzidetto terreno
alla ricorrente. Gli argomenti specifici addotti al riguardo, si possono così
sintetizzare: a) l’area di che trattasi è tuttora intestata alla Spartà, posto che nessun atto di cessione della medesima in
favore del Comune è stato mai stipulato; b) nella nota del 31 maggio 1994 la Spartà
ribadisce "di non aver mai ceduto il terreno e di
non aver intenzione di farlo"; c) la condizione apposta alla concessione
edilizia dell’84, con cui si subordinava la validità della medesima alla cessione
gratuita dell’area deve considerarsi tamquam non esset. Tale concessione infatti
non fu rilasciata alla Spartà, ma al sig. Rosario Licciardello, amministratore della società costruttrice,
che – non essendo il proprietario dell’area ed essendo sfornito di procura –
non poteva disporre di una proprietà altrui; d) la firma apposta dalla signora
Nunziata Sgroi ved. Spartà, proprietaria dell’area e dante causa della
ricorrente all’atto di cessione del 29 marzo 1984 a fianco di quella del Licciardello, è irrilevante in quanto falsa; e) la
circostanza che la concessione edilizia originariamente rilasciata al sig. Licciardello sia stata poi volturata ai germani Spartà (con la relativa condizione), sarebbe pure
irrilevante e inopponibile alla ricorrente, poiché
spettava al Comune "svolgere le opportune verifiche per accertare se
l’alienante Sig. Licciardello
era proprietario del terreno stesso, ovvero se era
stato autorizzato a venderlo dai proprietari"; f) la circostanza infine
che su parte del terreno in questione sia stato realizzato un marciapiede e sia
stato impiantato un palo di illuminazione pubblica, non costituirebbe prova
della destinazione pubblica della medesima.

Nell’attuale giudizio di appello la resistente ribadisce ulteriormente gli
argomenti formulati nel ricorso di primo grado e accolti in pieno dal giudice
di primo grado ed esibisce una perizia calligrafica, da cui risulterebbe la
falsità della firma della sig. Nunziata Sgroi (dante
causa della Spartà) all’atto di cessione del terreno
del 29 marzo 1984. Ciò comproverebbe definitivamente l’assenza di qualsiasi
vincolo sull’area favore del Comune.

Secondo l’appellante, anche questa
seconda parte della sentenza sarebbe gravemente viziata, essendo rinvenibili,
nella motivazione della medesima, talune omissioni e numerose contraddizioni.
In particolare l’appellante lamenta che mentre il Tar
ha ritenuto conducenti in modo acritico le argomentazioni e la documentazione
fornita dalla Spartà in ordine alla
proprietà dell’area (sino a ritenere "tamquam
non esset" la nota condizione apposta alla
concessione) e quelle del Comandante dei vigili del fuoco; non ha invece tenuto
in alcun conto le argomentazioni e i numerosi documenti forniti dalla difesa
dell’Ente, che dimostravano invece la indisponibilità dell’area da parte della
sig.ra Spartà. In particolare ha sorvolato sul fatto
che la concessione edilizia in discussione, su
richiesta dei germani Spartà (formulata pochi mesi
dopo il suo rilascio) viene volturata a favore dei medesimi, con la
accettazione delle "condizioni e prescrizioni previste nella
concessione" stessa e con la specifica clausola che l’area (oggi in
contestazione) "segnata in rosso" venga "acquisita dal Comune di
Giardini stante la cessione di cui in premessa".

L’appello anche sotto questo profilo
è fondato e va accolto.

Nel campo urbanistico, invero, la
vicenda della cessione di aree al Comune da parte del
proprietario, beneficiario del permesso edilizio, non rappresenta qualcosa di
extra ordinem, costituendo invece il frutto di una prassi
ben conosciuta e accettata, affermatasi peraltro prima ancora che venisse
emanata la legge urbanistica. L’idea quindi che
l’utilizzazione edificatoria dei suoli comporti per il proprietario non solo
vantaggi, ma anche oneri, fa parte della cultura comune. Interpretando
pertanto la vicenda in esame alla luce dei normali criteri di ragionevolezza e
buona fede, è del tutto evidente che la clausola di cessione gratuita delle
aree, accettata espressamente dall’appellata al momento della voltura della
concessione edilizia, abbia un valore vincolante e non può essere considerata –
come invece la sentenza di primo grado – "tamquam
non esset". Il fatto poi che queste aree non
siano state ancora trasferite formalmente al Comune con atto pubblico e che
l’attuale titolare non abbia intenzione di farlo (v. la nota del 94, citata dal
giudice di primo grado come prova dell’assenza dell’animus donandi),
anziché costituire argomento a favore della piena disponibilità dell’area da
parte della sig.ra Spartà (e quindi del suo pieno
diritto a recintarla), sembra viceversa interpretabile come inadempimento di obbligazioni assunte e come volontà di massimizzare il
più possibile le potenzialità edificatorie dell’area stessa. Gli atti del
processo confermano questa ipotesi, dando conto di un
susseguirsi nel tempo di concessioni, sanatorie, domande di recinzione, sempre
insistenti sullo stesso immobile. Una volta accertato che l’odierna appellata,
al momento della voltura della concessione, accettò la medesima con tutti i
vantaggi e i relativi oneri, (v. istanza 1.10.1984 in prot. Comune 5892 in atti) perde anche qualsiasi rilevanza
ai fini del presente giudizio il problema della falsità della firma della
sig.ra Sgroi Nunziata, oggetto di una perizia di
parte e attualmente al vaglio di altro giudice.

La decisione impugnata va perciò
annullata.

Le spese seguono la soccombenza come da dispositivo.

P. Q. M.

Il Consiglio di Giustizia
Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale, pronunciando
definitivamente sull’appello in epigrafe, lo accoglie.

Le spese del presente giudizio
seguono la soccombenza e si liquidano in € 4.000,00
(quattromila).

Ordina che la presente decisione sia
eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Palermo, il 15
dicembre 2004 dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione
siciliana, in sede giurisdizionale, in camera di consiglio, con l’intervento
dei signori: Riccardo Virgilio, Presidente, Pier Giorgio Trovato, Giorgio Giaccardi, Antonino Corsaro, Filippo Salvia, estensore, Componenti.

F.to: Riccardo Virgilio, Presidente

F.to: Filippo Salvia, Estensore

F.to: Loredana Lopez,
Segretario

Depositata in segreteria

il 15 marzo 2005