Ambiente

Thursday 13 September 2007

Discorso del ministro dell’Ambiente alla conferenza sui cambiamenti climatici, presso la Fao il 12.9.2007

Discorso del ministro
dell’Ambiente alla conferenza sui cambiamenti climatici, presso la Fao il 12.9.2007

Il cambiamento climatico è qui e
ora. Noi sappiamo che il nostro paese è tra quelli che pagheranno il maggior
prezzo in termini di danni ambientali, perdita di vite umane e salute, costi
economici.

– Già ora la temperatura in
Italia si aumentata quattro volte di più che nel resto del mondo: 1,4 gradi
negli ultimi 50 anni mentre la media mondiale è di 0,7 gradi nell’intero
secolo.

– Già ora le piogge diminuiscono
(il 5% nell’ultimo secolo, oggi ci sono 14 giorni di pioggia in meno ogni anno
nel sud), gli episodi di siccità si moltiplicano, la desertificazione sta
diventando un problema non solo per la Sicilia, ma anche per la Pianura Padana.

– Aumenta il rischio
idrogeologico soprattutto nell’Appennino meridionale e in parte di quello
settentrionale, oltre che nelle Alpi occidentali: le zone più a rischio sono in
Calabria, Campania, Liguria e nelle Langhe.

– Risorse idriche: i nostri
ghiacciai alpini hanno perso metà del loro volume e il 30% della loro
superficie in meno di un secolo. Il Po, come tutti i fiumi italiani, sta
subendo riduzioni progressive delle portate medie mentre
aumenta la variabilità tra piene e secche

– Mare: un chilometro su 3 delle
nostre coste basse è in arretramento e 33 aree costiere rischiano di essere
sommerse dal mare nei prossimi decenni, la biodiversità marina, così come
quella terrestre, cambia e nuove specie aliene si stanno insediando nel
Mediterraneo.

– Salute: un incremento dei
decessi in Europa, a causa delle ondate di calore valutato tra 8 mila e 12 mila
persone per anno e per ogni grado centigrado di aumento della temperatura media
(DATI UE, PESETA).

– Soldi dei cittadini: i primi a
pagare saranno agricoltori e operatori turistici. La produttività agricola, a
causa dell’eccesso di caldo e della minore disponibilità d’acqua, potrebbe
diminuire del 22%, (mentre quella del nord Europa potrebbe crescere fino al
70%). I danni sarebbero pari a 2/300 milioni di euro l’anno. Le regioni
mediterranee diventerebbero piuttosto inospitali per il turismo estivo marino
sia per mancanza d’acqua che per eccessivo calore, e il turismo invernale,
specie quello alpino, subirebbe una considerevole riduzione. Nel nord Europa,
viceversa, le opportunità di sviluppo turistico sarebbero notevoli.

I danni potrebbero nel nostro
paese potrebbero variare di cifra che va da 200 e 800 milioni di euro l’anno.

Agire subito è necessario, anche
dal punto di vista economico

– Noi siamo, assieme a Spagna,
Portogallo e Grecia, i più esposti ai danni dei cambiamenti climatici. Noi
abbiamo la maggiore convenienza, tra i paesi industrializzati, ad agire subito.

– Riportando all’Italia le stime
del rapporto Stern sull’inazione. Nell’ipotesi ormai ampiamente superata che la
temperatura globale cresca solo di 1,5 gradi, nel nostro paese, i costi per far
fronte ai danni prodotti dai cambiamenti climatici sono 50 miliardi di euro all’anno. Nella situazione più catastrofica prevista a
livello globale dal rapporto (crescita di 6 gradi di temperatura), i costi
arriverebbero a 200 miliardi di euro l’anno.

– Per mettere in campo le azioni
che cui permettono di tagliare le nostre emissioni di gas serra, ci servono da 3 a 5 miliardi l’anno.

– Predisporre le misure di
adattamento costa da 1 miliardo e mezzo a 2 miliardi di euro l’anno.

– La differenza tra quello che ci
costa non agire e quello che ci costa agire è tra 10 e 40
volte maggiore a favore dell’azione: da 5 a 7 miliardi contro un costo
minimo dell’inazione di 50 miliardi. E prima si fa, meno ci costa.

Lotta al Cambiamento Climatici:
Mitigazione e adattamento sono politiche complementari, e’ indispensabile integrarle

– La strategia di mitigazione dei
cambiamenti climatici, che agisce sulle cause dei cambiamenti del clima, ha
l’obiettivo di ridurre le emissioni di gas serra provenienti dalle attività
umane per eliminarne l’accumulo in atmosfera, accumulo che, per le
caratteristiche che hanno questi gas di trattenere il calore, determina una
variazione del clima.

– La mitigazione si può fare a
livello globale, con patti e politiche internazionali, perché l’atmosfera è di
tutti, non conosce frontiere e così non ne conoscono i fenomeni che si
innescano con la crescita delle temperature. La mitigazione si fa a livello
nazionale rispettando gli impegni presi e facendo in modo che se ne assumano
ulteriori.

– La strategia di adattamento,
che agisce sugli effetti dei cambiamenti del clima, ha l’obiettivo di
minimizzare le conseguenze negative e di prevenire i danni riducendo la
vulnerabilità territoriale e quella socio economica ai cambiamenti del clima, e
sfruttando, ove possibile, nuove opportunità di
sviluppo socio economico che dovessero sorgere con i cambiamenti climatici:
un’ipotesi, come abbiamo visto, molto più probabile nel nord dell’Europa che
non da noi. L’adattamento è un insieme di politiche e di scelte su scala
nazionale e locale. Senza trascurare l’impegno internazionale, la politica
globale, e fornendo ai paesi meno ricchi le risorse per adattarsi a loro volta
a un cambiamento climatico di cui rischiano di essere le prime vittime.

– Saranno i governi e le
amministrazioni locali a gestire le regole e i fondi per costruire
infrastrutture a prova di clima che cambia e soprattutto a ripensare al modo di
fare gli interventi.

– L’idea di fondo è: meno cemento
e più sostegno alla capacità naturale di difesa degli ambienti sani. Una costa
cementificata in maniera selvaggia non è un ambiente sano, lo è una duna
costiera, e anche un ambiente costruito in maniera naturale, light.

– La parola d’ordine per
l’adattamento è: interventi, naturali. light. In una parola, adattamento
sostenibile.

Mitigazione senza se e senza ma

La prima cosa da fare è ridurre
le emissioni, non ci sono scappatoie. È una politica globale, ma ognuno deve
fare la sua parte.

– Occorre riportare in equilibrio
il sistema climatico tra emissioni globali e assorbimenti globali, per evitare
che il clima impazzisca. Oggi, solo in termini di anidride carbonica, il più
comune dei gas serra, vengono emessi a livello
mondiale tra 26 e 28 miliardi di tonnellate l’anno.

– Con il trend attuale nel 2050
ci saranno 90 miliardi di tonnellate di anidride carbonica in giro per
l’atmosfera.

– Le emissioni mondiali
continuano a crescere e nello stesso tempo aumenta l’urgenza di tagliare le
emissioni.

– Il pianeta, con le foreste e
gli oceani, è in grado di assorbire oggi solo 12 miliardi di tonnellate di CO2,
il 40%. In futuro le capacità di assorbimento diminuiranno, perché più aumenta
il riscaldamento più i sistemi naturali che catturano l’anidride carbonica si
indeboliscono.

– Nel Mediterraneo, lo scorso
inverno l’assorbimento della CO2 è sceso del 30% perché la temperatura del mare
era di 2 gradi sopra la media.

– E’ urgente tagliare le
emissioni. Il processo ci potrebbe sfuggire di mano, diventare incontrollabile.

Emissioni, il cammino che resta da fare

– L’Italia ha accumulato 10 anni
di ritardo. Per colmare questo gap non basta la prima inversione di tendenza
nelle emissioni dei gas serra che secondo le stime preventive dell’APAT c’è
stata nel 2006: si tratta dell’1,5% in meno rispetto al 2005, in buona parte
dovuta all’inverno caldo e all’estate mite dello scorso anno.

– E’ stato un segnale importante,
ma occorre un impegno massiccio. Nei 10 anni che ci separano dalla firma del
protocollo di Kyoto, l’Italia invece di ridurre come era nei patti le emissioni
di gas serra del 6,5% rispetto al 1990, le ha aumentate del 12,1%.

– Non siamo in regola con il
piano nazionale di allocazione dei permessi di emissione: ritardi, reticenze,
scelte miopi anche da parte del sistema industriale. Tutto questo non conviene
da nessun punto di vista, né da quello politico, né per quanto riguarda il nostro
peso internazionale, né per il sistema economico.

L’Italia verso Bali

– Sulle emissioni la posizione
dell’Unione Europea è la più avanzata, e allo stesso tempo è la più realista.
La riduzione del 20% delle emissioni al 2020 e del 60% entro il 2050 è un
obiettivo di buon senso. Limita il riscaldamento del pianeta a 2 gradi, un
limite ultimo perché le conseguenze – sebbene siano comunque gravi – rimangano
prevedibili, controllabili attraverso piani di adattamento e non irreversibili.
A non essere di buon senso quelli che vogliono continuare a fare come se niente
fosse in termini di produzioni inquinanti, di auto, di stile di vita. come se poi pagasse qualcun altro. Non è così, stiamo
pagando da ora in termini di abitabilità del pianeta, di vite umane, di soldi.

– Andremo a Bali, alla
tredicesima conferenza delle parti che hanno firmato la Convenzione sui
cambiamenti climatici, a sostenere con forza la posizione dell’Unione europea
che si è impegnata già da subito a ridurre le emissioni di gas serra del 20% e
che si sta preparando (a partire dalla riunione Vienna) con gli scenari di
fattibilità economica alla mano a lanciare riduzioni più drastiche, fino al 40%
entro il 2020.

– Andremo a Bali a negoziare il
prossimo patto, Kyoto 2, non solo per quanto riguarda i tagli di emissioni da
fare, ma anche le regole per farli. Chi (quali paesi, quali
settori) deve avere limiti di emissioni; chi deve essere aiutato di più,
concedendo tempie e margine; come aggiustare e ampliare il meccanismo del
"trade", magari spostando il tiro dagli interventi che valutano e
attribuiscono un prezzo alle emissioni per passare a interventi specifici
sull’uso dell’energia fossile, con la conseguente possibilità di
cambio/commercializzazione di ogni azione di risparmio della CO2 (in maniera da
coinvolgere una platea la più ampia possibile), con meccanismi premianti e
penalizzanti.

L’adattamento sostenibile è come
la lotta biologica: salva natura e salute, e permette di risparmiare

– La verità è che all’Italia
agire per l’adattamento significa mettere in sicurezza in primo luogo i nostri
guai storici: il rischio idrogeologico, la difesa delle coste, lo spreco delle
risorse idriche. Si tratta di politiche e di azioni che sono o dovrebbero già
essere in corso: gli ostacoli vengono anche dai meccanismo
di blocco non selettivo degli investimenti ambientali decisi nella scorsa
legislatura.

– C’è un paradosso tutto
italiano: a differenza di molto paesi europei dobbiamo
fare la maggior parte delle politiche della messa in sicurezza del territorio. Dobbiamo
farle ora, tenendo conto dei limiti più alti posti dalle azioni di adattamento.
Possiamo e dobbiamo utilizzare l’adattamento per realizzare la messa in
sicurezza del territorio di cui da anni si parla.

– Ma c’è di più: l’unico
adattamento che funziona è quello sostenibile. La lotta biologica al
cambiamento climatico, cioè il restauro ecologico, non l’artiglieria pesante.
Alt alle inutili cattedrali di cemento, alle devastanti dighe faraoniche, alle
enormi massicciate che contengono i versanti franosi. Via libera a interventi
strutturali sostenibili, a tecniche dolci come quelle dell’ingegneria
naturalistica. Si potrebbero fare netti risparmi sui fondi per la difesa del
suolo: dagli oltre 40 miliardi di euro che oggi si ritengono necessari per mettere
in sicurezza il suolo, la vita e i beni degli italiani, si passerebbe a una
spesa ben più bassa, dell’ordine di 8 miliardi di euro. Un risparmio che fa
bene all’ambiente, risulta anche più efficace ma soprattutto consente un numero
enormemente maggiore di interventi.

– L’esempio migliore è quello
dell’Arno. Nel bacino fluviale erano previste opere strutturali per 1 miliardo
e 600 milioni di euro. La nuova programmazione leggera ha ridotto questa cifra
a 200 milioni di euro, l’80% in meno. La Regione Toscana e
il ministero dell’Ambiente hanno adottato questa nuova programmazione e la
messa in sicurezza si farà muovendosi attorno a questa filosofia e a questi
investimenti.

– Il punto è che i soldi
necessari ci devono essere, e ci devono essere da ora. Devono essere
finalizzati a vere azioni di messa in sicurezza del territorio e non ad azioni
che danneggiano il territorio.

– Spero che alla fine della
Conferenza nazionale ci sarà un "manifesto per il clima, una strategia per
l’adattamento sostenibile e la sicurezza ambientale", un impegno che
vorrei fosse sottoscritto dal governo.

Roma, 12 settembre 2006