Civile

Thursday 07 August 2003

Distanze legali e servità di veduta. Eliminazione della veduta illegale. Rimedi spontanei in corso di causa. Corte d’ appello di Potenza 19/2 – 8/5/2003 n. 84.

Distanze legali e servitù di veduta. Eliminazione della veduta illegale. Rimedi spontanei in corso di causa. Corte dappello di Potenza 19/2 8/5/2003 n. 84.

Corte di Appello di Potenza Sezione civile (cc) sentenza 19 febbraio-8 maggio 2003, n. 84

Presidente Scermino relatore Capasso

Ricorrente Anania

Svolgimento del processo

Con ricorso 17.5.1982 Giuseppe Anania denunciò al Pretore di Stigliano che Domenico Fornabaio, nel realizzare una costruzione in località Noci, aveva occupato una porzione del fondo attiguo di sua proprietà (per una lunghezza di cm 30 su un fronte di metri 10), creando delle vedute senza rispettare le distanze legali. Chiese, pertanto, la sospensione dei lavori, e, nel merito, che fosse dichiarata l’illegittimità dell’occupazione, con condanna del resistente alla rimessione in pristino dell’opera e al risarcimento dei danni.

Il Fornabaio dedusse di aver costruito sul proprio suolo mantenendosi a cm 30 dal punto più vicino del confine.

Il Pretore dispose la sospensione dei lavori e rimise le parti davanti al Tribunale di Matera, dove la causa venne riassunta dall’Anania che insistette nelle, proprie richieste, con conferma del provvedimento di sospensione dei lavori.

Il Fornabaio dedusse, fra l’altro, che il confine non era quello indicato dall’attore, ma invece quello risultante dai titoli (atto di divisione 17.12.1951) e chiese, in caso di accertato sconfinamento, che fosse applicato il disposto dell’articolo 938 Cc. Propose, altresì, domanda riconvenzionale assumendo l’illegittimità della costruzione precedentemente realizzata dall’Anania di cui chiese la riduzione in pristino.

Il Tribunale, disposta consulenza tecnica, rigettò la domanda principale e quella riconvenzionale, compensando le spese processuali. Interposto hinc et inde gravame, la Corte di Appello di Potenza, con sentenza l8.2/l.4.l992, accolse l’appello principale dell’Anania limitatamente allo svincolo della cauzione e quello incidentale del Fornabaio limitatamente alla condanna generica dell’Anania ai danni in conseguenza della sospensione dei lavori, confermando nel resto l’impugnata sentenza.

Osservò la Corte di merito, per quel che nella presente sede ancora interessa, che, in base alle nuove indagini effettuate dal consulente tecnico, alla stregua dell’atto di compravendita 25.11.1921, di cui l’Anania aveva lamentato l’omesso esame, e alla planimetria allegatavi da cui risultava che la casetta rurale non era posta al confine ma nella proprietà del Fornabaio, non vi era stato nessun sconfinamento.

Escluse, inoltre, l’osservanza della distanza di cui all’articolo 906Cc per il balcone, da dove si esercitava la veduta laterale sul fondo dell’Anania a distanza di cm 60 dal confine, perché tra le due proprietà vi era la strada pubblica.

Avverso la predetta sentenza propose ricorso per cassazione l’Anania, affidandosi a due motivi di annullamento.

Resistette con controricorso il Fornabaio. Entrambe le parti presentarono memoria.

Con sentenza del 5464/95 la Suprema Corte, disatteso il primo motivo del ricorso dell’Anania, riflettente omessa e insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, per essere stato escluso che il comune fosse stato rappresentato dal muro stesso della casetta senza tener conto delle considerazione del ctp in ordine alla planimetria catastale e senza procedere alla esatta misurazione del fondo acquistato dall’Anania, riteneva fondato il secondo motivo del ricorso, statuendo che la cessazione del divieto di aprire vedute dirette prevista dall’ultimo comma dell’articolo 905 Cc non valeva anche per le vedute oblique o laterali, stante il mancato richiamo della detta disposizione da parte dell’articolo 906 Cc. Cassava, pertanto, sul punto l’impugnata sentenza, dettando quale principio di diritto al quale si sarebbe dovuto uniformare il Giudice di rinvio (individuato in altra sezione della Corte d’Appello di Potenza, tenuta a provvedere anche sulle spese del giudizio di cassazione) che la «distanza stabilita dall’articolo 906 Cc per l’apertura di vedute laterali o oblique deve essere osservata anche se tra due fondi ci sia una strada pubblica». Riteneva, conseguentemente, superata la questione se la striscia di terreno esistente tra i due fondi costituisse strada pubblica, dovendo – in ogni caso – essere rispettata la distanza di cui all’articolo 906 Cc.

Riassumeva il giudizio l’Anania con atto di citazione notificato l’11/5/96 e, richiamati gli accadimenti processuali occorsi, evidenziava che la Corte di merito (con sentenza 71/1992, cassata in parte qua) aveva erroneamente ritenuto che l’esistenza di balconi nel fabbricato del Fornabaio, a distanza di 50cm dal confine con esso Anania fosse resa legittima dall’esonero dell’obbligo di osservanza della distanza legale di cm 75 derivante dal fatto di affacciarsi detto balcone sulla pubblica strada, esonero, invece, limitato secondo il principio di diritto reso dalla Corte Suprema nella resa pronuncia 5464/95 alle sole vedute dirette. Principio che rendeva ininfluente l’accertamento se tra le due proprietà esistesse pubblica strada, circostanza, in ogni caso, negata dal riassumente.

Citava, pertanto, il Fomabaio dinanzi alla Corte di Appello di Potenza, quale designato Giudice di rinvio, per sentir in ottemperanza alla sentenza della Cassazione 5464/95, dichiarare che i balconi della costruzione di proprietà del Fornabaio sono stati realizzati in violazione del disposto di cui all’articolo 906 Cc e per l’effetto disporne la chiusura; in via subordinata dispone la riduzione di dette vedute in luci; condannare Fornabaio Domenico al risarcimento danni, da liquidarsi in separata sede, subiti dall’Anania a seguito dei fatti oggetto del contenzioso di quo; condannare Fornabaio Domenico al pagamento delle spese e competenze del presente giudizio e di quelle relative al procedimento di cassazione. Con comparsa depositata il 30/9/96 si costituiva il Fornabaio eccependo, in via pregiudiziale, l’inammissibilità della richiesta di chiusura delle vedute perché domanda nuova. Nel merito evidenziava che il lato dei due sporti prospicienti la proprietà aliena, dal lontano 1980 e, quindi, ancor prima della sentenza di merito, era stato munito di solidi ripari di natura permanente che impedivano ogni possibilità di veduta. Deduceva, pertanto, la cessazione della materia del contendere avendo esso Fornabaio dato attuazione al principio affermato dalla sentenza 5464/95 della Suprema Corte, con largo anticipo. In tal senso concludeva chiedendo la condanna dell’Anania al pagamento delle spese del giudizio di cassazione e di rinvio. Articolava, infine, prova testimoniale sulla data di realizzazione dei solidi ripari predetti. Rimessa la causa al Collegio, la Corte con ordinanza del 22/9/98disponeva l’acquisizione del fascicolo all’ufficio relativo al giudizio di appello 39/87 RG: nonché ctu volta a «verificare, previa certa individuazione dell’unico balcone indicato dal ctu Lacertosa dal quale si esercitava una veduta laterale sulla proprietà Anania – la fondatezza, sul piano tecnico, di quanto prospettato dal Fornabaio, con riferimento alla realizzazione di solidi ripari- impeditivi ai ogni possibilità di veduta». Espletata ctu a mezzo di ausiliario tecnico nominato dalla Corte con ordinanza del 12/1/99, in sostituzione del precedente consulente deceduto e rassegnate le conclusive richieste, in epigrafe trascritte, la causa, erroneamente rimessa al collegio – veniva riservata per la decisione.

Motivi della decisione

L’ordinata soluzione della controversia impone puntualizzare che il giudizio di rinvio che ci occupa va qualificato proprio conseguendo a sentenza di merito cassata per il motivo di cui al n. 3 dell’articolo 360 Cpc e, pertanto, assolve a funzione prosecutoria mirando ad una nuova definizione della vertenza in forza di una novella pronuncia di merito che applicando i criteri di giudizio dettati dalla Corte Suprema sostituisca il decisum cassato (v. Cassazione 3000/81; 2931/79 ex coeteris).

Giova, altresì, rammentare che l’oggetto del giudizio di rinvio coincide con quello del giudizio di appello che è stato definito dalla sentenza annullata, limitatamente alle questioni decise nei capi cassati ed in quelli dipendenti, tant’è che le parti mantengono la posizione processuale assunta nel giudizio annullato ed alle stesse è precluso rassegnare nuove conclusioni di merito.

Nell’adottare la nuova decisione della causa il giudice del rinvio è tenuto ad uniformarsi, giusta il disposto dell’articolo 384 Cpc al principio di diritto, sostanziante la ratio decidendi seguita dalla Corte Suprema (v. Cassazione 3308/94), salve le marginali ipotesi di jus superveniens (Cassazione 11393/92), emanazione nelle more di legge interpretativa autentica (Cassazione 1171/92), declaratoria di illegittimità costituzionale della norma nella quale si fonda il principio medesimo (Cassazione 7114/92). In particolare il principio di diritto rappresenta l’emancipazione della volontà della legge non formulata in astratto ma con riferimento alla concreta fattispecie decisa nella sentenza impugnata, integrando, quindi, il criterio concreto di decisione che il Giudice di rinvio è tenuto ad applicare (v. Cassazione 3542/87 ex plurimis).

Quanto alla natura del vincolo in predicato parte della dottrina è nel senso che si verterebbe di una preclusione a giudicare diversamente, per altri autori si tratterebbe di un effetto di giudicato per la sua valenza extra-processuale che in qualche modo tocca direttamente la sfera giuridica dei soggetti, mentre l’opinione prevalente in dottrina ed alla quale si coniuga la riflessione giurisprudenziale è che si tratti di un unicum non riconducibile all’alveo dell’una o dell’altra categoria (v. Cassazione 507/80).

La vincolatività del principio di diritto comporta che tutte le questioni di fatto e di diritto costituenti il presupposto logico ed inderogabile della pronuncia di annullamento resa dalla Corte Suprema restano precluse, sia nel caso in cui siano state dedotte nelle precedenti fasi di merito sia quando sarebbero potute essere

prospettate dalle parti in sede di legittimità o quando la Corte stessa avrebbe dovuto rilevarle di ufficio (Cassazione 7818/86; 3223/86; 3093/79; 33096/78, 3422/57; se non 2924/56). Ed invero il riesame di siffatte questioni potrebbe limitare, se non addirittura vanificare, gli effetti della sentenza di cassazione che enuncia il principio di diritto non in astratto ma al fine della concreta decisione del, caso di specie (Cassazione 13957/91; 11027/91; 10187/91).

Tanto premesso devesi osservare che, per quanto attiene ai poteri del Giudice di rinvio in ordine all’accertamento dei fatti, ove la cassazione sia stata pronunciata per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ai sensi dell’articolo 360 n. 3 Cpc (come occorso in concreto), il Giudice predetto deve uniformarsi al principio di diritto attenendosi alla valutazione dei fatti contenuta nella sentenza cassata, mentre ove la cassazione sia stata pronunciata per vizio di motivazione (articolo360 n. 5 Cpc), atteso che alla Corte Suprema era inibito sostituire agli apprezzamenti già compiuti proprie valutazioni di merito, il Giudice del rinvio viene a trovarsi nella stessa pienezza dei poteri che aveva il Giudice, che ha pronunciato la sentenza cassata e può, quindi, riesaminare liberamente i fatti già accertati, purché non attinenti a questioni definitivamente decise, nonché accertarne altri, nei limiti in cui sono ammesse nuove prove e nel rispetto delle preclusioni e decadenze già verificatesi e può, pertanto, decidere la controversia in base a nuovi presupporti oggettivi (Cassazione 2807/94; 3211/92; 13831/91).

Nel caso che ci occupa la sentenza della Corte territoriale 71/1992, cassata in parte qua, aveva escluso «l’osservanza della distanza di cui all’articolo 906 Cc per il balcone da dove si esercitava la veduta laterale sul fondo dell’Anania a distanza di cm 60 dal confine, perché tra le due proprietà vi era la strada pubblica» così come leggesi nel commemorativo della pronuncia della Corte Suprema (fol. 4) ed in relazione alla collocazione del detto balcone viene enunciato il principio di diritto riflettente l’obbligo di osservanza delle distanze stabilita dall’articolo 906 Cc per l’apertura di vedute laterali od oblique, anche se tra i due fondi vi sia una strada pubblica (fol. 9). A maggior conforto (ove necessario) di detta conclusione giova rammentare che la Corte distrettuale nella sentenza 71/1992 aveva statuito, facendo proprie le valutazioni espresse dal ctu geom. Lacertosa, che tutte le vedute del fabbricato Fornabaio erano a distanza legale, fatta eccezione per un solo balcone posto a 60 cm dal confine ed affacciantesi sulla pubblica strada (foll. 6 e 7).

Ne deriva che non può nella presente sede riproporsi la questione relativa alla legittimità o meno delle ulteriori vedute con correlata richiesta di chiusura delle medesime, dovendosi rilevare sul punto la formazione di giudicato interno.

Altrettanto non può dirsi, invece, per l’invocata eliminazione del balcone posto a distanza non legale, non potendosi sostenere che la mancata inclusione, nel rassegnare le conclusive richieste nel giudizio svoltosi innanzi il Tribunale di Matera, delle richieste di chiusura o riduzione delle vedute, in aggiunta alla declaratoria di illegittimità di quelle poste a distanza non legale, abbia voluto rappresentare rinuncia a detta domanda, atteso che, innanzitutto, va rilevato in punto di fatto che l’Anania non comparve proprio all’udienza del 10/5/86 fissata per la precisazione delle conclusioni e, in punto di diritto, che la mancata precisazione o, per meglio dire, l’assenza della parte all’udienza di precisazione delle conclusioni non si significa rinuncia alle istanze, bensì conferma delle conclusioni formulate in precedenza o in comparsa costitutiva (v. Cassazione 1261/83; 474/72; 3885/68), così come la mancata riproposizione di talune delle domande non è sufficiente a far presumere il suo abbandono, dovendosi aver riguardo al complessivo contegno del contraddittore (Cassazione 4633/94; 3271/89; 1973/89; 4366/87, 1132/87; 990/85; 6003/84; 4805/83 ex plurimis).

Parimenti proponibile nella presente sede si appalesa la richiesta di condanna generica del Fornabaio per danni conseguenti all’illegittima veduta esercitata dal balcone, quale tema dipendente dal capo cassato.

Fatta luce sull’ambito del giudizio di rinvio, va chiarita, per una più puntuale applicazione del principio di diritto espresso dalla Suprema Corte, la nozione di veduta diretta, obliqua, laterale.

Orbene, va rilevato che la Corte Suprema nella pronuncia 5464/95, dispositiva del rinvio, riafferma il principio secondo cui la distinzione delle vedute, nei sensi sopra indicati, va operata «a seconda della posizione prospettica da cui è consentito guardare» (fol. 8) o, in termini maggiormente espliciti, tenuto conto dell’oggettiva conformazione dell’opera dalla quale si guarda, delle caratteristiche strutturali del manufatto e non della posizione che possa assumere lo spettatore rispetto alla parete nella quale si apre la veduta (Cassazione 4523/93; 12821/92; 2236/67)

La veduta è costituita dalla soluzione di continuità della parete esterna di un edificio dalla quale è possibile prospicere et inspicere. Se la veduta può esercitarsi da una rientranza nel muro si avrà la nicchia; aperture a filo possono essere sostanziate da finestre o balconi o, ancora, da pareti finestrate, mentre ove la veduta venga esercitata da uno sporto o aggetto si avrà necessariamente il balcone. Nella veduta diretta il campo visivo è costituito dalla linea retta parallela al segmento rappresentato dalla veduta medesima, in quella obliqua il campo visivo è ortogonale (o perpendicolare) alla predetta, in quella laterale infine il campo visivo è allineato alla veduta stessa (angolo piatto, ossia di 180 gradi): v. Cassazione 1261/97.

Ora, applicando elementari principi goniometrici, risulta evidente che il campo visivo della veduta diretta si interseca con quella obliqua a 45 gradi rispetto al punto di osservazione, ove si rappresenti il tutto su un quadrante cartesiano nella quale l’asse delle ascisse sia costituito dal campo della veduta diretta quello delle ordinate il campo della veduta obliqua, come, continuando nella rotazione in le senso orario, il campo della veduta obliqua si interseca con quello della veduta laterale a 180 gradi.

Si soggiunga che dalle nicchie(veduta arretrata rispetto alla sagoma esterna dell’edificio) è possibile solo la veduta diretta e quella obliqua (ed in tal caso l’ampiezza della visibilità è inversamente proporzionale alla distanza dello spettatore dal piedritto del vano opposto al verso dell’osservazione), giammai quella laterale impedita dall’intradosso della nicchia stessa (v. in proposito e Cassazione 12821/92). Dal balcone (veduta che si esercita da uno sporto), è possibile individuare una veduta diretta, obliqua e laterale dal lato lungo (normalmente parallelo alla parete esterna dell’edificio) e una veduta diretta obliqua ed unilaterale dal lato corto, posto che uno dei due campi visivi laterali è rappresentato dal muro stesso dell’edificio. Ora, tenuti presenti i succitati elementi, va detto che qualora due edifici si trovino allineati su pubblica strada (ma alla stessa conclusione si perviene allorquando la pubblica strada si frapponga tra le due costruzioni) la veduta diretta che può esercitarsi dal balcone dell’uno nell’altrui proprietà, fruisce dell’esonero dell’osservanza delle distanze legale, di cui al comma 3, dell’articolo 905 Cc, per l’apertura delle vedute medesime.

Ma siccome dal medesimo sporto (sia considerando il lato lungo che il lato corto è possibile esercitare al tempo stesso veduta laterale e obliqua, nei sensi sopra chiariti, ed atteso che la disposizione di cui all’articolo 906 Cc non richiama affatto la deroga di cui all’articolo 905, comma 3 Cc, deroga che come tale è insuscettibile di applicazione analogica, il punto più vicino dello sporto deve distare dal confine cm 75. Ed è appunto quanto detta, quale principio di diritto la Suprema Corte nella pronuncia 5464/95, ponendosi nel solco di Cassazione 2373/59; 2116/78; 2665/78; 5439/92. Pronuncia cui è seguita Cassazione 2159/02.

Per impedire la veduta obliqua o laterale non è indispensabile eliminare il manufatto, attraverso l’abbattimento dello sporto, le tompagnature del vano ecc., essendo sufficiente – sempre che il convenuto faccia richiesta in tale senso disporre l’apposizione di solidi e duraturi ripari (v. Cassazione 1321/70; Cassazione 5259/78; 5534/81), quali pannelli di vetro retinato ed opaco stabilmente incorporati nella compagine del manufatto e collocati ad un’altezza tale dal pavimento, da non consentire di guardare ed affacciarsi verso il fondo vicino se non con l’impiego di specifici ad anormali mezzi ed accorgimenti (Cassazione 8797/93; 1693/94).

Sostiene il convenuto in riassunzione di aver dichiarato, fin dall’intrapresa dell’azione cautelare da parte dell’Anania, che avrebbe provveduto a chiudere o a regolamentare le vedute che fossero risultate a distanza non legale e di aver, conseguentemente, nel corso del giudizio di appello, provveduto a munire i due balconi, posti in verticale rispettivamente al secondo piano ed al piano attico, di solidi e robusti ripari di natura permanente, atti ad impedire la prospectio e l’inspectio nel fondo finitimo.

Sta di fatto che la espletata ctu ha consentito di verificare la piena rispondenza delle vedute esercitate dai balconi predetti alla distanza stabilita dall’articolo 906 Cc.

Devesi puntualizzare che l’accertamento dimandato all’ausiliare tecnico, costituisce nuova integrazione, dell’indagine esperita nel corso del giudizio di primo grado, dinanzi al Tribunale di Matera.

Vero è che il ctu ha l’obbligo di astenersi e può essere ricusato qualora abbia già svolto la sua opera in altro grado del processo, indipendentemente dall’identità dell’oggetto della domanda e anche qualora il successivo giudizio sia quello di rinvio (v. Cassazione 3835/94), ma è altrettanto vero che il consulente tecnico non risulta essere stato formalmente ricusato e comunque nei termini (Cassazione 13657/98 ed il mancato esercizio del diritto di ricusazione non si rilette, in ogni caso,, sulla validità della consulenza (Cassazione 1215/93; 736/81). Parimenti la mancata astensione da parte del ctu non cagiona la nullità della relazione depositata (Cassazione 1034/71).

L’odierna legittima conformazione della veduta esercitata dal balcone (recte: dai balconi) del fabbricato del Fornabaio non può sfociare nella mera declarátoria di cessazione della materia del contendere non essendo risultata integralmente soddisfatta la pretesa dell’Anania (eliminazione della veduta) atteso l’accoglimento della richiesta riconvenzionalmente formulata dall’Anania di sufficienza dell’apposizione dei solidi ripari (cfr. Cassazione 3217/98; 801/98; 3562/939).

Va accolta, infine, la domanda dell’Anania di condanna generica al risarcimento danni cagionati dal Fornabaio dalla realizzazione delle vedute illegittime fino al suo adeguamento tecnico, profili temporali che meglio potranno essere puntualizzati nel separato giudizio di liquidazione.

Quanto al governo delle spese processuali l’esito della lite e l’oggettiva peculiarità della questione involta dall’ermeneutica dell’articolo 906 Cc giustificano la compensazione, tra i contraddittori, delle spese del giudizio di cassazione e di rinvio.

PQM

La Corte di Appello di Potenza, definitivamente decidendo quale Giudice di rinvio designato dalla Suprema Corte con sentenza 5464, sull’atto di citazione in riassunzione di Anania Giuseppe notificato l’11/5/96 nei confronti di Fornabaio Domenico, così provvede:

1. dichiara la legittimità dell’attuale conformazione della veduta esercitata dal balcone sito nel fabbricato del Fornabaio, meglio individuato in motivazione;

2. condanna il Fornabaio al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separato giudizio, in favore dell’Anania derivanti dall’illegittima veduta esercitata dal balcone, relativamente al periodo intercorrente dalla realizzazione della veduta medesima al suo adeguamento tecnico alle prescrizioni dell’articolo 906 Cc;

3. dichiara integralmente compensate tra le parti le spese processuali del giudizio di cassazione e di rinvio.