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Friday 01 July 2022

Dubbi di incostituzionalità della norma che esclude ogni forma di retribuzione o sussidio al sanitario sospeso perché non sottoposto a vaccino anti COVID-19

La questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 5, d.l. 1 aprile 2020, n. 44, è stata sollevata dal Tribunale di Catania, sezione lavoro, del 14 marzo 2022.

Il caso esaminato. La vicenda trae origine da ricorso ex art. 700 c.p.c. promosso da alcuni operatori sanitari pubblici (azienda ospedaliera pubblica), i quali erano stati sospesi dal servizio e dalla retribuzione, ai sensi del disposto di cui all’art. 4, d.l. 1° aprile 2022, n. 44, che prevede gli obblighi vaccinali per gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario e le conseguenze in caso di mancato assolvimento degli obblighi.
Gli operatori ricorrenti chiedevano al competente giudice del lavoro il riconoscimento dell’assegno alimentare previsto dall’art. 82, d.P.R. n. 3/1957, in favore dei pubblici dipendenti sospesi cautelativamente dal servizio perché sottoposti a procedimento penale o disciplinare. Riconoscimento che, stante il tenore letterale della norma censurata di incostituzionalità, verrebbe escluso.
L’art. 4, d.l. n. 44/2020 prevede infatti che «fino al 31 dicembre 2022 (termine attuale, più volte prorogato), al fine di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni di cura e assistenza, in attuazione del piano di cui all’articolo 1, comma 457, della legge 30 dicembre 2020, n. 178, gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario di cui all’articolo 1, comma 2, della legge 1° febbraio 2006, n. 43, per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2 sono obbligati a sottoporsi a vaccinazione gratuita, comprensiva, a far data dal 15 dicembre 2021, della somministrazione della dose di richiamo successiva al ciclo vaccinale primario, nel rispetto delle indicazioni e dei termini previsti con circolare del Ministero della salute. La vaccinazione costituisce requisito essenziale per l’esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative dei soggetti obbligati». Il mancato assolvimento di tale obbligo comporta le conseguenze previste dal successivo comma 4, che prevede l’adozione di atto di accertamento dell’inadempimento dell’obbligo vaccinale da parte dell’Ordine professionale territorialmente competente, all’esito delle verifiche previste. Tale atto di accertamento, avente natura dichiarativa e non disciplinare, determina l’immediata sospensione dall’esercizio delle professioni sanitarie ed è annotato nel relativo Albo professionale; per gli operatori che abbiano rapporto di lavoro dipendente, l’atto accertativo è comunicato anche al datore di lavoro per l’adozione dei provvedimenti sospensivi conseguenti.
Il successivo comma 5 del predetto art. 4, prevede infine che «per il periodo di sospensione non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominato».

La norma censurata: art. 1, comma 5, d.l. n. 44/2020. E’ proprio quest’ultimo dettato normativo che viene censurato di incostituzionalità, per la disparità di trattamento che verrebbe a generarsi tra i dipendenti pubblici sospesi nelle more di procedimento penale o disciplinare e lavoratori sospesi in ragione del disposto degli obblighi vaccinali.
I primi, secondo quanto previsto dall’art. 82, d.P.R. n. 3/1957, possono usufruire dell’assegno alimentare nel periodo di mancato godimento della retribuzione, a motivo della sospensione cautelare cui sono sottoposti. Così non può accadere per i lavoratori sospesi per aver disatteso l’obbligo vaccinale, stante il chiaro dettato normativo sopra richiamato (non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominato).
Peraltro, osserva il giudice del lavoro, non sarebbe possibile decidere i ricorsi proposti dai lavoratori, facendo applicazione costituzionalmente orientata dell’art. 82, d.P.R. n. 3/1957 invocato dai ricorrenti. Secondo gli insegnamenti della Suprema Corte, non è possibile arrivare ad una disapplicazione ope iudicis di norme di legge, estendendo la portata di precedenti declaratorie di incostituzionalità, aventi ad oggetto fattispecie simili. Si veda a tal proposito, la recentissima ordinanza della Corte di Cassazione n. 17441 del 31 maggio 2022.
Di conseguenza, le domande proposte dai ricorrenti potrebbero trovare accoglimento soltanto qualora venisse ritenuta l’incostituzionalità del citato comma 5 dell’art. 1, d.l. n. 44/2020.

La rilevanza della questione di legittimità costituzionale. Tale norma solleva dubbi di incostituzionalità per contrasto con gli artt. 2,3 e 32 della Costituzione, tenuto conto della natura assistenziale dell’assegno alimentare previsto dal d.P.R. del 1957.
La giurisprudenza della Consulta, nel prevedere una particolare tutela dell’individuo, singolo o nelle formazioni sociali ove viene svolta la sua personalità, quali gli ambienti di lavoro, ha sempre posto l’accento sulla necessità di tutelare la dignità della persona; facendo in modo, tra l’altro, che non venisse mai precluso il sostentamento per far fronte ai bisogni primari della vita. La stessa Corte Costituzionale, chiamata ad esprimersi circa la legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 61, l. n. 92/2012, ne ha dichiarato l’illegittimità nella parte ove viene prevista la revoca di forme di prestazioni assistenziali quali indennità di disoccupazione, pensioni e assegni sociali, a soggetti condannati, i quali scontino la pena in regime alternativo al carcere.
Nella fattispecie esaminata, l’operatore sanitario si vedrebbe privato di qualsiasi forma di sostentamento (retribuzione o assegno alimentare o altro sussidio) soltanto a motivo di una sospensione non avente natura né disciplinare né penale. In contrasto, come detto, con le altre situazioni di sospensione cautelare legate a procedimenti disciplinari e penali.
Inoltre, il lavoratore sospeso in ragione del citato articolo 4 nemmeno potrà accedere alle forme di assistenza previste per i lavoratori che abbiano perso la propria occupazione (ad. esempio, indennità di disoccupazione) né potrà svolgere diversa attività lavorativa presso altro datore di lavoro o in forma autonoma, a causa della sospensione dal proprio ordine professionale.
Proprio quest’ultimo aspetto appare meritevole di riflessione, per ciò che concerne la sospensione del lavoratore dal proprio impiego sanitario pubblico. Questi di fatto non viene sospeso dal lavoro per un illecito disciplinare o penale, ma per il fatto di venire privato di una delle condizioni necessarie per l’espletamento della professione sanitaria: l’iscrizione all’albo professionale. La norma censurata infatti prevede che l’accertamento del mancato assolvimento dell’obbligo vaccinale venga effettuato dall’ordine professionale, che procederà così alla sospensione del proprio iscritto all’albo, comunicando nel contempo «anche al datore di lavoro per l’adozione dei provvedimenti sospensivi conseguenti». Cioè la sospensione dalla prestazione lavorativa fino a che venga meno la condizione ostativa della “mancata” iscrizione all’albo professionale. Questo sembrerebbe fornire una spiegazione all’intendimento del legislatore di escludere la debenza della «retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominato».
D’altro canto, il diritto al lavoro costituisce uno dei principi cardine della carta costituzionale; attraverso il lavoro viene garantito all’individuo la possibilità di vivere un’esistenza libera e dignitosa, potendo percepire una retribuzione giusta e sufficiente, secondo quanto sancito dall’art. 36 Cost.
La norma censurata pare porsi anche in contrasto con l’art. 32 Cost., in materia di trattamenti sanitari. È pur vero che l’intento perseguito dal legislatore era quello di contenere il più possibile il contagio da COVID-19; un intento dunque di tutela della salute della collettività. Ma questo intento di tutela collettiva non può spingersi fino ad imporre al singolo un determinato trattamento sanitario, prevedendo quale conseguenza per l’inottemperanza dell’obbligo, la privazione di qualsiasi mezzo di sostentamento.
Infine, l’art. 4, d.l. n. 44/2021 si pone anche in contrasto con l’art. 3 della carta costituzionale, ponendo una irragionevole disparità di trattamento tra lavoratori sospesi a causa di procedimenti penali o disciplinari cui sono sottoposti, e lavoratori sospesi per una fattispecie, quale quella prevista dall’art. 4, non considerata dal legislatore né di rilevanza penale, né disciplinare.
Per tali motivi il Tribunale di Catania, sezione lavoro, ritenuta non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale relativa all’art. 4, comma 5, d.l. 1° aprile 2021, n. 44 (conv. dalla l. n. 76/2021), nella parte in cui nel prevedere che «per il periodo di sospensione non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominato» esclude in favore del pubblico dipendente esercente una professione sanitaria l’erogazione, durante il periodo di sospensione dal lavoro, dell’assegno alimentare previsto dalla legge o dalla contrattazione collettiva in caso di sospensione cautelare o disciplinare, ha sospeso il giudizio e rimesso la questione alla Corte Costituzionale.

Avv. Roberto Dulio