Penale

Tuesday 10 June 2003

E’ legittimo sotto il profilo costituzionale escludere dal risarcimento per ingiusta detenzione i parenti dell’ imputato deceduto durante il procedimento penale? Per la Cassazione no. Cassazione – Sezione quarta penale (cc) – ordinanza 28 marzo-5 giugno 2

E legittimo sotto il profilo costituzionale escludere dal risarcimento per ingiusta detenzione i parenti dellimputato deceduto durante il procedimento penale? Per la Cassazione no

Cassazione Sezione quarta penale (cc) ordinanza 28 marzo-5 giugno 2003, n. 24391

Presidente Battisti relatore Chiliberti

Pg Hinna Danesi ricorrente Bottari ed altri

Fatto e diritto

Con atto del 29 aprile 2002 Bottari Cinzia e Bottari Cristina hanno proposto ricorso avverso l’ordinanza in data 20 marzo 2002 della Corte di appello di Messina, che ha rigettato la domanda di riparazione per ingiusta detenzione proposta nella qualità di figlie di Bottari Giuseppe, sottoposto agli arresti domiciliari dal 21 febbraio al 15 maggio 1992, la cui posizione era stata archiviata per la morte, avvenuta il 6 dicembre 1992, sul presupposto che i coimputati erano poi stati assolti dal Tribunale di Messina con sentenza 5 luglio 2000 perché il fatto non sussiste, formula che sarebbe stata applicata anche al genitore qualora non fosse premorto. La corte distrettuale ha rigettato l’istanza non rientrando l’ipotesi di archiviazione per morte del reo tra le formule di proscioglimento che consentono l’equo indennizzo.

Lamentano le ricorrenti la violazione di legge per non esser stato applicato l’articolo 12 delle disposizioni preliminari al Cc, che opera quando la controversia non possa essere decisa sulla scorta di una precisa disposizione, imponendo il ricordo alle disposizioni che regolano casi simili o analoghi.

Osserva questa Corte che – pur sussistendo la legittimazione delle istanti, in virtù dell’articolo 644 comma 1, Cpp, richiamato dall’articolo 315, comma 3, Cpp – il ricorso allo stato della legislazione è infondato, in quanto la corte d’appello non poteva estendere i casi normativamente previsti di riparazione, che costituiscono ius singulare, stante la loro natura indennitaria e non risarcitoria, cosa che ne esclude la ricomprensione in una norma a carattere generale qual è quella dell’articolo 2043 Cc: in un sistema improntato alla casistica le ipotesi indennitarie debbono necessariamente essere testuali e non virtuali.

Deve infatti rilevarsi che l’articolo 314, comma 3, Cpp, regola le ipotesi in cui la riparazione compete per il caso di archiviazione con un rinvio alle disposizioni dei commi 1 e 2 dello stesso articolo, e dunque, qualora non si lamenti l’ingiustizia formale di cui al comma 2, la riparazione compete laddove l’archiviazione sia stata disposta perché il fatto non sussiste, per non aver commesso il fatto, perché il fatto non costituisce reato o perché il fatto non è previsto come reato. Non è dunque ricompresa l’ipotesi in cui l’archiviazione sia disposta per morte del reo, il che in via generale è conforme alla logica del sistema, che prevede un accertamento giudiziale della mancanza di causa della detenzione, discendente dall’adozione di una delle formule di proscioglimento anzidette.

Si evidenzia però l’esistenza di una carenza di previsione normativa per le fattispecie del tipo di quella portata all’esame di questa Corte, in cui la formula con la quale viene escluso l’esercizio dell’azione penale è ostativa all’indennizzo per ingiusta detenzione: se in linea di principio la mancanza di un accertamento definitivo (che è altresì irrevocabile, pur se il provvedimento consiste in un’archiviazione o in una sentenza di non luogo a procedere, in caso di morte, mancando i presupposti – salvo il caso che la morte sia erroneamente ritenuta – per la revoca del decreto di archiviazione o della sentenza) in ordine all’illegittimità della detenzione osta alla riparazione, non appare ragionevole che la riparazione sia negata laddove, proseguendo il procedimento nei confronti dei coindagati, si accerti con provvedimento irrevocabile che il fatto non sussiste, essendo di palmare evidenza che l’insussistenza del fatto, per la sua essenza ontologica, non può non riguardare anche colui la cui posizione sia stata già definita con una pronuncia di estinzione del reato per morte del reo. Ciò vale sia per l’ipotesi di archiviazione, sia per l’ipotesi di sentenza di non luogo a procedere, sia ancora per l’ipotesi di sentenza predibattimentale o dibattimentale, ovviamente a condizione che l’accertamento dell’insussistenza del fatto avvenga nello stesso procedimento, o in altro procedimento, ma comunque sulla scorta del medesimo materiale probatorio.

La ritenuta mancanza di ragionevolezza dell’omissione di una siffatta previsione, che fa apparire non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, appare rilevante ai fini del decidere, ed impone di sollevare la questione innanzi alla Consulta: laddove infatti il giudice delle leggi ritenesse fondata la questione, spetterebbe la riparazione nel caso portato all’attenzione di questa corte.

Nessun problema si pone, infatti, in ordine alla tempestività del ricorso, in quanto il termine iniziale di decadenza per la proposizione dell’istanza riparatoria decorre dalla notificazione del provvedimento di archiviazione, notificazione che in caso di morte non è prevista.

Plurimi sono i profili di incostituzionalità rilevabili, e da ritenersi non manifestamente infondati, anche perché già valutati dalla Consulta nel senso della loro sussistenza in altre fattispecie: già la Corte costituzionale con sentenza 310/96 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 314 Cpp laddove non prevede la riparazione per ingiusta detenzione patita a causa di erroneo ordine di esecuzione, e con la sentenza 109/99, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della mancata previsione della riparazione in caso di arresto o fermo non convalidato dal giudice con decisione irrevocabile o la cui convalida sia stata annullata dalla Corte di cassazione su ricorso promosso ai sensi dell’articolo 391, comma 4, del Cpp, evidentemente in linea con il principio per cui l’ingiusta detenzione va comunque ristorata.

Può escludersi l’incostituzionalità in riferimento all’articolo 76 Costituzione, in quanto la non completa attuazione, da parte del Governo delegato, della delega legislativa non è violatrice della Costituzione, cosa che invece ha luogo quando si sia in presenza non già di un’incompleta esecuzione della delega, ma del caso inverso dell’eccesso.

Né è ravvisabile contrasto con l’articolo 10 Costituzione, in relazione al fatto che l’obbligo di riparazione è sancito in convenzioni internazionali cui l’Italia ha aderito, e segnatamente la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata dall’Italia con la legge 848/55, che prevede espressamente, all’articolo 5, il diritto alla riparazione a favore della vittima di arresto o di detenzioni ingiuste senza distinzione di sorta, in quanto le norme di diritto internazionale generalmente riconosciute, cui l’Italia si obbliga ad attenersi con la norma costituzionale detta, sono quelle consuetudinarie e non quelle pattizie.

Deve invece ravvisarsi un primo profilo d’incostituzionalità in.relazione all’articolo 3 Costituzione. La disposizione censurata contrasta, ad avviso di questa Corte, con l’articolo 3 della Costituzione, per irragionevole disparità di trattamento tra chi, privato della libertà personale in forza di una misura custodiale ingiusta, non possa venire prosciolto con una delle formule che consentono l’indennizzo, essendo imposto al giudice (articolo 129 Cpp) di dichiarare l’estinzione del reato non appena la causa estintiva si materializzi, se fino a quel momento non risulta evidente che il fatto non sussiste, che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o che non è previsto dalla legge come reato. Nondimeno, qualora il procedimento prosegua nei confronti di coimputati e si accerti che il fatto non sussiste, non appare ragionevole che quell’accertamento che è mancato nei confronti del deceduto, ma che risulta a posteriori, non giovi ai fini riparatori, con iniqua diversificazione di posizioni a fronte della stessa risultanza processuale ed eventualmente delle stesse conseguenze in tema di libertà personale. Diversa è l’ipotesi in cui l’imputato venga prosciolto per prescrizione, in quanto avrebbe avuto modo di ottenere l’accertamento utile ai fini dell’indennizzo rinunciando alla prescrizione.

Ulteriore profilo di incostituzionalità è ravvisabile nel contrasto con gli articoli 2 e 13 della Costituzione: si rileva che nella disciplina censurata sono simultaneamente coinvolti il principio di solidarietà e quello della inviolabilità della libertà personale, che se violata va comunque ristorata. Come già rilevato in altri casi dalla Consulta (sentenze 446/97;109/99) la riparazione per l’ingiusta detenzione ha un fondamento squisitamente solidaristico, ed in presenza di una lesione della libertà personale rivelatasi comunque ingiusta con accertamento, ex post, in ragione della qualità del bene offeso si deve avere riguardo unicamente alla oggettività della lesione stessa. Orbene, l’accertamento dell’ingiustizia della detenzione non può non comportare lo stesso diritto quando, per cause non imputabili a chi ha sofferto l’ingiusta detenzione, detto accertamento non abbia luogo direttamente in suo favore, ma si debba necessariamente estendere a lui.

Va poi rilevato che l’orientamento della Consulta è significativamente volto a porre riparo ai vuoti legislativi discendenti da una previsione testuale anziché virtuale delle ipotesi di equo indennizzo: si ricorda infatti la sentenza 109/99 della Consulta, che -a proposito della mancata previsione del diritto all’indennizzo per la detenzione conseguente ad arresto in flagranza o fermo, ha evidenziato come, in una materia che non tollera franchigie temporali a favore di alcuna autorità, tale ipotesi è trattata dal legislatore, ai fini dell’equa riparazione, come se fosse un provvedimento che non lede la libertà personale, ma un simile trattamento contrasta con la legge di delegazione 81/1987, nella quale è ben presente l’esigenza che tutte le offese arrecate alla libertà personale mediante ingiusta detenzione siano riparate, indipendentemente dalla durata di questa e quale che sia l’autorità dalla quale la restrizione provenga. L’indirizzo impartito al Governo al punto 100 dell’articolo 2, comma 1, di tale legge è infatti nel senso di introdurre, accanto alla riparazione dell’errore giudiziario, vale a dire del giudicato erroneo, già oggetto della disciplina del codice previgente, anche la riparazione per la ingiusta detenzione senza distinguere tra i fattori genetici

di essa: ciò che rende palese l’intento del legislatore delegante che non venissero a determinarsi, su questo piano, differenze che sarebbero risultate difficilmente giustificabili. Tale rilievo, relativo ai fattori genetici della detenzione, non può non ritenersi ugualmente valido in relazione alle modalità dell’accertamento dell’ingiustizia della detenzione, non potendo non parificarsi all’accertamento con provvedimento reso nei confronti dell’interessato l’ipotesi in cui l’accertamento non sia diretto, ma derivato, per causa non imputabile al soggetto che ha patito la restrizione.

PQM

Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità dell’articolo 314, comma 3, Cpp in relazione agli articoli 2, 3, 13 e 24, comma 5, Costituzione nella parte in cui non prevede, in caso di archiviazione del procedimento per morte del reo, la spettanza della riparazione per ingiusta detenzione qualora nello stesso procedimento o comunque sulla base dello stesso materiale probatorio si accerti nei confronti dei coimputati che il fatto non sussiste; sospende il giudizio e manda alla cancelleria di notificare alle parti ed al Pm, nonché al Presidente del Consiglio dei ministri ed ai Presidenti delle due camere del Parlamento la presente ordinanza; ordina trasmettersi gli atti alla Corte costituzionale.